cinema

Premio InediTO

2023

il PREMIO INEDITO COLLINE DI TORINO è alla sua ventiduesima presentazione.
Il concorso letterario talent scout, punto di riferimento in Italia, è dedicato alle opere inedite in lingua italiana e a tema libero, ed è l’unico a rivolgersi a tutte le forme di scrittura: poesianarrativasaggisticateatrocinema e musica.
Possono partecipare autori già affermati o esordienti, di ogni età e nazionalità. Il premio, organizzato dall’associazione culturale Il Camaleonte di Chieri (TO) e diretto dallo scrittore Valerio Vigliaturo.
Il Comitato di Lettura è presieduto dal poeta Valentino Fossati, la Giuria dalla scrittrice Margherita Oggero, e ne fanno parte: Milo De Angelis, Mia LecomtePiersandro PallaviciniUbah Cristina Ali FarahAndrea Donaera, Giulia MuscatelliFederico Vercellone, Susanna MatiRoberto Latini, Lisa Ferlazzo NatoliLaura Muscardin, Marco BoniniFausto (Coma Cose) e dai vincitori della passata edizione.
Il Premio sostiene e accompagna i vincitori delle varie sezioni, senza abbandonarli al loro destino, verso il mondo dell’editoria e dello spettacolo, attraverso il montepremi di 8.000 euro destinato alla pubblicazione, promozione e produzione delle opere, e i premi speciali “InediTO Young” destinato agli autori minorenni e “InediTO RitrovaTO” a un’opera inedita di uno scrittore non vivente (conferito nelle passate edizioni a Primo Levi, Alfonso Gatto, Italo Svevo e Alessandro Manzoni).

Per il bando consultare il sito: www.premioinedito.itinfo@premioinedito.it
LEARN MORE – 3336063633

STAFF COMUNICAZIONE PREMIO INEDITO COLLINE TORINESI
eventistampa@gmail.com
cell 3334309709

La scadenza del bando Premio InediTO – Colline di Torino – 22° edizione è stata prorogata al 4 febbraio 2023

Rome international Documentary Festival

24-30 Settembre 2022

Cinema delle Province, Viale delle Province 41 Roma

Sono state selezionate le dieci opere documentarie, tutte realizzate nel biennio 2021-22, che concorreranno al Rome International Documentary Festival (RIDF), in programma dal 24 al 30 settembre al Cinema delle Province, a Roma. La manifestazione, alla sua prima edizione, si propone di festeggiare il cinema documentario e fornire occasioni di ispirazione e crescita per tutti coloro che amano questo genere cinematografico. Un evento unico nella Capitale, che prevede una serie di proiezioni, incontri e masterclass, e che, rivolto principalmente al grande pubblico, funge da volano per produzioni e diffusioni future.
Saranno cinque i film italiani in competizione: Erasmus in Gaza di Chiara Avesani e Matteo Delbò; Kristos, l’ultimo bambino di Giulia Amati; La dernière séance di Gianluca Matarrese; Dear Mama di Alice Tomassini e Oltre le rive di Riccardo De Cal. L’altra metà dei prescelti si dipana invece su un articolato panorama internazionale: Charm Circle di Nira Burstein (USA); Once upon a time in Uganda di Cathryne Czubek (USA/Uganda); Les enfants terribles di Ahmet Cupur (Turchia/Francia); Ultraviolette et le gang des cracheuses de sang di Robin Hunzinger (Francia) e After a revolution di Giovanni Buccomino (UK/Libia)
Una scelta accuratamente ragionata dal comitato di selezione del festival, composto da Maud Corino, Sabrina Varani e Giacomo Ravesi, insieme a Leonardo Magnante, Arianna Vergari Arianna Calogero, Souhelia Soula, Francesco D’Asero, e ai due direttori artistici, Emma Rossi Landi Christian Carmosino Mereu, che così commentano: “La prima edizione del RIDF parla di relazioni. Nella ricerca di quei dieci film che rappresentassero la nostra idea di documentario, che fossero creativi, cinematografici e narrativi, il tema delle relazioni si è imposto in modo centrale. Sono le relazioni che ci sono mancate nei due anni di pandemia. Sono le relazioni che scolpiscono e scandiscono il tempo delle nostre esistenze. È il bisogno dell’altro, che ci contraddistingue come specie, che negli intrecci che creiamo determina il significato e la qualità della nostra presenza sulla terra. Raccontare le relazioni è di solito una sfida per il documentarista. Seguendo la vita vera, ci vuole tempo, spazio, fiducia perché le relazioni umane e le emozioni che scatenano riescano a fluire naturalmente davanti ad una camera. Che sia esso ambientato in guerra, o in situazioni sociali estreme, o che si svolga nel buio di una camera da letto, quello che a nostro avviso contraddistingue un buon film documentario è proprio questo: che la visione ci faccia emozionare, che ci permetta di vivere nei panni di qualcuno che ha un sentire lontano dal nostro. Un buon film documentario secondo noi esprime una poetica, un punto di vista, una visione del mondo e arriva a raccontare le persone e le loro storie dall’interno.”
I dieci lungometraggi, ognuno a modo proprio, parlano di famiglia, di coppia, di amicizia, di sesso, di solitudine. Un focus improntato sulle relazioni e i loro sgretolamenti, le moltiplicazioni, le frammentazioni, sui legami che si riversano sul territorio, che rispecchiano la Storia e la società, su amori impossibili, tensioni e connessioni tra fratelli, genitori e figli, vite plasmate dalla mancanza dell’altro. Dieci racconti intensi che delineano un affresco multicolore di cosa significhi essere umani.

