Bisognerebbe prestare fiducia a chi si smarrisce

"A scuola mi prendono in giro perché sono dislessico",

mi ha scritto Emiliano, dodici anni, di Civitavecchia.
E Dino, da Roma: "Una volta alla radio dicesti che la dislessia era un dono. Dei nostri amici hanno scoperto che i
figli sono dislessici. Potresti rimandarci quel testo?" Ieri un padre, da Napoli, mi racconta per mail: "Giorgio era sano, bello e sveglio ma alla scuola elementare sono iniziati i problemi: la maestra diceva che era svogliato, distratto, che
non imparava a leggere e scrivere, non memorizzava i nomi dei giorni, dei mesi, delle stagioni e le tabelline e così in seconda lo ha bocciato."
Sono il guardiano di un faro, davanti ai miei occhi il Mediterraneo e l’Atlantico concepiscono ogni istante un mare diverso, improvvisato, così come il lobo destro e sinistro del cervello generano un’idea nuova. Mi sorprendo di rado, e la considero una malattia dell’anima d’Occidente, i bambini dislessici, invece, sono sempre sorprendenti.
"Che fai di bello Antonellino?" chiese una signora a un dislessico di cinque anni. E lui: "Be’, mi rompo i coglioncini." Diminutivo per diminutivo la spiazzò con una battuta. Il cervello dei dislessici ha un deficit nell’emisfero della lettura e della scrittura, in compenso pompa quello dell’immaginazione visiva e delle altre percezioni. Nessuno meglio dei dislessici ha una visione d’insieme delle cose. Magari s’incasinano col resto al bar, ma ci danno una pista nei ragionamenti complessi.
Il mio campo visivo, in questo istante, è attraversato da un mercantile liberiano, il "Tawe II". Se Emiliano di Civitavecchia fosse qui con me, sulla torretta petrolifera Rospo Atlantico Uno, e gli chiedessi: "Che cosa vedi?" Probabilmente risponderebbe acqua e stelle, Africa e Europa, luna e pesci volanti. Nel mio cervello sta passando un mercantile, nel suo l’architettura dell’Universo. Non sono un pediatra o un neurologo. Non ho titoli né competenze in
materia. Apro la finestra e guardo, la chiudo e scrivo. Nient’altro. E quando passa un dislessico m’inchino come fecero le stelle quando nacquero Einstein e Leonardo Da Vinci, Van Gogh e Michelangelo, Giulio Verne e Walt Disney, Picasso e Lewis Carroll. Erano tutti Alice nel paese delle meraviglie, da piccoli. Dislessici. Come oggi la maggioranza
degli scienziati del Massachusetts Institute of Tecnology. Una volta, in America, girava questa battuta: "Devi farti operare? Mi raccomando, accertati che il tuo chirurgo non sappia fare lo spelling!" Questo avevo detto, pressapoco, alla radio. Se il mio cervello imbocca una delle solite autostrade del pensiero, e fila dritto verso la meta, il loro s’inerpica su terreni impervi, hanno menti da cross, s’impennano, guadano gli acquitrini, precipitano ridendo dai
dirupi, scompaiono in una selva, e poi, quando ormai li abbiamo dati per dispersi, ce li ritroviamo in sella un chilometro avanti: "Ma come c’è arrivato?"
Hanno un dono. La fantasia rutilante, la percezione delle cose, l’intuito incandescente, sono i poeti della matematica, quelli che sentono il cambiamento nell’aria, gli "I feel change in the air". John Kennedy, se non fosse stato dislessico, forse non avrebbe accennato a una nuova frontiera nel suo discorso di accettazione alla candidatura, e tantomeno che l’America aveva bisogno di una guida, non di un venditore. Anche Churchill era una guida, Giulio Cesare e Napoleone. Condottieri dislessici. I venditori, in politica, non sono mai dislessici, sono sicuri di sé. Bisognerebbe prestare fiducia a chi si smarrisce, invece che ai pifferai, ma questo i popoli lo capiscono dopo,
dal fondo di un burrone, ed è l’handicap della storia.
Negare che la dislessia possa rappresentareunhandicap, però, sarebbe sciocco. Se inchiodi alla lavagna un bambino dislessico finché non scrive e legge da "bambino normale", è come se avessi inchiodato alla parete della classe una
sgargiante farfalla, tutti la possono vedere, ma come puoi pretendere che voli? Avevo un compagno all’università che, per mandare a memoria il codice civile, aveva tappezzato la casa di Post-it. Non funzionò. Aveva unamenteda tango, tamuré, tip-tap, milonga, e lui pretendeva che danzasse il ballo del qua-qua. Un cervello alla Buenos
Aires di un dislessiconon lo tieni fermo in uno stazzo delle Langhe. Se ne andrebbe per colline, come Pavese, a sognare mari del Sud. I buoni maestri lo sanno. Gli allungano calcolatrici e programmi di scrittura, audiolibri e nuove
tecnologie. E il dono si rivela.
Come dissi una volta adAntonello, lo dico anche a te, Emiliano di Civitavecchia: non crederci, se ti fanno sentire tonto perché nei compiti sei lento. Solo un maestro mediocre, o dei bulletti ciucci e senza fantasia, possono umiliarti.
Spiegalo tu ai professori che hai semplicemente un modo diverso d’imparare. Non ti arrendere. E scrivimi la tua prima e-mail, da solo. Batti sui tasti la tua identità:
    "Emiliano è eccezionale".

Jack Folla

l’Unità del 20 novembre 2008

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *