NATO

“Con le esercitazioni Nato in Sardegna è in atto un massacro”

di Silvia Tuzzi

Le forze Nato, con la complicità attiva del Ministero della Difesa, stanno compiendo un vero e proprio massacro in Sardegna (e non solo), dove militari e civili si ammalano e muoiono a causa dell’uranio impoverito. Lo sostiene l’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito, secondo cui le bonifiche previste non hanno lo scopo di rendere più salubre l’ambiente ma solo quello di rendere possibili nuove esercitazioni.

Sardegna – L’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito da diversi anni si impegna nella lotta per la verità e la giustizia per tutti i militari che sono stati contaminati dall’uranio impoverito e da metalli pesanti durante le cosiddette e surrettizie missioni umanitarie all’estero, ma anche a seguito dell’addestramento nei poligoni di guerra Nato, sul suolo italiano, come denuncia anche Emanuele Lepore portavoce dell’associazione.

Da chi è composta l’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito?
Molti degli associati sono sardi, padri, madri, mogli, sorelle o anche fratelli di militari che si sono addestrati nei poligoni Nato in Sardegna e che sono deceduti o sono tuttora gravemente malati.

La lotta dell’Associazione è contro i poteri forti come la Nato.
La lotta dell’Associazione si lega alla lotta contro la Nato: tutti noi abbiamo interesse affinché i poligoni militari Nato in Sardegna vengano chiusi e bonificati, affinché nessuno più venga contaminato dall’inquinamento bellico dovuto ai giochi di guerra – o meglio alle nefandezze belliche – dove gli stessi militari spesso di truppa, e non i generali ai vertici, vengono utilizzati come carne da macello e bassa manovalanza e sacrificabile. Sottomessi e sacrificati al potere.

E l’interesse del Ministero della Difesa?
Ha stupito l’interesse del Ministero della Difesa nella bonifica della penisola Delta di Capo Teulada, penisola duramente bombardata con ogni sorta di armamenti e di cui stranamente sono state rese pubbliche liste molto vaghe e sintetiche.

La Penisola Delta Poligono di Capo Teulada, che sulla carta risulta inserita in una zona naturalistica protetta, è in realtà l’emblema della devastazione dovuta alle esercitazioni militari: in settant’anni di bombardamenti è stata colpita da milioni di proiettili, missili e razzi, tanto da essere dichiarata non bonificabile e interdetta agli stessi militari.
Stupisce, tra le altre problematiche, che l’interesse del Ministero della Difesa avvenga in un momento in cui alcuni ufficiali delle forze armate italiane sono sotto processo proprio per il disastro ambientale causato dall’esercitazione che qualcuno vorrebbe dare solo per presunta, nonostante la quarta commissione parlamentare di inchiesta sui danni da uranio impoverito, presieduta da Giampiero Scanu, abbia accertato a suo tempo le criticità ambientali dei poligoni di guerra Nato in Sardegna e nonostante lo stesso ministero negli anni abbia dichiarato imbonificabile proprio il poligono di capo Teulada.

Parliamo di Capo Teulada e l’innalzamento della soglia degli inquinanti.
Capo Teulada è un sito talmente inquinato che non è bastato l’innalzamento delle soglie di metalli pesanti – centuplicate nel 2014 con il via libera del disegno di legge “competitività” proposto dal governo Renzi – per far risultare accettabile il livello di inquinamento anche da un punto di vista burocratico.
Nel dispositivo visionabile sul sito della regione autonoma Sardegna si legge che la finalità dell’attività di rimozione dei residuati da esercitazione è quella di ripristinare le condizioni del poligono Delta per consentire il normale transito in sicurezza e consentire l’utilizzo futuro dello stesso quale zona bersaglio per “arrivo colpi”, che sarà delimitata con materiale ecosostenibile e collocata all’interno di un sito privo di essenze arboree pregiate. In tale quadro si intende avviare con l’impiego di assetti specialistici le attività necessarie alla rimozione di tutti i residuati da esercitazione, fino alla profondità di un metro presenti nell’area in questione e classificabili e smaltibili a norma di legge come rifiuti.

