Febbraio 2008

”Alla fin fine, ammazzare mia madre mi è venuto facile”

di Ghismunda

Di parricidi, reali o metaforici, è piena la letteratura del Novecento. Di matricidi, invece, niente o quasi. Gli Edipi abbondano, le Elettre scarseggiano. Troppo sgradevole, forse, l’argomento, percepito quasi come sacrilego, indegno del rapporto più intimo, dolce e consolatorio che ci sia; e troppo irriverente verso una figura, la Madre, i cui significati affondano nel mito e assumono, nel tempo, connotazioni simbolico-religiose sempre più profonde, fino a farne oggetto di venerazione e indiscutibile amore. Ma la realtà profana, quella che si consuma tra le quattro pareti domestiche giorno dopo giorno, anno dopo anno, è spesso diversa. In particolare, la relazione tra madre e figlia è una delle più complesse e ambivalenti che esistano e l’amore, se c’è, quando c’è, può arrivare ad assumere le forme più diverse e contraddittorie, spesso compresenti: attaccamento morboso, dipendenza, oppressione, invidia, rivalità, gelosia, emulazione, ma anche tanta cura, attenzione, premure, pietà. Fino a non farcela più. Fino all’odio. E a pulsioni liberatrici inconfessabili. Raccontare tutto ciò, districare tali grumi emotivi ed esistenziali, è difficile. Ma Alice Sebold c’è riuscita. Ne “La quasi luna” eguaglia, e forse supera, il precedente successo di “Amabili resti” e scrive un romanzo impegnativo, sgradevole a tratti, sconvolgente, eppure ironico, delicato, struggente; sempre, comunque, lucidissimo, asciutto, teso. Fino all’ultima pagina.Non voglio qui raccontare come Helen, che ha 49 anni ed è l’io narrante, uccide sua madre, che ne ha 88 e che è ormai arrivata al capolinea. In fondo, come dice nell’incipit, ammazzarla le è venuto più facile di quanto avrebbe pensato (se mai l’avesse consapevolmente pensato). Preferisco parlare della struttura del racconto, che procede per flash-back, intermittenze della memoria, squarci di luce su momenti della vita passata, alternati ai gesti prima della morte inflitta, poi di ciò che ne resta, di un corpo da pulire, accudire ancora (spogliare? vestire? nascondere? recuperarne un pezzetto, per sé?). E il lettore scopre pian piano una figura totemica di madre, “malata di mente”, chiusa in casa per paura del mondo di fuori, una donna un tempo bellissima, una sorta di Garbo, di musa ispiratrice, in gioventù modella di lingerie, fasciata in sottovesti di seta, come dimostrano le foto sparse per tutta la casa, che tanto ammaliavano la sua bambina trascurata, colpevole forse di ricordarle la delusione di una vita spentasi sui binari di un’anonima routine di provincia: “A casa nostra si faceva l’elenco delle delusioni di mia madre e io me le vedevo davanti tutti i giorni come fossero appiccicate sul frigorifero, un elenco statico che la mia presenza non riusciva a mitigare”. Una presenza, quella della madre, divorante, asfissiante, al centro delle attenzioni di un marito buono e vanamente innamorato, solo, sempre più solo, che finirà coll’ “andarsene” e lasciare alla figlia tutta la pesante eredità di cure e protezione che richiedeva la moglie. Per Helen sarà una vita dura, sospesa tra senso del dovere, bisogno d’amore e desiderio spasmodico di libertà, di autonomia (un matrimonio – fallito – dei figli, un lavoro). Ma è questo il punto: riuscirà mai, Helen, a “liberarsi” dalla Madre? E noi, ci riusciamo? Qualcuno potrebbe obiettare: e perché dovremmo? Forse per non riprodurre in noi i modelli genitoriali, per non ripetere di loro quello che più detestiamo, che non accettiamo, in fatto di carattere e di relazioni umane; per non essere (non dover essere) come loro, come lei; per essere, come figlie femmine, noi stesse, uniche e libere. Ma, scrive la Sebold, “quand’è che una persona arriva a capire che nel DNA portiamo intessuti tanto il diabete o la densità ossea dei nostri consanguinei quanto le loro deformità relazionali?”. Checché se ne dica, ancora oggi per una figlia è più difficile avere una vita propria: in genere, quando c’è, è una conquista strappata con i denti e sottoposta a continui “ritorni”; è una parentesi o una fuga. Condivido in pieno queste parole della Sebold: “Oggi, nel XXI secolo, a chi viene ancora attribuito il dovere di sacrificare la propria vita per badare agli altri? Alla figlia femmina. E in questo stesso XXI secolo le conquiste raggiunte in campo medico fanno sì che gli anziani vivano sempre più a lungo, per cui la figlia femmina rischia di arrivare a settant’anni continuando ancora a occuparsi dei genitori. Mi dispiace, ma questa è una specie di prigione per chi non ha un rapporto assolutamente meraviglioso e idilliaco con la madre o il padre (e a quanti capita davvero?). Ho visto centinaia di donne portare il peso di un fardello che con i progressi della medicina e dell’antica convinzione che il ruolo di una donna sia quello della balia e della badante, non ha fatto altro che aumentare”. E quanti sensi di colpa, quanta solitudine, nelle desolate province della nostra opulenta società, accompagnano oggi questo ruolo antico? “nessuno sapeva com’era diventata la mia vita con mia madre”. Una vita destinata a non finire mai, nemmeno “dopo”, anzi, come Helen intuisce, soprattutto “dopo”:

“… non riuscivo a cancellare l’immagine di mia madre che si decomponeva strato per strato, finché anche lei non diventava tutta ossa. In quell’idea, in quella lenta muta verso un ammasso di calcio ingiallito che bisognava tenere unito per evitare il crollo, c’era qualcosa di spaventoso e di consolante a un tempo. L’idea che mia madre fosse eterna come la luna. In quella posa goffa, la realtà ineluttabile mi ha fatto venire voglia di ridere. Viva o morta che fosse, una madre, o la sua assenza, ti plasma la vita. Mi ero illusa che fosse semplice? Che il disfacimento della sua sostanza mi avrebbe restituito una me stessa vendicata? L’avevo fatta ridere facendo il giullare. Le avevo raccontato storie. Avevo sfilato come un buffone alla mercé di altri buffoni e così facendo mi ero sincerata che quella donna non si perdesse nulla, anche se aveva deciso di voltare le spalle al mondo. Sacrificando a lei tutta la mia vita, compravo in cambio dei brevi momenti per me: potevo leggere i libri che mi piacevano; potevo coltivare i fiori che volevo… Solo quando ho creduto di aver raggiunto la libertà sono riuscita a capire fino a che punto fossi imprigionata”.

Alice Sebold
La quasi luna
Edizioni e/o, 2007

La voce di Ghismunda, 27 febbraio 2008

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Pena di morte: 58 Paesi rimettono in discussione la moratoria

di Rico Guillermo

Il controverso dibattito sulla pena di morte, che ha diviso i 192 membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso dicembre, non e’ terminato con l’approvazione della moratoria, avvenuta peraltro solo a maggioranza (104 a favore e 54 contrari, con 29 astensioni) e con carattere non vincolante.

Un gruppo di 58 paesi fortemente favorevoli alla pena capitale ha scritto al Segretario generale Ban Ki-moon affermando di trovarsi “in persistente opposizione a qualsiasi tentativo di imporre una moratoria sulla pena di morte o la sua abolizione” ed hanno aggiunto che qualsiasi tentativo di imporre una moratoria o abolire la pena capitale e’ in violazione alle disposizioni vigenti ai sensi del diritto internazionale.

La dichiarazione – che rafforza la posizione dei 58 mediante l’uso di un atto collettivo – e’ stata diffusa a pochi giorni dalla Giornata mondiale per l’abolizione della pena di morte, che sara’ commemorata sabato 1 marzo. “Questa nota verbale, firmato da 58 delegazioni, sottolinea ancora una volta che non vi è alcun consenso internazionale sull’uso della pena di morte” ha detto l’Ambasciatore di Singapore all’ONU.

L’elenco dei Paesi comprende praticamente tutti i membri della Organizzazione della conferenza islamica (Oci), insieme con le Bahamas, Cina, Corea del Nord, Giappone, Myanmar, Thailandia, Uganda, Singapore e Zimbabwe. Almeno quattro paesi – Belize, Ciad, India e Stati Uniti – che hanno votato contro la risoluzione nel mese di dicembre, non hanno firmato la nota verbale per motivi non noti, mentre otto paesi che si erano astenuti durante il voto – Repubblica centrafricana, Guinea equatoriale, Eritrea, Figi, Guinea, Laos, Swaziland ed Emirati Arabi Uniti – hanno firmato la dichiarazione e sono quindi entrati a far parte del gruppo di oppositori.

