Anteprima

CONSIDERAZIONI SULLA

DEMOCRAZIA   CRIMINALE 

IL GOVERNO E L’ACCUMULAZIONE NEL TEMPO DELLA GLOBALIZZAZIONE, DEI PRODOTTI IMMATERIALI E DELLE MOLTITUDINI

di Giovannelli

Mimesis Edizioni

 

Premessa

 

Scriveva Hegel nel 1821 (Grundlinien der Philosophie des Rechts): omnis definitio in jure civili pericolosa (Digesti, I, X, 17). E, in fatto, quanto più sono incomposte e contraddittorie in sé le prescrizioni di un diritto, tanto meno in esso sono possibili definizioni, poiché queste devono, piuttosto, contenere determinazioni universali; ma queste rendono immediatamente evidente nella sua semplicità l’opposto, qui l’ingiusto (Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, 1913, pagina 18, traduzione di Francesco Messineo).

Le istituzioni democratiche del ventunesimo secolo non sono riuscite ad elaborare e ad offrirci una convincente teoria costituzionale; neppure esiste una filosofia che leghi insieme, con la necessaria coerenza, i provvedimenti legislativi di volta in volta adottati. Ogni singolo problema viene rincorso e risolto, nella contingenza, senza mai esaminare, tenendole nel dovuto conto, le conseguenze collaterali, in assenza dunque di un ragionevole progetto, di una prospettiva. E i governanti ci appaiono come i discendenti del particulare enunciato dal Guicciardini più che del luciferino Principe reso immortale dal Machiavelli. Ma, annotava Guicciardini: Come il fine dei Mercanti è più delle volte il fallire; quello dei Naviganti il sommergere: così spesso di chi lungamente governa è il capitar male (cfr. Più consigli, et avvertimenti di M. Fr. Guicciardini, LXXI, Parigi, Morello, 1576)

La globalizzazione ha distrutto ogni confine e travolto le strutture, un tempo stabili, degli stati nazionali; ma, per contrasto, nella medesima congiuntura, ha creato, in ambiti territorialmente ristretti, legami nuovi e forti, rinnovando lo spirito dei comuni e perfino delle frazioni. Non va dimenticata, e suggerisce riflessione, la rapidità con cui le comunità vengono spinte ad associarsi a seguito dell’insorgere di emergenze improvvise, siano esse politiche, ecologiche, religiose, di ordine pubblico, di difesa delle risorse economiche o della identità etnica. 

I mutamenti hanno prodotto, senza ombra di dubbio, una profonda crisi internazionale della capacità di controllo, della c.d. governance. Si è creata, ormai, una incrinatura visibile nel rapporto fra il suddito e lo stato, fra il cittadino e l’istituzione; si va lentamente dissolvendo il senso di appartenenza, si riscontra con frequenza una mancanza di fiducia che preoccupa non poco l’apparato di dominio. Questa crisi colpisce ogni forma statale assunta dal potere, senza eccezioni, dittatori e populisti, regni e repubbliche; ed è ad oggi ancora irrisolta, anche se in apparenza (ma solo in apparenza) strutture obsolete come il “partito” o il “sindacato”, come il club o la famiglia, perseverano nel giocare un ruolo che certamente non è consentito a nessuno di trascurare, presentandosi quali “rappresentanti” delegati e in qualche modo così accettati. E’ apparenza, tuttavia. Incalzato da un bisogno urgente di democrazia (aspirazione collettiva che si veste di un significato insieme antico e nuovo) il passato riesce solo  faticosamente a sopravvivere, sussulta, reagisce con rabbia, ma si avvia verso il tramonto senza lasciare nostalgia alcuna nel cuore dei nuovi protagonisti.

Non è estranea a questa crisi la progressione geometrica che contrassegna lo sviluppo dei prodotti immateriali, per loro natura difficilmente legati ai confini e alle sedimentazioni protezionistiche nazionali. Le idee corrono; ed anche i beni immateriali sembrano avere le ali ai piedi. 

Il primo studioso capace di codificare una teoria complessiva dei prodotti immateriali, Charles Dunoyer (1786-1862), ebbe ad osservare: Non è il prodotto ciò che si consuma nell’atto medesimo in cui nasca, ma è il lavoro del produttore. In ciò le produzioni immateriali non differiscono da tutte le altre; imperocché in tutte indistintamente si consuma sempre il lavoro, e si accumula l’utilità. Sicuramente la lezione del professore vien consumata nell’atto stesso in cui si produce, ma appunto come la manodopera del vasaio impiegata sul vaso che egli ha fra le mani; le idee, intanto, inculcate dal professore, rimangono nello spirito dell’uomo, precisamente come la forma che il vasaio ha impresso sull’argilla… Non può dirsi di tutti i prodotti immateriali che essi non siano capaci di accumularsi, giacché si accresce benissimo il gusto, si accrescono le virtù, le attitudini, i talenti di ogni maniera; si aumenta il valore di una clientela, la fecondità di un’industria. Il padre che pone a tirocinio il suo figliuolo non accumula forse e per esso e per se medesimo e per la società…….I lumi, la scienza acquisita, moltiplicano ed ingrandiscono il patrimonio dell’uman genere, precisamente come la ricchezza materiale, con l’unica differenza che la prima si moltiplica con l’uso, mentre la seconda si deteriora con il consumo (cfr. Della libertà del lavoro, a cura di F. Ferrara, dispensa 247, pagina LXIII, Torino, UTET, 1859).

