dalla prefazione di Sergio Tardetti
(RELIGIONE: Il rapporto, variamente identificabile in regole di vita, sentimenti e manifestazioni di omaggio, venerazione e adorazione, che lega l’uomo a quanto egli ritiene sacro o divino.)
L’idea che l’esistenza sia un continuo tentativo di ricomporre ciò che essa stessa viene frammentando e scomponendo durante il suo corso è da sempre fonte di ispirazione per ogni genere di artisti, inclusi in particolare gli autori di testi poetici. Perché la poesia è per sua natura un “fare” e il fare si realizza a partire da frammenti da ricollocare, sempre al prezzo di grandi fatiche, come tessere di quel mosaico che vorrebbe sforzarsi di riprodurre e dare forma e sostanza alla nostra essenza. L’illustre precedente del Canzoniere petrarchesco – altrimenti noto come Rerum Vulgarium Fragmenta – diventa per molti autori un riferimento nella realizzazione di una raccolta poetica legata spesso dal labile filo della memoria. Memoria di eventi, di luoghi, di persone che diventano punti di riferimento inscindibili rispetto alla nostra esistenza. Così, quel “tessere”, proposto come oggetto di ri-costruzione della nostra storia personale, può essere anche visto come azione, un tentativo di comporre una trama e un ordito per quell’arazzo immaginario che vorrebbe narrare la nostra vita. Naturali elementi base di questa operazione sono il tempo e lo spazio, rappresentati il primo dall’agire e il secondo dai luoghi nei quali si esplicita quell’agire. Di questo parla la poesia di Rita Vecchi, anzi, direi piuttosto che “canta”, termine più consono e più allineato alla musicalità delle parole e dei versi che compongono ogni singolo componimento. Canta, come cantavano gli antichi aedi, non le gesta di un eroe o le battaglie cruente di una guerra infinita, ma i semplici e ordinari accadimenti di una vita che della quotidianità ha fatto la sua ragione d’essere. La ricomposizione, la “tessitura”, dà luogo di volta in volta ad un processo, nel quale gli stessi frammenti possono originare numerose differenti rappresentazioni della nostra esistenza, come accade analogamente per le tessere di un mosaico, che possono essere accostate fra loro in molti modi differenti per dare luogo a immagini e figure ogni volta diverse. Ed è un po’ quello che accade se proviamo a immaginare come la nostra esistenza, rappresentata attraverso i suoi gesti e i suoi luoghi, potrebbe essere ricomposta dai nostri familiari, amici, conoscenti e, in questo caso particolare, dal lettore, invitato come sempre ad entrare in contatto con l’autore attraverso le parole e i sentimenti a cui danno forma.
II
Rita, nel corso dello sviluppo dell’intera silloge, prova a sostanziare la più nobile delle intenzioni “programmatiche” a cui uno scrittore dovrebbe cercare di tenere fede: quella della “sacralità” della parola, del rispetto che si deve osservare nei confronti di ogni singolo termine. Dimostra, cioè, attraverso un uso attento e sorvegliato della scrittura, di essere convinta della sua preziosità, in quanto modalità espressiva di ciò che l’anima difficilmente riuscirebbe a rivelare di sé altrimenti. Come altri autori, crede nella “religione della parola”, considerata sacra, da non sprecare, da non utilizzare inutilmente o a vuoto, impoverendola o deprivandola di senso. La parola non è un vano ornamento attraverso il quale rappresentare la maschera che il poeta offre alla visione degli altri, quanto piuttosto un solido strumento mediante il quale comunicare ciò che l’anima percepisce del mondo. Si avverte, infatti, in ogni lirica il desiderio di diventare un tutt’uno con la natura intorno a noi, fino quasi a volersi annullare dentro di lei, riconoscendoci noi stessi elementi di questa natura, al pari di alberi, rocce, animali, acque. Le parole assumono significati diversi a seconda dei luoghi, che costituiscono in qualche modo l’ordito di questa originale tessitura che va ben oltre l’esercizio di stile. La realtà, rappresentata attraverso i vari componimenti, appare trasfigurata, quasi la rappresentazione di un paese di fiaba; le immagini tradotte in versi descrivono luoghi che possono apparire soltanto nei sogni, al punto da poter definire la poesia di Rita Vecchi “poesia del sogno”. La sua è poesia energica, realizzata per mezzo di versi vividi e brillanti, una poesia elegante e stilisticamente matura, frutto di uno stile personale e riconoscibile, merce rara, anzi rarissima, di questi tempi. Sorprende nell’autrice la capacità di parlare degli altri come se parlasse di sé – degli altri intesi come umanità che la circonda, che ci circonda ed è questo che porta la sua poesia ad assumere un valore universale. Nel corso della lettura è frequente incontrare versi ritmici, musicali, endecasillabi avvolgenti e confortevoli come un abbraccio, come una coperta calda gettata sulle spalle, mentre all’aperto si sta ammirando la luce della luna in cielo. Se pronunciati ad alta voce, i versi sembrano quasi avere il potere di amplificare il loro suono, per poter essere meglio uditi e apprezzati. Brani di prosa poetica si mescolano ad altri più marcatamente strutturati in versi, nei quali, tuttavia, l’a capo non è accadimento opinabile, ma scelta sicura e decisa di chi scrive. L’accurata selezione delle parole da usare, secondo le indicazioni delle lezioni americane di Calvino, insegue il desiderio di un’esattezza che appare privilegiata sopra tutto, quasi a voler significare la volontà di esercitare un accurato controllo sulle espressioni che scaturiscono dall’anima. Versi, infine, dei quali non cambieresti una singola virgola, talmente esatte sono le combinazioni e gli incastri dei termini che li compongono, che producono, infine, una poesia rara e preziosa, non riscontrabile in molti autori.
