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‘’Ululare con i lupi’’. Indifferenziazione e deumanizzazione come orizzonte implicito della cultura postmoderna.

di Angelo Moroni

“La morte ha inizio da quel ritaglio dell’infinita indeterminazione del senso  che chiamiamo ‘Identità'”.
G. Marramao (1991)

Viviamo in un epoca di superfici e di assenza di profondità, in una “società liquida” (Bauman, 2006) nella quale predomina l’appiattimento del soggettivo rispetto al socialmente visibile nell’immediatezza pura, priva di qualsiasi elaborazione, sedimentazione, processualità e fatica di pensiero. L’Essere (umano, heideggerianamente inteso) sembra essersi nascosto, insieme col Pensiero, in un luogo lontano, inaccessibile, sembra essere diventato un “Essere-rintanato-via-da-qui”. Ciò che viviamo-qui (il nostro esser-ci umano) si è ridotto a una continua frammentazione che non trova mai coesione, come se l’Inconscio fosse tutto e sempre catapultato fuori e compulsivamente agito (nei reality show, nella velocizzazione dei processi produttivo-lavorativi, nelle relazioni umane, nella fruizione della cosiddetta “realtà virtuale”, etc.). L’Umano è diventato quindi secondario, fuggito via l’Essere, e perciò siamo spinti sempre più in un’attrazione simil-psicotica, epilettoide, verso l’inanimato, il meccanico, il tecnologico: il telefonino, la TV al plasma, l’ipod, il forno a microonde, le protesi biotecnologiche che innestiamo su ciò che resta di umano dei nostri corpi fisici, tutti OGGETTI inanimati che sono più significativi di ciò che è il SOGGETTO. Idealizziamo continuamente oggetti inanimati, un Dio-Protesi, un feticcio tecnologico proteiforme e cangiante, nuova forma del Vitello d’Oro di biblica memoria. Diventando secondario l’umano, fuggito via l’Essere in una deriva di disumanizzazione di cui poco ci rendiamo conto, diventa sempre più inesistente la distinzione tra la Vita e la Morte, tra ciò che è reale e ciò che è virtuale, tra ciò che è oggettivo e ciò che è soggettivo. Fuggito via l’Essere, subentra il Kaos parcellizzante e frantumato, il piacere pulsionale immediato, muto e impersonale, che rende “significativo” solo il frammento scisso da tutto il resto, l’immagine fine a stessa, la consumazione avida del bisogno, generando così laceranti amputazioni di parti di Sé, della Memoria, della Storia, della Soggettività, dell’Io. Ne consegue, tra l’altro, una delle patologie più diffuse oggi giorno: l’attacco di panico, ben nascosto dietro la superficie patinata di un suv o del palmare ultimo modello. L’accelerazione globale, la cancellazione ossessiva e televisiva tra pubblico e privato, tra intimo e sociale, sono processi di deriva dell’Essere che trasformano qualsiasi psicologia del “senso” in trasferimento e semplice accumulazione di informazioni, svuotando di significato l’esperienza introspettiva, ciò che è mente, interiorità, in una parola ciò che è Umano. Vengono in mente appunto le struggenti parole di Heidegger: “Memoria è qui raccoglimento del pensiero (…). Memoria è il raccogliersi della rimemorazione presso ciò che è prima di ogni altra cosa da-considerare. Questo raccogliersi alberga presso di sé (…). La memoria, la raccolta rimemorazione volta verso il da-pensare, è il terreno da cui sgorga la poesia” (M. Hedegger ‘Che cosa significa pensare?’, in ‘Saggi e discorsi’, 1957-Tr.it Mursia, Milano, 1976). “Poesia” è per Heidegger ciò che può essere indicato come segno dell’Umano in quanto rappresentazione, e sul versante della Psicoanalisi “rappresentazione” indica il lavoro della mente, di quell'”apparato per pensare i pensieri” di cui ci ha parlato intensamente Bion, e che a sua volta è caratteristica più distintiva dell’Essere dell’Uomo. L’appiattirsi sul gruppale, sul virtuale, sul tecnologico omologante, taglia fuori  (forclude, direbbe Lacan, in un recinto-prigione psicotico) il soggettivo,  e tutto questo, tutto il poetico heideggeriano, si scioglie in massa, in  gruppo, in aggregazione indistinta, indifferenziata. Una interessante riflessione su un versante eminentemente psicoanalitico su questi temi, la troviamo nel volume “Ululare con i lupi. Conformismo e reverie” (2003) di Gaburri e Ambrosiano. In questo libro i due Autori, psicoanalisti, analizzano il problema del conformismo nella doppia ottica dell’individuo e del gruppo, sottolineando quanto il ricorso all’omologazione sottenda un movimento massicciamente evacuativo dell’angoscia dell’individuo, attraverso il rifugio in una fantasia simbiotico-edenica gruppale. Tale fantasia (inconscia) trasforma i non-luoghi del postmoderno (i centri commerciali, la tecnologia, lo spazio virtuale, eccetera) in “luoghi” illusori, autistici dove domina il senso di onnipotenza e viene meno il senso di condivisione e costruzione relazionale. Sono luoghi dove l’indifferenziato prolifera. Non sembra quasi più necessario, infatti, nell’epoca odierna, ricercare una nozione condivisa di cosa significa essere-una-persona (distinta, differente-da-un-altro), che si dà nell’autopoiesi del suo essere-nel-mondo. Tutto ciò sembra diventato superfluo (là dove per Heidegger, per Freud era fondativo). Ma se diventa superflua la nostra memoria-identità, destino migliore certo non sarà quello dell’Altro-da-sé, dal momento che il nostro Sé è “come un Altro” (Ricoeur, 1990).  Ciò che voglio significare qui è che stiamo vivendo una profonda, radicale trasformazione antropologica dell’Essere Umano, alla quale non siamo ancora pienamente preparati e di cui, soprattutto, non abbiamo piena consapevolezza. La nostra vita si sta infatti sempre più trasformando in un contenitore di sterili oggetti inanimati, di “cose”. Cose da fare, cosa da consumare, cellulari sempre accesi, connessioni a internet sempre attivate, televisori che srotolano in continuazioni immagini da vedere. Ogni immagine uguale a un’altra, significante del regno dell’indifferenziato. Non c’è più silenzio, pausa, attesa, differimento del desiderio, ricordo, memoria, pensiero, là dove il desiderio e la memoria (il Tempo) e la loro  assenza sarebbero la marca distintiva del Soggetto Umano, in quanto animale culturale caratterizzato dalle stigmate dell’identità e della morte. Il senso dell’Essere Umano è infatti, intrinsecamente, Senso come Limite, cioè la Morte è inscritta nel senso dell’Essere e nel Tempo (Heidegger) dell’uomo, ontologicamente. La cultura umana e le sue espressioni derivano infatti da questo sfondo permanente di un senso che si sottrae, che non si dà, ovvero che sì dà per scarto e mostra ogni momento il suo carattere di inattingibilità: non possiamo mai attingere al senso come “cosa-in-sé”, come “in-conscio”. Come scrive Silvana Borutti, “questa prospettiva dice sostanzialmente che non sappiamo il senso come una cosa, che l’essere è non ente, ni-ente, nulla; che perciò dal punto di vista esistenziale, lo stato dell’essere (dell’essere che noi siamo) è l’angoscia che si prova di fronte al nulla, è il lutto senza oggetto”. Un lutto senza oggetto che però ci contraddistingue come Esseri Umani. Tutto quanto detto fin qui sfuma via in un’evanescenza futile, in una “chiacchiera insensata” (Heidegger), nel tempo che viviamo: il Tempo del chiacchiericcio, del telegiornale infinito, delle veline, di Striscia la Notizia. Chiacchiericcio nel quale affonda come in una palude maniacale, euforica, pseudo-brillante, unicamente psicotico-fusionale, il senso del limite, il significato dell’angoscia della nostra impotenza di essere uomini, radicati temporaneamente su una Terra che ci vede solo come passeggeri.