Rome International Documentary Festival è realizzato da Docfest srls in collaborazione con DAMS Roma Tre, CSC, Comune di Roma, Doc/it, AAMOD, Augustuscolor e Zalab.

Sito ufficiale: www.ridf.it 

Festival del Documentario di Roma

Scade il 15 giugno il bando per iscriversi al primo
ROME INTERNATIONAL DOCUMENTARY FESTIVAL

La rassegna si terrà a Roma dal 24 al 30 settembre al Cinema delle Provincie
In palio premi in denaro e uno speciale premio AAMOD in materiali d’archivio

Mancano pochi giorni alla scadenza delle iscrizioni al Rome International Documentary Festival, il festival del cinema del reale che vuole diventare per la Capitale un punto di riferimento significativo. La prima edizione si terrà al Cinema delle Provincie di Roma dal 24 al 30 settembre 2022. Sono ammessi documentari creativi con un tempo minimo di 45 minuti. Le candidature, aperte fino al 15 giugno, potranno essere inviate all’indirizzo  https://filmfreeway.com/RomeInternationalDocumentaryFestival

Il festival, diretto da Emma Rossi Landi e Christian Carmosino Mereu, vedrà concorrere documentari  italiani e internazionali scelti tra le migliori proposte dell’anno: in palio ci saranno premi in denaro e ulteriori riconoscimenti, tra cui uno speciale premio in materiali d’archivio concessi gratuitamente dalla Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (AAMOD). Alle proiezioni si aggiungeranno incontri con gli autori, masterclass, e occasioni di scambio tra professionisti.

Dopo l’esperienza passata come direttori artistici del Mese del Documentario alla Casa del Cinema – afferma Rossi Landi – abbiamo concepito il RIDF come ulteriore strumento di valorizzazione del cinema documentario e come occasione di ispirazione, riflessione e crescita per tutti coloro che realizzano e amano questo genere cinematografico. Puntiamo a creare un evento indimenticabile che celebri il cinema documentario e che funga da volano per produzioni e diffusioni future, restando rivolto al grande pubblico.

