
La nobiltà, dicono i nobili
è l’intermediaria fra il re e il popolo.
Sì! Come il cane da caccia è l’intermediario
fra il cacciatore e le lepri.
Chamfort
(Prodotti della civiltà perfezionata, Boringhieri, 1961, pag.121)
di Gianni Giovannelli
Mancano dati precisi e censimenti puntuali, ma si calcola che in Italia gli immobili occupati siano circa 50.000, da suddividere in 30.000 pubblici e 20.000 privati. Questo almeno è il risultato di un sommario censimento di Federcasa e Nomisma, con una elaborazione dei rilievi disponibili nel 2021 e in qualche modo aggiornati per proiezione al 2024. Ovviamente non si possono appiattire in unico segmento realtà sociali molto diverse fra loro, ma, considerando i nuclei abitativi che di fatto si insediano in questi stabili riteniamo che oggi gli occupanti (italiani o stranieri, maggiorenni o minorenni, maschi o femmine) siano intorno a duecentomila unità. Bisogna aggiungere poi la vasta platea che, per vari motivi, ha ricevuto disdetta contrattuale, notifica di sfratto esecutivo, avviso di sloggio. Questa moltitudine di soggetti fragili, spesso privi di reddito e di risorse per sopravvivere dignitosamente, è destinataria di un provvedimento varato dal Governo Meloni ai sensi dell’art. 77 della Costituzione e dell’art. 15 L. 3.8.1988 n. 400: il requisito che consente il decreto consiste nella oggettiva necessità di intervenire senza approvazione delle due Camere per oggettiva e accertata urgenza, di carattere straordinario e improrogabile.
Stiamo parlando del c.d. decreto sicurezza (11 aprile 2025 n. 48), firmato dal Presidente Mattarella, pubblicato in Gazzetta Ufficiale e già esecutivo (in attesa di ratifica successiva blindata dalla fiducia, entro il 10 giugno, ad opera di deputati e senatori che certo non porranno ostacoli alla conferma del provvedimento, disponendo l’esecutivo di una solida maggioranza). Come noto la medesima materia era in discussione nei due rami del Parlamento sotto forma di un – governativo – disegno di legge ordinaria (S 1236 – C 1660); dopo l’approvazione della Camera già il 18 settembre 2024 il testo era al vaglio del Senato, ma in stato di fermo sostanziale per via di un evidente rischio di anticostituzionalità che caratterizzava numerosi passaggi del testo in esame. Si veda il commento al disegno di legge pubblicato da Effimera nel gennaio 2025, cui rimandiamo per brevità, posto che il contenuto del disegno assai poco si discosta dal decreto. Ci preme ora sottolineare tre questioni che a nostro avviso rivestono particolare importanza, senza tuttavia nasconderci la gravità complessiva del provvedimento, articolato in più passaggi dispotico-repressivi che richiederebbero trattazione ampia per ogni capo introdotto. La prima questione è di metodo (la forma di decreto urgente), ma di un metodo che si concreta in sostanza apertamente eversiva dell’ordinamento vigente. Le altre due questioni toccano la vita quotidiana e sociale, criminalizzando minoranze che pur essendo indubbiamente tali sono pur sempre numericamente piuttosto consistenti e soprattutto politicamente deboli, prive di rappresentanza, fragili. Le due questioni sono l’occupazione di case (cui abbiamo accennato in apertura) e la c.d. cannabis light.
