UN PAESE PER SOLI GIOVANI

Fonte: pixabay


di Sergio Tardetti

Se un paese per soli giovani esistesse, quello sarebbe senz’altro il paese della Poesia. Non è di certo un paese per vecchi, perché la poesia richiede energie fisiche, oltre che mentali, perché possa diventare davvero una professione, così come, in generale, si può pensarlo della scrittura. Chi ha molto vissuto potrà ricavare dalla sua esperienza motivi e situazioni da stendere in prosa o tradurre in versi, ma resta poi sempre aperto il problema di farli conoscere a un pubblico più o meno nutrito. E qui, giunti a questo punto, si tratta di partecipare a reading e organizzare presentazioni un po’ ovunque, girando per la provincia, per la regione e per il resto del paese. Impresa davvero epica, quando si raggiunge una certa età, specialmente poi se il caldo e l’afa dominano incontrastati per gran parte della stagione migliore. Il poeta – e lo scrittore in generale – si deve fare promotore di se stesso, ma anche e soprattutto della poesia, se vuole dare davvero un senso a quello che scrive e al tempo che gli dedica. Da qui la necessità, e perfino l’urgenza, di mantenersi perfettamente integri, perché girare di villa in villa è fisicamente spossante e anche economicamente poco redditizio, specialmente se si confronta il ricavato con la spesa, come sa bene ogni buon contabile, anche quello che si occupa di quotidiana economia domestica. In ogni caso questo proporsi al pubblico, specialmente in giovane età, deve essere visto come un investimento per il futuro, senza però dimenticare che bisogna anche trovare il tempo per produrre quello che si vuole proporre al pubblico, altrimenti non ha senso proporre né proporsi.
Così, il paese della Poesia è sempre più affollato di giovani, che scalpitano perché venga riconosciuto il loro valore. C’è, poi, tutta una categoria di scrittori che hanno iniziato a scrivere per pubblicare in tarda età, perché – a domanda rispondono – prima dovevano lavorare, vale a dire dedicarsi a procurare il pane quotidiano per sé e per la famiglia. Una volta raggiunta l’agognata quiescenza, mettono da parte ogni tentazione di tornare al travaglio usato e prendono in mano la penna o cominciano a digitare sulla tastiera del computer per dare forma e corpo ai sogni, ai ricordi e alle pulsioni giovanili. Senza fare i conti con la realtà, che domanda un corrispettivo economico al tempo dedicato allo scrivere, solo perché ormai in pensione e quindi al riparo da problematici vuoti alle proprie finanze o nelle proprie tasche. Resta il fatto che i tanti, troppi testi originati dalla continua frequentazione con la Musa giacciono inerti e polverosi in qualche cassetto o in qualche cartella del computer, in attesa di essere rivelati, di essere messi a confronto con un pubblico che possa almeno decretarne la leggibilità o l’insuccesso. Che “carmina non dant panem” lo ammetteva anche il vecchio Orazio, e lo imparano a proprie spese anche i tanti orazi di quest’epoca arida, sordida e malpensante, che nemmeno una dose massiccia di poesia potrebbe rendere appena accettabile.
Forse è per questo che sempre meno giovani e sempre più anziani si danno alla poesia, consapevoli i primi dell’inutilità di voler cambiare il mondo a colpi di endecasillabi e di versi liberi, i secondi, ormai incamminati sul viale del tramonto, per trattenere nelle parole di quei versi quel tanto o quel poco del tempo trascorso, perché possano accettare meno dolorosamente l’idea di essere vissuti, o di avere vissuto. Una confessione “in limine”, sulla soglia tra l’oltre e il qui e ora, che, se non varrà a procurarsi l’effimera gloria di uno dei tanti premi assegnati dai troppi concorsi, spuntati ovunque come funghi, servirà almeno a liberarsi da fardelli che da troppo tempo gravano sulle spalle e sulla coscienza dei folgorati sulla via del Parnaso. Intanto, si continua a versificare, in attesa del giudizio più severo, quello del Tempo, che, con buona pace della folla degli scriventi e pubblicanti, dirà l’ultima parola sui vari testi che vengono proposti a getto continuo, con la segreta speranza di centrare il bersaglio grosso, quello dei premi di prima categoria, universalmente riconosciuti come segnacolo del raggiunto successo. Ma il confronto più aspro resta sempre quello con sé stessi, specialmente per i più scettici e tormentati, convinti sempre che tanto scrivere non valga infine nemmeno il prezzo della carta e degli alberi abbattuti per produrla. Resta perennemente accesa una speranza, quella di un incontro con uno sconosciuto che, al solo sentirti nominare il tuo luogo di provenienza, azzardi a chiederti se per caso tu conosca il tale “autore”, del quale arriverà perfino a recitarti alcuni versi, che inevitabilmente potrai finire per riconoscere come tuoi. Ma questo accade in quel genere di sogno dal quale è sempre previsto l’inevitabile obbligatorio risveglio

© Sergio Tardetti 2024


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