Politica

Tempesta e bonaccia

Sea in the moonlight” (1827-1828) di Caspar David Friedrich

di Gianni Giovannelli

Open pathway trough the slow sad sail
Trough wide to the wind the gates to the wandering boat
For my voyage to begin to the end of my wound
(Dylan Thomas)

(Apri un varco nella lenta, nella lugubre vela
Schiudi al vento le porte del vascello vagante
Perché inizi il mio viaggio verso la fine delle mie ferite)
(trad. Ariodante Marianni)

La guerra prende piede, cresce giorno dopo giorno, una vera e propria tempesta che non lascia intravedere momenti di tregua. In Ucraina non è solo un conflitto di trincea, uno scontro fra soldati per la conquista di aree territoriali e per la distruzione delle risorse del nemico. Non c’è dubbio che sia anche questo, come non c’è dubbio che al fronte muoiano, accanto ai militari di professione,  migliaia e migliaia di soggetti rastrellati, costretti ad indossare la divisa, o, anche, volontari vittime della propaganda nazionalista. Però non basta. Piovono bombe lanciate dai droni, cadono missili, la strage di civili prosegue senza sosta. I fabbricanti di armi si arricchiscono, godono di scandalose agevolazioni fiscali, vengono lautamente pagati con il denaro sottratto alla sanità, all’istruzione, alle pensioni, ai resti di welfare eroso. L’opposizione alla guerra, anche se proposta senza foga o quasi sottovoce, viene immediatamente equiparata a tradimento, diserzione, crimine contro le istituzioni. La chiamata alle armi è contagiosa. A Gaza ha preso la forma del massacro. Poco importa la qualificazione tecnico-giuridica, se si tratti di genocidio o meno. Rimane una carneficina, con le immagini di soldati felici di uccidere, consuete durante ogni strage della popolazione consumata da un esercito occupante, incitato dai comandanti a rimuovere ogni forma di scrupolo morale. La guerra si è allargata al Mar Rosso per colpire il popolo yemenita, tramite consapevoli provocazioni lambisce le coste cinesi rischiando di aprire un nuovo focolaio, non cessa di mietere cadaveri in molti paesi africani già piegati dalla fame e dagli espropri, cova sotto la cenere in America Latina e nell’area asiatica. La tempesta infuria nel pianeta, indifferente alle crisi energetiche o al disastro ecologico, l’avidità è arrogante, la cupio dissolvi  è accettata o rimossa.

A pochi chilometri dalla tempesta, nei territori dell’occidente europeo e nordamericano, anche in Italia, domina invece la bonaccia. C’è un clima di imperturbabile insensibilità, rotto, ma per brevi periodi, da proteste circoscritte (da ultimo quella di coltivatori e allevatori) che non riescono mai a coinvolgere davvero l’intera comunità e poco a poco inaridiscono, lasciando fra i protagonisti un senso di impotenza e un sentimento di rassegnazione che rafforza il potere e favorisce il dispotismo. Dentro la bonaccia si allarga la forbice fra ricchi e poveri, aumenta il disagio; l’apatia non è speranza nel futuro, ma immotivata illusione di poter essere risparmiati, di sfangarla senza troppi danni. Significativa di questo tempo di bonaccia è l’indifferenza che ha accompagnato l’insabbiamento della rivendicazione di un salario minimo a tutela dei lavoratori adibiti alle prestazioni più pesanti, espropriati del loro diritto ad esistenza dignitosa, inchiodati allo sfruttamento intensivo. Eppure, nonostante l’apatia che si riscontra nella bonaccia, è impossibile non cogliere nella nostra esistenza quotidiana i segnali, dentro le comunità, di un rancore diffuso, di una rabbia repressa ma pronta ad esplodere, di una disponibilità alla prevaricazione, al conflitto con altri sventurati, dimenticando come, storicamente, la solidarietà sia l’unica via d’uscita dalla servitù. In questi ultimi anni è accaduto che i tagli alla sanità abbiano arricchito le c.d. Big Pharma e l’erosione costante del welfare si accompagni all’incremento delle spese militari a vantaggio di chi costruisce armi: grazie alla coerente continuità dei diversi governi emersi dalle elezioni sui punti fondamentali che non prevedono dissenso (e non lo consentono neppure, a costo di usare minaccia, ricatto, perfino la forza bruta). La tempesta in atto, questo tempo di guerra, serve a ricordare a coloro che vivono nella bonaccia quel che li aspetta in caso di ammutinamento o di attacco al profitto. La domanda di pace viene percepita dal potere politico e dalle imprese dominanti come una rivendicazione eversiva, comunque come azione di contrasto alla c.d. economia di mercato.