La qualità del cinema del reale italiano è salita vertiginosamente nell’ultimo decennio – continua Carmosino – così come la curiosità e l’apertura del pubblico italiano verso documentari sia italiani che internazionali. Film significativi e coinvolgenti hanno vinto grandi festival, sono stati distribuiti in sala, sono arrivati ad entusiasmare il grande pubblico. Ma la possibilità di vedere in sala i migliori documentari resta comunque limitata e a Roma manca da troppo tempo un festival interamente dedicato al documentario. Attraverso il RIDF puntiamo a far diventare Roma un punto di riferimento stabile per chi realizza e/o ama il documentario in Italia.

Il festival si avvale di un comitato artistico di eccezione formato da Mariangela BarbanenteMarco BertozziLeonardo Di Costanzo, Federica Di Giacomo, Agostino FerrenteGustav HoferAlina Marazzi, Michela Occhipinti, Enrico Parenti, Costanza Quatriglio, Luca RagazziGianfranco Rosi Andrea Segre.

Il festival è realizzato da Docfest srls, in collaborazione con Zalab e con il patrocinio di Doc.it

Maggiori informazioni sul sito ufficiale:
www.ridf.it
Infoline: info@ridf.it – +39 347 8355074

Dove sta andando il western?

di Sergio Tardetti

Riflessioni a margine della visione di “I segreti di Brokeback mountain
Entrato nella sala cinematografica per assistere alla proiezione del film “I segreti di Brokeback mountain”, ne sono uscito con molte meno certezze. Il fatto è che i rassicuranti stilemi del cinema classico hollywoodiano degli anni ’40 e ’50 del secolo scorso si stanno vistosamente incrinando sotto i robusti colpi di registi che, pur attingendo ai cospicui budget e al supporto tecnico della grande fabbrica del cinema made in USA, riescono tuttavia a mantenerne adeguatamente le distanze. Figure di professionisti internazionali campeggiano sulla scena dei teatri di posa, directors di successo, che nulla hanno a che vedere con tante pallide ombre di registi del cinema classico, quando dominava incontrastata la temutissima personalità del produttore. Egli rappresentava allora una divinità incostante e perennemente adirata, la cui parola era legge, anche quando esigeva sacrifici narrativi o stilistici da parte del direttore del film, relegato al rango di maestranza tra le maestranze. Il produttore, a sua volta, si inchinava ad un solo padrone: il profitto. Il suo potere smisurato era tale da decretare successi e fallimenti di sceneggiatori, attori e registi che, provenienti da altri campi, quali la letteratura e il teatro, osavano avventurarsi per la prima volta, indifesi e senza una adeguato bagaglio di competenze, nel labirinto degli studios, scegliendo la macchina da presa come strumento di narrazione. Ne seppe qualcosa Scott Fitzgerald che, sebbene preceduto dalla sua fama di autore di successo, riuscì a collezionare solo una lunga serie di insuccessi come sceneggiatore, salvo cogliere poi una vendetta postuma con “Gli ultimi fuochi”, descrivendo a forti tinte, e quasi demonizzandolo, l’intero ambiente del cinema e la figura dell’onnipotente produttore Irving Thalberg.
La memoria corre ai tempi in cui il cinema – specie negli anni ’40 e in gran parte degli annui ’50 – proponeva al pubblico, che allora accorreva veramente in massa nelle sale, storie dai contorni nitidi, dove il bianco era bianco, il nero era nero. Personaggi a tutto tondo, senza sfumature, identificabili da parte dello spettatore perfino attraverso l’abbigliamento, campeggiavano sul set di film dai generi più disparati, dalla commedia al musical, dal western al noir, dal film di guerra a quello d’avventura, dal film in costume al melodramma. Fu proprio in quest’ultimo genere che cominciarono a comparire personaggi dalla personalità più sfumata, con contorni meno netti: il fatto è che il melodramma attingeva ad ampie mani dalla vita di tutti i giorni, ne era, in qualche modo, uno “specchio”, nel quale la vita si rifletteva con tutte le sue incoerenze e le sue possibilità. Nel frattempo – alla fine degli anni ’50 – la stessa evoluzione, da molti vista piuttosto come una involuzione, era entrata prepotentemente nel genere western, quel genere che sembrava allora più stilisticamente consolidato, con attori che avevano, nell’immaginario collettivo, assunto le sembianze del “buono” e del “cattivo” in maniera indelebile.
