libertà

“Caro Assange non ti dimentichiamo”

Foto di Henry Nicholls

Durante la maratona mondiale di pensiero e azione per la libertà di Assange organizzata da varie associazioni e realtà pacifiste il 15 ottobre 2022, l’attivista italiana Laura Tussi ha diffuso il testo della lettera inviata a Julian Assange. L’avvocato di Assange, Jodie Harrison, l’ha fatta pervenire al padre.

Caro Julian,

sei incarcerato e osteggiato dai poteri forti per aver indagato e denunciato i crimini e i criminali di guerra in Afghanistan, in Iraq, nel carcere statunitense di Guantanamo.
Grande parte dei mainstream tradizionali, dei mass media convenzionali ti hanno dimenticato.
Ma noi no.
Noi non ti dimentichiamo e non ti abbandoniamo.

Oggi 15 ottobre 2022 abbiamo realizzato da parte di varie realtà pacifiste una maratona mondiale di pensiero e azione di 24 ore non stop, con performances, messaggi, spettacoli, articoli, webinar per sostenerti e incoraggiarti, caro Julian, per sostenerti e incoraggiarti ad andare avanti, a resistere come con te facciamo tutti noi in questa macabra congiuntura di guerra e oscurantismo.
Julian sei incarcerato nel Regno Unito.
I poteri forti ti vogliono estradare negli USA dove hanno chiesto 175 anni di carcere ossia l’ergastolo: una prematura morte certa viste anche le tue precarie condizioni psicofisiche.
Julian tu sei il simbolo mondiale della libertà di stampa.
Sei il simbolo mondiale della libertà di espressione, di pensiero, di azione.
Sei il simbolo mondiale della libertà.
Sei il simbolo mondiale della verità: il nuovo Prometeo.
E noi ti siamo vicini.
Noi stravaganti giornalisti e attivisti che non siamo considerati dai media ortodossi, ma scriviamo per siti come WikiLeaks, siti che hanno a cuore i temi della pace, del disarmo, dell’ambientalismo, della nonviolenza, della cooperazione internazionale e della riconciliazione tra popoli, genti, minoranze.

Riconciliazione, ma mai con fascismo e nazismo.
Perché nel mondo lo strapotere degli Stati Uniti è una dittatura persecutoria, autoritaria, criminale. Ossia senza mezzi termini fascista.
Noi con i nostri siti, i nostri libri, il nostro impegno ti siamo vicini per continuare una nuova resistenza.
La nuova resistenza degli anni 2000.
La resistenza del Terzo millennio.
Contro le superpotenze e i padroni guerrafondai e i signori della guerra che si contrappongono ai partigiani della pace.
I signori della guerra che costruiscono, producono e mercanteggiano armi per fomentare la guerra, la terza guerra mondiale, la potenziale  e molto probabile apocalisse nucleare.

Caro Julian noi siamo convinti che pacifismo è anche sperare che i delegati italiani non vadano alla Cop27 in Egitto, perché recarsi in Egitto significa omaggiare un regime che ha massacrato Giulio Regeni e tiene in ostaggio Patrick Zaki. Simbolo anche loro della libertà.
Pacifismo significa anche boicottare i mondiali di calcio in Qatar che è complice con i Saud e gli emirati arabi del massacro e della guerra civile in Yemen.
Il Premio Sacharov per la libertà di pensiero è stato assegnato dal Parlamento europeo al popolo ucraino; ma per noi eri TU il destinatario più meritevole.
Per tutto questo e molto altro ancora noi ti siamo vicini.

Un caro saluto,

Laura Tussi

L’articolo è stato pubblicato su Unimondo l’11 novembre 2022

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Il branco degli scaracchi

di Vincenzo Andraous

La tortura nei riguardi di chicchessia è una ignominia, messa in atto dal branco verso un giovanissimo è qualcosa di ancora più indicibile.
La violenza è compagna di viaggio di molta parte di umanità, in questo caso c’è il gesto di crudeltà fine a se stesso, la ricerca di  prevaricazione, il dominio   sull’altro, poco importa se ottenuto arrecando dolore al più debole, fragile, indifeso.
Il branco usa tecniche ben collaudate, la bugia, l’inganno, il tradimento, esprime una caratura professionale consona alla sua età, per soggiogare, mettere sotto, rendere schiavizzata del proprio potere la vittima designata.
La baby gang lega un ragazzino a un albero, lo colpisce, gli urina addosso, tra scaracchi e risate sguaiate, poi è gia ora di ritornare a casa, ognuno con il proprio balzello ben calato nelle tasche vuote, e ciascuno conoscerà altre ferite, mentre  il dolore del ricordo scaverà nelle carni un solco indelebile.
Di fronte a questi fatti si fa sfoggio di sociologie e pedagogie di intrattenimento: genitori che non sanno più essere educatori, una società che spinge al divertimento e allo sballo infrasettimanale.
Il branco sopravvive a se stesso, costantemente disconnesso dalla quotidianità, dove esistono ancora le regole, quelle che occorre conoscere per poterle rispettare, quell’area libera da sottomissioni precostituite, dove esistono le persone avvero autorevoli, che qualche volta è possibile incocciare, attraverso la fortuità di un incontro, che però obbliga a dedicare tempo e volontà a relazionarsi nella pratica della discussione e dell’ascolto, con quanti ogni giorno rimangono contusi alle arcate sopraciliari, degli altri acciaccati nell’anima.
Violenza e paura di non essere nessuno, paura di non riuscire a essere quel che si vorrebbe, violenza e paura di non essere degni del gruppo, approvati e accettati, protetti da una omertà che consolida la sua egemonia attraverso l’ottenimento di sensazioni forti, immediate, di quelle che “sconvolgono”, ma non affaticano né impegnano più del necessario.
Persino nella infamia di questo gesto, di questa violenza imitata e imitante, di questo atteggiamento mentale terroristico, erede dei bullismi di ieri, c’è inquietante la rivolta sotterranea, la voglia di annichilirsi, di  affrancarsi dalla contaminazione di ogni eventuale “fuori quota”, fautori di una normalità insopportabile, dove c’è il rischio di incappare in quell’intelligenza e sensibilità,  che non permette ad alcun adolescente, né ad alcun adulto, di disconoscere il valore della dignità umana.
Branco, baby gang, teppisti e bulli, molte le declinazioni, poche le giustificazioni travestite da attenuanti , è violenza che scardina la libertà di crescere insieme, che nega il diritto di essere conformi nel rispetto dell’altro, che disperde il dovere di resistere fino in fondo, per essere degni di vivere con lo sguardo in alto, con il domani ben cucito sulla pelle.

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