Politica

Iran: morte per lapidazione, una pena grottesca e inaccettabile

Un rapporto di Amnesty lancia l’allarme per nove donne e due uomini

Nove donne e due uomini in Iran aspettano di essere uccisi a colpi di pietra: Amnesty International ha chiesto oggi alle autorita’ iraniane di abolire la morte per lapidazione e di imporre una moratoria immediata su questa orribile pratica, appositamente studiata per provocare la massima sofferenza nella vittima.

In un nuovo rapporto pubblicato oggi [15-01-08 n.d.r.], in inglese, l’organizzazione ha rivolto un appello urgente al governo iraniano chiedendo di modificare il codice penale del paese e, nel frattempo, assicurare il rispetto della moratoria sulla lapidazione imposta dal Capo dell’autorita’ giudiziaria nel 2002.
“Accogliamo con favore i recenti passi verso le riforme e la notizia che il parlamento sta esaminando emendamenti al codice penale che permetterebbero la sospensione di alcune condanne alla lapidazione nei casi in cui sia ritenuto opportuno – ha affermato Malcom Smart, Direttore del programma Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty International.- Tuttavia, le autorita’ devono andare oltre e adottare le misure necessarie per assicurare che il nuovo codice penale non permetta la lapidazione ne’ contempli l’esecuzione per il reato di adulterio con altri metodi”.
Il codice penale iraniano prevede l’esecuzione tramite lapidazione.
Secondo l’articolo 102, gli uomini devono essere sotterrati fino alla vita, le donne fino al petto. Con riferimento al reato di adulterio, l’articolo 104 afferma che le pietre da usare dovrebbero essere ‘non cosi’ grandi da uccidere la persona con uno o due colpi, e nemmeno cosi’ piccole da non poter essere definite pietre’.

Il sistema giudiziario iraniano presenta gravi lacune che spesso sfociano in processi iniqui, anche nei casi di pena capitale. Nonostante la moratoria del 2002 e le smentite ufficiali sulle esecuzioni tramite questa pratica crudele, Amnesty International e’ venuta a conoscenza di alcuni casi di lapidazione.
Ja’far Kiani e’ stato lapidato il 5 luglio 2007 ad Aghche-kand, nella provincia di Qazvin. Era stato condannato a morte per aver commesso adulterio con Mokarrameh Ebrahimi, condannata alla lapidazione per lo stesso reato, dalla quale aveva avuto due figli.
La condanna e’ stata eseguita nonostante un ordine di sospensione dell’esecuzione e in spregio alla moratoria del 2002.
Si e’ trattato della prima lapidazione confermata in via ufficiale dopo la moratoria, sebbene esistano notizie sulla morte per lapidazione di un uomo e una donna a Mashhad, nel maggio del 2006. Si teme che Mokarrameh Ebrahimi possa subire la stessa sorte. La donna e’ rinchiusa nella prigione di Choubin, nella provincia di Qazvin, sembra con uno dei suoi figli.

Amnesty International e’ ugualmente preoccupata per otto donne e due uomini che rischiano la lapidazione e i cui casi sono evidenziati nel rapporto diffuso oggi.
Sono le donne a essere piu’ di frequente condannate a morire per lapidazione, spesso a causa del diverso trattamento che subiscono davanti alla legge e nei tribunali, in aperta violazione degli standard internazionali sul giusto processo. Sono in particolar modo vittime di processi iniqui perche’ meno istruite rispetto agli uomini e per questo motivo indotte piu’ facilmente a firmare confessioni di crimini mai commessi. Inoltre, la discriminazione cui vanno incontro in altri aspetti della loro vita fa si’ che siano piu’ soggette a condanne a morte per adulterio. Nonostante questa cupa realta’, ci sono fondate speranze che la morte per lapidazione venga completamente abolita in Iran.

Sforzi coraggiosi sono stati compiuti dai difensori iraniani dei diritti umani che, in seguito ai due casi del 2006, hanno lanciato la campagna ‘Stop alla lapidazione per sempre!’.
La loro azione ha contribuito a salvare quattro donne e un uomo: Esmailvand, Soghra Mola’i, Zahra Reza’i, Parisa A e suo marito Najaf. Inoltre, un’altra donna, Ashraf Kalhori, ha ottenuto una sospensione temporanea dell’esecuzione.

