Norma antiprecari

Riceviamo dall’Avv. Giovanni Giovannelli e volentieri pubblichiamo

Egregio signor Presidente,
                                            mi rivolgo a Lei in nome e per conto di numerosi lavoratori da me assistiti e tutelati nell’ambito di varie controversie, alcune pendenti davanti ai Giudici del Lavoro di merito o di legittimità, altre ancora in fase stragiudiziale. La caratteristica comune è quella di avere per oggetto la domanda di accertamento della nullità, o della illegittimità, o della inefficacia di termini e proroghe apposte a uno o più contratti di lavoro, sempre deducendo la violazione dei limiti posti dal Decreto Legislativo 368/2001 e dalla vincolante Direttiva Europea di cui il Decreto costruisce attuazione necessaria e dovuta. I lavoratori precari costituiscono la fascia meno protetta, più debole e più martoriata in questa nostra Repubblica che i padri costituenti vollero, fin nell’esordio, fondata invece sul lavoro. E questi lavoratori, sfidando la naturale paura che accompagna qualunque rivendicazione in assenza di garanzie, chiedono con speranza ai Giudici di riconoscere il loro diritto ad essere riconosciuti stabili dipendenti del datore che ha fatto cattivo uso (id est: abuso) della legislazione in tema di contratto a termine. Le violazioni, da parte anche di aziende potenti e di grandi dimensioni, sono state accertate dalla Magistratura; numerosi lavoratori hanno raggiunto l’obiettivo che si prefiggevano, o con sentenza o con utili conciliazioni dettate anche dalle sentenze di accoglimento.
                        Con una legge della Repubblica si pretende ora, cancellando i diritti e violando la Costituzione, di assestare un colpo durissimo alle speranze e alle istanze dei precari, a vantaggio (scandaloso) della parte datoriale che ha violato la legge e che rivendica di non averne conseguenze. Si tratta, signor Presidente della Repubblica, dell’art. 21 della legge di conversione del Decreto n. 112/2008. La legge, su cui viene posta la fiducia così negando emendamenti e dibattito, tra breve sarà sottoposta alla Sua firma; questa istanza e questo appello contengono la formale ed esplicita richiesta di non firmare questo sopruso che offende la Carta Costituzionale.
                      L’art. 21 (inserito nel vasto mare di norme con il palese disegno di evitare il dibattito e porre l’opinione pubblica e i danneggiati davanti al fatto compiuto) si pone, a prima vista e indiscutibilmente, in clamoroso contrasto con i principi costituzionali e con la direttiva dell’Unione Europea, vincolante ed approvata dalla Repubblica Italiana. Ed è altresì in contrasto anche con la giustizia sostanziale oltre che con il buon senso. L’art. 21 è uno dei provvedimenti più gravemente iniqui della nostra storia parlamentare; saremo costretti a vergognarcene negli anni futuri e provocherà l’inasprimento degli animi insieme a un senso di sfiducia generale verso le istituzioni. E’ giusto che le istituzioni lo sappiano.
                   Confidano i miei assistiti (ma anche, non ho dubbi, i moltissimi sodali che versano nelle stesse condizioni) che Lei, signor Presidente, saprà negare la Sua necessaria firma all’art. 21, rimettendo la materia a nuovo esame della Camera e del Senato, sottolineando che un simile provvedimento costituirebbe una ferita troppo grave alla società civile e che dunque deve essere modificato.
                  Già il testo originario del Decreto Legge (emendato dall’art. 21 nella conversione) lasciava perplessi per solide ragioni. Il Decreto violava i principi costituzionali posti a base della decretazione d’urgenza, per la totale carenza dei requisiti della necessità non prorogabile e della incompatibilità con il corso ordinario delle norme di legge. Nessuna persona sensata (anche se non giurista) potrebbe ravvisare urgenza improrogabile di abrogare un comma (quello che definisce “ordinario” il contratto a tempo indeterminato) copiato dalla Direttiva vincolante dell’Unione Europea o di aggiungere una coda misteriosa e barocca ad un altro comma (l’estensione del contratto a termine alle attività normali e consuete di un’azienda: coda già riconosciuta dalla giurisprudenza di merito e dunque inutile). La stampa (grande e piccola) si è contraddistinta prima per il rumoroso silenzio, poi per l’informazione tardiva (quando la Camera aveva già approvato il testo) e inesatta, infine per la mancata pubblicazione della norma e lo scippo di informazione ai lettori.
