Gianni Giovannelli

Gaza e la clementina Orri


di Gianni Giovannelli

L’arma che uccide, da quando è diventata
un prodotto industriale, si rivolta contro l’umanità,
e il soldato di professione non sa più
di quali aspirazioni egli sia lo strumento.

Karl Kraus
(Gli ultimi giorni dell’umanità, Adelphi, 1980, pag.184)

Mercoledì 14 maggio 2025, Milano, Piazza Martini: è giorno di mercato, frotte di persone camminano fra le bancarelle guardano, parlano, chiedono, esitano, a volte comprano. In quello stesso giorno l’esercito israeliano ha bombardato il campo profughi di Jabalya, il più grande degli otto esistenti nella striscia. In 1400 metri quadrati, dentro tende e baracche, ai margini della città, ci abitano in 116.011, registrati da UNRWA nel 2023; la città vicina ne conta invece 82.877. L’area del campo, già nel XIV secolo, era celebre per la fertilità della terra e per gli agrumeti. Senza difesa, colpiti dalle armi che piovevano dal cielo, sono morti almeno in settanta, di cui 22 bambini. Il giorno prima era stato distrutto l’ospedale del campo di Khan Younis (6 morti); il giorno dopo sarebbe toccato ad altri 115, uccisi dall’alto, all’alba. Nella striscia l’esercito israeliano ha distrutto il cibo, cancellato ogni traccia di agrumeto insieme alle case.

La frutta al mercato

Mentre i palestinesi senza cibo muoiono sotto i colpi dell’occupante, ormai privo di qualsiasi remora o pietà per le vittime, nelle bancarelle di Piazza Martini si vendono molte varietà di frutta o verdura. Molti fra i lavoratori che servono i clienti vengono dai paesi del sud mediterraneo, sono tunisini, egiziani, marocchini, sono nati e cresciuti accanto ai palestinesi, non possono non fraternizzare, condividono, come è naturale, la loro sofferenza. In maggio la stagione dei mandarini (con i semi) e delle clementine (senza semi) può dirsi giunta a conclusione, inizia a novembre, dopo i primi giorni di aprile anche la specie tardiva non si trova più. Eppure tutti i banchi hanno in bella vista le clementine, con un bel colore, una buccia invitante, il pezzo aperto in mostra appare morbido, succoso, senza semi; il prezzo è tuttavia più alto, per quanto si sia al mercato mai sotto i quattro euro al chilo, spesso di più. Viene spontaneo chiedere e così imparo che il paese di origine è Israele.

La Clementina Orri

Dopo essermi documentato spiego l’arcano. Si tratta di un ibrido che la genetista Aliza Vardi (1935-2014) ha creato nei laboratori dell’Istituto di Ricerca Agricola Volcani. Si chiama Cultivar Orah (oppure Orri in commercio), il Ministero dell’agricoltura israeliano lo ha brevettato negli USA il 4 marzo 2003 (PP13616) e ha ottenuto la certificazione UE nel 2013, ottenendo la licenza in esclusiva per questo prodotto di laboratorio e natura. La caratteristica di Orri è proprio quella di essere disponibile quando gli agrumi similari hanno chiuso il ciclo; Israele condivide l’affare con la multinazionale spagnola Genesis Innovation Group (AM Fresh Group) e chiunque si mettesse in mente di piantarlo altrove deve pagare i diritti. La legge spagnola (a garanzia dell’accordo) punisce con il carcere chi non rispetta l’esclusiva; un contadino valenciano si è beccato una multa oltre a 31 giorni di carcere per coltivazione abusiva di Orri. Di fatto Israele (con la multinazionale spagnola) ha il monopolio; usa le leggi europee per conservare l’esclusiva ma al tempo stesso distrugge gli agrumi palestinesi infischiandosene della normativa internazionale che dichiara di non riconoscere. Per uno strano scherzo della storia l’Istituto Volcani fu creato nel 1921 da Itzhak Elazari Volcani, un sionista nato in Lituania, emigrato in Palestina nel 1908 per sfuggire ai pogrom, socialista e collettivista, morto nel 1955, avversario fierissimo della destra nazionalista israeliana. Torniamo ora in Piazza Martini.

Discussione in piazza

La reazione nasce spontanea dopo aver saputo la provenienza del frutto: se viene da Israele non compro le clementine! Nasce subito una discussione animata davanti alla bancarella. Una signora interviene per prima: non ti piacciono perché ci sono i pesticidi velenosi? No! Non è per quello, non riuscirei a mangiare sapendo che è merce sporca di sangue. Il ragazzo al banco guarda sorpreso, non se lo aspettava, si sente coinvolto, pare quasi commosso. Vi capisco, avete ragione, dice, io sono qui per lavorare, vendo quello che mi dicono di vendere, ma avete ragione, non bisogna dare soldi a Israele, li usano per uccidere, per rubare la terra ai palestinesi. Si guarda intorno, teme orecchie ostili, ha paura di essere mandato via, poi sorride, approva. Intorno a Piazza Martini ci sono caseggiati popolari in cui abitano molte famiglie di immigrati, la solidarietà per il popolo di Gaza si respira nell’aria. Ci saranno sicuramente nel crocchio che si è formato sostenitori di Israele, o magari anche razzisti e perfino popolani resi ciechi dal rancore, dal bisogno, dal malessere sociale. Tuttavia tacciono vergognosi, consapevoli di essere in minoranza. Diventa un coro di voci indignate, di protesta convinta, di condanna della strage quotidiana di cui si stanno macchiando le truppe israeliane. Cade il silenzio indifferente, si incrina, sia pure (purtroppo) per poco, l’omertà complice che consente l’attuazione sistematica del genocidio a poca distanza dalle nostre abitazioni, sull’altra costa del Mediterraneo.