Prima questione: l’uso consapevolmente abnorme del decreto legge in materia penale
In via eccezionale l’art. 77 della Costituzione consente al governo di emanare provvedimenti immediatamente esecutivi, senza approvazione del Parlamento, quando ci si trovi di fronte a casi davvero straordinari di necessità e di urgenza; l’art. 15 della legge 400/1988 regola (meglio: dovrebbe regolare e invece nessuno la prende in considerazione) l’istituto eccezionale del decreto. Il primo comma dell’art. 15 impone di indicare subito, già nel preambolo, e con chiarezza, quali siano esattamente le circostanze straordinarie di accertata necessità e urgenza che possano giustificare l’adozione del decreto. E, a seguire, la norma vuole che vi sia un contenuto specifico omogeneo corrispondente al titolo. L’arroganza del potere ha questa volta superato ogni limite di decenza: il preambolo, dopo un generico richiamo alla prevenzione del terrorismo (primo capo del decreto, senza che si comprenda dove stia l’urgenza contingente) propone (sinteticamente e senza spiegazioni) nuove disposizioni in materia di sicurezza urbana (articoli da 10 a 18, l’intero capo II che porta questo titolo). In questo capo secondo sono state inserite modifiche al codice penale, in particolare riferite alle sanzioni a carico di chi sia coinvolto nelle occupazioni di immobili (non solo case) e di chi faccia commercio o uso di prodotti c.d. cannabis light. Le pene, come vedremo più sotto, sono pesantemente aggravate (per gli occupanti) e perfino introdotte con previsione di un reato fino a poco prima inesistente: si prevedono anni di carcere! La Corte Costituzionale con la sentenza n. 364 del 1988 (estensore Renato Dell’Andro, un cattolico moderato allievo di Aldo Moro e in passato anche sindaco di Bari) ha dichiarato non conforme alla Carta l’art. 5 del codice penale, ovvero la norma (fascista, codice Rocco) che escludeva quale esimente la mancata conoscenza di un divieto penalmente sanzionato; quando, per circostanze di tempo o per modalità di comunicazione, sia impossibile avere consapevolezza di commettere un reato o quali possano essere le sanzioni, l’articolo 5 non deve trovare ingresso o quanto meno non può essere di ostacolo a forme attenuate. Ogni legge ordinaria contiene un periodo (chiamato vacatio legis) di 15 giorni, successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, per rendere nota la disposizione; per questo l’uso del decreto (di immediata applicazione) in materia penale solo di rado è reperibile nel nostro ordinamento. Nel nostro caso poi, e questo davvero costituisce uno scandalo istituzionale, l’intero capo secondo era già contenuto, quasi identico, nel disegno di legge precedente. I deputati lo avevano approvato sei mesi or sono, il 18 settembre 2024; giaceva in Senato senza che nessuno (nessuno!) avesse sollevato questioni di urgenza improrogabile. In questi mesi non è accaduto nulla di nuovo: dunque la stessa maggioranza confessa con il proprio comportamento in aula che non c’erano i presupposti per la decretazione. Ma il governo, diviso in fazioni sul da farsi e timoroso di interventi imbarazzanti da parte della Consulta, ha rotto ogni indugio; con questo decreto sottrae a quel poco che resta del Parlamento l’esame e impone con azioni concludenti vie di fatto estranee al nostro normale funzionamento ordinamentale. Non solo mancano in concreto i necessari presupposti di urgenza improrogabile ma neppure si provvede a difendere la forma: il preambolo (in particolare quello del titolo secondo sulla sicurezza urbana) neppure sente il bisogno di inserire una qualunque giustificazione tecnica dello strumento, asfalta la norma costituzionale, avvisa i sudditi che il potere non intende accettare limiti e vara la transizione giuridica verso il dispotismo democratico, anche in Italia come già in Europa sul tema degli armamenti. La firma apposta dal Presidente Mattarella è di enorme gravità, è una coltellata inflitta alla schiena dello stato di diritto liberaldemocratico, non ancora mortale e tuttavia così profonda da lasciare certamente il segno. Colpisce, nella scelta di uno strumento apertamente in contrasto con l’art. 77 della Carta e con la legge attuativa, la evidente consapevolezza di porre in essere una violazione, insieme alla certezza di non incontrare ostacoli: sanno di colpire segmenti minoritari, di poter contare sulla complicità di buona parte dell’opposizione, di avere l’appoggio del rancore sociale e/o della rassegnazione. Hanno ben chiaro il nemico i funzionari del nuovo dispotismo occidentale: la solidarietà. E attaccano, per allargare la divisione fra gli oppressi, singoli segmenti da reprimere a titolo di esempio. Non dobbiamo nascondercelo: è un progetto in pieno percorso di attuazione. Solo riconquistando la solidarietà e l’unità, a qualsiasi costo, sarà possibile costruire forme di contrasto al regime.