A nome dell’Associazione delle vittime occorre approntare bonifiche valide e serie.
Questo significa che l’area deve essere resa agibile a nuove esercitazioni? Poniamo questi quesiti da parte di tutte le vittime e i malati oncologici, che oltre trecento sentenze hanno accertato correlati alla contaminazione da metalli pesanti utilizzati in vari tipi di munizionamento: l’uranio impoverito, il Torio 232 e gli altri agenti si rilevano solo da un metro di profondità? L’acqua e l’aria non sono oggetto di esame? Le tonnellate di nanopolveri, residui delle esplosioni che viaggiano per chilometri trasportati dal vento ,sono considerate residuato da esercitazione?
E ancora: l’uranio impoverito e altri metalli pesanti sono considerati smistabili come rifiuti? Se hanno intenzione di bonificare come è stato fatto fare ai militari italiani in Bosnia, Serbia, Afghanistan, Iraq allora conosciamo bene la metodologia, ma circa ottomila malati di tumore e quattrocento morti stanno a testimoniare che tali bonifiche non sono servite a molto, anzi.

La popolazione serba può essere considerata vittima della Nato?
La popolazione serba – che sconta un aumento dell’incidenza tumorale da quando la Nato nel 1999 ha scaricato sul suo paese quindici tonnellate di uranio impoverito – non è molto convinta delle bonifiche che sono state effettuate con la stessa metodologia ripresa dai manuali di bonifica delle forze armate.

Capo Teulada vittima dei poteri forti?
L’operazione di bonifica del poligono di capo Teulada serve a un doppio scopo: il primo è riprendere le esercitazioni rese impossibili dagli inerti inesplosi. Non è un problema di salute pubblica, di recupero di un territorio, ma solo di garantire la continuità delle esercitazioni Nato e possibilità di scaricare la peggiore immondizia, che spesso viene chiamata anche “armi convenzionali”.
In secondo luogo, è un’operazione utile a confondere le acque e dare elementi così contrastanti di valutazione utili a far assolvere in qualche modo gli ufficiali coinvolti nel processo in corso proprio sul disastro ambientale di Teulada, in maniera simile a come hanno fatto con i rilevamenti e le indagini discutibili per dare elementi probatori contrastanti nel processo sui veleni di Quirra.

Sono quindi necessarie bonifiche vere e non fasulle con l’innalzamento dei livelli degli inquinanti.
Le bonifiche sono necessarie, ma devono essere quelle vere: tracciare i metalli pesanti dispersi nell’ambiente, attuare le misure necessarie per bonificarli, impedire che le nuove esercitazioni depositino ancora altri metalli pesanti prodotti da sempre più aggiornati e sofisticati armamenti, altamente distruttivi e inquinanti.
È necessario quindi vigilare sulle manovre che i poteri forti stanno portando avanti e cercare di imporre delle bonifiche reali, trasparenti, che siano controllate da organi esterni, dalle associazioni che si occupano del problema e che hanno chiara l’idea di cosa vuol dire risolvere una questione così complessa.

L’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito è per la pace e contro ogni guerra?
L’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito è al fianco della lotta contro la Nato, perché abbiamo un interesse comune: portare a termine il massacro che il Ministero della Difesa promuove a danni dei suoi stessi militari e della popolazione civile che vive e lavora nei pressi dei poligoni di guerra in Sardegna. La società civile e l’associazionismo sono disponibili quindi a compiere la strada necessaria e percorrere il cammino di pace e nonviolenza che possono portarci all’interdizione dei poligoni, alla loro reale bonifica e alla tutela della salute collettiva.

L’articolo è stato pubblicato su Unimondo il 10 febbraio 2023

La Foto è di Catalania da pixabay

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La Nato ripudia la pace

di Pietro Caresana

Circa 200 persone hanno partecipato, dibattuto e ascoltato le relazioni proposte nella due giorni Il futuro è Nato?, organizzata tra 4 e 5 febbraio da una rete di realtà pacifiste e contro il nucleare nella suggestiva sede del Castello dei Missionari Comboniani a Venegono Superiore, in provincia di Varese.