Dentro la bonaccia prosegue intanto il processo di transizione, con introduzione di norme che accompagnano la trasformazione del vecchio stato-nazione a carattere socialdemocratico-liberale in un nuovo organismo istituzionale attrezzato per piegare le residue resistenze del precariato, dunque necessariamente e inevitabilmente autoritario. Il meccanismo di governo chiamato pilota automatico (per usare la suggestiva definizione che diede a un tale sistema Mario Draghi, l’amerikano per antonomasia) sembra funzionare anche dopo la vittoria elettorale dei neofascisti e dei loro alleati: Giorgia Meloni non abbandona, laddove opera il vincolo, la via tracciata da chi l’aveva preceduta, proseguendo anzi nella medesima direzione. I titolari dei tre ministeri-chiave (economia, esteri, difesa: Giorgetti, Tajani, Crosetto) hanno mantenuto gli impegni di spesa militare, l’appoggio incondizionato agli Stati Uniti del “democratico” Biden, le politiche di austerità, i tagli alla spesa sociale, la rinuncia a colpire i profitti delle strutture di grande impresa finanziarizzata con l’imposizione fiscale. L’istruzione, la ricerca e l’università, privi di fondi e risorse, sono facile preda delle privatizzazioni,  incoraggiate ora come prima; l’unica differenza, ideologica e spettacolare, consentita alla destra sta in un maggior uso dei gendarmi, dei giudici e delle sanzioni disciplinari contro gli studenti riottosi che occupano o scioperano. Il messaggio trasmesso dal ministro Valditara è che il rigore o l’ordine possano essere il fondamento della scienza e del sapere; una bubbola diffusa a reti unificate e spacciata per verità a suon di botte! La continuità in tema di salute è assicurata da un brillante ordinario e primario, il professor Schillaci: maggioranza e opposizione sono tranquille, la medicina pubblica, con lui al dicastero, non sarà di ostacolo ai progetti di quella privata, farà il possibile anzi per agevolare la conquista del mercato italiano.

Spicchi di autonomia consentita

Ai governi nazionali, siano essi democratici liberali o populisti, viene consentita  una libertà di azione assai limitata, dentro segmenti precisi e all’interno di confini non valicabili. Possono certamente legiferare sul c.d. fine vita, vietando o consentendo il suicidio assistito, varando norme sempre più complicate per regolare l’accanimento terapeutico. Fermo una vaga generica proibizione di operare discriminazioni  possono consentire o meno matrimoni non tradizionali, riconoscimenti di prole, intervenire sugli affetti in occasione di visite ospedaliere, disporre corsi obbligatori di nozioni sulle materie più svariate, ostacolare o meno l’acquisizione della cittadinanza, limitare o meno l’ingresso, il soggiorno, gli studi. Quel che ha in mente la reazionaria bigotta Eugenia Maria Roccella, titolare di un dicastero per la famiglia (qualunque cosa voglia dire oggi), lascia nella totale indifferenza i consigli di amministrazione delle multinazionali e infiamma soltanto associazioni di quartiere ospiti di una qualche redazione televisiva.