Seconda questione: l’occupazione di case
Duecentomila persone circa vivono in immobili occupati; non sono gli unici a vivere una vita abitativa nella precarietà. I dati forniti dal Ministero e quelli elaborati da ASPESI (l’associazione delle immobiliari) attestano nel 2023 ben 39.373 sfratti (ogni giorno 107), di cui 21.345 eseguiti dalla forza pubblica (59 ogni giorno), cioè gettando letteralmente gli inquilini in strada e portando le loro cose nei depositi comunali (il costo di recupero è tale che le masserizie sono quasi sempre perse in via definitiva). Nello stesso anno le richieste di sloggio cui viene riconosciuta esecuzione coatta sono state 73. 809; inoltre, riferisce ASPESI, il 62% degli inquilini paga la pigione in ritardo (dunque si espone al rischio di disdetta per morosità). In sintesi il problema della casa riguarda circa centomila abitazioni e non meno di 3 o 4centomila esseri umani.
Nella sola Milano ci sono circa 80.000 case vuote, i proprietari pubblici o privati non le usano per i più svariati motivi, di speculazione o di cattiva manutenzione. Sempre a Milano, dopo l’assegnazione a MM della gestione case popolari, le occupazioni abusive sono scese da 1760 (anno 2014) a 511 (nel 2024). Eppure MM lascia sfitti e vuoti 6.059 appartamenti, per ora non occupati e comunque già difesi militarmente. Non basta. La Regione Lombardia con ALER (Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale) ha acquisito, con la legge nazionale 142/1990 e regionale 13.1.1996 il patrimonio edilizio popolare; le 19.534 abitazioni sfitte e inutilizzate di ALER nel 2022 sono divenute 22.496 nel 2023, con aumento di 2962 unità in 12 mesi. Non è certo un segreto: hanno intenzione di svenderle, non certo di assegnarle ai bisognosi. Sfratti e abbandoni convivono, creando una emergenza abitativa che richiede risoluzione. Urgente sarebbe rimuovere ogni ostacolo burocratico e assegnare le case di edilizia popolare ai bisognosi, magari con impegno ad abitarle e a ristrutturarle, previa naturalmente la detrazione dei costi di riparazione dal canone agevolato. Le casse pubbliche non avrebbero oneri aggiuntivi e anzi ci guadagnerebbero. Invece no. Come viene risolta dal decreto questa emergenza? Mandando in malora gli immobili vuoti, sfitti, abbandonati per poi predisporre svendite. Invece di aiutare i poveracci (occupanti o sfrattati per morosità) il progetto è di metterli in strada e/o incarcerarli: questo prevede l’impianto urgente di sicurezza urbana entrato in vigore il 12 aprile 2025.