Ma questi generi e queste certezze non rientravano nel bagaglio culturale della X- generation, la generazione confusa e smarrita degli anni ’70, per la quale i richiami ai valori espressi dal cinema di papà non avevano più senso. Al loro posto subentravano altri generi, di identico significante ma di diverso significato, con nomi usati più per convenzione che per connotazione. Il western, a parole, restava ancora ad occupare lo schermo con le sue storie, in cui di classico c’era rimasta solo l’ambientazione nei grandi paesaggi della “frontiera”, ma, nei fatti, dei personaggi che lo animavano poco o nulla era rimasto. La commistione tra desiderio di classicità e volontà di innovare è forse rappresentata al meglio da “Butch Cassidy”, interpretato da Robert Redford e Paul Newman, che, con i suoi fuorilegge romantici colpisce l’animo dello spettatore più intransigente, fino al punto di parteggiare per questa coppia di rapinatori sempre in conflitto con le leggi di tutti i paesi. La realtà delle cose è che lo spettatore stesso appare confuso, circondato da un mondo in rapida e continua evoluzione, in cui nulla è certo e stabilito per sempre, tutto si trasforma rapidamente sotto i suoi occhi e diventa inafferrabile e non interpretabile. E se si accetta l’idea che il cinema, come ogni forma di espressione artistica, si rispecchia nel suo tempo e ne è figlio, si riesce a percepire inizialmente ed a comprendere poi quello che sta accadendo sullo schermo, sotto i nostri occhi aperti ed attenti a cogliere ogni nuova sfumatura che una storia narrata per immagini è capace di proporre. Butch Cassidy e Sundance Kid non possono che essere amati, universalmente, perché raccontano, attraverso una storia che appartiene ad un genere ma che allo stesso tempo ne è fuori, lo smarrimento dello spettatore, quando, fuori della sala, si trova ad interpretare quotidianamente il suo “ruolo” nel mondo reale in cui agisce. E sono amati al punto che la lacrima che ognuno di noi sta per versare sul loro tragico destino rimane sospesa come il fermo fotogramma su cui scorrono i titoli di coda: Butch e Sundance escono dalla storia, quella ordinaria e quotidiana, per entrare nella leggenda senza tempo.
E così giungiamo ai giorni nostri, giorni nei quali tutto ciò che sembrava ancora resistere all’usura del tempo è messo severamente in discussione. Intanto il genere western, se così ha ancora senso chiamarlo, ha attraversato una stagione infelice ed oscura, relegato a produzioni di serie B, realizzate con poca spesa ed ancor meno arte (è un caso a parte la felice ed eccezionale parentesi del cinema di Sergio Leone, che innova vigorosamente gli ultimi stilemi residui) ed approda fortunosamente al giorno d’oggi. A renderne opaca l’immagine hanno contribuito senz’altro mega produzioni fallimentari come “I cancelli del cielo”, che hanno segnato, oltre che uno dei punti più bassi nella storia del genere, anche la pressoché totale uscita di scena di promettenti autori, come ad esempio Michael Cimino, del quale si sono perse praticamente le tracce a partire da quel clamoroso fiasco.
Mi sto ancora chiedendo perché occorresse un regista, anzi un “autore” a tutti gli effetti, così distante dalla cultura della “frontiera” e dei cow boys, per riportare sugli scudi un genere tanto amato prima e tanto disprezzato e bistrattato poi. Il fatto è che Ang Lee, oltre ad essere un grande narratore di storie per immagini, come del resto sta a sottolineare la sua produzione precedente, è anche depositario di una cultura quale quella orientale, nella quale le tinte sfumate e le filosofie sobrie predominano sui tratti marcati e le interpretazioni dionisiache della realtà e della vita. Questo, già di per sé, può valere come risposta: la lettura che danno del mondo gli occhi di Ang Lee è quanto di più moderno e razionale possa essere proposto oggi. Moderno in quanto la modernità, a mio parere, non è tanto un’etichetta buona per incasellare il tempo che sfugge ad ogni delimitazione in epoche e stagioni, quanto piuttosto un modo di rapportarsi con la realtà che ci circonda, assecondandone le dinamiche e contribuendo, pur nel ristretto ambito della propria personale esistenza, a rendere meno conflittuale il rapporto con l’ambiente nel quale viviamo. Razionale perché assumere la razionalità come propria guida nell’attraversare l’esistenza contribuisce ad aprire gli occhi e la mente anche a fenomeni e realtà che sono spesso difficili da comprendere ed accettare. Ecco spiegata, a mio parere, la delicatezza con la quale viene affrontato un tema scabroso e poco omogeneo alla nostra società, ancora eccessivamente impregnata di fondamentalismi di ogni genere. L’autore non ignora di contribuire con forti colpi di piccone alla demolizione delle ultime vestigia di un mondo che non appartiene più all’immaginario collettivo contemporaneo, ma è altrettanto consapevole di costruire sopra queste macerie, e per mezzo di esse, una nuova visione ed un nuovo significato per un genere diventato da tempo troppo marginale nel panorama della produzione cinematografica. Chi vorrà cimentarsi in storie ambientate sotto i grandi cieli del Montana o del Wyoming, non potrà ignorare facilmente la nuova visione del mondo del western che è proposta da questo film e da questo autore.