Autonomia differenziata

Il governo Meloni concentra la propria visibilità e identità sull’attacco radicale a minoranze percepite come tali, disarmate e adatte al ruolo di capro espiatorio. Il varo di norme repressive caratterizzate da una severità spropositata colpisce aggregazioni giovanili in luoghi abbandonati (musica e/o sballo), proteste dimostrative di ecologisti che cercano (purtroppo invano) di attirare l’impegno collettivo, in difesa dell’ambiente, colorando un monumento, immigrati rinchiusi in lager sovraffollati pronti per l’espulsione o per il lavoro irregolare sottopagato. Le morti recenti nel cantiere Esselunga di Firenze confermano ciò che già era noto: il carattere ordinario e istituzionale della manodopera ingaggiata in nero capace di assicurare maggior profitto. La sceneggiata di un lager ulteriore in terra albanese non cambia il quadro: sono (anzi: saranno… e chi sa quando!) poche centinaia di deportati nel gran mare di arrivi. Per quanto la propaganda si impegni è davvero troppo poco, si tratta di qualche centinaio di potenziali condanne per episodi secondari, senza ricadute di effettiva portata nelle comunità territoriali. Occorreva introdurre un cambio di passo, promettere un cambiamento istituzionale capace di aprire la strada verso un futuro migliore. L’elezione diretta del presidente del consiglio risponde ad una prima esigenza, quella di accompagnare la svolta dispotica necessaria alla transizione alla figura dell’uomo forte, nemico della burocrazia, pronto a sistemare ogni cosa. Difficile prevedere l’esito di un simile tentativo che esige non solo una doppia lettura ma con ogni probabilità anche un referendum confermativo che potrebbe trasformarsi in una trappola. Prudentemente Giorgia Meloni si guarda bene dal legare il proprio destino politico al risultato della consultazione, si accontenta di agitare la questione per rafforzare innanzitutto se stessa; non vuole commettere l’errore dell’arrogante Matteo Renzi.  In ogni caso chiunque sia eletto e a prescindere dal metodo di elezione il programma rimane lo stesso. Più gravida di conseguenze concrete appare invece la seconda riforma istituzionale, quella volta a modificare il rapporto fra stato centrale e regione, la c.d. autonomia differenziataBenché contenga una sostanziale modifica costituzionale, con notevole disinvoltura, la maggioranza ha portato il testo davanti alle due camere in forma di legge ordinaria; nella seduta del 23 gennaio 2024 il Senato (sulla carta il passaggio meno facile) ha approvato l’impianto elaborato (con alcuni significativi ritocchi) in commissione e ora è spianata la definitiva approvazione ad opera dei deputati. Nelle pieghe di una accresciuta (allo stato solo potenziale) signoria nel governo delle singole regioni si cela un meccanismo potente di controllo centralizzato, di dominio sulle comunità territoriali. L’art. 116, terzo comma, della Costituzione consente su alcune importanti materie ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia regionale; qui si viene a disciplinare il come e anche il se ci si possa arrivare, in modo però differenziato a discrezione della maggioranza in carica. L’articolo 2 (testo del Senato) rimette alla singola Regione l’elaborazione, approvazione e presentazione di una richiesta di autonomia che viene rimessa (non al Parlamento ma) al Consiglio dei Ministri, che provvede ad acquisire pareri della Conferenza Stato Regioni e delle Commissioni presso le Camere, conformandosi o meno a detti pareri non vincolanti. Poi (commi 6-8) elabora unilateralmente la proposta di intesa con la regione richiedente, e la trasmette alle due Camere, per approvazione o rigetto: prendere o lasciare. Il C. dei M. si riserva  di limitare l’intesa a una parte soltanto della richiesta di autonomia. Dunque: senza il consenso espresso (non del Parlamento ma) dell’esecutivo in carica nessuna intesa sull’autonomia è possibile. E non basta! Mediante le modifiche al testo “leghista” originario introdotte in commissione il controllo del governo è letteralmente blindato con un trucco del mestiere già utilizzato da Renzi per i Jobs Act del 2015: la legge delega. L’intesa con la singola Regione poggia necessariamente sui c.d. LEP, i Livelli Essenziali delle Prestazioni. L’articolo 3 del testo approvato in Senato conferisce al Governo la delega per definire l’ambito dei LEP con riferimento a lavoro, ambiente, comunicazioni, trasporti, energia, beni culturali, tutto ciò che possa essere oggetto di autonomia, anche differenziando, comunque senza dover passare attraverso il dibattito parlamentare. Non basta ancora! Costi e fabbisogni sono definiti, con cadenza triennale, a mezzo di DPCM, quelli entrati in uso durante la pandemia come eccezione e subito diventati regola costante di governo, come, già allora, facili profeti, avevamo previsto. L’intesa ha una durata massima di dieci anni, ma nulla vieta di porre una scadenza più ravvicinata. La Regione propone, il governo dispone.

