Scrittura

E’ FINITO LO ZUCCHERO

di Sergio Tardetti

Fu quando si accorse di aver finito lo zucchero che si decise ad uscire di casa. Non lo aveva fatto quando era finita l’acqua minerale – berrò quella del rubinetto, aveva pensato. Né lo aveva fatto quando era finito il vino – magari, una volta tanto, riesco anche a smettere di bere. Lo zucchero no, quello non poteva mancare, l’acqua minerale sì, il vino sì, lo zucchero no. Uscire, però, gli costava fatica, uscire significava lavarsi, vestirsi, pettinarsi anche, pettinarsi quel cespuglio ispido che era diventata la sua testa. Uscire era una gran fatica, ma per lo zucchero, solo per lo zucchero, lo avrebbe fatto. Allora, un bagno, ma un bagno no, richiede troppo tempo. Una doccia, allora, sì, una doccia, poi cercare camicia, pantaloni, biancheria, calzini puliti, ce ne deve essere ancora un paio da qualche parte. Passò un bel po’ di tempo prima che si ritrovasse sulle scale di casa, meravigliato di vederle ancora lì, meravigliato persino che ci fosse ancora qualcosa, oltre le scale, fuori di casa.
Il giardinetto, con le siepi basse di nuovo da tagliare, anche quello era ancora lì, i fiori nel giardinetto, freschi, qualcuno doveva averli innaffiati tutti i giorni, lui non aveva avuto tempo per quello, non aveva avuto tempo per niente. Tranne che per Elisa, tutto il suo tempo – quanto ne era passato? – era stato per lei, tutto il suo tempo, fino a quando era mancato lo zucchero. Prima era mancato il vino, era mancata l’acqua minerale, e prima ancora era mancata Elisa. Ogni volta lui aveva sempre pensato: “Farò senza il vino, senza l’acqua minerale. E anche senza Elisa”. Fino a quando era mancato lo zucchero. Non era uscito di casa, neppure quando era mancato il vino o l’acqua minerale, neppure quando era mancata Elisa. Al vino e all’acqua minerale non ci aveva pensato nessuno, lui solo, ad Elisa ci avevano pensato in molti, alcuni li conosceva, altri non ricordava di averli mai visti. Visi lunghi e tirati, qualcuno pallido, occhi rossi. I suoi non li aveva guardati, non gli mancavano.
Vide il cespuglio delle rose, un paio di boccioli ancora chiusi sulla cima di rami senza foglie, accanto a quello che rimaneva di un fiore, tre petali bianchi, scossi dall’aria mossa dal passaggio delle auto. In quel momento se ne staccò uno, rimase per un breve istante sospeso nell’aria, poi cadde, planando quasi in verticale sopra la siepe incolta. Lo guardava cadere così, come aveva guardato Elisa, quando il coperchio di legno aveva nascosto il suo viso per sempre. Ad un tratto, pensò che non aveva ancora pianto, doveva essersi dimenticato, o forse gli erano mancate le lacrime, adesso poi gli era mancato persino lo zucchero. Il sole aveva appena superato il tetto del palazzo di fronte, la luce improvvisa lo costrinse a strizzare gli occhi. I limoni, anche quelli erano finiti, ce n’erano voluti quasi cinque ogni giorno per Elisa, quella sete che non smetteva mai di bruciarla. Li strizzava così, tra le dita, mentre lei lo guardava e sorrideva, con quel poco di sorriso che era rimasto sulle labbra secche.
Si passò una mano davanti al viso, come per togliersi la tela di un ragno, la ritirò bagnata. Si appoggiò al muro, proprio accanto alla buca delle lettere, passò di nuovo la mano davanti agli occhi, era sempre bagnata. Lo zucchero. Si ricordò che era finito, ma per quello adesso c’era tempo.

© Sergio Tardetti 2015-2022

Fai la cosa giusta

di Fabio Mongardi

Erano gli anni settanta e nell’aria si respirava voglia di libertà e ribellione. Insieme ad un amico che chiamerò soltanto D decidemmo un giorno di partire per Milano. A far cosa? niente di particolare, eravamo giovani e si voleva solo “vivere” ovviamente. Andammo in treno e da veri alternativi, come si diceva a quei tempi, senza fare nessun biglietto. All’andata non ci furono problemi, ma al ritorno in piena notte un controllore ci scaricò malamente alla stazione di Parma. Ci avviammo rassegnati lungo i binari quando, verso la fine del convoglio, un altro controllore, che aveva visto tutta la scena, ci invitò a risalire sul treno.
Mentendo, ci giustificammo dicendo che non avevamo i soldi per il biglietto e con nostra grande sorpresa lui disse che da padre di famiglia non se la sentiva di lasciare due giovani a piedi così lontani da casa. Ci fece due biglietti a sue spese e ci consegnò un biglietto con il suo indirizzo.
“Se volete mandatemi i soldi, ma se non li avete è lo stesso, io ho fatto la cosa che mi sembra giusta” ci disse. Era una brava persona e di sinistra e rimase con noi diverso tempo a parlare di lavoro e diritti sociali.
Rimasti soli chiesi a D se pensava di rimborsare i soldi. “Chissenefrega” rispose lui.
Sarà che quel gesto di generosità mi aveva particolarmente colpito, o sarà stato che da bambino mia madre mi aveva fatto leggere il famoso libro Cuore, ma io il giorno dopo comprai una busta e vi misi dentro i soldi dei due biglietti e in quel momento ho sentito anch’io di aver fatto la cosa giusta… 😉

Puisì trobadoriche

di Pierluigi Canestrari

D’amòr sareb cuntent si me a putés
Avdé la trata mi un po’ piò spés.

