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Giornata mondiale dell’alfabetizzazione

di Fabio Pipinato (direttore di Unimondo [1])

Nei sud del mondo la parola alfabetizzazione fa rima con sviluppo, ma anche con vita. Sostenere la scolarizzazione, soprattutto per le donne, significa rendere ogni persona protagonista dello sviluppo all’interno della propria famiglia, con una ricaduta importante nel destino del proprio Paese, un modo per salvare i propri diritti e la propria esistenza. L’8 settembre si celebra la Giornata mondiale dell’alfabetizzazione, [2] una ricorrenza che riguarda non solo i Paesi cosiddetti in via di sviluppo, ma anche gli Stati occidentali, che non devono mai far scemare l’attenzione sul mondo della scuola, degli insegnanti e dell’istruzione nelle varie fasce d’età.

Numerosi studi e ricerche
hanno dimostrato gli effetti positivi della scolarizzazione dei bambini e delle bambine sull’intera comunità di appartenenza. Si stima che a un aumento dell’1% del tasso di alfabetizzazione femminile corrisponda una crescita dello 0,37% del reddito annuo procapite. Conseguenze analoghe si hanno anche sulle condizioni di salute generali. Si calcola che a una crescita dell’1% del tasso di alfabetizzazione corrisponda una crescita del 2% della speranza di vita.

Il livello di istruzione delle madri ha effetti benefici sulla salute e la sopravvivenza dei loro bambini. Si stima che un solo anno in più di scuola, per una futura mamma, possa ridurre del 2% la probabilità di morte dei suoi bambini entro i cinque anni. Nella Dichiarazione del Millennio, i leader mondiali affermarono la propria responsabilità non soltanto nei confronti dei rispettivi popoli, ma verso l’intera specie umana, definendo una serie di ambiziosi propositi da conseguire entro il 2015 (articoli 19 e 20 della Dichiarazione). Il secondo degli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Osm) riguarda l’impegno di garantire a tutti un’istruzione primaria, cioè «Fare in modo che tutti i bambini e le bambine completino il ciclo scolastico primario».


Scolarizzazione significa, anche, prevenzione del conflitto. Stando agli standard utilizzati dall’Unesco il numero di analfabeti tra la popolazione palestinese è ancora alto: 123.000 persone non sanno né leggere e né scrivere e sono preda di chi vuole ostacolare ogni processo di pace.

Nello specifico, nel 2009, su un’età media di 15 anni, si è registrato un tasso di analfabetismo pari al 5.4% mentre, tra il 2005 e il 2008, nel resto del mondo arabo si riportava il 27.6%.

In totale, il numero di analfabeti nel mondo arabo si aggira intorno ai 60,2 milioni mentre il dato mondiale è di 796,2 milioni e, generalmente, i numeri sulle donne, sono più alti.

In ambito nazionale, la CGIL Scuola, dopo aver visto il precipitare dell’investimento pubblico in ambito scolastico, la precarietà, le superclassi organizza la “festa della conoscenza [3]” dall’11 al 18 settembre nelle città italiane.

Secondo il manifesto la scuola, l’università, la ricerca, l’alta formazione appartengono ai cittadini, alle persone, a chi lavora al loro interno e a chi ne fruisce. I docenti, ricercatori, dirigenti, impiegati, tecnici, vogliono parlare ai cittadini del nostro lavoro e delle condizioni difficili in cui il governo li costringe a svolgerlo, esponendoci spesso alla riprovazione generale. A detta del portavoce Pantaleo: “Come facciamo a fare una buona scuola e una buona università se ci levano i soldi anche per comprare la cancelleria, se le aule sono sovraffollate, se gli edifici sono insicuri, se non possiamo comprare i computer per attrezzare i laboratori…? Come può crescere l’Italia se non ci mettono in condizione di fare ricerca, perché i finanziamenti sono tra i più bassi d’Europa? Spesso lavoriamo anche senza essere pagati, senza la prospettiva di andare avanti allargando le nostre conoscenze. Anche l’aggiornamento professionale è tutto a nostro carico”.

Certo. La conoscenza è un bene comune e deve appartenere a tutti; la formazione deve essere di qualità e il diritto allo studio garantito, come dice la Costituzione, fino ai gradi più elevati. Invece questo diritto si restringe sempre di più. Non sono i capaci e meritevoli che vanno avanti, magari anche sostenuti dalla collettività ma solo chi se lo può permettere economicamente. Di queste diseguaglianze i cittadini devono essere informati.

L’Unesco, per rispondere alla crescente domanda di studio lancerà un network [4]per la conoscenza e l’innovazione al fine di condividere le “migliori pratiche” a livello internazionale. Speriamo esser ancora tra le “buone” se non “migliori” pratiche.

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