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Derattizzare

di Ettore Masina

Oh, non turbate il Santo Padre, che è vecchio e stanco. Ditegli che c’è un guasto nei ripetitori di Ponte Galeria e perciò nei palazzi vaticani  per qualche giorno radio e televisori sono in black-out. Ditegli che c’è uno sciopero dei giornalisti di tutto il mondo e quindi non arrivano notizie. Fate che non sappia, insomma, quel che sta succedendo  in Italia ai Rom: e cioè che, come molti non-papi e non-VIP sanno, da mesi gli “zingari”, in Italia, vedono (e non soltanto a Ponticelli ma in molte città e paesi)  i loro campi assaltati da facinorosi o “rimossi”, quasi senza preavviso, dalle “forze dell’ordine”. E’ una specie di pulizia etnica, senza morti, per fortuna, ma con valanghe di odio, inasprimento di una miseria già  di per sé dolorosa e terribili traumi per centinaia di bambini. La comunità europea aveva già sanzionato l’Italia come il paese meno accogliente per i Rom: il  nuovo governo ha ora deciso una soluzione radicale. Razzista.
Il Papa, tutto questo, non lo sa.  Se lo sapesse, certamente Benedetto XVI, “Vicario di Gesù Cristo, Patriarca dell’Occidente e Primate d’Italia”, lascerebbe i suoi preziosi paramenti dorati e le sue scarpette rosse, per affrontare il fango dei “campi” contro cui si accaniscono le bottiglie molotov della gente bene; vi andrebbe a gridare su quelle devastazioni la parola del Cristo: “Ciò che viene fatto ai poveri è a me che viene fatto”. Papa tedesco, sicuramente Joseph Ratzinger non riesce a dimenticare il genocidio degli zingari compiuto dalla Germania nazista ad Auschwitz,  con centinaia di bambini orrendamente torturati dal dottor Mengele; e questo ricordo, se lui sapesse ciò che sta accadendo a pochi chilometri  dalla sua finestra domenicale, lo spingerebbe a levare alta la voce per difendere i membri di una etnia dalle vere e proprie persecuzioni in atto. Così attento alle leggi italiane che “violano i diritti del feto”, egli mostrerebbe di non essere  meno sensibile ai  provvedimenti governativi che violano i diritti umani di migliaia di persone colpite in base alla loro nazionalità.
Davvero vorreste chiedergli di raggiungere i vescovi entrati nei campi degli zingari bruciati dalla gente pulita, a portare una richiesta di perdono per l’offesa fatta a Dio? Il Signore ha voluto che le genti “da un confine all’altro della Terra” diventassero un solo popolo, radunato dall’amore. Per questo chi odia una stirpe pecca gravemente contro Dio. Questo stanno dicendo i vescovi italiani pellegrini fra le rovine fumanti  degli abituri devastati dei Rom… Come dite? Nessun vescovo è là, fra quelle roulottes sfasciate, fra quelle motocarrozzette caricate di poveri suppellettili e avviate verso chissà quale destino, fra quei carabinieri che con i loro pesanti anfibi  finiscono di demolire le baracche bruciate dalle molotov?
Ahimè, i vescovi rimangono nei loro palazzi e tacciono o (vedi Bagnasco) condannano con flebili voci e gelide parole quelli che con bell’eufemismo definiscono “estremismi”.
Cristo si è fermato in piazza  San Pietro?
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E noi? Noi cittadini abbiamo niente da dire su questa democrazia che diventa, nei confronti dei più poveri, stato di polizia? Dov’è il popolo che due anni fa accorse a votare un referendum per difendere la nostra Costituzione così fortemente impostata sui diritti umani? Dov’è il presidente della Repubblica, galantuomo come pochi altri? Dov’è l’opposizione? Dov’è il governo-ombra?
