Punto rosa

Uomo cacciatore, donna raccoglitrice?

di Anna Molinari

Quelli di metà novembre sono stati giorni in cui abbiamo ascoltato e letto un sacco di commenti sull’educazione all’affettività, sulla gender equality, sulla violenza, su mostri e assassini e bravi ragazzi e donne dalle ali tarpate e amori non corrisposti e rifiutati e rispetto e mai più come prima. Giorni in cui raramente abbiamo sentito parole equilibrate, ma più spesso esperti improvvisati che hanno aperto le loro bocche larghe perché qualcosa bisognava dire. Indignarsi, giudicare, condannare, stare dalla parte giusta, puntare il dito, pronunciare frasi da cioccolatini in qualche intrattenimento televisivo. Sono stati giorni duri, quelli di metà novembre. Lo sono stati per due famiglie in particolare, ma in generale le donne, non necessariamente per le paladine sulle barricate con la spada sguainata contro il patriarcato imperante, ma per tutte le donne. Quelle che ogni giorno provano piccole sottili paure, disagi striscianti inespressi, episodi che passano sotto traccia e sotto silenzio perché forse ce lo siamo immaginate, forse è una paranoia mia, forse potevo evitare, forse è il caso che mi ci abitui tanto va così da sempre, non cambierà mai.

Ma no, non va da sempre così. E lo possiamo dire anche grazie a un salto indietro in un tempo che ci sembra lontanissimo, ma che ha ancora molto da raccontarci sul ruolo delle “femmine” nella società, e su come questi ruoli possano essere fluidi, in evoluzione, cangianti, non scatole dalle sbarre di ferro – decorate con i glitter però eh.

Una ricerca recentemente pubblicata sulle riviste «Scientific American» e «American Anthropologist» sfida la visione tradizionale sulla ripartizione dei ruoli nel Paleolitico (approssimativamente tra i 2,5 milioni e i 12 mila anni fa), quella che tutti e tutte abbiamo imparato sui libri di scuola: gli uomini di là, a cacciare e a lavorare, le donne di qua, a raccogliere e prendersi cura della famiglia. L’antropologa Sarah Lacy, dell’Università del Delaware, smentisce questa versione dando prova di un’uguaglianza di genere che sussisteva già allora, con donne fisicamente abili per la caccia: uno studio che fa luce sui pregiudizi che hanno abitato molti degli studi del passato e che ora potrebbero invece fare spazio a una comprensione sicuramente con più sfumature della storia che ci ha condotti fino a oggi. In particolare sovverte la chiave di lettura che ha filtrato per secoli la narrazione sulle donne: creature fragili, con un corpo inadatto alla caccia per questioni anatomiche, che affiancavano uomini forti e aitanti, pronti a indicare la strada dell’evoluzione umana.

Lo studio della dottoressa Lacy, affiancata dalla collega Cara Ocobock, ha ripercorso numerose testimonianze archeologiche senza trovare prove significative che supportassero l’idea che ciascun sesso avesse in carico ruoli specifici; inoltre il team di ricerca ha analizzato la fisiologia femminile scoprendo che non solo le donne erano in grado di cacciare, ma che nemmeno ci sono testimonianze che di fatto non lo facessero. Esempi a favore di questa rilettura della storia si trovano negli attrezzi, nella dieta, nell’arte, nei reperti funerari e nell’anatomia. Quello che è successo è che in passato studiosi, per lo più maschi, hanno “trovato cose che automaticamente hanno classificato come maschili, senza riconoscere il fatto che sia uomini che donne avevano, nelle tombe o nei segni del corpo, tracce delle stesse abitudini”. E poiché la carne ha contribuito a un apporto proteico nelle diete preistoriche permettendo lo sviluppo di un cervello più grande rispetto ai cugini primati… voilà, grazie maschio che hai permesso l’evoluzione della nostra specie, in quando cacciatore. E dal mondo accademico (guarda caso con la pubblicazione nel 1968 della raccolta di studi Man the hunter, a cura di Richard B. Lee e Irven DeVore) alla cultura popolare il salto si fa in un attimo. Dai cartoni animati ai film, dai musei ai testi di storia, quest’idea è andata rafforzandosi, senza essere messa in discussione o, quando è stato fatto, quei lavori di ricerca sono stati considerati minori, ignorati o svalutati come “critica o approccio femminista”.