Siamo ormai diventati dei vagabondi, dei nomadi dell’Essere. Non abitiamo più il cuore di noi stessi, ma abbiamo delegato alla massa, all’informale, all’indifferenziato, tutto ciò che è senso-del-Soggetto: differenza, scarto, individuazione che si sottrae ad ogni incasellamento precostituito e rassicurante, sono diventate tutte parole d’altri tempi. Parole vuote. Ora è l’Immagine che comanda. L’Immagine è al potere e da essa siamo comandati. Siamo in un’epoca in cui è la “chiacchiera insensata” (ora “l’immagine in-sensata”), rapida, inutile, ad essere significante. E’ questo il messaggio dei ‘mass-media’: non sono più le informazioni ad essere significative, ma il ritmo, “la cadenza nevrotica, avida, commerciale, seduttrice che creano. Il trionfo dell’Immaginario sul Simbolico. Secondo lo spirito del tempo il messaggio è lo ‘zapping'”, come scrive acutamente David Grossman. Una seduzione che ha come mira l’abolizione dell’Essere-Soggetto inteso come pensiero autoriflettente e rimemorante, trasformandolo per esaustione graduale in massa indistinta. In questa massa, poi il Soggetto, consumatore anonimo tra i molti di un qualsiasi centro commerciale, si confonde e consegna parti di Sè al Pifferaio Magico di turno (anche Beppe Grillo non si sottrae a questo destino, ne sia consapevole o meno), e sarebbe interessante approfondire l’analisi sul versante dell’uso politico e “antidemocratico” di questa processualità culturale sempre più espansiva. La massa è in effetti rassicurante perchè le si può delegare ansie, fobie, angosce, e illusoriamente trarne il ‘beneficio’ di una totale de-responsabilizzazione. Fondersi nella massa ha come effetto diretto il non-esserci in prima persona di fronte a se stessi e agli altri, con le proprie fragilità e paure. Una vera e propria ‘prostituzione morale’ del Sè, come ancora Grossman definisce questa trasformazione antropologica epocale in cui noi tutti siamo purtroppo inesorabilmente coinvolti.

Bibliografia.

Bauman, Z. Vita Liquida, tr. It. Bari, Laterza, 2006.

Bion, W. R. (1967) Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, tr. It. Roma, Armando, 1970.

Borutti, S. L’inconscio esiste? Tu l’hai incontrato? Intervista a cura di D. Scotto di Fasano, in PSICHE, 1, 2007 – Pagg. 129-134.

Freud, S. (1921) Psicologia delle masse e analisi dell’Io – OSF, Boringhieri, Torino.

Gaburri, E., Ambrosiano, L.,  Ululare con i lupi. Conformismo e reverie. Torino, Boringhieri,

Grossman, D. Discorso di apertura del Festival della Letteratura di Berlino, La Repubblica, 5 settembre, 2007.

Heidegger, M. Essere e Tempo, tr. it. Milano, Longanesi, 1976.

Ricoeur, P. (1990) Sé come un Altro, tr. It Milano Jaca Book, 1993.

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