In veste di ospiti sono intervenuti, chi in presenza chi online, Manlio Dinucci, Jean Toschi Marazzani Visconti, Alberto Negri, Antonio Mazzeo, Rossana De Simone, Claudio Giangiacomo, Patrick Boylan, monsignor Luigi Bettazzi, Mario Agostinelli e padre Alex Zanotelli.

Se l’idea di futuro auspicabile che si ha vede un pianeta in pace, senza conflitti e devastazioni nucleari, senza crisi ambientale e all’insegna del rispetto dei diritti umani, allora si può affermare senza remore che il futuro non è affatto Nato. Anzi, la situazione geopolitica che l’umanità sta vivendo dovrebbe far parlare piuttosto di un futuro morente. Nel corso della due giorni, estremamente densa per la quantità di contributi apportati, dati sciorinati ed esempi riferiti, è infatti emerso con chiarezza come l’assetto di potere contemporaneo minacci in modo molto serio il destino dell’umanità.

Chiunque si occupi di pace non può non intersecare il discorso sul nucleare, quello ambientale e, appunto, quello che porta a discutere e criticare il ruolo di controllo autoconferitosi dal Patto Atlantico. Sono tre temi connessi e di uguale gravità ma, come è emerso in diverse relazioni, il denominatore comune sembra essere l’egemonia della Nato sulla situazione globale. Agostinelli nel suo intervento ha fatto infatti notare che il leitmotiv del XX e del XXI secolo sembra essere l’idea che non ci sia spazio per tutti sotto il sole del potere e del benessere e ciò conduce fisiologicamente a una lotta per l’egemonia per cui il blocco vincitore della Guerra Fredda (quello imperialista statunitense) deve trovare ed eliminare qualunque potenziale concorrente.

Dunque, si spiegano le infiltrazioni americane nella costellazione di conflitti (Jugoslavia, Iraq e Libia per fare alcuni eclatanti esempi) scoppiati a seguito del crollo dell’Urss. Toschi e Dinucci hanno mostrato, l’una ripercorrendo la storia dell’influenza bellica dei quadri di potere occidentali dal ’45 a oggi, l’altro ricordando che l’attuale conflitto russo-ucraino è ben più che un’alzata di capo estemporanea di Putin, come il disegno di presa di potere globale della Nato abbia fortemente connotato e determinato la storia di guerra contemporanea.

Un trascorso bellico che, ha sottolineato Negri, si fonda sul mito della vittoria totale; una sorta di ideologia del conflitto che da una parte alimenta le mire espansionistiche occidentali e dall’altra, nel caso specifico, porta a pensare che la questione russo-ucraina possa risolversi con la vittoria definitiva di una delle due parti. Questo tipo di ragionamento, è evidente, incentiva il protrarsi delle ostilità allontanando ogni possibilità di reale negoziato (e va sottolineato che non negoziano mai direttamente i cittadini indifesi o le persone che vorrebbero la pace, ma solo leader che hanno più interessi a far combattere che a riappacificare).

L’Unione Europea potrebbe, almeno teoricamente, far valere la propria voce per una cessazione dei combattimenti, ma la sua storia recente testimonia un pressoché totale allineamento rispetto alle decisioni statunitensi. L’Italia stessa è coinvolta in prima linea come complice dei signori della guerra, lo testimoniano le basi Nato diffuse per il paese così come l’accoglienza incostituzionale di testate nucleari sul proprio territorio. Mazzeo e Giangiacomo, rispettivamente, hanno messo in luce lo slittamento del Patto Atlantico da una funzione prettamente difensiva a una preventiva. Ciò comporta una generalizzazione del concetto di “pericolo” e “nemico” (che in epoca finanziaria capitalista diventa, più propriamente, “concorrente”) che consente uno spazio di manovra ampio anche nel concepire di essere la potenza che fa la prima mossa: che impiega cioè le armi, anche atomiche, per fini offensivi.