Un massacro finanziato

Il governo italiano manda/vende (poco cambia) armi usate per la strage continua. Il governo israeliano distrugge gli agrumeti dei palestinesi e coltiva, anche nei campi espropriati illegalmente, i frutti che vende nei paesi europei, usando il profitto (e i proventi di licenze concesse) per finanziare il massacro. I coloni che incassano il corrispettivo della Clementina Orri sono gli stessi che, protetti dall’esercito, bruciano case e campi dei contadini palestinesi. Intanto ai profughi della striscia viene tolto ogni sostegno alimentare, si impedisce con le armi l’arrivo di acqua, energia, medicine, vestiti. I paesi dell’Unione Europea, pronti a riarmarsi e a sottrarre fondi al welfare per costruire la guerra, assistono senza reagire. Non solo mandano strumenti di morte, non solo evitano sanzioni economiche, si guardano bene perfino dal disporre misure diplomatiche dissuasive, anche minime, come l’espulsione degli ambasciatori del genocidio. L’attuale ambasciatore israeliano a Roma, l’ufficiale dell’aeronautica Jonathan Peled, si dichiara assai soddisfatto della posizione assunta dal governo italiano e sostiene (come in fondo naturale) l’operato del governo in carica, compreso il blocco degli aiuti umanitari a Gaza. Un governo presieduto da chi dovrebbe essere arrestato, in quanto criminale di guerra, ove decidesse di visitare il paese amico!

Reagir bisogna

La specialista addetta alla comunicazione per UNICEF, Tess Ingram, nell’intervista rilasciata il 19 gennaio 2024, aveva rilevato che nei 105 giorni precedenti, durante l’invasione e il quotidiano bombardamento della popolazione nella striscia di Gaza, erano nate/i oltre 20.000 bambine/i. Il 2 aprile 2025 l’associazione Save the Children ha riferito che in media, senza ospedali e senza aiuti, nascono ogni giorno a Gaza 130 nuove creature (sono oltre 47.000 in un anno). Una resistenza e una resilienza incomprensibili per chi, come Trump, vorrebbe trasformare Gaza in una seconda Sharm El Sheikh. Tuttavia i soldati israeliani non desistono, perseguono il loro disegno omicida. È giunto il tempo di rompere il muro del silenzio, di fermare la strage. Di restituire la Clementina Orri al mittente rifiutando ogni complicità.

Cantava Rudi Assuntino: o forse si aspetta/la rossa provvidenza/per cui gli altri decidono/e noi portiam pazienza.


NOTA
Si veda, a questo proposito, la rete BDS – Boicotta, Disinvesti, Sanziona.




L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 22 maggio 2025


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Sicurezza per decreto: le nuove vie del diritto nel tempo del dispotismo europeo

La nobiltà, dicono i nobili
è l’intermediaria fra il re e il popolo.
Sì! Come il cane da caccia è l’intermediario
fra il cacciatore  e le lepri.

Chamfort

 (Prodotti della civiltà perfezionata, Boringhieri, 1961, pag.121)

