rom

Ong chiedono alla Commissione europea di chiarire la propria posizione sulle politiche italiane relative ai rom

Comunicato stampa

La EU Roma Policy Coalition (Erpc), una coalizione informale di organizzazioni non governative che si occupano in ambito europeo di diritti umani, antidiscriminazione, antirazzismo, inclusione sociale e diritti dei rom e dei travellers, ha affermato oggi che la posizione della Commissione europea sulle recenti politiche italiane relative ai rom necessita di essere chiarita.
L’Erpc si e’ dichiarata preoccupata per i commenti resi dal portavoce del commissario Barrot, che ad oggi rappresentano l’unica risposta pubblica al rapporto inviato dal ministro dell’Interno Roberto Maroni alla Commissione
europea.
Secondo l’Erpc, la Commissione europea pare aver assunto la piu’ limitata delle posizioni, accettando una versione ‘soft’ delle misure inizialmente attuate dal governo italiano, misure che sono state duramente criticate in quanto discriminatorie e contrarie ai diritti umani da parte del Consiglio d’Europa, della societa’ civile e della stessa Commissione europea.
L’Erpc teme che questo approccio mandi un segnale pericoloso, specialmente in Italia dove la retorica e gli atti ostili ai rom hanno gia’ raggiunto livelli inaccettabili, come gli incendi di campi da parte di gruppi di facinorosi. Questa realta’ pare assente dall’attuale interpretazione della Commissione europea, secondo la quale il censimento delle comunita’ rom e’ accettabile come soluzione estrema, sebbene un censimento effettuato su base etnica sia evidentemente una pratica discriminatoria.
In nome della trasparenza, e’ nell’interesse della Commissione europea fornire una spiegazione adeguata sulle proprie conclusioni e rendere pubblica tutta la documentazione pertinente.
Mentre la Commissione europea si prepara a ospitare un summit che dovrebbe affrontare il tema dell’esclusione dei rom in Europa, e’ indispensabile che non vi siano malintesi sulla sua posizione riguardante i diritti fondamentali dei rom che vivono in Europa.
Pertanto, l’Erpc chiede alla Commissione europea di: rendere interamente pubblico il rapporto del ministro Maroni e le note esplicative su cui ha basato il proprio giudizio; chiarire se la risposta a tale rapporto implica un ‘via libera’ alle azioni e alle misure in fase di attuazione, tra cui gli sgomberi forzati e le affermazioni degradanti o razziste di
autorita’ pubbliche; infine, affrontare le  questioni relative ai rom dal punto di vista delle politiche d’inclusione sociale e non da quello delle preoccupazioni per la sicurezza.

Brussels, 9 settembre 2008

Fanno parte dell’EU Roma Policy Coalition (Erpc): Amnesty International, European Roma Rights Centre, European Roma Information Office, European Network Against Racism, Open Society Institute, Spolu International Foundation, Minority Rights Group International, European Roma Grassroots Organisation, Roma Education Fund e Fundación Secretariado Gitano.

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Perche’ censire cittadini italiani… solo perche’ rom?

di Francesca Zajczyk

Ma è un sogno – un brutto sogno – quello che sta succedendo oggi sotto i nostri occhi? E’ possibile che in Italia, a Roma, a Milano succedano cose impensabili fino a pochissimo tempo fa senza che nessuno alzi una voce, quantomeno esprima “forte preoccupazione”?

Qualche lamento gira sulla rete; ma sono lamenti che non riescono a trasformarsi in “voce pubblica”. I fatti: censimento fotografico e schedatura di polizia per cittadini Italiani questa mattina, 6 giugno, all’alba delle 5.00 presso il campo comunale di via Impastato a Milano.
Si tratta di un campo regolare, i cui abitanti – in Italia e a Milano dal 1943 provenienti dalla Slovenia – risultano all’anagrafe del Comune in quanto residenti a Milano. Quindi, si tratta di cittadini italiani; non solo: tra i cittadini italiani del campo c’è anche chi ha patito la persecuzione nazifascista con l’internamento in campo concentramento e chi ha meritato la medaglia d’oro al valore civile.
Tralasciando di commentare il metodo: alle 5.00 del mattino, cogliendo nel sonno bambini, anziani, come pericolosi criminali di cui si deve impedire la fuga, ciò che più inquieta è che queste persone (e sottolineo il termine) vengono schedate in quanto appartenenti ad un gruppo etnico.
Qualche sera fa Massimo Cacciari – a proposito della vicenda per certi versi analoga che si sta verificando a Venezia nei confronti di un gruppo di cittadini italiani sinti residenti nel nostro paese da più di dieci anni – richiamava l’attenzione con grande preoccupazione su quanto possa essere pericolosa questa strada che richiama (e nessuno-nessuno può negare fatti di storia) accaduti purtroppo non molti decenni orsono.
Ricordare per non dimenticare scrive Giorgio Bezzecchi.
Sono passati sessant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali e dalla pubblicazione della rivista “La difesa della razza” di Guido Landra e dei primi rastrellamenti che sfociarono dopo un breve periodo di tempo in un ordine esplicito di “internamento degli zingari italiani” in campi di concentramento (Circ.Bocchini 27/04/41)
Per non dimenticare, ma anche per sapere che, legittimando queste procedure diventa difficile prevederne il processo.
Tutto in nome della sicurezza. Il tema della sicurezza oggi “impone” la paura di schierarsi e quindi il silenzio.
Ma in nome della sicurezza non si possono ledere i diritti dei cittadini, di cittadini italiani regolarmente iscritti all’anagrafe della nostra città, che lavorano e mandano i bambini a scuola, come altri cittadini italiani (anche se non tutti… ricordate la questione della dispersione scolastica?), ma con il grave peccato originale di essere etnicamente diversi.