Fa gioco in questo senso che il nemico, come si diceva, dopo il ’91 molto meno semplice da definire, siano stati i terroristi per il primo quindicennio del 2000 e ora, ancora più genericamente, siano le cosiddette minacce ibride. Aumenta la viscosità di una controparte invisibile forse perché inesistente e di conseguenza aumenta il controllo delle libertà che chi come promette di fare la Nato ha intenzione di difendere l’Occidente può esercitare sui cittadini dei propri Paesi.

D’altra parte, gli Stati hanno completamente perso il proprio potere giurisdizionale se è vero che, come testimonia anche il parere giuridico commissionato a Ialana e sintetizzato in un testo di cui si sta parlando molto negli ultimi tempi, il nucleare sul suolo italiano è anticostituzionale. Inoltre, De Simone ha testimoniato del peso della diffida, da parte della Nato ai suoi membri, dal firmare il trattato di proibizione del nucleare del 2021. Data la posta di potere in gioco a quel tavolo, è molto difficile convincere uno Stato ad andare contro i dettami di questa entità internazionale.

Di fronte a questo sconfortante scenario di esautorazione statale e dominio globale, sembra ci siano pochi strumenti per costruire un futuro di pace. Eppure, come hanno sottolineato tanto monsignor Bettazzi che padre Zanotelli, la guerra è una follia che non può che decretare la fine dell’umanità. Attraverso la lente cristiana di cui sono portatori, i due relatori nei loro discorsi hanno parlato dell’assurdità di fare guerra per fermare la guerra e hanno ricordato che, anche a livello pontificio, l’idea di guerra giusta è ormai ampiamente superata. Non resta che l’irrazionalità del conflitto, un delirio che solo una reale democratizzazione dell’Onu, tramite il superamento del sistema per veti, e la costruzione di una mentalità nonviolenta possono fermare.

L’urgenza di una cessazione dei conflitti, come se non bastasse, è anche ambientale: il nucleare ma anche le armi non atomiche sono una condanna per gli ecosistemi. Se si uniscono gli effetti deleteri di bombe e inquinamento “normale”, l’urgenza di una transizione ecologica che sia anche pacifica è impellente sia sul piano climatico che su quello della giustizia sociale.

Egemonia Nato e crisi socio-economica e ambientale sono insomma i principali tre problemi emersi dai momenti di conferenza tenutisi a Venegono. C’è però qualcosa che, anche come singoli, si può fare per impegnarsi nella costruzione di un futuro vivibile e pacifico. Zanotelli ha indicato una serie di azioni di resistenza al mercato della guerra: obiezione di coscienza alla leva, opzione (devolvere soldi a cause di pace e nonviolenza) se non obiezione fiscale e boicottaggio delle banche armate (Unicredit, Deutsche Bank e Intesa Sanpaolo le tre principali) sono tre strumenti che ciascuno può adottare, nonostante il loro costo e la loro difficoltà per il singolo. Inoltre, Toschi ha rilanciato la campagna Fuori l’Italia dalla guerra, piattaforma pacifista di massa critica trasversale ad ogni credo, provenienza ed ideologia e appartenenza politica. Un altro strumento individuale, proposto da Boylan, è inoltre «informarsi meglio per protestare meglio»: le politiche belliche della Nato si fondano su un’informazione di parte, spesso falsa e altrettanto frequentemente parziale. Un pubblico non critico non può essere efficace nel costruire una massa di resistenza pacifista; serve documentarsi attraverso fonti alternative, non allineate e, soprattutto, non sempre occidentali per sfuggire alle vere e proprie bolle informative-narrative che vengono a costruirsi attraverso i canali di grande distribuzione informazionale.

Nella propria eterogeneità di vedute, retroterra politici e sfaccettature, il congresso Il futuro è Nato? ha dato varie chiavi di lettura per un presente armato che è urgente sovvertire. Per discutere di altre esperienze di pace e opposizione al sistema egemone Nato, la sessione pomeridiana di domenica 5 febbraio è stata dedicata al confronto tra le realtà ed i singoli aderenti, per progettare un futuro solidale, ecologico e pacifico anche a partire dall’azione locale.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 6 febbraio 2023
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No a Zelensky a Sanremo

di Pressenza redazione Italia

Professori universitari, giornalisti, economisti, artisti e giuristi lanciano una petizione per contestare la partecipazione del presidente ucraino al Festival di Sanremo e promuovono una manifestazione sabato 11 febbraio dalle 10 alle 20 a Pian di Nave a Sanremo.