di Gianni Giovannelli

Mancano dati precisi e censimenti puntuali, ma si calcola che in Italia gli immobili occupati siano circa 50.000, da suddividere in 30.000 pubblici e 20.000 privati. Questo almeno è il risultato di un sommario censimento di Federcasa e Nomisma, con una elaborazione dei rilievi disponibili nel 2021 e in qualche modo aggiornati per proiezione al 2024. Ovviamente non si possono appiattire in unico segmento realtà sociali molto diverse fra loro, ma, considerando i nuclei abitativi che di fatto si insediano in questi stabili riteniamo che oggi gli occupanti (italiani o stranieri, maggiorenni o minorenni, maschi o femmine) siano intorno a duecentomila unità. Bisogna aggiungere poi la vasta platea che, per vari motivi, ha ricevuto disdetta contrattuale, notifica di sfratto esecutivo, avviso di sloggio. Questa moltitudine di soggetti fragili, spesso privi di reddito e di risorse per sopravvivere dignitosamente, è destinataria di un provvedimento varato dal Governo Meloni ai sensi dell’art. 77 della Costituzione e dell’art. 15 L. 3.8.1988 n. 400: il requisito che consente il decreto consiste nella oggettiva necessità di intervenire senza approvazione delle due Camere per oggettiva e accertata urgenza, di carattere straordinario e improrogabile.
Stiamo parlando del c.d. decreto sicurezza (11 aprile 2025 n. 48), firmato dal Presidente Mattarella, pubblicato in Gazzetta Ufficiale e già esecutivo (in attesa di ratifica successiva blindata dalla fiducia, entro il 10 giugno, ad opera di deputati e senatori che certo non porranno ostacoli alla conferma del provvedimento, disponendo l’esecutivo di una solida maggioranza). Come noto la medesima materia era in discussione nei due rami del Parlamento sotto forma di un – governativo – disegno di legge ordinaria (S 1236 – C 1660); dopo l’approvazione della Camera già il 18 settembre 2024 il testo era al vaglio del Senato, ma in stato di fermo sostanziale per via di un evidente rischio di anticostituzionalità che caratterizzava numerosi passaggi del testo in esame. Si veda il commento al disegno di legge pubblicato da Effimera nel gennaio 2025, cui rimandiamo  per brevità, posto che il contenuto del disegno assai poco si discosta dal decreto. Ci preme ora sottolineare tre questioni che a nostro avviso rivestono particolare importanza, senza tuttavia nasconderci la gravità complessiva del provvedimento, articolato in più passaggi dispotico-repressivi che richiederebbero trattazione ampia per ogni capo introdotto. La prima questione è di metodo (la forma di decreto urgente), ma di un metodo che si concreta in sostanza apertamente eversiva dell’ordinamento vigente. Le altre due  questioni toccano la vita quotidiana e sociale, criminalizzando minoranze che pur essendo indubbiamente tali sono pur sempre numericamente piuttosto consistenti e soprattutto politicamente deboli, prive di rappresentanza, fragili. Le due questioni sono l’occupazione di case (cui abbiamo accennato in apertura) e la c.d. cannabis light.

Prima questione: l’uso consapevolmente abnorme del decreto legge in materia penale
In via eccezionale l’art. 77 della Costituzione consente al governo di emanare provvedimenti immediatamente esecutivi, senza approvazione del Parlamento, quando ci si trovi di fronte a casi davvero straordinari di necessità e di urgenza; l’art. 15 della legge 400/1988 regola (meglio: dovrebbe regolare e invece nessuno la prende in considerazione) l’istituto eccezionale del decreto. Il primo comma dell’art. 15 impone di indicare subito, già nel preambolo, e con chiarezza, quali siano esattamente le circostanze straordinarie di accertata necessità e urgenza che possano giustificare l’adozione del decreto. E, a seguire, la norma vuole che vi sia un contenuto specifico omogeneo corrispondente al titolo. L’arroganza del potere ha questa volta superato ogni limite di decenza: il preambolo, dopo un generico richiamo alla prevenzione del terrorismo (primo capo del decreto, senza che si comprenda dove stia l’urgenza contingente) propone (sinteticamente e senza spiegazioni) nuove disposizioni in materia di sicurezza urbana (articoli da 10 a 18, l’intero capo II che porta questo titolo)In questo capo secondo sono state inserite modifiche al codice penale, in particolare riferite alle sanzioni a carico di chi sia coinvolto nelle occupazioni di immobili (non solo case) e di chi faccia commercio o uso di prodotti c.d. cannabis light. Le pene, come vedremo più sotto, sono pesantemente aggravate (per gli occupanti) e perfino introdotte con previsione di un reato fino a poco prima inesistente: si prevedono anni di carcere! La Corte Costituzionale con la sentenza n. 364 del 1988 (estensore Renato Dell’Andro, un cattolico moderato allievo di Aldo Moro e in passato anche sindaco di Bari) ha dichiarato non conforme alla Carta l’art. 5 del codice penale, ovvero la norma (fascista, codice Rocco) che escludeva quale esimente la mancata conoscenza di un divieto penalmente sanzionato; quando, per circostanze di tempo o per modalità di comunicazione, sia impossibile avere consapevolezza di commettere un reato o quali possano essere le sanzioni, l’articolo 5 non deve trovare ingresso o quanto meno non può essere di ostacolo a forme attenuate. Ogni legge ordinaria contiene un periodo (chiamato vacatio legis) di 15 giorni, successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, per rendere nota la disposizione; per questo l’uso del decreto (di immediata applicazione) in materia penale solo di rado è reperibile nel nostro ordinamento. Nel nostro caso poi, e questo davvero costituisce uno scandalo istituzionale, l’intero capo secondo era già contenuto, quasi identico, nel disegno di legge precedente. I deputati lo avevano approvato sei mesi or sono, il 18 settembre 2024; giaceva in Senato senza che nessuno (nessuno!) avesse sollevato questioni di urgenza improrogabile. In questi mesi non è accaduto nulla di nuovo: dunque la stessa maggioranza confessa con il proprio comportamento in aula che non c’erano i presupposti per la decretazione. Ma il governo, diviso in fazioni sul da farsi e timoroso di interventi imbarazzanti da parte della Consulta, ha rotto ogni indugio; con questo decreto sottrae a quel poco che resta del Parlamento l’esame e impone con azioni concludenti vie di fatto estranee al nostro normale funzionamento ordinamentale. Non solo mancano in concreto i necessari presupposti di urgenza improrogabile ma neppure si provvede a difendere la forma: il preambolo (in particolare quello del titolo secondo sulla sicurezza urbana) neppure sente il bisogno di inserire una qualunque giustificazione tecnica dello strumento, asfalta la norma costituzionale, avvisa i sudditi che il potere non intende accettare limiti e vara la transizione giuridica verso il dispotismo democratico, anche in Italia come già in Europa sul tema degli armamenti. La firma apposta dal Presidente Mattarella è di enorme gravità, è una coltellata inflitta alla schiena dello stato di diritto liberaldemocratico, non ancora mortale e tuttavia così profonda da lasciare certamente il segno. Colpisce, nella scelta di uno strumento apertamente in contrasto con l’art. 77 della Carta e con la legge attuativa, la evidente consapevolezza di porre in essere una violazione, insieme alla certezza di non incontrare ostacoli: sanno di colpire segmenti minoritari, di poter contare sulla complicità di buona parte dell’opposizione, di avere l’appoggio del rancore sociale e/o della rassegnazione. Hanno ben chiaro il nemico i funzionari del nuovo dispotismo occidentale: la solidarietà. E attaccano, per allargare la divisione fra gli oppressi, singoli segmenti da reprimere a titolo di esempio. Non dobbiamo nascondercelo: è un progetto in pieno percorso di attuazione. Solo riconquistando la solidarietà e l’unità, a qualsiasi costo, sarà possibile costruire forme di contrasto al regime.