A faz di virs canté pinsend a lì,
d’amor sareb cuntent se me a putés,
qvand a l’abraz a lì senza i su vstì
tanti agli è al voj che e temp um fnés,
D’amòr sareb cuntent si me a putés
Avdé la trata mi un po’ piò spés.

Ades pr’e mi lavor an pos avnì
D’amòr sareb cuntent si me a putés
Ad corsa a turnereb ch’a no fnì
D’avdé i su occ ch’i n gverda mo i gudés.
D’amòr sareb cuntent si me a putés
Avdé la trata mi un po’ piò spés.

No sté a pinsé a cvi ch’i n’ha capì
D’amòr sareb cuntent si me a putés
La zent l’ha invigia e i ha semper da dì
Che lò l’amor i n’e cnos i n sa cvel fés
D’amòr sareb cuntent si me a putés
Avdé la trata mi un po’ piò spés.

Sti virs a sper chi vega a fes sintì
D’amòr sareb cuntent si me a putés
E gost a ster insem a vis a vis
Ch’la leza pu ch’la voj incora adés
D’amòr sareb cuntent si me a putés
Avdé la trata mi un po’ piò spés.

D’amore sarei soddisfatto se potessi/ vedere la mia amante un po’ più spesso. // Faccio dei versi cantati pensando a lei/ D’amore sarei soddisfatto se potessi/quando l’abbraccio senza i suoi vestiti/ tanti sono i desideri che il tempo finisce. /D’amore sarei soddisfatto se potessi/ vedere la mia amante un po’ più spesso. // Adesso per il lavoro non posso venire/ D’amore sarei soddisfatto se potessi/ di corsa tornerei che non ho finito/ di vedere i suoi occhi che non guardano ma godono./D’amore sarei soddisfatto se potessi/ vedere la mia amante un po’ più spesso.//Non stare a pensare a quelli che non hanno capito/ D’amore sarei soddisfatto se potessi/La gente ha invidia e ha sempre da dire/che loro l’amore non lo conoscono e non sanno che farsene/ D’amore sarei soddisfatto se potessi/ vedere la mia amante un po’ più spesso.//Questi versi spero che vadano a farsi sentire/ D’amore sarei soddisfatto se potessi/Il piacere di stare insieme faccia a faccia/ che legga pure che la desidero ancora adesso./ D’amore sarei soddisfatto se potessi/ vedere la mia amante un po’ più spesso.//

Poesia trobadorica di anonimo così anonimamente riletta in dialetto romagnolo modificabile secondo canoni vissuti.
Versione tratta da: La Poesia dell’Antica Provenza, a cura di Giuseppe Sansone, edizioni Guanda 1993.

Diletto, dialetto

Esemplare dell’edizione giolitina de La Divina Comedia del 1555 appartenuto a Galileo Galilei

Prosegue la lettura della Divina Commedia in Hex Code

legge Pierluigi Canestrari

Per diletto ai ho avù chèra
d’avlé lèzar in dialèt,
dall’antico dialektos:
sta per disputa o ragnéda,
ona gran bèla turdera.

per diletto ho piacere / di volerlo leggere in dialetto / dall’antico dialektos: / sta per disputa o confronto (acceso) / una gran bella confusione.

Poesie II

 

di Bruna Alboni

PENSIERI IN TRENO

La vita impone delle scelte
A cui non possiamo sottrarci
E con l’animo in lotta
Si è costretti inevitabilmente
Ad escludere ogni alternativa

Lungo le rotaie
Neve di biancospino
È scesa
Sullo smeraldo di primavera
Da una nuvola di sole.

STRADE IGNOTE

Al mio paese le case
Hanno un’anima
Qui i volti stessi
Sono case di pietra

SUONANO

Suonano alla porta.
No, non aprire,
è la notte alla soglia.
Metti il catenaccio,
se guardi entrerà l’addiaccio.
Suonano ancora.
No, non andare.
Lascia ancora spazio ai tuoi sogni
È la realtà che vuole entrare.

ATTESA

Attendere
Sperare
Chissà
Domani
Attendere.

DI FRONTE AL MALE

Mi sento inerme
Di fronte al male
Non ho parole
Non ho discorsi
Non ho difese.
Mi lascio avvolgere
Travolgere
Lacerare
Perché non ho potere
Contro il male.
Ritorno all’infanzia
All’impotenza del neonato
E sorrido anche
Al male.
Del male
Conosco solamente
Il dolore
Che rimane.

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