Testo della petizione:

Fin dagli albori della televisione pubblica, il Festival di Sanremo si è accreditato come la più seguita manifestazione popolare italiana. Milioni di persone seguono lo spettacolo trasmesso in mondovisione dalla Rai. Che piaccia o meno, il Festival rappresenta anche sul piano internazionale un aspetto dell’identità culturale del Bel Paese. L’Italia ha lanciato da Sanremo successi planetari che celebrano la vita, la felicità e l’amore.
Abbiamo appreso perciò con incredulità che, in una delle serate clou dell’evento, presumibilmente sabato 11 febbraio, interverrà Vladimir Zelensky, capo di Stato di uno dei due paesi che oggi combattono la sanguinosa guerra del Donbass. Una guerra terribile, fomentata da irresponsabili invii di armi e da interessi economici e geostrategici inconfessabili, che ha portato il mondo sull’orlo di un olocausto nucleare per la prima volta dopo la crisi dei missili di Cuba. Una guerra che ha ragioni complesse, tra cui il fatto che la Nato sia andata ad “abbaiare ai confini della Russia” (utilizzando le parole di Papa Francesco), oltre alle conseguenze della brutale repressione del governo nazionalista di Zelensky contro la popolazione russofona, soprattutto in Donbass. Una guerra che come italiani abbiamo il dovere costituzionale di “ripudiare”, non soltanto di rifiutare, nel rispetto dell’ Art. 11 Costituzione, ma che invece continuiamo a finanziare, favorendone così in modo diretto e indiretto la letale escalation.
L’Italia non solo invia armi (ed aumenta il budget militare in una fase economica difficilissima per la maggioranza degli italiani), ma lascia che la NATO e gli Stati Uniti utilizzino a loro piacimento il suo territorio, in assenza di qualsiasi forma di controllo governativo, parlamentare e popolare. A causa di questa posizione acritica e supina, l’Italia ha rinunciato a svolgere l’importante ruolo di mediazione geopolitica che corrisponde alla sua vocazione storica, abdicando al contempo al proprio interesse nazionale e al proprio ruolo di fondatrice del processo di unificazione europea, come struttura per assicurare la pace fra le nazioni.
Proprio in queste settimane, mentre la propaganda infuria sui giornali controllati dagli interessi del blocco finanziario che si riconosce nella NATO, è in corso da parte americana la sostituzione dei precedenti ordigni nucleari. Questi già da anni collocati sul suolo italiano (in violazione del Trattato sulla non proliferazione nucleare a suo tempo sottoscritto sia dagli USA che dall’Italia) saranno ora sostituiti con dispositivi di ultimissima generazione, dotati di intelligenza artificiale e piena manovrabilità a distanza. Un’operazione pericolosissima anche nell’immediato, di cui il popolo italiano, che più volte si è espresso contro il rischio nucleare anche civile, è tenuto all’oscuro.
Riteniamo dunque tragicamente ridicolo e profondamente irrispettoso di un’ampia fetta dell’opinione pubblica che non si riconosce nelle politiche militari dei governi Draghi e Meloni il fatto che Zelensky sia invitato a Sanremo. Il dramma oggi in corso nel suo Paese non è altro, infatti, che l’epilogo di un conflitto ben più lungo, quale quello del Donbass, che i maggiori Stati della NATO (quegli stessi cui oggi l’Italia è accodata!) hanno contribuito ampiamente a fomentare, limitandosi ad appoggiare militarmente l’Ucraina, nel corso degli anni.
Come intellettuali abbiamo il dovere di comprendere ciò che avviene dietro le quinte, e ci mettiamo perciò a disposizione per parlare al popolo italiano, che a tal fine invitiamo alla mobilitazione sabato 11 febbraio a Sanremo, per partecipare ad una grande assemblea popolare di piazza. L’Italia deve uscire subito dalla guerra interrompendo ogni aiuto diretto o indiretto a una delle parti in conflitto. L’ Italia non può rassegnarsi a restare un deposito di ordigni nucleari micidiali sotto controllo americano, né luogo di laboratori e centri di ricerca bellici. È necessario liberare il nostro territorio da questa presenza.
Saremo a Sanremo l’11 febbraio per dire al mondo in modo motivato e razionale ma forte e chiaro: Il ripudio della guerra significa ripudio senza se e senza ma. La sovranità può essere limitata solo per assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni (Art. 11 Cost.).