 Seconda questione: l’occupazione di case
Duecentomila persone circa vivono in immobili occupati; non sono gli unici a vivere una vita abitativa nella precarietà. I dati forniti dal Ministero e quelli elaborati da ASPESI (l’associazione delle immobiliari) attestano nel 2023 ben 39.373 sfratti (ogni giorno 107), di cui 21.345 eseguiti dalla forza pubblica (59 ogni giorno), cioè gettando letteralmente gli inquilini in strada e portando le loro cose nei depositi comunali (il costo di recupero è tale che le masserizie sono quasi sempre perse in via definitiva). Nello stesso anno le richieste di sloggio cui viene riconosciuta esecuzione coatta sono state 73. 809; inoltre, riferisce ASPESI, il 62% degli inquilini paga la pigione in ritardo (dunque si espone al rischio di disdetta per morosità). In sintesi il problema della casa riguarda circa centomila abitazioni e non meno di 3 o 4centomila esseri umani.
Nella sola Milano ci sono circa 80.000 case vuote, i proprietari pubblici o privati non le usano per i più svariati motivi, di speculazione o di cattiva manutenzione. Sempre a Milano, dopo l’assegnazione a MM della gestione case popolari, le occupazioni abusive sono scese da 1760 (anno 2014) a 511 (nel 2024). Eppure MM lascia sfitti e vuoti 6.059 appartamenti, per ora non occupati e comunque già difesi militarmente. Non basta. La Regione Lombardia con ALER (Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale) ha acquisito, con la legge nazionale 142/1990 e regionale 13.1.1996 il patrimonio edilizio popolare; le 19.534 abitazioni sfitte e inutilizzate di ALER nel 2022 sono divenute 22.496 nel 2023, con aumento di 2962 unità in 12 mesi. Non è certo un segreto: hanno intenzione di svenderle, non certo di assegnarle ai bisognosi. Sfratti e abbandoni convivono, creando una emergenza abitativa che richiede risoluzione. Urgente sarebbe rimuovere ogni ostacolo burocratico e assegnare le case di edilizia popolare ai bisognosi, magari con impegno ad abitarle e a ristrutturarle, previa naturalmente la detrazione dei costi di riparazione dal canone agevolato. Le casse pubbliche non avrebbero oneri aggiuntivi e anzi ci guadagnerebbero. Invece no. Come viene risolta dal decreto questa emergenza? Mandando in malora gli immobili vuoti, sfitti, abbandonati per poi predisporre svendite. Invece di aiutare i poveracci (occupanti o sfrattati per morosità) il progetto è di metterli in strada e/o incarcerarli: questo prevede l’impianto urgente di sicurezza urbana entrato in vigore il 12 aprile 2025.
La pena introdotta dall’art. 10 varia da 2 a 7 anni di galera. Destinatari delle sanzioni carcerarie sono tutti coloro che occupano un immobile altrui (pubblico o privato) o le pertinenze (prati, cortili, casolari, tettoie: tutto!) e impediscono il rientro del proprietario o di chi ne abbia ricevuto legittimo possesso (dunque anche un terzo con un qualsiasi titolo contrattuale ricevuto dalla proprietà). La legge chiede solo che vi sia un domicilio del proprietario (o da lui designato), ipotesi assai più ampia del concreto uso abitativo; molto spesso si prende domicilio in luogo diverso da quello in cui si vive realmente. Non basta. Si vuole abbattere ogni possibile rete di sostegno politico, sindacale, associativo, mutualistico; la stessa pena (da 2 a 7 anni) si applica pure a chi in qualunque modo si intromette o coopera per favorire o agevolare l’occupazione. I comitati di quartiere a sostegno degli occupanti sono diventati dal 12 aprile 2025 strutture criminali, e per i singoli soggetti partecipanti si aprono processi penali e concrete prospettive di non breve reclusione. Per chi collabora e ottempera al rilascio (si arrende, si dissocia, si pente, desiste, si consegna) è prevista tuttavia l’impunità. Il procedimento prevede la querela di parte: questo fornisce alla proprietà un formidabile strumento di pressione per piegare le resistenze (ma si procede invece d’ufficio per gli immobili pubblici). La norma punisce non solo l’occupante ma più in generale chiunque detenga l’immobile senza titolo; una simile previsione consente di estendere l’applicazione in forme imprevedibilmente ampie (si può avere un titolo e poi perderlo per svariate ragioni, rimanendo senza, esposto al rischio del carcere). Inoltre, per rimuovere gli ostacoli dovuti ai tempi lunghi della burocrazia, si introduce la possibilità di intervento rapidissimo con liberazione dell’immobile e cacciata dell’abusivo; la norma vale per piccoli proprietari e grandi immobiliari, la si applica indipendentemente dalle condizioni sociali del colpevole. Per il governo, e con urgenza improrogabile, la sicurezza urbana non la si ottiene usando le case pubbliche vuote per dare un tetto a chi si trova in stato di bisogno ma incarcerando il segmento minoritario dei bisognosi, senza predisporre alcuna misura di sostegno, in attesa di lucrare sulla successiva svendita delle case pubbliche abbandonate all’incuria.