Il meccanismo della c.d. autonomia differenziata consente dunque all’esecutivo di punire, negando intese, i territori riottosi; al tempo stesso è lo strumento tecnico-politico per assegnare risorse solo a chi è fedele, sottraendole a chi invece si oppone. Realizza, sotto la veste di un apparente decentramento, il controllo sulla popolazione, accompagnando per via legislativa, la transizione, legittimando privatizzazioni, sottrazione di risorse comuni, precarizzazione, allargamento della forbice ricchi/poveri. Costruire questo passaggio con legge ordinaria abbatte il rischio referendario: a differenza di quello “costituzionale”, che non ha quorum per la validità della consultazione, questo  sull’autonomia differenziata (già di ammissibilità dubbia) impone (in tempi di crescente abbandono delle urne) la partecipazione del 50% dell’intero corpo elettorale, italiano o estero che sia.

Probabilmente le reali conseguenze di questo provvedimento non sono ben chiare neppure a chi le sta varando: FdI le considera strumento di controllo e pressione (o magari di ricatto), la Lega sogna di fare un trampolino per il rilancio dei consensi nel nord Italia. Sono miopi, rischiano entrambi la sorte dell’apprendista stregone, agiscono sereni per via della bonaccia. Ma, dopo la bonaccia, prima o poi, arriva la tempesta. Può passare a volte un tempo infinito, è vero; ma altre volte basta un attimo e arriva, imprevisto, un tifone. Specie durante le guerre e le transizioni.

L’articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2024 su Effimera 

Immagine in apertura: “Sea in the moonlight” (1827-1828) di Caspar David Friedrich

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Rabbini americani entrano nel Palazzo di Vetro per chiedere il cessate il fuoco a Gaza

di Pressenza – Redazione Italia

Il 9 gennaio trentasei rabbini americani sono entrati nell’aula del Consiglio di sicurezza e in quella dell’Assemblea Generale al Palazzo di Vetro, sede delle Nazioni Unite, chiedendo un cessate il fuoco immediato a Gaza e invitando Joe Biden a “smettere di porre il veto alla pace”.

Siamo qui all’ONU per ricordare a Biden che tutto il mondo dice: Cessate il fuoco. Smettete di porre il veto alla pace” si legge nei post di Rabbis 4 Ceasefire.

Siamo qui per dire: Non c’è soluzione militare a questa violenza. L’ONU è il luogo in cui è possibile intraprendere un’azione diplomatica significativa per fermare la violenza. Siamo qui per sostenere l’ONU e respingere l’iniziativa della delegazione degli Stati Uniti e rifiutare il suo veto. Siamo qui per sostenere gli sforzi delle Nazioni Unite verso un cessate il fuoco.

L’ONU può svolgere un ruolo chiave nel fermare questa guerra, nel salvare vite umane e nel portare la pace. Siamo qui per sostenere le Nazioni Unite in questo senso. Siamo qui per dare voce al nostro sostegno per ottenere assistenza umanitaria ai palestinesi sfollati, affamati e senza un posto sicuro dove andare.

L’ONU è stata creata all’indomani della Seconda Guerra Mondiale e dell’Olocausto, proprio per dire “Mai più”. Siamo qui come ebrei, come rabbini, per esortare le Nazioni Unite a portare avanti questa nobile missione. Mai più significa mai più per nessuno di noi.

