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Note sul sistema giudiziario americano

11 aprile 2009

The common-law system is inherently messy

Lawrence M. Friedman

Il sistema giudiziario americano è diviso in tre parti
La prima divisione riguarda quella fra sistema giudiziario federale e statale.
Il primo si occupa, con molte duplicazioni e sovrapposizioni, di reati federali (droga, immigrazione illegale, frode postale, uccisione del presidente, ecc.), o commessi in territorio federale (riserve indiane, aeroporti internazionali, ecc.), delle bankruptcy court, delle cause che riguardano le agenzie federali e degli habeas corpus capitali.
Alla base ci sono le 94 US District Courts (almeno una per stato) e ogni stato è all’interno di uno degli 11 Circuiti federali, più due a Washington DC. I casi giudiziari trattati sono 250.000 all’anno.
Sopra le district courts ci sono le 13 US Circuit Courts of Appeals (che sono courts of law) (70.000 casi). Molto raramente accade che un caso, già deciso dal panel di tre giudici tipico delle corti d’appello, sia riascoltato En Banc: cioè da tutti i giudici.
Sopra tutti (anche alle corti supreme statali) si erge la Corte Suprema degli Stati Uniti, composta dal Chief Justice e da otto Associated Justice.
Riceve 7-8.000 richieste di certiorari l’anno, ma se la cava con 60-70 sentenze (il cosiddetto otto per mille della corte suprema). Occorre il voto di quattro giudici per consentire a un caso di essere ascoltato e quello di cinque per fermare un’esecuzione. (rule of four, rule of five).

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Giurie e pena di morte 2009

Giurie e pena di morte
La tradizione del diritto anglosassone di Common Law prevede che l’imputato sia giudicato da una giuria di dodici “suoi pari”. Nei processi capitali questo non succede mai. Gli imputati sono sempre dei poveri disgraziati: dei miserabili che un tempo avremmo definito sottoproletariato urbano. Al contrario chi li giudica appartiene alla piccola borghesia e di questa classe si porta dietro gli stereotipi e i pregiudizi. Le mere apparenze dell’imputato, le sue sembianze, facendolo o meno rientrare nello stereotipo del criminale (looking deathworthy), spingono da una parte o dall’altra la giuria.  (Importante: l’imputato può rinunciare al processo con giuria ed essere giudicato da un giudice togato e, in qualche raro caso, affidarsi al giudice per il solo sentenching). La giuria “agisce come coscienza della comunità” che rappresenta e, dalla sentenza MCGAUTHA in avanti, sono trent’anni che la Corte Suprema sta lottando per definire il rapporto fra pena di morte e giurie. Purtroppo non ha mai considerato che solo un numero molto piccolo degli omicidi è portato davanti ai rappresentanti della comunità.
(Nota: il sociologo tedesco Max Weber considerava il sistema della giuria non molto diverso dalla consultazione di un oracolo o la lettura delle viscere di un animale)

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Palestina: il giornalista Mohammed Omer viene premiato e poi pestato

Traduzione di Giuseppina Manfredi

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Mohammed Omer è un giornalista ventiquattrenne di Rafah, nella Striscia di Gaza. I suoi notevoli foto-reportage gli sono valsi il prestigioso premio Martha Gellhorn, ricevuto qualche settimana fa. Al suo rientro da Londra, però, Omer è stato arrestato dai servizi segreti israeliani (Shin Beit), per poi riapparire l’indomani a bordo di un’ambulanza. Gli agenti israeliani hanno ammesso di averlo trattenuto per “contrabbando”, riferendo altresì come le sue ferite non fossero altro che conseguenza di una “caduta accidentale”. Le foto che documentano il ricovero di Omer in ospedale hanno suscitato rabbia e preoccupazione tra i blogger.

Tra i primi a commentare la notizia DesertPeace, che si dice furioso per il mancato risalto dato dai media a quest’episodio di cronaca:

Una settimana fa, il mio caro amico e fratello Mohammed Omer è stato torturato e quasi pestato a MORTE dai funzionari dei servizi di sicurezza israeliani.
Questa settimana, due bambini palestinesi sono stati uccisi a sangue freddo dalle forze armate israeliane. Altri otto sono stati feriti.
Avete letto qualcosa al riguardo tra i lanci della Associated Press?
NO!

Il blogger rimanda anche al podcast con un’intervista a Omer.
Tra i successivi commenti, spicca quello di David Baldinger :

Il coraggio di Omer è encomiabile. Al posto suo, io non avrei retto ad un simile trattamento. Anche se la cosa è già di per sé grave, è altrettanto avvilente pensare come l’episodio sia seguito ai giorni felici che aveva appena trascorso all’estero. Non possiamo permettere che questa storia finisca qui: è una battaglia da portare avanti. Non c’è scusa o spiegazione che giustifichi il trattamento riservato a Omer. Magari da un evento tanto negativo si può cavare fuori qualcosa di buono. L’episodio rivela le bugie di un governo israeliano che non appare in grado di controllare le sue forze armate.

Infine, Munich – and a little bit of everything ha commentato così il podcast:

Qualcuno, dopo aver ascoltato questo documento audio, ha dichiarato che da tempo non sentiva niente di così toccante. Nel podcast infatti Mohammed Omer, dal suo letto d’ospedale, parla con Nora Barrows-Friedman di Flashpoints, trasmissione del network statunitense Pacifica Radio. Recentemente la donna gli ha fatto visita in Palestina.
Si tratta di disumanità dell’uomo verso l’uomo. C’è solo da piangere.

Qui si può firmare la petizione che chiede giustizia per Mohammed Omer.

GlobalVoice in Italiano, 20 luglio 2008

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