Presidenziali USA: gli sfidanti democratici e la pena di morte

di Rico Guillermo
I tre candidati democratici alle primarie per la presidenza USA sono favorevoli alla pena di morte, un argomento difficile da trattare soprattutto negli Stati del sud, dove i bianchi sono per lo piu’ sostenitori della pena capitale e i neri ne sono per lo piu’ vittime.

Mentre il 12% degli abitanti degli Stati Uniti sono afro-americani, infatti, oltre il 40% della popolazione nel braccio della morte e’ nera. Sebbene poi neri e bianchi siano vittime di omicidio in quasi ugual quantita’, l’80% dei detenuti giustiziati dal momento che la pena di morte e’ stata reintrodotta erano stati condannati per un omicidio in cui la vittima era bianca. Vari studi effettuati negli Stati Uniti hanno poi evidenziato pregiudizi razziali in ogni fase del procedimento di pena capitale. Uno di essi ha rilevato che piu’ l’imputato e’ percepito aderente alle stereotipo del nero, piu’ e’ probabile che sia condannato a morte. A ciò si aggiunga il fatto che oltre il 20% dei neri accusati che sono stati giustiziati erano stati condannati da giurie tutte bianche.

Insomma, nessun progresso dai tempi de “Il buio oltre la siepe”, il film degli anni ’60 (ma ambientato nel 1932) in cui un Gregory Peck da Oscar porto’ all’attenzione nazionale e mondiale il problema dei preconcetti razziali in tribunale (anche li’, peraltro, la giuria che condannava un nero innocente accusato di stupro era di tutti bianchi). E’ quindi impossibile ignorare il fattore razziale nella realta’ odierna della pena di morte, mentre se ne parla poco o punto nella campagna democratica.

I tre sfidanti democratici hanno toccato qualche volta il tema della giustizia penale razzista. In un dibattito, Barack Obama ha riconosciuto come “qualcosa di cui dobbiamo parlare” il fatto che “afroamericani e bianchi… vengono arrestati con tassi molto diversi, vengono condannati a tassi molto diversi, ricevono pene molto diverse”. Hillary Rodham Clinton, in tema di giustizia penale, ha dichiarato di volere “una profonda revisione di tutte le sanzioni”, mentre John Edwards ha detto “Come persona cresciuta nel Sud segregazionista, sento una responsabilita’ speciale a parlare della intolleranza razziale”.

Eppure nessuno dei tre leader democratici ha posto come punto centrale del suo programma la giustizia penale, e tantomeno la pena capitale. E questo perche’ Clinton, Obama ed Edwards sostengono tutti la pena capitale, anche se non lo dichiarano durante i discorsi della campagna per le primarie.

Quando era in corsa per il senato, Obama ha spiegato che “ci sono crimini straordinariamente odiosi – terrorismo, abuso di bambini”, in cui la pena di morte “può essere opportuna”. Anche di recente ha detto di ritenere che sia importante preservare l’opportunita’ di una sanzione estrema in determinate circostanze. Per il candidato nero si tratta quindi di “un male necessario”, anche se i suoi sostenitori lo presentano come un oppositore della pena di morte. Sostanzialmente sulla stessa lunghezza d’onda Edwards, che riconosce i pregiudizi razziali in tribunale, il problema delle condanne errate e la disparita’ di rappresentanza legale, ma difende la propria posizione a favore della pena di morte.

Hillary ha evitato piu’ degli altri due il discorso della pena capitale nella sua campagna, limitandosi a parlare genericamente di “riforme”. Anche se nel 2003, ha cosponsorizzato la legge per la protezione degli innocenti, per rendere disponibile il test del DNA per i condannati a morte nei tribunali federali, aveva contribuito a limitare i ricorsi braccio della morte negli anni ’90. L’amministrazione di Bill Clinton porto’ infatti ad un enorme incremento della pena di morte federale, grazie alla ‘legge penale’, nonche’ ad una forte riduzione dei ricorsi nel braccio della morte, grazie alla legge per la lotta al terrorismo e per l’efficacia della pena di morte. Infatti fra il 1996 e il 1999 le esecuzioni piu’ che raddoppiarono.

Per fortuna le decisioni della Corte Suprema che vietavano l’esecuzione dei ritardati mentali e dei minorenni all’epoca dei fatti, nonche’ la rivoluzione delle prove introdotta grazie al test del DNA, hanno ridotto le esecuzioni ed evidenziato i limiti morali e gli errori giudiziari correlati alla pena di morte, inducendo un ripensamento in intellettuali, politici ed opinione pubblica tale da portare l’abolizione legale o di fatto della pena capitale in alcuni Stati.

Nessun merito va pero’ riconosciuto alla politica dei Democratici, i cui leader mantengono la stessa posizione pro pena di morte quasi ininterrottamente da circa vent’anni. Ed invece proprio questa campagna elettorale potrebbe essere l’occasione per marcare la differenza dai Repubblicani su un tema che rappresenta un cardine del conservatorismo e nella retorica di questi ultimi.

* si ringrazia Claudio Giusti

Osservatorio sulla legalita’, 29 gennaio 2008

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