Terza questione: cannabis light
L’art. 18 del titolo secondo (sempre relativo alla sicurezza urbana) modifica la legge 242/2016, pure quella firmata dall’ineffabile giurista-presidente Mattarella, che non solo consentiva, ma intendeva pure fornire sostegno e promozione alla coltivazione in Italia di cannabis sativa utile fra l’altro per contribuire alla riduzione di consumo dei suoli e della desertificazione. La legge del 2016 si conformava, tardivamente, alla normativa comunitaria (in particolare all’elenco di cui all’art. 17 direttiva 2002/53/CE: percentuale da 0,2 a 0.6%) e prevedeva perfino il finanziamento di imprese di coltivazione della canapa (la c.d. cannabis light) da utilizzare per la produzione di alimenti, cosmetici e altri derivati da inserire nelle filiere commerciali. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 30.475 del 10 luglio 2019), pur con una certa prudenza e con molta circospezione, avevano confermato la legittimità di una lavorazione dei prodotti accertati come effettivamente light. Senza preavviso e senza concedere termini di adeguamento (incompatibili con la decretazione urgente) il 12 aprile 2025 è scattata la tagliola. In quel momento i magazzini erano pieni. Il settore comprende 800 aziende agricole di coltivazione, 1500 imprese di trasformazione, 10.000 addetti. Certamente non è Stellantis o Amazon, ma sono pur sempre circa 12.000 famiglie che hanno perso il reddito di sussistenza, da un giorno all’altro.
La promozione e il sostegno che caratterizzavano la prima firma di Mattarella sono venuti meno per motivi di sicurezza urbana che nessuno ha voluto chiarire; dopo il 12 aprile i prodotti derivati dalla cannabis sativa in percentuale light sono illegali, corpo di reato. Venditori, possessori, magazzinieri, commercianti, e acquirenti che cedano magari in regalo questi prodotti rischiano fino a sei anni di carcere, fino a 77.000 euro di multa, sanzioni amministrative (per esempio la patente), conseguenze nell’impiego lavorativo. Difficile censire esattamente quanti fossero i consumatori-clienti della filiera al momento dell’entrata in vigore del decreto; certamente in Italia le persone che magari occasionalmente consumano canapa non sono pochissime. Anche in questo caso una minoranza, senza dubbio; ma una minoranza numericamente di rilievo. Le imprese colpite contesteranno certamente la costituzionalità della abrogazione a mezzo di un simile decreto, per via della palese carenza della necessaria urgenza e per via della violazione di una direttiva europea vincolante. Non sono poche le probabilità di successo in un giudizio davanti alla Corte Costituzionale; ma i tempi non possono essere brevi e dunque il governo ha preferito attaccare subito, incurante del dopo. I despoti agiscono sempre con atti di breve respiro; per rimediare, con nuovi espedienti, c’è sempre tempo. L’importante è vendere l’immagine di un esecutivo capace di aggredire i drogati e di sbatterli dentro senza rispetto e senza pietà. Il dispotismo non coltiva cannabis sativa ma ansia collettiva, disagio sociale, divisione, sottomissione rassegnazione; la stessa semplice felicità viene vista con sospetto.