Brividi…
Dobbiamo avere il coraggio di rifiutare questo opportunismo del discorso pubblico, dobbiamo contribuire a far conoscere una realtà assolutamente sconosciuta relativa ad una popolazione di 130-150.000 mila persone, di cui circa il 50% ha la cittadinanza italiana con una quota ampiamente sotto il 10% che pratica ancora qualche forma di nomadismo.

Come si fa a parlare di bullismo, di educazione dei piccoli e dei giovani alla convivenza, alla solidarietà? Apriamo gli occhi e la bocca.

Il paese delle donne, 9 giugno 2008

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Derattizzare

di Ettore Masina

Oh, non turbate il Santo Padre, che è vecchio e stanco. Ditegli che c’è un guasto nei ripetitori di Ponte Galeria e perciò nei palazzi vaticani  per qualche giorno radio e televisori sono in black-out. Ditegli che c’è uno sciopero dei giornalisti di tutto il mondo e quindi non arrivano notizie. Fate che non sappia, insomma, quel che sta succedendo  in Italia ai Rom: e cioè che, come molti non-papi e non-VIP sanno, da mesi gli “zingari”, in Italia, vedono (e non soltanto a Ponticelli ma in molte città e paesi)  i loro campi assaltati da facinorosi o “rimossi”, quasi senza preavviso, dalle “forze dell’ordine”. E’ una specie di pulizia etnica, senza morti, per fortuna, ma con valanghe di odio, inasprimento di una miseria già  di per sé dolorosa e terribili traumi per centinaia di bambini. La comunità europea aveva già sanzionato l’Italia come il paese meno accogliente per i Rom: il  nuovo governo ha ora deciso una soluzione radicale. Razzista.
Il Papa, tutto questo, non lo sa.  Se lo sapesse, certamente Benedetto XVI, “Vicario di Gesù Cristo, Patriarca dell’Occidente e Primate d’Italia”, lascerebbe i suoi preziosi paramenti dorati e le sue scarpette rosse, per affrontare il fango dei “campi” contro cui si accaniscono le bottiglie molotov della gente bene; vi andrebbe a gridare su quelle devastazioni la parola del Cristo: “Ciò che viene fatto ai poveri è a me che viene fatto”. Papa tedesco, sicuramente Joseph Ratzinger non riesce a dimenticare il genocidio degli zingari compiuto dalla Germania nazista ad Auschwitz,  con centinaia di bambini orrendamente torturati dal dottor Mengele; e questo ricordo, se lui sapesse ciò che sta accadendo a pochi chilometri  dalla sua finestra domenicale, lo spingerebbe a levare alta la voce per difendere i membri di una etnia dalle vere e proprie persecuzioni in atto. Così attento alle leggi italiane che “violano i diritti del feto”, egli mostrerebbe di non essere  meno sensibile ai  provvedimenti governativi che violano i diritti umani di migliaia di persone colpite in base alla loro nazionalità.
Davvero vorreste chiedergli di raggiungere i vescovi entrati nei campi degli zingari bruciati dalla gente pulita, a portare una richiesta di perdono per l’offesa fatta a Dio? Il Signore ha voluto che le genti “da un confine all’altro della Terra” diventassero un solo popolo, radunato dall’amore. Per questo chi odia una stirpe pecca gravemente contro Dio. Questo stanno dicendo i vescovi italiani pellegrini fra le rovine fumanti  degli abituri devastati dei Rom… Come dite? Nessun vescovo è là, fra quelle roulottes sfasciate, fra quelle motocarrozzette caricate di poveri suppellettili e avviate verso chissà quale destino, fra quei carabinieri che con i loro pesanti anfibi  finiscono di demolire le baracche bruciate dalle molotov?
Ahimè, i vescovi rimangono nei loro palazzi e tacciono o (vedi Bagnasco) condannano con flebili voci e gelide parole quelli che con bell’eufemismo definiscono “estremismi”.
Cristo si è fermato in piazza  San Pietro?
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E noi? Noi cittadini abbiamo niente da dire su questa democrazia che diventa, nei confronti dei più poveri, stato di polizia? Dov’è il popolo che due anni fa accorse a votare un referendum per difendere la nostra Costituzione così fortemente impostata sui diritti umani? Dov’è il presidente della Repubblica, galantuomo come pochi altri? Dov’è l’opposizione? Dov’è il governo-ombra?
