L’abete rosso

di Ghismunda

Mi piacciono gli alberi. Per motivi che poco hanno a che fare con l’ambiente o con l’estetica. Proietto in essi connotazioni antropomorfe: forza e saggezza in primis; ma anche pazienza, resistenza, dignità; come una superiore lungimiranza data forse dall’altezza o dal fatto di rimanere lì quando molti di noi non ci saranno più; capacità di sopravvivere, di rinascere al verde e alla vita anche in condizioni ostili. Per la forza delle radici.

La notizia è di ieri: in Svezia è stato scoperto l’albero più vecchio del pianeta. I suoi 8000 anni, datati al carbonio 14, ne fanno il più antico organismo vivente oggi conosciuto. Si tratta di una conifera, un abete rosso che ha superato “Matusalemme”, il pino Bristlecone di Las Vegas, sulle pendici della White Mountains, che ha “solo” 5.000 anni. Nel mio abbattimento presente, l’abete rosso, sfuggito al taglio indiscriminato delle foreste, si fa simbolo.

Forse ha ragione Nichi Vendola: di fronte alla scomparsa della Sinistra nel Parlamento italiano non ha senso cercare capri espiatori. Ma solo ricominciare, dalle radici e dalle viscere di ciò che è cambiato nella società in questi ultimi anni e che la Sinistra non ha saputo cogliere e capire. Prima di tutto quel voto operaio alla Lega, che tanto fa male e che forse non è solo espressione di protesta. Stamattina, spiegando in classe l’affermazione del nazismo in Germania e le ragioni del suo consenso, mi sono accorta, mutatis mutandis, di riecheggiare il presente: l’ascesa al potere del “nazionalsocialismo” fu garantita dall’appoggio non solo della grande borghesia industriale e agraria, ma anche da larghi strati medio-bassi della società, come gli operai dequalificati, asserviti alle moderne catene di montaggio della grande industria, e gli impiegati pubblici e privati, un largo ceto medio, ostile ai non-tedeschi, alle prese con le difficoltà, il carovita, e il grigiore del vivere quotidiano. Mentre l’ideologia nazista offriva risposte concrete in termini di sviluppo ed occupazione, la Sinistra si divideva: i comunisti facevano un tutt’uno di socialdemocrazia e fascismo, visti come varianti dello stesso dominio capitalista e perciò altrettanto ugualmente da avversare, favorendo così la deriva autoritaria della repubblica. Qualcosa si è ripetuto: la proposta liberal-moderata di Veltroni ha sdoganato l’estrema, a sua volta (auto)liberatasi dal perenne ricatto della coalizione che le aveva imposto scelte e votazioni in contrasto con la sua natura e la sua identità. Ma poi qualcuno ha giocato sporco: la pressione continua (un nuovo ricatto) del “voto utile” e la sbandierata esigenza di una semplificazione politica all’americana scambiata per vera democrazia, hanno portato o a qualche voto in più per il PD (per altro decisamente insufficiente rispetto all’oliata macchina berlusconiana) o ad una sofferta astensione. Dopo l'(auto)emarginazione, si è chiesto anche il suicidio ad una Sinistra che non ha trovato né il tempo né le forze né una proposta credibile da contrapporre alla sconfitta. Tutt’al più un provvisorio cartello elettorale, per giunta accompagnato da altre divisioni, un work in progress che non è mai partito. E che ora si traduce in disfatta. Ripartire, ora, bisogna dalla società, provare a rinascere, nelle forme di un anticapitalismo adeguato ai tempi, ma senza tagliare le radici, che affondano in una storia di conquiste che i giovani rischiano di non conoscere più. Già vedo prossima l’abolizione del 25 aprile, mentre con angoscia mi chiedo chi raccoglierà a livello istituzionale il grido dell’ennesimo operaio della Thyssen Terni, colpito a morte proprio ieri dal braccio meccanico di un escavatore. Mentre la Destra celebrava il suo trionfo.

Ricominciare, rimanere nella terra, nella società. Come l’abete rosso. A cui mi fa bene pensare.

La voce di Ghismunda, 15 aprile 2008

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