Per mia natura, rifuggo dalle definizioni che vengono generalmente utilizzate per collocare un autore all’interno di questa o quella corrente artistico-letteraria. Si tratta, a mio parere, di un tentativo, seppure lodevole, di voler mettere ordine nell’universo, con il rischio, tuttavia, di attribuire all’autore intenzioni che non solo non ha espresso, ma nemmeno immaginato. L’obiettivo non dichiarato resta quello di incasellarlo, per trovargli una collocazione che ne permetta una analisi, per così dire, “da fermo”, senza cogliere le specificità di ciascuno che si evidenziano soprattutto quando l’autore è “in movimento”, vale a dire mentre crea e si esprime. Personalmente, rifiuto e rinuncio a qualunque tentativo di congelare attraverso parole tese a definirlo una volta per tutte. Quanto alla poesia di Rita, ammetto di essere stato tentato di trovarle una definizione e di avere, infine, anche ceduto alla tentazione, essendo tuttavia consapevole che la definizione di un autore non è per sempre. Volendo scegliere una esplicitazione dichiarata per la poesia di Rita, le parole che vengono subito in mente per rappresentare quali siano i capisaldi della sua poetica si sintetizzano in ciò che si può indicare come lirismo mistico – o, in alternativa, misticismo lirico – dei suoi versi, attraverso i quali riesce a dare forma e sostanza ai suoi pensieri, alle sue osservazioni e alle sue riflessioni. L’invito al poeta che è in lei, e che diventa il suo doppio, il suo alter ego, attraverso il quale si esprime è quello di donare “profondità alla piccolezza”. Ed è anche quello di riuscire a a soddisfare il desiderio di lasciare “un segno – piccolissimo” del suo passaggio sulla terra, minuscolo e insignificante se paragonato all’immensità del tempo che ci ha preceduto e che proseguirà oltre noi, e dello spazio dell’immenso universo che ci circonda. Spazio e tempo così incommensurabili da riuscire a schiacciarci sotto un peso intollerabile, ma che l’autrice riesce a sostenere, accettando la sua piccolezza e la sua finitezza. Basterebbero soltanto due versi che amo particolarmente: “si possono piangere lacrime / coniugate al passato remoto”, per capire chi sia Rita Vecchi e cosa rappresenti per lei la poesia, la sua personale interpretazione e rappresentazione della vita. Nei suoi versi è presentato l’intero suo mondo, a partire da quella sensazione di sentirsi una meteora, una luce di passaggio in un cielo per lo più scuro. Ma molti altri sono i temi presenti: i pensieri che agitano una mente inquieta, la nostalgia prima della partenza, i passi verso una “casa quieta di riposo”, le emozioni “scintille della vita”, il desiderio di mostrare di esistere e di essere esistiti. L’esistenza appare come proiettata su un grande schermo, sul quale si alternano immagini e colori di stagioni e paesaggi; anche i dolori e i ricordi fanno parte di queste immagini, coltivate con cura e con amore, rivestite delle parole più belle, accorte e ricercate. La sua è anche poesia del quotidiano, dei gesti semplici e ripetitivi che ci appartengono e ci accompagnano nell’arco dell’intera giornata, capaci di scandire il nostro tempo e di rivelare di noi molto di più di quanto non facciano le parole. Amo particolarmente i versi di “In cucina, la domenica sera”, per quel loro ammetterci nell’intimità delle stanze della casa, luoghi dove, di solito, non si ricevono “ospiti sconosciuti”, i lettori dei versi; ospiti che, tuttavia, ben presto vengono conquistati dalla semplicità e al tempo stesso dal lirismo, con cui si presentano ordinari gesti di vita quotidiana. L’esistenza – e le fasi che essa attraversa – è significata a volte attraverso la metafora dell’inverno, stagione amata e odiata al tempo stesso, ma accettata e accolta come un naturale elemento di una realtà con la quale tutti dobbiamo confrontarci. Spesso la poesia diventa un mezzo per esprimere forme d’amore incondizionato, come verso la propria esistenza, ma anche verso quella degli altri; particolarmente prezioso risalta quello dedicato al figlio. Molto altro ci sarebbe da aggiungere, a dire il vero, ma lascio al lettore attento il piacere di scoprire i tesori nascosti nelle poesie di questa silloge. L’invito che personalmente gli rivolgo è quello di assaporare fino in fondo i versi di Rita, per ritrovare quel dolce succo di memoria che vi è stato sparso a piene mani, quel dolce succo che a ciascuno di noi piace sempre gustare.
© Sergio Tardetti 2022
Rita Vecchi – TESSERE, LUOGHI E FRAMMENTI Bertoni Editore, 2022