Riconsegnare alle persone il loro valore

di Vincenzo Andraous

C’è un collante misterioso che tiene insieme tragedie che in apparenza sembrano differenti.
Un cittadino detenuto si toglie la vita dentro un carcere sempre meno umano e vivibile.
Un ragazzo va in coma etilico alle nove del mattino, un altro in over dose nel pomeriggio.
Adolescenti in gruppo picchiano e rompono nasi e denti, devastano cose e proprietà, mettono sotto coetanei e coetanee con l’arma della violenza, della prepotenza, del sopruso, infagottati da un’omertà appresa qua e là.

Dimensioni che non possono essere relegate nei luoghi dell’invisibilità, neppure debbono suscitare e allargare indifferenze colpevoli, mentre moralità, etica e onestà  intellettuale voltano le spalle alla coerenza e alla generosità per vestire i panni degli interessi di bottega, del consenso facile di partenza, antitesi, di quell’altro di arrivo, che invece comporta fatica, impegno e amore di Giustizia.
C’è qualcosa che tiene insieme l’ingiusto di questo morire non raccontabile, così male inteso da essere accettato come evento critico ineluttabile, peggio, come interpretazione più o meno condivisibile.
Forse occorre adoperarsi per una politica alta, per una società più matura, per riconsegnare alle persone il proprio valore.
Ragazzi e droga, giovani e alcol, piccoli e grandi uomini alla ricerca di qualcosa, di qualcuno, intimoriti dalla fragilità e inadeguatezza a affrontare un futuro disperante ma non ancora  da apocalypse now.
Numeri e contenitori, pena e castigo, carcere e detenuti, non sono parole che possono essere lanciate nel mucchio, quando si parla di Istituzioni e di persone, bisogna avere più rispetto per le vittime e la loro esigenza di giustizia, e per chi in prigione paga il proprio debito alla società,  per chi intende riparare, e lo fa nonostante una galera ridotta a qualcosa che non è onesto declinare sotto il segno della nostra Costituzione.
Droga, violenza, carcere, un percorso di guerra che ha nell’ottusità ideologica, il non rispetto di quella ovvia duplicità, che sta nella prevenzione e nella conseguente risocializzazione, obblighi assoluti e inderogabili, senza i quali si è destinati a ripetute solitudini imposte.
Sostanze stupefacenti non sono altro che segnali di allarme  della nostra fallibilità genitoriale,  di una sfida educativa zoppicante, e come ci ha lasciato detto qualcuno ci porta: “a ridurci profughi  senza casa nel nostro stesso mondo”.
Ragazzi e ragazze confusi e soli, senza il coraggio di parlare, di chiedere aiuto, di alzare la mano, adolescenti oppressi dalla necessità di violare il limite, e allontanarlo definitivamente da sè, dentro il desiderio di una libertà che non risponde ad alcun richiamo, per cui diviene disperato il bisogno di violare lo spazio altrui, di annullarsi con l’alcol,  nel calare giù polvere e pasticche degli angeli, in uno stile di vita falsamente adrenalinico, una vera e propria menomazione che fa rumore, schianto, perdita a volte per sempre.
Nel nuovo anno da poco iniziato sarà bene aver più cura di noi stessi, avere cura soprattutto dei più giovani, sui quali abbiamo il dovere di scommettere e il diritto di vincere la partita più importante, quale unico futuro possibile.

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