UGO Mattei (Generazioni Future/CLN; giurista, professore universitario)
Manlio Dinucci (Comitato NO NATO NO WAR; giornalista)
Germana Leoni (Comitato NO NATO NO WAR/CLN; giornalista)
Alberto Bradanini (ex ambasciatore)
Franco Cardini (storico, professore universitario)
Carlo Freccero (massmediologo)
Joseph Halevi (economista, professore universitario)
Moni Ovadia (regista, drammaturgo)
Paolo Cappellini (storico del diritto, professore universitario)
Franco Guarino (reporter)
Geminello Preterossi (filosofo del diritto, professore universitario)
Roberto Michelangelo Giordi (scrittore, cantautore)
Alessandro Somma (giurista, professore universitario)
Savino Balzano (sindacalista, saggista)
Anna Cavaliere (giurista, professore universitario)
Thomas Fazi (economista, saggista)
Carlo Magnani (giurista, ricercatore)
Pasquale De Sena (giurista, professore universitario)
Alessandra Camaiani (giurista, ricercatrice)
Gabriele Guzzi (economista, presidente de L’Indispensabile)
Giovanni Messina (giurista, ricercatore)
Giulio Di Donato (filosofo del diritto, ricercatore)
Sara Gandini (epidemiologa, biostatistica, professore universitario)
Simone Luciani (editore)
Sirio Zolea (giurista, ricercatore)
Giorgio Bianchi (giornalista, attivista)
Alessandro Di Battista (politico, giornalista)
Giuseppe Mastruzzo (direttore International University College of Turin)

Link per firmare la petizione.

L’aricolo è stato pubblicato su Pressenza il 27 gennaio 2023

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Il futuro della guerra

di Guido Viale

Le guerre non bisognerebbe mai iniziarle. Una volta “scoppiate”, bisognerebbe adoperarsi per farle cessare il più presto possibile. Ma soprattutto bisognerebbe evitare tutte le iniziative che possono portare al loro “scoppio”. Non per una astratta pretesa di armonia tra i popoli, ma per evitare il costo che le guerre comportano sia per chi le “vince” che per chi le “perde” – se parliamo di popoli e non di governi – sia in termini di distruzione degli habitat che di danni agli uomini e alle donne che ci vivono.

Questo non vuol dire rinunciare a difendersi, anche con le armi, ma convenire sul fatto che tra le opzioni possibili non c’è solo la guerra e nient’altro che la guerra. Prima, durante e oltre la guerra ci sono tregua, diplomazia, mediazione, costruzione di alternative politiche e sociali, difesa delle vite e delle condizioni di esistenza delle popolazioni, convivenza tra etnie, lingue e “culture” diverse. L’autodifesa armata del Rojava ha il suo presupposto nel confederalismo democratico promosso da Ocalan. Nessuna di quelle esigenze è stata invece rispettata dalle parti coinvolte nella guerra in Ucraina.

Putin non pensava a una guerra quando ha invaso l’Ucraina. Pensava a una soluzione come quella che oltre cinquant’anni prima era riuscita a Breznev in Cecoslovacchia: molti carri armati, poco sangue e un cambio di regime imposto con la forza per arrestare e riequilibrare la marcia verso est della Nato. La resistenza dell’Ucraina, del suo esercito e delle sue milizie lo ha costretto a cambiare i piani: non a ritirarsi e chiedere scusa, ma a ripiegare su una vera guerra, a cui con tutta evidenza non era preparato. La sua devastante vittoria in Cecenia gli aveva fatto credere di poter risolvere la questione con un altro massacro.