Non vedo una marea di indignazione levarsi contro la criminalizzazione di un popolo che è marcato  dai segni più evidenti di un’estrema povertà ma la cui pericolosità sociale è enormemente minore di quella dipinta dai politici della destra. La Caritas, l’unica vera “esperta di umanità” nel settore, definisce “pesantemente fuorviante” il ritratto dei Rom disegnato dai mass-media. La politica “della paura”, che ha avuto un  peso tanto grande  sui risultati elettorali, sventola statistiche false. L’Italia è in paese più sicuro della Francia, della Gran Bretagna, degli Stati Uniti. Quanto ai Rom, se la ragazzina che ha tentato di rapire una neonata, a Ponticelli, voleva davvero compiere un reato così nefando, si tratta di un caso isolato. Vi sono stati altri episodi del genere ma si sono sempre rivelati equivoci, dilatati dalla paura della gente e dai pesanti pregiudizi di cui siamo portatori.
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Può darsi che la storia abbia decretato la fine dei popoli nomadi. Dai pastori somali a quelli mongoli, dai tuareg agli aborigeni australiani, l’evoluzione culturale e il rimodellamento della Terra (quello fisico e quello politico) sembrano imporre una definitiva stanzialità. Del resto, siamo  tutti discendenti da antenati nomadi perché il nomadismo è stato una tappa fondamentale della vicenda umana. Ma se davvero è finito il tempo di genti sospinte a un cammino ininterrotto dalla necessità e da un’inesauribile voglia di libertà, allora, almeno, esse hanno il diritto di attendersi l’aiuto di  una società dominante che ha già compiuto da secoli un trapasso di civiltà. E invece è proprio quello che non vogliamo consentire ai Rom: la stanzialità, l’integrazione. Delle immagini (troppo  rare e prudenti) che la televisione ci ammannisce, quelle che colpiscono maggiormente, oltre alle facce piangenti dei bambini, sono quelle del lavandino montato nella baracca demolita, del libro o del quaderno rimasto nel fango; e, dei  discorsi della gente, accanto alle parole di odio, la tristezza di qualche insegnante che cerca dove sono finiti i “suoi” alunni.
Mi è capitato di entrare qualche volta nel carcere minorile di Casal del Marmo, a Roma,  e di vedere (non dico conoscere!) giovani Rom attentissimi a imparare un mestiere.
Il carcere come unico apprendistato?
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Diavolo vuol dire: colui che disunisce. Maledetto il seminatore di odio. Maledetto il seminatore di falsità.
Falsità è la leggerezza con cui si confondono Rom e Romeni (anche questi ultimi, del resto, oggetti di una pesante  disinformazione); falsità è la diversa gravità attribuita a fatti di cronaca. Per esempio: tutti ricordano, giustamente, la povera ragazza romana che, durante un litigio con una  prostituta romena, è morta perchè il puntale dell’ombrello della contendente è penetrato in un suo occhio, ma chi ricorda che pochi mesi più tardi una ragazza romena è stata spinta da una squilibrata sotto il convoglio della metropolitana, a Roma, e da otto mesi è in coma profondo?
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La storia non sarà più “maestra di vita” come sentenziano in molti, ma certi ricordi sono davvero inquietanti. Leggo che alcuni commercianti del rione Ponte Milvio, a Roma, hanno fondato un’associazione che finanzierà un gruppo di ex poliziotti addetti alla sorveglianza del rione. Lo fecero (e lo fanno) anche molti commercianti di  Rio de Janeiro e di Sâo Paulo. Da queste polizie mercenarie, incaricate di “ripulire le strade” e “dare una lezione” ai piccoli criminali, sono nati un po’ alla volta , gli “squadroni della morte”. Garantivano rapidità operativa e certezza della pena. Il fatto è che vogliamo vivere tranquillamente, a qualunque costo. La vignetta di Altan, oggi, 16 maggio, su “la Repubblica”, mostra un bravo borghese, ben vestito e ben nutrito, che dice: “Basta con le mezze misure. Occorre il boia di quartiere”.
Anche i poeti vedono lontano. Scriveva Davide Turoldo quindici anni fa: “Ho paura del nazismo dietro le porte. Ho paura di questi nazionalismi, di questi rigurgiti di politiche negative. Ho sempre combattuto contro tutto questo. L’ho scontato con guerre che sembravano non terminare mai. Ho paura della volgarità di questa classe dirigente”.
Il direttore di Radio Padania, uno degli organi del nuovo governo, ha detto che è più facile derattizzare una zona che liberarsi dai Rom.