Festival di film della Villa

Cinema e arte contemporanea

L’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici e il suo direttore Sam Stourdzé danno avvio al Festival di Film della Villa, nuovo festival di cinema dedicato agli artisti e ai cineasti che esplorano le pratiche contemporanee dell’immagine in movimento. La prima edizione si terrà a Roma, a Villa Medici, da mercoledì 15 a domenica 19 settembre 2021.

Da oltre un decennio, i contatti tra cinema e arte contemporanea non cessano di intensificarsi e di stimolare nuove scritture cinematografiche. Il ruolo di Villa Medici è di fare dialogare le arti e di esplorare questi nuovi territori della creatività. Il festival metterà in mostra film che inventano una propria forma e che incarnano una libertà di pensiero, di ricerca e di condivisione come tanti sguardi personali sul mondo. 

Saranno presentati in competizione internazionale circa quindici film, di ogni formato e genere (documentario, fiction, saggio), realizzati nel 2020 o nel 2021. Saranno assegnati due premi da una giuria nominata annualmente: il Premio Villa Medici del miglior film e il Premio della Giuria per un film particolare che ha attirato l’attenzione della giuria. Questi premi, in denaro, offriranno inoltre l’opportunità ai due autori o autrici di svolgere una residenza di scrittura cinematografica a Villa Medici.

Per cinque giorni questo nuovo festival presenterà inoltre proiezioni serali all’aperto nei giardini della Villa, performances e installazioni, focus su cineasti o artisti affermati, cartes blanches alle istituzioni che difendono la creazione contemporanea, incontri sui film proiettati, ma anche su tematiche relative alla produzione e alla diffusione, riunendo programmatori, curatori, galleristi e collezionisti.

Il festival si svolgerà negli spazi di Villa Medici con due sale interne, un cinema all’aperto, delle installazioni e dei luoghi di incontro, per fare di questo sito straordinario di Roma una vetrina dedicata al cinema. Il suo coinvolgimento all’interno del territorio culturale italiano si concretizzerà, in uno spirito di collaborazione, in partenariati con le principali istituzioni come il Romaeuropa Festival, la Festa del Cinema di Roma e il MAXXI.

La pandemia ha immerso nel buio gli schermi di tutto il mondo per molti mesi; il prossimo settembre, a Villa Medici, ripartiremo alla ricerca di nuove narrazioni, quelle che favoriscono ancora e sempre la poetica delle immagini.

Sito web ufficiale: villamedici.it