La pena introdotta dall’art. 10 varia da 2 a 7 anni di galera. Destinatari delle sanzioni carcerarie sono tutti coloro che occupano un immobile altrui (pubblico o privato) o le pertinenze (prati, cortili, casolari, tettoie: tutto!) e impediscono il rientro del proprietario o di chi ne abbia ricevuto legittimo possesso (dunque anche un terzo con un qualsiasi titolo contrattuale ricevuto dalla proprietà). La legge chiede solo che vi sia un domicilio del proprietario (o da lui designato), ipotesi assai più ampia del concreto uso abitativo; molto spesso si prende domicilio in luogo diverso da quello in cui si vive realmente. Non basta. Si vuole abbattere ogni possibile rete di sostegno politico, sindacale, associativo, mutualistico; la stessa pena (da 2 a 7 anni) si applica pure a chi in qualunque modo si intromette o coopera per favorire o agevolare l’occupazione. I comitati di quartiere a sostegno degli occupanti sono diventati dal 12 aprile 2025 strutture criminali, e per i singoli soggetti partecipanti si aprono processi penali e concrete prospettive di non breve reclusione. Per chi collabora e ottempera al rilascio (si arrende, si dissocia, si pente, desiste, si consegna) è prevista tuttavia l’impunità. Il procedimento prevede la querela di parte: questo fornisce alla proprietà un formidabile strumento di pressione per piegare le resistenze (ma si procede invece d’ufficio per gli immobili pubblici). La norma punisce non solo l’occupante ma più in generale chiunque detenga l’immobile senza titolo; una simile previsione consente di estendere l’applicazione in forme imprevedibilmente ampie (si può avere un titolo e poi perderlo per svariate ragioni, rimanendo senza, esposto al rischio del carcere). Inoltre, per rimuovere gli ostacoli dovuti ai tempi lunghi della burocrazia, si introduce la possibilità di intervento rapidissimo con liberazione dell’immobile e cacciata dell’abusivo; la norma vale per piccoli proprietari e grandi immobiliari, la si applica indipendentemente dalle condizioni sociali del colpevole. Per il governo, e con urgenza improrogabile, la sicurezza urbana non la si ottiene usando le case pubbliche vuote per dare un tetto a chi si trova in stato di bisogno ma incarcerando il segmento minoritario dei bisognosi, senza predisporre alcuna misura di sostegno, in attesa di lucrare sulla successiva svendita delle case pubbliche abbandonate all’incuria.
Terza questione: cannabis light
L’art. 18 del titolo secondo (sempre relativo alla sicurezza urbana) modifica la legge 242/2016, pure quella firmata dall’ineffabile giurista-presidente Mattarella, che non solo consentiva, ma intendeva pure fornire sostegno e promozione alla coltivazione in Italia di cannabis sativa utile fra l’altro per contribuire alla riduzione di consumo dei suoli e della desertificazione. La legge del 2016 si conformava, tardivamente, alla normativa comunitaria (in particolare all’elenco di cui all’art. 17 direttiva 2002/53/CE: percentuale da 0,2 a 0.6%) e prevedeva perfino il finanziamento di imprese di coltivazione della canapa (la c.d. cannabis light) da utilizzare per la produzione di alimenti, cosmetici e altri derivati da inserire nelle filiere commerciali. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 30.475 del 10 luglio 2019), pur con una certa prudenza e con molta circospezione, avevano confermato la legittimità di una lavorazione dei prodotti accertati come effettivamente light. Senza preavviso e senza concedere termini di adeguamento (incompatibili con la decretazione urgente) il 12 aprile 2025 è scattata la tagliola. In quel momento i magazzini erano pieni. Il settore comprende 800 aziende agricole di coltivazione, 1500 imprese di trasformazione, 10.000 addetti. Certamente non è Stellantis o Amazon, ma sono pur sempre circa 12.000 famiglie che hanno perso il reddito di sussistenza, da un giorno all’altro.