La ricchezza immateriale si diffonde, dunque, e travolge gli argini. Ma le sedimentazioni precedenti resistono, vivono un contrasto fra l’impulso all’accumulazione crescente e la tendenza alla conservazione di un assetto che garantisce il dominio. Le prescrizioni del potere costituito, nelle capitali come nelle periferie, sono dunque prive di armonia e contraddittorie; conseguentemente impediscono ogni “definizione” di carattere “universale”. Appena varate rendono evidente il loro carattere intrinseco di “ingiustizia”. Il fatto che le norme siano ingiuste, peraltro, non impedisce tuttavia che trovino applicazione, così determinandone necessariamente e quasi immediatamente altre, esse pure labili, per momentanea correzione delle prime; la petizione, la corruzione e la minaccia si sono cristallizzate in una sorta di sistema a pilastri su cui poggia la scienza legislativa nel tempo della globalizzazione

Il mosaico ramificato del potere che dirige e utilizza il meccanismo di accumulazione globale non ha alcun interesse alla definizione e guarda anzi con fastidio ad ogni concetto giuridico-filosofico che presenti caratteristiche di generalità e di universalità (percepite come inutili o, peggio, pericolose); le istituzioni di comando si impadroniscono allora, per propria tutela, dei concetti elementari, accettati e rispettati dalle moltitudini, quali giustizia o democrazia, con il fine neppure celato di stravolgerli, renderli innocui. Raggiungono lo scopo costantemente affiancando professionisti asserviti a oppositori compiacenti (e con qualche stratagemma prezzolati) che recitano il copione loro assegnato, poi ogni giorno diffusi via etere o sulla carta stampata. La stessa tripartizione delle funzioni elaborata dalle concezioni liberali viene criticata e accantonata dalla dottrine che esaltano l’idea di mercato. Il braccio tradizionalmente esecutivo tende a prendere via via il pieno sopravvento: riduce l’autonoma attività di quello legislativo e controlla con insolenza l’esercizio di quella giudiziaria.

Sia ben chiaro. Anche la struttura dominante deve misurarsi con la giustizia e la democrazia nella società che abita il villaggio globale e che vive in un’economia in parte decisiva costituita da prodotti immateriali; ma al tempo stesso non può neppure tollerare simili aspirazioni perché questa porterebbe al crollo di una già vacillante egemonia. Ha preso e prende così corpo, nel confronto dialettico, quella che abbiamo chiamato nel titolo “Democrazia Criminale”, ovvero la forma, matura e oggi quasi perfezionata, di governo dei sudditi nel tempo della globalizzazione. La criminalità non si pone più come antagonista rispetto alle istituzioni e le istituzioni non considerano, a loro volta, con necessaria inimicizia la rete militare ed economica dell’illegalità. Coabitano; si tollerano; collaborano; all’occorrenza perfino, con prudenza, si soccorrono. 

Non solo in Italia ma in qualsiasi angolo del pianeta è in funzione una sorta di gigantesco e affascinante laboratorio all’interno del quale operano senza sosta i lavoratori (operai, impiegati, quadri e funzionari) del delitto, inteso come vero e proprio ciclo del prodotto criminale, con  le sezioni di ideazione, accumulazione, gestione, controllo e repressione. Per la legalità e l’illegalità esistono governatori e ministri in ogni singola porzione territoriale. La democrazia viene piegata, da entrambi i protagonisti del patto, a un mero ruolo di acquisizione del consenso, senza ideologie di complemento; in questa visione anche le cosche assumono una veste stabile, si presentano come un tassello del migliore fra i mondi possibili, come il male minore. L’estrazione di petrolio e il commercio di droga, la circolazione internazionale della manodopera o il traffico di armi si fondano esattamente sul patto che i governi legittimi e le cosche mafiose hanno stretto a prescindere dai confini e dalle frontiere, con caratteristiche in fondo abbastanza simili nella fase di esecuzione e soprattutto con l’utilizzazione quasi identica di lavoro per la produzione immateriale accanto alle braccia tradizionali. Tutto convive nel mercato mondiale gestito con il patto: le banche e la rete informatica, il cellulare e il mitra, l’impiegato precario del call center, il dirigente capace di coordinare e pianificare, l’operaio che movimenta le merci, l’autista, l’esperto immobiliare che provvede all’investimento del profitto, la rete di servizio (avvocati, commercialisti, giornalisti, lobbisti). La democrazia e la criminalità vengono ad essere riassunte in una sintesi senza precedenti: la Democrazia Criminale non è più democrazia e tuttavia non è soltanto criminalità

E’, invece, la forma contemporanea dello Stato nell’epoca della cosiddetta globalizzazione; dunque, e per la prima volta forse, in connessione diretta con questa scelta del potere, il movimento di emancipazione delle moltitudini, potenziale e reale, non può che evolversi, fino a divenire una cosa sola, in movimento di liberazione generale dal giogo delle cosche criminali e dei loro alleati del governo istituzionale. Tagliare (o meglio ancora:  impedire) il rapporto fra criminalità e governance significa riconquistare la democrazia senza aggettivi; di ciò tratteremo nei capitoli che seguono.

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