                              Non è un semplice “incidente”; e non è una “sanatoria” con effetti che riguardano il passato. L’art. 21 della legge di conversione si spinge ben oltre e viola clamorosamente la Costituzione, con ben due disposizioni inserite ad arte nei lavori di Commissione tenuti segreti al pubblico. Con la veste di “interpretazione autentica” si vuol cancellare la possibilità (in danno dei lavoratori precari) di ottenere per via giudiziaria l’accertamento di un rapporto lavorativo stabile quando emerga la violazione della legge che regola la scadenza temporale. L’applicazione dell’art. 1419 c.c. (primo comma) al contratto a termine, gabellato per “interpretazione”, è stato negato dalla giurisprudenza, con orientamento granitico ed univoco, di legittimità e di merito. La Corte Costituzionale, per ben due volte, con decisioni interpretative di rigetto che concernevano il più dubbio caso del tempo parziale, ha escluso con solare chiarezza la legittimità di una tale costruzione giuridica, bollandola come estranea e contraria alla Carta. La nullità del contratto si traduce infatti in una sorta di inammissibile conseguenza premiale in favore di chi aggira le norme e a danno di chi subisce il torto. Pinocchio derubato viene arrestato dai carabinieri. La Consulta ha deliberato che le clausole accessorie debbono sopravvivere perché questa è l’unica interpretazione costituzionalmente ammissibile.
                                      Peraltro il D. Lgs. 368/2001 prevede anche ipotesi di “inefficacia” (come la mancata indicazione delle ragioni analitiche che legittimano in astratto una scadenza) e si tratta di caso ben diverso rispetto alla “nullità” (che è l’unico caso di cui all’art. 1419 c.c.). Ma l’interpretazione “autentica” travolge anche queste ipotesi, a vantaggio delle imprese che hanno violato le regole, a danno di chi è stato vittima della violazione. E’ una norma che si pone contro la Direttiva dell’Unione e che costituisce un caso grave di “retroattività” antigiuridica. Lei, signor Presidente, non può consentirlo.
                                   L’articolo 21 della legge di conversione introduce, sempre con effetto retroattivo da applicarsi anche alle cause in corso, una sanzione del tutto nuova a fronte della accertata violazione delle regole e delle norme che limitano, secondo le disposizioni dell’Unione, l’uso del contratto a termine. La sanzione sostituisce l’accertamento del contratto definitivo con una sorta di “bonus” a carattere di penale, da un minimo di 2,5 mensilità a un massimo di sei mensilità. Migliaia di lavoratori riammessi in servizio con sentenza dei giudici della Repubblica saranno ora, con retroattività, espulsi e il danno liquidato nelle decisioni ridotto. E anche i datori di lavoro che lealmente hanno riconosciuto l’errore si sentiranno beffati e risulteranno danneggiati dalla concorrenza di chi invece delle leggi (allora in vigore) si sono fatti beffa grazie all’art. 21 della legge di conversione che riscrive il passato delle norme giuridiche. Non solo, signor Presidente, risultano in contrasto insanabile con l’art. 21 la Direttiva dell’Unione Europea e la Costituzione che Lei deve tutelare, ma viene anche calpestato un principio fondamentale di qualsivoglia stato di diritto, da Giustiniano in poi. Cade la regola tempus regit actum. Camera e Senato chiedono di cancellare un diritto già maturato dei lavoratori precari.