Nella loro dichiarazione, i 58 paesi dicono che la pena capitale e’ stata spesso caratterizzata come una questione di diritti umani nel contesto del diritto dei prigionieri condannati a vita. “Tuttavia e’ in primo luogo e soprattutto un problema del sistema di giustizia penale e un importante elemento deterrente verso i crimini piu’ gravi. Esso deve pertanto essere visto da una prospettiva molto piu’ ampia e pesato contro i diritti delle vittime e il diritto della comunita’ a vivere in pace e sicurezza”.

Inoltre, secondo i Paesi non abolizionisti, “Ogni Stato ha un diritto inalienabile di scegliere i suoi sistemi politici, economici, sociali, culturali, giuridici e giudiziari, senza interferenze, in qualsiasi forma da parte di un altro Stato”. Inoltre, “niente nella Carta delle Nazioni Unite autorizza le Nazioni Unite ad intervenire in questioni che sono essenzialmente all’interno della giurisdizione nazionale di ogni Stato”. Queste due ultime argomentazioni richiamano il famoso ‘emendamento Singapore’, quello voluto in passato dal piccolo Stato orientale per sminare qualsiasi proposta abolizionista presentata all’ONU.

Come risultato del documento dei 58, la questione della pena capitale sara’ riaperta durante la 63a sessione dell’Assemblea Generale, a partire da settembre di quest’anno, ma soprattutto emerge – come predetto dal dott. Claudio Giusti, membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla legalita’ e sui diritti onlus – un vanificarsi di fatto della moratoria approvata, in quanto alla fine la applicheranno solo i Paesi dove la pena di morte e’ gia’ stata abolita. Anzi, si e’ ottenuto un rafforzamento del fronte del no alla moratoria, in precedenza frammentario.

Osservatorio sulla Legalita’, 26 febbraio 2008

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La Voce di Pasquino

coertina del libroDa lettore conosco il patto che mi lega a tutti lettori: non annunciare mai il finale di un libro, tanto più se questo si colora di giallo anche se storico. Però posso sottolineare che gli Autori sono riusciti a trasportare nella trama del romanzo il personaggio di Salvatore Rosa con tutte le sue inquietudini e tutte le sue domande come la “storia” lo ha consegnato a noi posteri. Uno dei personaggi afferma che le domande sono più importanti delle risposte. Questa è la linea di indagine del poeta/pittore Salvatore Rosa; non si accontenta mai delle risposte che nei fatti trova. Sa bene, come nel suo quadro riprodotto in copertina, dove la Fortuna non ha la benda sugli occhi, che gli avvenimenti anche i più violenti non sono mai come appaiono, sono sempre legati da interessi, convenienze e silenzi, ecco perché è necessario riformulare le domande. Storia e romanzo si intrecciano per costruire una trama che non ha tempo. Però noi sappiamo che molti prima di noi hanno cercato nelle domande la vera chiave per capire la società, questa mi sembra una possibile lettura del libro: “La Voce di Pasquino”, l’altra, per svelare il colpevole, dovete leggerla voi.
Benito LA MANTIA – Gabriella CUCCA

La voce di Pasquino. Un’indagine di Salvatore Rosa nella Roma di papa Chigi.
Stampa Alternativa. Viterbo, 2008.

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3° premio ”Augusto Finzi” per tesi di laurea sull’agricoltura biologica

La Fondazione per la Ricerca Scientifica AIAB e la Coop. Soc. Anima Mundi Onlus, in collaborazione con il Comune di Venezia, bandiscono la terza edizione del bando di Laurea Augusto Finzi che prevede l’assegnazione di 3 premi del valore di 800 euro cadauno per tesi di laurea specialistiche che abbiano come tema l´agricoltura biologica in qualsiasi dei suoi aspetti tecniche colturali, valutazione di impatto ambientale, biodiversità, sostenibilità, analisi di mercato, marketing, ecc.