Dall’altro lato del fronte si è puntato fin dall’inizio sulla temporanea superiorità ucraina, supportata dal sostegno politico, ma soprattutto militare, della Nato, degli Usa e dell’Unione Europea, per sferrare un colpo decisivo. Ben sapendo che questo avrebbe innescato un confitto molto lungo, che nelle dichiarazioni iniziali di Biden (poi corrette) avrebbe dovuto portare alla destituzione di Putin o addirittura alla dissoluzione della Federazione Russa.

Non si è messo in conto quanto una guerra prolungata e combattuta con sempre più uomini e armi (fino al limite della minaccia e del sempre possibile ricorso a quelle nucleari) sarebbe costata alle popolazioni dell’Ucraina e alla gioventù della Federazione Russa mobilitata a partire dalle sue periferie. La mobilitazione di entrambe le parti (e dei loro fan, soprattutto in Occidente) ha offuscato finora lo sguardo sulla devastazione del territorio, a est e a ovest del fronte e sul futuro di quel Paese. Ancora oggi si pensa – qualcuno pensa, e si mette in viaggio per prenotarne una quota – al business della ricostruzione, mentre la distruzione dell’Ucraina è ancora in pieno corso. E questo senza mettere in conto il suo indebitamento presente e futuro, pagabile solo in parte con la svendita delle sue risorse. E immemori del passato, si progetta di farne pagare i danni alla Russia, come a Versailles, dopo la Prima Guerra Mondiale, si era pensato di farli pagare alla Germania…

L’ostinazione della Russia non ha provocato, come forse sperava Putin, una crisi dell’Unione Europea e meno che mai la sua “nazificazione”, come ritiene il generale Mini, ma i regimi dispotici di molti suoi membri ne sono stati rafforzati, grazie soprattutto alla militarizzazione imposta dalla Nato. Un dominio in cui è facile entrare, ma da cui molto difficile uscire, o anche solo disobbedirgli, come insegna la sorte toccata ad Aldo Moro. Ma che il più democratico regime europeo abbia scambiato la sua adesione alla Nato con la consegna dei dissidenti curdi al tiranno Erdogan è cosa da non sottovalutare.

La guerra in Ucraina è un esito scontato dell’allargamento passato, in corso e futuro della Nato, un processo di cui l’Ucraina è una componente essenziale: il come e il quando erano (in parte) ignoti. Ma l’Ucraina era già membro di fatto della Nato, con le esercitazioni congiunte (“L’abbaiare ai confini della Russia”), il suo potenziamento bellico e il ruolo affidato, dopo Maidan, alle sue milizie (naziste? Sì) nel fare una vera e propria guerra alle aspirazioni autonomistiche delle sue province orientali.

È vero che nel confronto tra Ucraina e Federazione Russa non contano solo le armi, la loro potenza, la loro precisione, la loro quantità. Conta anche il “fattore umano”: il fatto che molti dei combattenti ucraini considerino ora una questione vitale la riconquista dei territori sottratti – anche se avevano fatto ben poco per fermare il bombardamento di otto anni del Donbass e la discriminazione dei loro concittadini russofoni – mentre uno spirito analogo non anima certo i coscritti a forza delle forze armate russe. Ma fino a che punto si potrà evitare di mettere in conto anche il “fattore disumano”: le centinaia di migliaia (ormai) di morti da entrambe le parti, la distruzione, in gran parte irreversibile, dei territori contesi, a qualsiasi delle due parti rimangano poi in mano. E un futuro non di prosperità (che l’Unione Europea non fornisce più nemmeno ai suoi membri), ma di miseria, di debiti, di rancore e di soggezione.

L’Ucraina non uscirà da questa guerra, se mai ne uscirà, più democratica e “denazificata”, ma più autoritaria e militarizzata, come già è ora e con partiti di opposizione e sindacati fuorilegge, scioperi proibiti, informazione controllata, giornalisti indipendenti perseguitati, servizi segreti e ambasciate straniere onnipotenti.