Non vedo una marea di indignazione levarsi contro la criminalizzazione di un popolo che è marcato  dai segni più evidenti di un’estrema povertà ma la cui pericolosità sociale è enormemente minore di quella dipinta dai politici della destra. La Caritas, l’unica vera “esperta di umanità” nel settore, definisce “pesantemente fuorviante” il ritratto dei Rom disegnato dai mass-media. La politica “della paura”, che ha avuto un  peso tanto grande  sui risultati elettorali, sventola statistiche false. L’Italia è in paese più sicuro della Francia, della Gran Bretagna, degli Stati Uniti. Quanto ai Rom, se la ragazzina che ha tentato di rapire una neonata, a Ponticelli, voleva davvero compiere un reato così nefando, si tratta di un caso isolato. Vi sono stati altri episodi del genere ma si sono sempre rivelati equivoci, dilatati dalla paura della gente e dai pesanti pregiudizi di cui siamo portatori.
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Può darsi che la storia abbia decretato la fine dei popoli nomadi. Dai pastori somali a quelli mongoli, dai tuareg agli aborigeni australiani, l’evoluzione culturale e il rimodellamento della Terra (quello fisico e quello politico) sembrano imporre una definitiva stanzialità. Del resto, siamo  tutti discendenti da antenati nomadi perché il nomadismo è stato una tappa fondamentale della vicenda umana. Ma se davvero è finito il tempo di genti sospinte a un cammino ininterrotto dalla necessità e da un’inesauribile voglia di libertà, allora, almeno, esse hanno il diritto di attendersi l’aiuto di  una società dominante che ha già compiuto da secoli un trapasso di civiltà. E invece è proprio quello che non vogliamo consentire ai Rom: la stanzialità, l’integrazione. Delle immagini (troppo  rare e prudenti) che la televisione ci ammannisce, quelle che colpiscono maggiormente, oltre alle facce piangenti dei bambini, sono quelle del lavandino montato nella baracca demolita, del libro o del quaderno rimasto nel fango; e, dei  discorsi della gente, accanto alle parole di odio, la tristezza di qualche insegnante che cerca dove sono finiti i “suoi” alunni.
Mi è capitato di entrare qualche volta nel carcere minorile di Casal del Marmo, a Roma,  e di vedere (non dico conoscere!) giovani Rom attentissimi a imparare un mestiere.
Il carcere come unico apprendistato?
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Diavolo vuol dire: colui che disunisce. Maledetto il seminatore di odio. Maledetto il seminatore di falsità.
Falsità è la leggerezza con cui si confondono Rom e Romeni (anche questi ultimi, del resto, oggetti di una pesante  disinformazione); falsità è la diversa gravità attribuita a fatti di cronaca. Per esempio: tutti ricordano, giustamente, la povera ragazza romana che, durante un litigio con una  prostituta romena, è morta perchè il puntale dell’ombrello della contendente è penetrato in un suo occhio, ma chi ricorda che pochi mesi più tardi una ragazza romena è stata spinta da una squilibrata sotto il convoglio della metropolitana, a Roma, e da otto mesi è in coma profondo?
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La storia non sarà più “maestra di vita” come sentenziano in molti, ma certi ricordi sono davvero inquietanti. Leggo che alcuni commercianti del rione Ponte Milvio, a Roma, hanno fondato un’associazione che finanzierà un gruppo di ex poliziotti addetti alla sorveglianza del rione. Lo fecero (e lo fanno) anche molti commercianti di  Rio de Janeiro e di Sâo Paulo. Da queste polizie mercenarie, incaricate di “ripulire le strade” e “dare una lezione” ai piccoli criminali, sono nati un po’ alla volta , gli “squadroni della morte”. Garantivano rapidità operativa e certezza della pena. Il fatto è che vogliamo vivere tranquillamente, a qualunque costo. La vignetta di Altan, oggi, 16 maggio, su “la Repubblica”, mostra un bravo borghese, ben vestito e ben nutrito, che dice: “Basta con le mezze misure. Occorre il boia di quartiere”.
Anche i poeti vedono lontano. Scriveva Davide Turoldo quindici anni fa: “Ho paura del nazismo dietro le porte. Ho paura di questi nazionalismi, di questi rigurgiti di politiche negative. Ho sempre combattuto contro tutto questo. L’ho scontato con guerre che sembravano non terminare mai. Ho paura della volgarità di questa classe dirigente”.
Il direttore di Radio Padania, uno degli organi del nuovo governo, ha detto che è più facile derattizzare una zona che liberarsi dai Rom.

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