Concludendo
Nei giorni 8 e 9 giugno 2025 ci sarà la votazione per i cinque referendum. La maggioranza tace e punta al mancato raggiungimento del quorum, in effetti elevato. Sono 5 referendum che toccano la materia del licenziamento  (due), del contratto a termine (uno), del risarcimento danni da infortuni o morti sul lavoro esteso ai committenti (uno), il termine per conseguire la cittadinanza (da 10 anni attuali a 5). Non sono la rivoluzione che emancipa gli schiavi, sono quesiti piuttosto prudenti nella formulazione e nelle conseguenze che deriverebbero dalla vittoria del “si”. Riguardano tutti e cinque minoranze; nessun quesito riguarda direttamente la maggioranza numerica di chi abita il territorio della Repubblica Italiana. Eppure la scadenza è importante, specie in questo nostro tempo di transizione, politica e istituzionale. Non è per nulla scontato il mancato raggiungimento del quorum. La manifestazione contro il decreto sicurezza è stata assai partecipata; e anche il decreto sicurezza riguardava solo minoranze.
Per sua natura ogni maggioranza (intesa come blocco sociale) si compone inevitabilmente di una pluralità di minoranze unite da un patto di alleanza, di mutuo soccorso, di unità contro il medesimo avversario che vuole invece la divisione per imporre il proprio dominio. Contro i cinque referendum si schiera un fronte trasversale, per difendere l’interesse delle imprese e del dispotismo diffonde l’idea che sia inutile partecipare, schierarsi, mettere una scheda nell’urna. Semina in un terreno reso fertile dagli errori commessi dentro il movimento antagonista e soprattutto dai complotti di palazzo. Ma esiste la sorpresa. Avvenne con il referendum sull’acqua pubblica, vinto contro ogni previsione. Non è vero che quella vittoria non abbia prodotto nulla: ha rallentato i progetti di privatizzazione, ha sabotato il programma nemico, rimane ancora oggi un ostacolo, proprio come i due referendum sull’energia atomica che ancora quelli al comando non riescono a digerire. Bisogna provarci, mettendo da parte polemiche e divisioni. Anche una percentuale insufficiente e tuttavia massiccia può essere un segnale, contribuire alla riapertura dei giochi. Non è fiducia messianica nello strumento elettorale. Si tratta solo di prendere atto che nella società dello spettacolo ogni simbolo comunicativo possiede anche una sua materialità. Una vasta affluenza, una partecipazione capace di mettere per una volta da parte le divisioni in segmenti pronti per la sconfitta: sappiamo che non è facile ma che è possibile. Provarci sicuramente non può creare danno; forse potrebbe contribuire ad una ripresa dell’antagonismo, unificando i segmenti, archiviando la paura ancestrale del meticciato e dello straniero. E l’antagonismo, più delle urne, è una potenza economica. Per questo spaventa il palazzo.

L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 5 maggio 2025

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Chi ha paura del migrante?

di Gianni Giovannelli

Gli uomini sopportano
più agevolmente e con minor
pena il presente se nutrono
buone speranze per il futuro.

Procopio di Cesarea
(Carte segrete, VII, Garzanti, 1981, pag. 40)

Qualche giorno addietro Roberto Faure mi ha segnalato un volume scritto da un naturalista (genovese come lui), Alfredo Lucifredi, sul tema della sovrappopolazione umana nel pianeta: Troppi, Codice Edizioni, Torino, agosto 2024. Contiene molti dati statistici, non sempre scontati, e si avvale di una bibliografia assai corposa: senza tuttavia indicare soluzioni, limitandosi piuttosto a porre una serie di problemi irrisolti con i quali, quasi quotidianamente, tutti noi ci troviamo a fare i conti, sia nella vita sociale, sia nello scorrere dell’esistenza personale. Una lunga sequenza di numeri si accompagna ad alcune interviste rilasciate da tecnici, studiosi, attivisti, diversi fra loro per età anagrafica, posizione politica, lingua e nazionalità. Un mosaico composto da tasselli difformi, che tuttavia costruiscono un’immagine non priva di logica armonia. Il decimo capitolo, Niente più figli?, mi ha riportato alla mente il tema dell’estinzione, che Franco Bifo Berardi ha più volte sollevato perché secondo lui deve essere posto al centro delle nostre riflessioni; io, per via di una certa mia resistenza ad una simile ipotesi, mi sono guadagnato qualche affettuosa frecciata ma lo scambio di vedute fra noi non ha minimamente incrinato il nostro rapporto di oltre mezzo secolo. Ebbene, nel decimo capitolo, troviamo l’intervista a Les U. Knight, fondatore nell’ormai lontano 1991 del movimento per l’estinzione umana volontaria, o VHEMT, oggi un tranquillo signore sulla settantina, con modi gradevoli e un tono di voce pacato.

Knight osserva che ci sono due posizioni: ecologia sociale ed ecologia profonda. Lui dichiara di avere scarso interesse per la prima, e di essere orientato verso la seconda, la biosfera terrestre nel suo complesso. E conclude: noi esseri umani siamo il pericolo maggiore e per questo motivo mi sembrò chiaro che la risoluzione del problema passasse attraverso un azzeramento complessivo della crescita della popolazione umana….smettiamo di aggiungere altre persone al nostro totale e andiamo infine all’estinzione. Lasciando da parte un facile sarcasmo o una scontata ironia le questioni che hanno originato un movimento che ha compiuto l’età del Cristo (33 anni) rimangono. Ma, al tempo stesso, non c’è dubbio che nel nostro pianeta, ad oggi, il numero di viventi rimane caratterizzato da crescita costante: 4 miliardi nel 1974, 8 miliardi nel 2022 (erano 7 miliardi nel 2011, in 10 anni un miliardo di nuovi nati!). Le previsioni ritengono che saremo circa 10 miliardi nel 2080 (ulteriore incremento) ma, personalmente, alle previsioni credo poco, specie in questo tempo caratterizzato da progetti sempre più a breve termine; tuttavia l’aumento complessivo degli umani, giorno dopo giorno, è un dato di fatto. E questo neppure il mio amico Bifo può negarlo; e infatti non lo nega, propone invece un altro approccio, che muove dalla constatazione di un calo (pure questo oggettivo) delle nascite nei paesi caratterizzati da maggior sviluppo.