                                  I miei assistiti diffonderanno questo appello e lo renderanno pubblico, chiedendo che ogni sincero democratico lo sottoscriva, chiedendo che ogni sincero democratico si ribelli al sopruso. Vogliamo sperare, lo ripeto, che nel prudente ma meditato esercizio delle Sue funzioni istituzionali e costituzionali, Lei vorrà davvero negare la firma, tutelare la Carta e riconfermare la lealtà della Repubblica alla Direttiva Europea che ha recepito ed approvato. E se così non fosse dovremo tutti prenderne atto, con amarezza, ma, Le assicuro, senza rassegnazione.
                             E contestualmente procedere a formale diffida, che viene a Lei indirizzata quale Rappresentante della Repubblica Italiana, dello Stato. I lavoratori da me assistiti non accetteranno quella che ritengono una illegittima lesione, un vero e proprio sopruso. Chiederemo la rimessione alla Corte Costituzionale, ci rivolgeremo alla Corte di Giustizia e a tutti gli organismi internazionali competenti (anche con richiesta di aprire la procedura di infrazione) chiedendo la condanna della Repubblica Italiana e il risarcimento del danno.
                            La giurisprudenza europea è costante nel ravvisare la responsabilità dello Stato nazionale ogniqualvolta venga violato il principio della cosiddetta “parità delle armi”. L’art. 21 della legge di conversione consente allo stato italiano di modificare il quadro normativo in corso di giudizio, avvalendosene mediante le proprie società controllate Poste Italiane spa e Rai spa, parti nei giudizi. La stampa (tardivamente) annota che ben 27.000 (ventisettemila) sono le cause che hanno visto soccombenti le sole Poste Italiane (e dunque 27.000 saranno i precari espulsi dall’art. 21). Ma la parità delle armi violata avvantaggerà anche i concessionari dello Stato: le Autostrade, la Telecom, le municipalizzate, le società pubbliche regionali. Viene devastato il diritto positivo.
                        Quando la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia saranno investite del problema si porrà la questione del rischio di soccombenza e dei suoi costi; non vi è traccia della copertura di tale rischio concreto mentre è certo che la sola difesa delle società in un contenzioso così complesso avrà ripercussioni sul pubblico erario di non poco momento (attualmente le cause dei precari postali, quando assegnate a studi esterni come nella gran parte dei casi, incidono in misura di circa 15 mila Euro a posizione). E poiché non abbiamo dubbi circa il fatto che a conclusione del percorso i lavoratori vedranno riconosciute le loro ragioni contro l’arbitrio dell’art. 21 della legge di conversione copia di questo appello e di questa contestuale subordinata diffida viene inviata alla Procura presso la Corte dei Conti per le valutazioni che riterrà opportune. Ma chi pagherà domani il danno provocato oggi? Senza nasconderci che un simile provvedimento, inevitabilmente, provocherà aspro scontro sociale il cui esito neppure è seriamente prevedibile; migliaia di lavoratori resi precari con un colpo di legge retroattiva lasciano intravedere reazioni esasperate. E non va dimenticato che le morti sul lavoro sono maggiori laddove il precariato è più diffuso; l’art. 21 contiene dunque l’indiretto contributo statistico e percentuale (ma scientificamente provato) alla morte per incidente di attualmente ignoti nuovi precari individuati dall’art. 21.
                             La prego, Signor Presidente, di voler cortesemente prendere atto di questa formale comunicazione che anticipa il contenzioso a tutto campo, quale naturale ineluttabile e inevitabile conseguenza dell’entrata in vigore dell’art. 21 della legge di conversione del decreto legge n. 112/2008. I miei assistiti si augurano che, nello sciagurato caso di entrata in vigore, la ribellione (in modo legittimo naturalmente!) contro tale iniquo provvedimento dilaghi nel paese e costringa gli autori della norma ad un auspicabile retromarcia.
Confidano comunque di non rimanere soli.
Con osservanza
Milano, 21 luglio 2008
                                      avv. Giovanni Giovannelli

Norma antiprecari Leggi tutto »