”Sollecitiamo le autorita’ iraniane a prestare attenzione alle nostre richieste e a quelle degli iraniani che si stanno battendo senza tregua per mettere fine a questa orrenda pratica”, ha dichiarato ancora Malcom Smart. Questi sforzi, pero’, hanno un prezzo elevato.
Gli attivisti per i diritti umani in Iran continuano a subire pressioni e intimidazioni da parte delle autorita’.
Asieh Amini, Shadi Sadr e Mahboubeh Abbasgholizadeh, esponenti di Stop alla lapidazione per sempre!, erano tra le 33 donne arrestate nella prima settimana di marzo 2007 a Teheran durante le proteste contro il processo di cinque attivisti per i diritti delle donne; 31 di esse sono state rilasciate il 9 marzo. Dieci giorni dopo, anche Mahboubeh Abbasgholizadeh e Shadi Sadr sono state rilasciate dietro il pagamento di 200 milioni di tuman (piu’ di 145.000,00 euro). E’ probabile che le due donne verranno processate con accuse quali ‘disturbo dell’ordine pubblico’ e ‘atti contro la sicurezza dello Stato’.

I difensori dei diritti umani in Iran ritengono che la pubblicita’ internazionale e la pressione a sostegno degli sforzi locali possano contribuire a portare un cambiamento nel paese.

Il Paese delle donne online, 16 gennaio 2008

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Bombardare Auschwitz?

13 gennaio 2008
13 gennaio 1898

“J’accuse” di Emile Zola su l’Aurore.

Riferendomi all’improvvida affermazione del presidente americano “dovevamo bombardare Auschwitz” vi rammento che:
Sono stati i nazisti, con molte complicità fra cui quella italiana, a sterminare ebrei, zingari, prigionieri russi, ecc. e non gli Alleati;
Nella primavera del 1942 l’80% delle future vittime della Shoah era ancora vivo, mentre un anno dopo le parti si erano invertite (Christopher Browning, “Uomini comuni”, Einaudi). Gli Alleati ebbero la possibilità di bombardare Auschwitz solo nell’estate del 1944, quando lo sterminio era ormai concluso (Martin Gilbert, “Auschwitz and the Allies”, Mandarin);
Difficilmente un bombardamento avrebbe distrutto le camere a gas (bombardare la linea ferroviaria sarebbe stato futile), ma avrebbe certamente ucciso migliaia di deportati e ora i revisionisti avrebbero buon gioco a “dimostrare” che gli ebrei sono morti sotto le bombe americane (David Horowitz, Jerusalem Report 12/01/1995). Inoltre, visto che il 40% degli ebrei è stato assassinato FUORI dei campi di sterminio (Raul Hilberg “La destruction des juifs d’Europe”, Fayard), la distruzione delle camere a gas non avrebbe cambiato nulla e gli ebrei rimasti sarebbero stati fucilati nei massacri (le marce della morte) che si svolsero da gennaio ad aprile 1945, DOPO la liberazione di Auschwitz;
Le famose foto aeree del campo di sterminio furono stampate e ingrandite solo nel 1978 (“The Bombing of Auschwitz”, St.Martin Press) e nessuno ha dimostrato che questo sia stato fatto nel 1944, come del resto nessuno si è curato di accertare se qualche analista, visionando le decine di migliaia di foto che gli aerei alleati scattavano ogni giorno, si sia preoccupato di scoprire cosa accadeva in uno delle centinaia di campi di concentramento che costellavano l’Europa occupata;
Infine non dobbiamo chiederci perché gli Alleati non bombardarono Auschwitz nel 1944, ma piuttosto perché noi non abbiamo reagito ai genocidi che ci sono passati sotto il naso (dalla Bosnia a Timor, dal Ruanda alla Cambogia, troppo lungo farne l’elenco). Noi sappiamo benissimo cos’è un genocidio mentre gli Alleati ne avevano un’idea estremamente vaga. Il giudice della Corte Suprema americana Frankfurter disse a Jan Karski che lo informava dello sterminio degli ebrei: “ Non posso crederlo. (…) Non ho detto che stia mentendo. Ho detto che non posso crederlo. C’è una differenza “ (Walter Laqueur, “Il terribile segreto”, Giuntina e “Shoah” di Claude Lanzmann, Einaudi

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Il linciaggio

“Le cartoline dell’impiccagione
si vendono a cento lire l’una”
Fabrizio De Andrè Via della Povertà

“Southern trees
Bear a strange fruit
Blood on the leaves
And blood at the root
Black bodies swingin’
In the Southern breeze
Strange fruit hanging
From the poplar trees.”
Abel Meeropol Strange Fruit