Il premio intende commemorare la figura di Augusto Finzi (1941-2004) che dedicò gran parte della sua vita alla difesa della salute pubblica e alla promozione dell’agricoltura biologica come mezzo per la salvaguardia della salute dell’ambiente e dell’uomo.
Le tesi devono essere state discusse tra il 1 gennaio 2007 e il 29 febbraio 2008. I criteri di valutazione faranno riferimento a:

– importanza del lavoro per lo sviluppo dell’agricoltura biologica in Italia
– qualità tecnico-scientifica e aspetti innovativi del lavoro
– la pubblicazione dei risultati della tesi (pubblicazioni su riviste internazionali faranno titolo di merito)

La premiazione si terrà nell’ambito di una conferenza nazionale sull’agricoltura biologica a Mestre -Venezia il 15 maggio 2008 in occasione del II Congresso Nazionale AIAB. In tale sede i premiati saranno invitati ad esporre brevemente il loro lavoro.

La scadenza per la presentazione della domanda è lunedì 31 marzo 2008

Il bando completo è consultabile nel sito sinab

Altri premi per tesi di laurea

Premio ecologia Laura Conti per tesi ambientali
info:
ecoistituto-italia

Premio consumo sostenibile per tesi di laurea su materie consumeristiche
info: Fondazione I.C.U .

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Essere donna ed essere minoranza religiosa.

di Maria Paola Fiorensoli

Le curatrici del volume che raccoglie le relazioni presentate al convegno bilingue “Donne delle Minoranze: ebraismo e Riforma” svoltosi dal 5 al 7 aprile 1998 a Reading (Inghilterra), sono esperte, Claire Honess di medievalistica e Verina Jones di studi sette-ottocenteschi, e co-fondatrici del Centre for Italian Women’s Studies dell’Università di Reading, che ha promosso il convegno.

Una serie di domande, a monte: “Come sono vissute le ebree e le protestanti in Italia? Quali modelli sono stati loro proposti? Come si è formata la loro identità? In quali simboli, linguaggi, figure letterarie, si è espressa di volta in volta questa identità – di genere e di comunità – di una metà delle due minoranze, due comunità per molti aspetti assai diverse ma anche con punti di contatto significativi (la discriminazione e la persecuzione, la memoria storica di discriminazione e persecuzione, la resistenza nei secoli, la duplice identità, nazionale e religiosa, l’assimilazione con tutto ciò che essa comporta, i costanti contatti e risvolti europei ed extra-europei, anche semplicemente l’essere non cattolici all’interno di un paese straripantemente cattolico). Due comunità in cui le donne solo libere, o se si vuole, prive del modello mariano.”(H. C. e J. V.).

Il volume ha un Indice ricchissimo, che attraversa la vita familiare e pubblica, affrontando temi desueti: es. mogli violente e mariti picchiati nell’Italia ebraica del Rinascimento; eresia, indisciplina e libri proibiti nei monasteri femminili di Mekinje e di Udine nel Patriarcato di Aquileia del XVI secolo; ugonotte e valdesi: modelli di resistenza; il buon matrimonio di Anna Maria alias Cremesina, neofita lughese; il ministero pastorale della donna: le sue radici e il suo riconoscimento; Auschwitz: le donne del Blocco 10.

Nella conclusiva Tavola rotonda, condotta da Tullia Zevi, con Anna Foa, Susanna Perone, Bruna Peyrot, è emersa la novità assoluta di questo incontro che ha aperto una strada, e che ha cercato le contiguità anziché le dissonanze. Una scrittura chiara e accattivante aiuta una lettura piena di notazioni e di personaggi assai inusuali, quando non sconosciuti alle/ai più. Lo sguardo allargato sui simboli, i linguaggi, le figure letterarie che hanno contribuito al costituirsi dell’identità femminile nell’ebraismo e nella Riforma, rende ancora più interessante il recupero della memoria, della parola e della testimonianza.

Le chiavi di lettura offerte sulle trasformazioni culturali, passate e in atto, sono più che intriganti e l’obiettivo di avviare gli studi di genere sulle minoranze è stato certamente stato colto. È Certamente una lettura da consigliare, che colma un vuoto.

Honess Claire E., Jones Verina R. (a cura di), Le donne delle minoranze. Le ebree e le protestanti d’Italia. – Torino: Claudiana, 1999; Isbn 88-7016-308-3.

Pubblicato in Il paese delle donne, 24 febbraio 2008

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