Popolazione che cala, popolazione che cresce

In Italia la popolazione diminuisce e ogni anno la comparazione fra decessi e nascite porta un segno negativo. Gli appelli in favore della procreazione nazionale bianca e cristiana diffusi dal governo neofascista sono rimasti inascoltati; le uniche famiglie con elevato tasso di natalità sono proprio quelle che la coalizione al potere vorrebbe cacciare oltre confine, accentuando in questo modo il calo demografico già inarrestabile. La maggioranza parlamentare non riesce a cogliere la contraddizione in cui si è impantanata, prigioniera di vuote parole d’ordine, incapace di saldare i segmenti separati delle popolazioni metropolitane e rurali e fomentando invece la divisione dentro le comunità. La composizione attuale di una qualsiasi scuola elementare milanese, torinese o romana dovrebbe far comprendere la tendenza; invece prevalgono il rancore ostinato, la nostalgia irrazionale per un mai esistito fascismo di operoso ordine sociale, il sogno irrealizzabile di poter dominare il mondo con prepotenza. Calo demografico e xenofobia, razzismo e fondamentalismo religioso, questi sono gli ingredienti che vanno alimentando in quasi tutti i paesi della vecchia Europa il sostegno alle formazioni di estrema destra; avviene in Spagna, in Austria, in Francia, in Germania, in Ungheria, in Polonia, ovunque disagio (anche psichico) e malessere (non solo sociale) si sono andati radicando, grazie al diffondersi della condizione precaria e alla continuità dei conflitti armati. Il debito statale aumenta, per farvi fronte la scelta è stata (sia a destra sia a sinistra) quella di tagliare la spesa pubblica, così che si è allargata la forbice ricchi/poveri, dilatando la platea degli indigenti. Crisi, guerra e calo demografico non sono prerogativa del vecchio continente; anche Corea del Sud e Giappone hanno intrapreso la medesima via. Gli Stati Uniti, per ora, non ne risentono per via del flusso migratorio, ma Donald Trump sta provvedendo con raffiche di decreti a rimuovere questa anomalia nel mondo sviluppato, segando l’albero su cui sta seduto.

Mentre gli abitanti calano e invecchiano nei paesi ricchi l’incremento demografico prosegue incessante nel resto del pianeta. In Africa il fenomeno dilaga: attualmente il paese più prolifico è il Niger (7,1 figli per donna), seguito dalla Somalia (6,20), e, via via, dalla repubblica Democratica del Congo, dal Sud Sudan, Angola, Tanzania, Zambia. Ma anche alcuni paesi dell’Asia, soprattutto il Bangladesh (da 50 milioni del 1960 ai 180 di oggi), l’Indonesia (da 90 a 280) e il Pakistan (da 33 milioni nel 1947 ai 240 milioni di oggi) non accennano a diminuire il ritmo delle nuove nascite.

Incremento demografico, risorse, migrazione

Specialmente in Africa, ma anche negli altri continenti, l’incremento della popolazione si accompagna ad una diminuzione delle risorse alimentari. In Madagascar (grande il doppio dell’Italia, con 28 milioni circa di abitanti) (erano 7 milioni nel 1970), la carenza di mezzi spinge la popolazione rurale (20 milioni) a deforestare in forme incontrollate, per procurare legna necessaria a cucinare, o allevare zebù, o coltivare riso; l’agricoltura slash and burn rende il terreno argilloso, procurando danni permanenti e causando una sorta di pseudonomadismo (cfr. Kate Thompson, Tavy: slash and burn, Safina Center, aprile 2019). Non deve stupire allora che la contestualità del picco demografico e del dilagare della povertà (spesso vera e propria fame), in un quadro di guerra, epidemie e colonialismo, produca esodi di massa, fuga dalla miseria, conseguentemente flusso migratorio verso le terre che dispongono di risorse. Il conflitto nel Sudan (provocato e gestito da contrapposti stati civili tramite milizie locali) ha determinato uno spostamento (a piedi) di un numero incerto, indicativamente fra 8 e 10 milioni di persone, intenzionate a raggiungere cibo e tetto; più di recente sono ripresi gli scontri militari nella Repubblica Democratica del Congo, fra i ribelli filo Rwanda del Movimento M23 e l’esercito regolare, e, secondo l’ISPI, gli sfollati interni vanno calcolati fra 6 e 7 milioni, privi di mezzi e di prospettive, in balia delle numerose soldatesche regionali. Il territorio al centro della battaglia, quello del lago Kiwu, è ricco di Coltan, materiale necessario per le comunicazioni telematiche e conteso dalle grandi imprese multinazionali. Infatti la situazione è a dir poco ingarbugliata. Il governo della Repubblica Democratica del Congo (paese cristiano per oltre il 90%) è, oggi, uno degli alleati più stretti di Israele, cui vende appunto il coltan, tanto da perorare una sorta di amnistia liberatoria in favore del miliardario Dan Gertler, monopolista storico nel commercio dei prodotti minerari congolesi (dal diamante al coltan), posto sotto sanzione economica americana per scalzarlo dalla posizione e sottrargli l’affare. In questo intrigo di commerci, corruzioni, complotti e stragi si inserisce la tratta dei migranti, in forma di deportazione: il Regno Unito aveva deciso di sistemare in qualche lager del Rwanda gli irregolari espulsi mentre la Repubblica Democratica del Congo, in anticipo su Donald Trump, si era detta disponibile ad ospitare profughi volontari sfollati dalla striscia di Gaza. Entrambi i disegni non si sono realizzati, ma rimangono pur sempre il segnale di quanto intrecciati siano i percorsi di guerra, finanziarizzazione, migrazione, clima, fame, valore.