Ciò accadeva però prima che fossero condotti studi più approfonditi di genetica e fisiologia: i resti di uomini e donne esaminati mostrano sugli scheletri ferite analoghe, che portano a dedurre che conducessero attività simili. E pur confermando un vantaggio dell’uomo per quanto riguarda velocità di scatto e potenza di lancio, le donne emergono da questo studio come più forti in termini di resistenza, come per esempio la corsa, dovuta in particolare alla presenza dell’estrogeno, ormone di cui gli scienziati hanno rilevato i recettori fino a 600 milioni di anni fa.

Si trattava di piccole comunità, dove la flessibilità a coprire tutti i ruoli era necessaria. E molti studi vanno ancora approfonditi, non solo sul ruolo delle donne, ma sulla possibilità che anche gli uomini, proprio per la struttura sociale a cui appartenevano, potessero svolgere compiti da sempre considerati di competenza femminile, come per esempio la gestione del raccolto. Una strada che, partendo dalla specie che siamo stati ci porta alla specie che siamo diventati, impantanati in retaggi culturali costruiti su fondamenta labili eppure ancora chiamate a supporto di discutibili suddivisioni dei ruoli e delle responsabilità, e quindi anche del rispetto reciproco. Una strada che, ahinoi, sembra ancora troppo lunga e che non avrà certo un’improvvisa virata… ma chissà, noi continuiamo a sperarci, e a lavorare per creare cultura in questa direzione.

L’articolo è stato pubblicato su Unimondo il 6 dicembre 2023
La foto è di Neom da Unsplash

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Nessun principe azzurro se la sposa è bambina

di  Anna Molinari

“Mi ha detto che aveva 34 anni. L’ho conosciuto quando è venuto a trovare sua madre che abita qui vicino. Poi è venuto a casa mia. Avevo 11 anni quando ho lasciato la scuola e mi sono sposata. Mi ha lasciata quando ero incinta di 4 mesi, diceva che il bambino non era suo”. Sono le parole di Aracely, 15 anni, che aprono uno dei brevi video documentario di Stephanie Sinclair, fondatrice dell’organizzazione non profit Too Young to Wed e impegnata a combattere in tutto il mondo la pratica dei matrimoni forzati o precoci. Nel video si raccontano storie di madri bambine e sono storie di vite già sentite, già note, eppure sempre nuove. Nuove perché non siamo nella “solita Africa”, non siamo nei “soliti paesi arabi”, non siamo nella “solita India”. Siamo in Guatemala questa volta, a riprova che per ogni latitudine ci sono ragazze che si sposano e rimangono incinta troppo presto, quando ancora dovrebbero poter giocare con le bambole. E proprio questa immagine, che richiama stereotipi di genere ma che in questo caso è tristemente appropriata, impressiona la pediatra Sayda Acosta, la quale ogni giorno incontra queste giovani bambine troppo presto donne. “E’ scioccante” dice, sembra che giochi, ma il bambino che culla non è un giocattolo, è un essere vivente, è suo figlio.

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Il signor ministro di colore: stereotipi razzisti e linguaggio “neutro”

L’insistenza nell’uso del neutro universale, cioè il maschile, applicato a una donna di origine straniera come la Kienge, marca con evidenza l’arretratezza mentale dell’Italia

di Ileana Montini

“Il signore ministro Cecile Kienge“ per poco non si è preso in faccia alcune banane, lanciate da un giovane durante l’incontro organizzato dalla Festa del Pd a Cervia venerdì 26 luglio.
Prima del lancio delle banane e dell’arrivo della Kienge, giovani di Forza Nuova avevano gettato nell’area della festa tre manichini imbrattati di vernice rossa con un volantino contro lo jus soli. …

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