Suona incredibile alle nostre orecchie europee, ma una delle giustificazioni della pena di morte americana è questa: se i criminali non venissero uccisi legalmente, la gente “prenderebbe la legge nelle proprie mani” e farebbe giustizia sommaria del reo, cioè lo lincerebbe.
Non ho intenzione di discutere il valore giuridico-morale della scusante, ma resta il fatto che il linciaggio, ideato come forma di giustizia popolare in Virginia, durante la Rivoluzione, dal colonnello Charles Lynch allo scopo di terrorizzare i Tories fedeli all’Inghilterra, è stata una delle istituzioni americane più popolari e diffuse e non solo fra i bianchi del sud.
Del linciaggio avevo una visione hollywoodiana e quindi molto lontana dalla realtà. Nei film questa barbara pratica è trattata in maniera asettica e falsa. Un colpevole, vero o presunto, normalmente nero, è rinchiuso in carcere e una folla inferocita, sempre bianca, è decisa ad anticipare il verdetto del processo o a eseguirlo su due piedi. Così, dopo una breve resistenza da parte dello sceriffo, il prigioniero viene trascinato fuori dalla prigione e impiccato. Questo al cinema. Nella realtà le cose erano molto diverse.
Il linciaggio era un atto di “giustizia popolare” pianificato dai maggiorenti della città e preannunciato sui giornali. Per l’occasione si organizzavano treni speciali e ad esso partecipavano folle enormi, spesso vestite a festa per l’evento mondano. I linciatori erano tanto certi di non pagare le conseguenze del loro delitto da farsi fotografare sorridenti con il cadavere del linciato che penzola sullo sfondo. Così certi dell’impunità da spedire agli amici queste foto a mo’ di cartolina illustrata.
Il disgraziato oggetto del linciaggio era torturato e mutilato, poi appeso per il collo e sparato dalla folla. Il corpo era bruciato e pezzi del cadavere distribuiti come souvenir. Il tutto con la benevola disattenzione dello sceriffo.
I linciaggi di cui si è avuta notizia sono stati, dal 1882 al 1968, 4.743. I neri linciati, uomini e donne, sono stati 3.446, ma fra i linciati ci sono anche ebrei come Leo Frank e gli italiani “mafiosi” di New Orleans. In testa il Mississippi con 539 neri e 42 bianchi, poi la Georgia (492 – 39), il Texas (352 – 141), la Louisiana (335 – 56) e l’Alabama (299 – 48).
Ma per lo storico Watt Espy essi sono stati 10.000, a fronte di 20.000 – 22.500 esecuzioni legali. [Robert M. Bohm “Deathquest II” Cincinnati, Anderson Pub. 2003, p. 2] E’ quindi la stessa quantità a mostrarci come il linciaggio fosse un modo normale di amministrare la giustizia.
Il linciaggio, raro prima della Guerra Civile, diventa poi un modo per tenere in riga i neri liberati, ma anche i messicani e gli immigrati europei e le cose cominciarono a cambiare, molto lentamente, solo dopo la condanna dello Sceriffo Schlupp da parte della Corte Suprema nel 1907.
E’ impressionante notare come all’aumentare del numero delle esecuzioni legali corrisponda un calo dei linciaggi che scompaiono completamente negli anni sessanta. In pratica l’uccisione illegale diventa legale, ammantandosi di formalismi e di fasulle garanzie. Il risultato resta però quello: un linciaggio perpetrato da una maggioranza nei confronti dei poveri e dei neri. Non per nulla i neri chiamano “legal lynching” la pena capitale.
In alcune occasioni i linciaggi degenerarono in veri e propri pogrom di afro-americani con centinaia di vittime, come a Tulsa nel 1921, quando furono usati aeroplani e mitragliatrici e interi quartieri “neri” rasi al suolo.
Altre volte i linciaggi erano veri e propri atti di guerra che una parte della maggioranza bianca compiva contro i neri e i loro alleati bianchi. Tali furono i “Wilmington race riots” (North Carolina) del 10 novembre 1898. In questo stato i bianchi del partito democratico avevano riconquistato il potere a furia di brogli, violenze, intimidazioni e minacciando gli elettori neri di linciaggio. A Wilmingon esisteva una fiorente comunità nera che aveva il controllo della città in alleanza con i bianchi del partito repubblicano. Una colonna di migliaia di democratici bianchi, armati fino ai denti, li attaccò con una azione militare in piena regola che causò centinaia di vittime, mise a ferro e fuoco le attività commerciali dei neri e distrusse la loro speranza di essere cittadini normali. Alla violenza delle armi seguì quella della legge e, con le Jim Crow Laws, i bianchi del partito democratico misero i neri fuori del sistema elettorale, diventando per quasi un secolo il partito unico del Sud. (Solid South) Sia i fatti di Tulsa che quelli di Wilmington scomparvero dalla storia e sono stati riscoperti solo di recente
I forcaioli americani (e sauditi) accusano gli europei di non essere democratici perché non fanno il volere popolare e non ammazzano qualche disgraziato ogni tanto. La pena di morte sarebbe per questi un prodotto del volere popolare e quindi forca e democrazia coincidono. Il giudice Scalia ha scritto qualcosa del genere in una sentenza della Scotus.
In fin dei conti cosa c’è di più democratico di un bel linciaggio.