L’Assemblea Generale ha già votato a stragrande maggioranza a favore del cessate il fuoco, ma la delegazione americana sta ostacolando gli sforzi del Consiglio di Sicurezza per intraprendere un’azione significativa per il cessate il fuoco. Gli Stati Uniti stanno ostacolando l’azione della comunità internazionale per salvare vite umane”.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 10 gennaio 2024

La foto è di Rabbis for Ceasefire 

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Inviata richiesta al Ministero per tutelare l’Ortazzo dichiarandolo Riserva Naturale

Foce del Bevano


di Pressenza – Redazione Italia

Non si ferma l’impegno delle associazioni per la tutela del più prezioso sito del Delta del Po Emilia-Romagna, il comprensorio Ortazzo-Ortazzino a Ravenna. Dopo aver richiesto parere ad ISPRA, che ha confermato la necessità di una tutela rigorosa e le preoccupazioni per i possibili mutamenti all’area naturale che da 50 anni ha potuto evolvere indisturbata dopo la sventata cementificazione che l’avrebbe stravolta per sempre, si registra il positivo passaggio in Consiglio Comunale del 12 dicembre. All’unanimità dei votanti, su proposta del gruppo consiliare Lista Per Ravenna ed emendamenti della maggioranza, è stata richiesta al Parco del Delta del Po ed alla Regione la riclassificazione dell’area “C” a minor tutela, in area “B”.

Ma non basta: in accordo con quanto espresso da ISPRA, una folta rappresentanza di associazioni (WWF Ravenna, ENPA, FAI delegazione di Ravenna, Federazione Nazionale Pro Natura, L’Arca, Legambiente Emilia-Romagna; LIPU, OIPA, UBN – Unione Bolognese Naturalisti, insieme ad Italia Nostra che ha curato la presentazione dell’istanza), ha inviato al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, in conoscenza il Comando generale del Raggruppamento Carabinieri Biodiversità – gestore delle Riserve Naturali italiane e co-gestore dell’area Ortazzo-Ortazzino – la richiesta di istituzione di una Riserva Naturale dello Stato.

L’area possiede i requisiti richiesti ai sensi dell’art.2 comma 3 della legge 394/91 per poter essere designata quale Riserva Naturale Statale in quanto risultano presenti numerosi habitat di interesse comunitario elencati in All.1 della Direttiva 92/43/CEE, di cui almeno 5 prioritari (1150*, 2130*, 2250*, 2270*, 6210*)”. Questo l’autorevole parere di ISPRA, a cui le associazioni aggiungono: “Le contigue Riserve Naturali Statali “Pineta di Ravenna” e “Duna costiera ravennate e foce del torrente Bevano” sono sottoposte rispettivamente a subsidenza, possibile ingressione marina, salinizzazione e rischio incendi la prima, erosione, eustatismo, subsidenza, perdita del cordone dunale (con effetti vistosi misurabili di anno in anno), fortissimo depauperamento degli habitat, pressione antropica elevata, ecc. la seconda, motivo per cui il territorio a monte di dette riserve, la cui preziosità ambientale è fuor di dubbio, può configurarsi in una sorta di “serbatoio di scorta” di biodiversità, nonché di “cuscinetto” nei confronti della pressione antropica da mare e da terra e nei confronti dei mutamenti dovuti ai cambiamenti climatici; da preservare ed accrescere, e non certo da alterare, invadere (in modo più o meno ipoteticamente “sostenibile”) o mettere a reddito. L’obiettivo è dunque quello di preservare un unicum ambientale/territoriale/paesaggistico di assoluto valore naturalistico e culturale, che dalla linea di spiaggia sul mare Adriatico all’Ortazzo e Ortazzino andrebbe a lambire il confine Ovest della millenaria Pineta di Classe, formando in questo modo una Riserva Naturale Statale vasta, ricchissima e notevolmente rafforzata rispetto allo scenario attuale”.

Con queste motivazioni, dunque, continua l’impegno per garantire il massimo grado di tutela ad un patrimonio ambientale di valore europeo che Ravenna ha il dovere di proteggere e preservare per il futuro.

Si attende fiduciosi il riscontro del Ministero.

Antonella Caroli
Presidente nazionale Italia Nostra

Francesca Santarella
Italia Nostra Ravenna

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 29 dicembre 2023
La Foto è di Francesca Santarella

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