La promozione e il sostegno che caratterizzavano la prima firma di Mattarella sono venuti meno per motivi di sicurezza urbana che nessuno ha voluto chiarire; dopo il 12 aprile i prodotti derivati dalla cannabis sativa in percentuale light sono illegali, corpo di reato. Venditori, possessori, magazzinieri, commercianti, e acquirenti che cedano magari in regalo questi prodotti rischiano fino a sei anni di carcere, fino a 77.000 euro di multa, sanzioni amministrative (per esempio la patente), conseguenze nell’impiego lavorativo. Difficile censire esattamente quanti fossero i consumatori-clienti della filiera al momento dell’entrata in vigore del decreto; certamente in Italia le persone che magari occasionalmente consumano canapa non sono pochissime. Anche in questo caso una minoranza, senza dubbio; ma una minoranza numericamente di rilievo. Le imprese colpite contesteranno certamente la costituzionalità della abrogazione a mezzo di un simile decreto, per via della palese carenza della necessaria urgenza e per via della violazione di una direttiva europea vincolante. Non sono poche le probabilità di successo in un giudizio davanti alla Corte Costituzionale; ma i tempi non possono essere brevi e dunque il governo ha preferito attaccare subito, incurante del dopo. I despoti agiscono sempre con atti di breve respiro; per rimediare, con nuovi espedienti, c’è sempre tempo. L’importante è vendere l’immagine di un esecutivo capace di aggredire i drogati e di sbatterli dentro senza rispetto e senza pietà. Il dispotismo non coltiva cannabis sativa ma ansia collettiva, disagio sociale, divisione, sottomissione rassegnazione; la stessa semplice felicità viene vista con sospetto.
Concludendo
Nei giorni 8 e 9 giugno 2025 ci sarà la votazione per i cinque referendum. La maggioranza tace e punta al mancato raggiungimento del quorum, in effetti elevato. Sono 5 referendum che toccano la materia del licenziamento (due), del contratto a termine (uno), del risarcimento danni da infortuni o morti sul lavoro esteso ai committenti (uno), il termine per conseguire la cittadinanza (da 10 anni attuali a 5). Non sono la rivoluzione che emancipa gli schiavi, sono quesiti piuttosto prudenti nella formulazione e nelle conseguenze che deriverebbero dalla vittoria del “si”. Riguardano tutti e cinque minoranze; nessun quesito riguarda direttamente la maggioranza numerica di chi abita il territorio della Repubblica Italiana. Eppure la scadenza è importante, specie in questo nostro tempo di transizione, politica e istituzionale. Non è per nulla scontato il mancato raggiungimento del quorum. La manifestazione contro il decreto sicurezza è stata assai partecipata; e anche il decreto sicurezza riguardava solo minoranze.
Per sua natura ogni maggioranza (intesa come blocco sociale) si compone inevitabilmente di una pluralità di minoranze unite da un patto di alleanza, di mutuo soccorso, di unità contro il medesimo avversario che vuole invece la divisione per imporre il proprio dominio. Contro i cinque referendum si schiera un fronte trasversale, per difendere l’interesse delle imprese e del dispotismo diffonde l’idea che sia inutile partecipare, schierarsi, mettere una scheda nell’urna. Semina in un terreno reso fertile dagli errori commessi dentro il movimento antagonista e soprattutto dai complotti di palazzo. Ma esiste la sorpresa. Avvenne con il referendum sull’acqua pubblica, vinto contro ogni previsione. Non è vero che quella vittoria non abbia prodotto nulla: ha rallentato i progetti di privatizzazione, ha sabotato il programma nemico, rimane ancora oggi un ostacolo, proprio come i due referendum sull’energia atomica che ancora quelli al comando non riescono a digerire. Bisogna provarci, mettendo da parte polemiche e divisioni. Anche una percentuale insufficiente e tuttavia massiccia può essere un segnale, contribuire alla riapertura dei giochi. Non è fiducia messianica nello strumento elettorale. Si tratta solo di prendere atto che nella società dello spettacolo ogni simbolo comunicativo possiede anche una sua materialità. Una vasta affluenza, una partecipazione capace di mettere per una volta da parte le divisioni in segmenti pronti per la sconfitta: sappiamo che non è facile ma che è possibile. Provarci sicuramente non può creare danno; forse potrebbe contribuire ad una ripresa dell’antagonismo, unificando i segmenti, archiviando la paura ancestrale del meticciato e dello straniero. E l’antagonismo, più delle urne, è una potenza economica. Per questo spaventa il palazzo.
L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 5 maggio 2025