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La speranza

Lettera 128
di Ettore Masina

1
Fine d’anno 2007: mentre cerchiamo di rendere le nostre case più allegre e festose, con sorrisi di parenti e di amici e voci di bambini, la cronaca appende ai nostri alberi di Natale certificati di comparizione in tribunale e bollettini medici di prognosi riservata. Provo a elencare: a Bali, ancora una volta, Wall Street e Bush hanno deciso che la Terra può andare in malora purché l’industria americana non debba ridimensionare i suoi profitti; in non poche nazioni, compresa la nostra, i sistemi politici sembrano da rottamare per eccesso di astuzie (o credute tali); la società italiana – ci avverte autorevolmente il Censis – è ormai mucillaginosa, cioè disgregata e confusa; nel nostro paese riprendono slancio gli amanti del nucleare, eccetera eccetera. Fatti incontrovertibili, descrizioni dell’oggi, impietose ma non esagerate; e tuttavia c’è di peggio, a me sembra, e il peggio riguarda il futuro: da cattedre molto autorevoli veniamo avvertiti che la speranza è una patologia mentale se non porta un bollino di garanzia da esse rilasciato. Nella sua recente enciclica il Papa esclude che le speranze umane abbiano un vero valore se non si fondano in Cristo, e – forse senza saperlo – Salman Rushdie, scrittore fra i più importanti della nostra epoca, gli risponde che le speranze proposte da quelli che egli sprezzantemente definisce “i preti” sono inganni micidiali e pesti fondamentaliste.
Il messaggio che si ricava da questi interventi è dunque che la speranza sine glossa – quella dei bambini, degli analfabeti, dei poveri, dei poeti, degli atei (tali per estenuazione, per scandalo o, più semplicemente perchè nessuno gli ha mai parlato di Dio), – è stupidità, miopia culturale o rimbambimento. Che ve ne pare?

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Il profeta dell’innovazione

E’ uscita una biografia di Joseph Schumpeter, dal titolo “Il profeta dell’innovazione” per i tipi di Mc Graw, l’autore è Thomas K. Mc Craw, profesore emerito di business history alla Harvard Business School. Il libro si fa apprezzare per essere la prima biografia sull’economista austriaco. Nell’interpretazione dell’autore forse prevale un eccessivo accento sugli aspetti di esagetici del capitalismo, mentre rimane sottovalutato il debito verso il pensiero marxiano. La ricchezza ed il dettagli di notizie ne fa comunque una lettura preziosa per chi ancora voglia interessarsi alla analisi del capitalismo. Una lettura da condurre in parallelo con la biografia di Keynes, consiglio Robert Skidelsky, John Maynard Keynes, Bollati Boringhieri 1989, a mio avviso più puntuale e meno agiografica delle altre. Questo per consentire e costruire un parallelo fra due grandi del pensiero economico del novecento.
Grandi quanto diversi fra loro. Sotto il profilo psicologico, tombeur de femmes Schumpeter spesso in preda a profondi stati depressivi, gay il secondo, sempre in controllo dei propri stati d’animo. Lo sguardo analitico radicato nel lungo periodo di Schumpeter, si scontra con la famosa sentenza keynesiana, che ci da’ tutti morti nel lungo periodo. Eppure nonostante queste differenze, li unisce una straordinaria convergenza nei giudizi di alcuni passaggi cruciali dell’epoca.
Del lavoro su Schumpeter, segue una traduzione parziale del capitolo che McCraw dedica all’esperienza governativa di cui il nostro fu protagonista per alcuni mesi del 1919.

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