Quanto alla Russia, l’esito perseguito, se è la caduta di Putin, non consegnerà il potere a un’élite più conciliante e aperta, bensì a figure ancora più feroci e guerrafondaie. Se è la dissoluzione della Federazione, essa lascerà il campo a una “grande Libia”, con le nazioni del dissolto impero contese tra le potenze vicine e lontane, e anche ubique, come il mai dissolto Isis. Qualcuno ha forse pensato di poter parare il colpo senza adoperarsi da subito per la pace? E non sarebbe forse l’Unione Europea l’attore più adatto a proporre una mediazione, se non fosse anch’essa parte del conflitto? Ma non si può mediare partecipando alla guerra: questo, almeno, bisognerebbe saperlo.

L’articolo è stato pubblicato su COMUNEinfo l’8 gennaio 2023

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Piersanti Mattarella e Aldo Moro: scomodi per tanti

di Giuseppe Salamone

Poi quando racconti queste cose, esce il classico genio che ti dice che sei antiamericano, ossessionato dalla Nato e che quindi devi filare via in Russia ed in Cina.
E quando leggo che le risposte sono queste, non ottengo altro che conferme su ciò che scrivo e che quindi non potendole smentire nel merito, cercano di buttarla in caciara.
Il 6 gennaio del 1980 veniva ammazzato Piersanti Mattarella. Era candidato alla segreteria della democrazia Cristiana; ma la cosa più importante sta nel fatto che condivideva la linea di Aldo Moro per quanto riguarda il compromesso storico.
Quella linea prevedeva di portare al governo il Partito Comunista Italiano, e tutto ciò non andava giù ai padroni a stelle e strisce i quali temevano che con il PCI al governo, molti dei loro desiderata sarebbero potuti rimanere inattesi. In sostanza, per farla breve, gli USA vedevano il PCI come un ostacolo e quindi un pericolo per i loro sporchi affari.
La moglie di Piersanti, Irma Chiazzese, ha riconosciuto Giuseppe Valerio Fioravanti come l’assassino di suo marito e lo ha anche testimoniato in tribunale.
Fioravanti è anche tra gli esecutori della strage di Bologna, assieme a Mambro, Cavallini, Ciavardini e Paolo Bellini, il quale nel 92 partecipò anche ad una riunione ad Enna dove si decise l’attentato a Falcone.
Scavando tra le varie testimonianze e sentenze che riguardano il periodo delle stragi italiane, si può tranquillamente ricostruire la piramide che mise in atto la più grande azione di destabilizzazione dello Stato Italiano.
In basso ci stavano la mafia ed i terroristi legati a movimenti fascisti di estrema destra. Questi esecutori erano “protetti” e finanziati dalla P2 di Licio Gelli che a sua volta aveva dietro la CIA e la NATO.
Girando e rigirando, la verità va a schiantarsi sempre allo stesso punto, ed è per questo che fino ad oggi, queste stragi continuano a rimanere impunite e prive di verità “ufficiali”. E continuano a rimanere impunite anche perché testimonianze come la moglie di Piersanti Mattarella, diventano inattendibili. Una roba incredibile!
Siamo veramente una Repubblica delle banane, e nonostante tutto quello che è successo alla nostra martoriata Repubblica, ad oggi siamo costretti a veder ricevere al Quirinale gente che ha fondato un partito assieme a cosa nostra e a sorbirci Presidenti della Repubblica che rivendicano con orgoglio un Atlantismo compulsivo che da sempre attenta allo Stato italiano, miete vittime, ci nega la verità e gli si consente financo di depistare le proprie malefatte.
Sarà un giorno migliore in Italia quando da Washington non potranno più permettersi di imporci cosa possiamo e non possiamo fare. Questa è una conclusione che si basa sui fatti storici, e non sulla propaganda Hollywoodiana che ha annebbiato milioni di cervelli Italiani. Quel giorno sarà un altro 25 Aprile per noi… Yankee go home!

L’articolo è stato pubblicato su Osservatorio della legalità e dei diritti il 6 gennaio 2023

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