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L’abete rosso

di Ghismunda

Mi piacciono gli alberi. Per motivi che poco hanno a che fare con l’ambiente o con l’estetica. Proietto in essi connotazioni antropomorfe: forza e saggezza in primis; ma anche pazienza, resistenza, dignità; come una superiore lungimiranza data forse dall’altezza o dal fatto di rimanere lì quando molti di noi non ci saranno più; capacità di sopravvivere, di rinascere al verde e alla vita anche in condizioni ostili. Per la forza delle radici.

La notizia è di ieri: in Svezia è stato scoperto l’albero più vecchio del pianeta. I suoi 8000 anni, datati al carbonio 14, ne fanno il più antico organismo vivente oggi conosciuto. Si tratta di una conifera, un abete rosso che ha superato “Matusalemme”, il pino Bristlecone di Las Vegas, sulle pendici della White Mountains, che ha “solo” 5.000 anni. Nel mio abbattimento presente, l’abete rosso, sfuggito al taglio indiscriminato delle foreste, si fa simbolo.

Forse ha ragione Nichi Vendola: di fronte alla scomparsa della Sinistra nel Parlamento italiano non ha senso cercare capri espiatori. Ma solo ricominciare, dalle radici e dalle viscere di ciò che è cambiato nella società in questi ultimi anni e che la Sinistra non ha saputo cogliere e capire. Prima di tutto quel voto operaio alla Lega, che tanto fa male e che forse non è solo espressione di protesta. Stamattina, spiegando in classe l’affermazione del nazismo in Germania e le ragioni del suo consenso, mi sono accorta, mutatis mutandis, di riecheggiare il presente: l’ascesa al potere del “nazionalsocialismo” fu garantita dall’appoggio non solo della grande borghesia industriale e agraria, ma anche da larghi strati medio-bassi della società, come gli operai dequalificati, asserviti alle moderne catene di montaggio della grande industria, e gli impiegati pubblici e privati, un largo ceto medio, ostile ai non-tedeschi, alle prese con le difficoltà, il carovita, e il grigiore del vivere quotidiano. Mentre l’ideologia nazista offriva risposte concrete in termini di sviluppo ed occupazione, la Sinistra si divideva: i comunisti facevano un tutt’uno di socialdemocrazia e fascismo, visti come varianti dello stesso dominio capitalista e perciò altrettanto ugualmente da avversare, favorendo così la deriva autoritaria della repubblica. Qualcosa si è ripetuto: la proposta liberal-moderata di Veltroni ha sdoganato l’estrema, a sua volta (auto)liberatasi dal perenne ricatto della coalizione che le aveva imposto scelte e votazioni in contrasto con la sua natura e la sua identità. Ma poi qualcuno ha giocato sporco: la pressione continua (un nuovo ricatto) del “voto utile” e la sbandierata esigenza di una semplificazione politica all’americana scambiata per vera democrazia, hanno portato o a qualche voto in più per il PD (per altro decisamente insufficiente rispetto all’oliata macchina berlusconiana) o ad una sofferta astensione. Dopo l'(auto)emarginazione, si è chiesto anche il suicidio ad una Sinistra che non ha trovato né il tempo né le forze né una proposta credibile da contrapporre alla sconfitta. Tutt’al più un provvisorio cartello elettorale, per giunta accompagnato da altre divisioni, un work in progress che non è mai partito. E che ora si traduce in disfatta. Ripartire, ora, bisogna dalla società, provare a rinascere, nelle forme di un anticapitalismo adeguato ai tempi, ma senza tagliare le radici, che affondano in una storia di conquiste che i giovani rischiano di non conoscere più. Già vedo prossima l’abolizione del 25 aprile, mentre con angoscia mi chiedo chi raccoglierà a livello istituzionale il grido dell’ennesimo operaio della Thyssen Terni, colpito a morte proprio ieri dal braccio meccanico di un escavatore. Mentre la Destra celebrava il suo trionfo.

Ricominciare, rimanere nella terra, nella società. Come l’abete rosso. A cui mi fa bene pensare.

La voce di Ghismunda, 15 aprile 2008

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