Il flusso migratorio è inarrestabile, con buona pace di chi sostiene il contrario

Nella città di San Paolo, in Brasile, circa 6 milioni di residenti hanno almeno un ascendente italiano; e nello stato di Espirito Santo gli italiani sono circa 2 milioni, il 60% della popolazione. A New York l’ultimo censimento ne ha contati 3.372.512: sono molti di più di quelli che vivono a Milano o a Roma. Sono il risultato della grande migrazione del XIX secolo.

Ma gli spostamenti di intere comunità sono ben presenti anche nel secolo scorso nella nostra vecchia Europa, causati dall’instabilità politica o dalla guerra mondiale in arrivo. Con la pace di Losanna, nel 1923, oltre un milione di greci ortodossi furono obbligati a lasciare l’Anatolia e a trasferirsi nelle regioni elleniche; percorso inverso fu imposto a circa 350.000 musulmani turchi che abbandonarono le loro case sotto minaccia delle armi. La composizione dei due paesi, sociale e culturale, mutò profondamente per una ragion di stato. Nel biennio 1930-31 l’intera etnia coreana che abitava nella parte orientale dell’Unione Sovietica ricevette ordine di andare a vivere in Kazakistan, al fine di spezzare il legame con il Giappone, che governava la Corea come un proprio dominio. E il mitico Laurent Berija, in vista della guerra contro la Germania nazista, organizzò un gigantesco esodo dei c.d. Tedeschi del Volga (minoranza etnica con radici antiche) nelle repubbliche asiatiche dell’URSS. Toccò poi a ceceni e ingusci, nel 1944, con i soggetti più refrattari al socialismo improvvisamente trasferiti dal Caucaso al Kirghizistan; nella notte fra il 17 e il 18 maggio 1944 i tatari della Crimea vennero accompagnati con grande dispiego di mezzi in Uzbekistan e in Tagikistan, rifondando le singole esistenze in luoghi sconosciuti.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale le potenze vincitrici organizzarono alcuni riposizionamenti etnici. Polonia e Ucraina si scambiarono le rispettive minoranze linguistiche (qualche milione, 400/500 mila morirono durante l’operazione, ma pazienza, sono incidenti che capitano); nelle file degli sconfitti i tedeschi di Boemia, Moravia, Romania e Polonia furono rialloggiati in Germania (anche se l’avevano vista solo in cartolina) mentre gli italiani dell’Istria o della Dalmazia pagarono salato il conto lasciato aperto dal fascismo in quelle zone. Nel 1949, ed è storia ormai recente con ricaduta contemporanea, possiamo ricordare, quali ulteriori esempi, lo sgombero dei palestinesi dall’odierno Israele o la ricollocazione di intere popolazioni nell’India a seguito della nascita di Pakistan e Bangladesh

Queste furono deportazioni, di natura geopolitica, che affiancarono e integrarono il permanere di flussi migratori più tradizionali, ovvero legati alla richiesta di manodopera a buon prezzo da parte delle imprese operanti nel cuore dell’impero: gli operai maghrebini dell’auto in Francia, i messicani in California e in tutti gli USA, i filippini, i cingalesi, gli slavi ….. l’intero pianeta, nel XX secolo, ha registrato un movimento ininterrotto di esseri umani che ha cambiato il volto delle metropoli, non soltanto di quelle occidentali, ridisegnando la nuova composizione sociale. Il vecchio mondo, che i partiti reazionari vorrebbero far rivivere, trasformando il loro sogno in una impossibile realtà, è irrimediabilmente defunto, anche se in molti non lo hanno ancora capito.

Conseguenze della attuale tendenza demografica. Guerra o pace?

In questo primo quarto del XXI secolo gli abitanti della vecchia Terra (dell’orbe terraqueo in cui Meloni nei suoi deliri insegue frotte di scafisti) sono cresciuti a dismisura, fino a superare il traguardo degli otto miliardi. Con l’interessante e significativa eccezione degli Stati Uniti (in piccola parte anche della Francia) nei paesi ricchi il calo delle nascite è assai elevato, tanto che le formazioni elettorali nazionaliste e sovraniste si caratterizzano per una ferma opposizione alla legalizzazione dell’aborto e per le proposte di incentivare a suon di bonus la procreazione (nelle famiglie di bianchi nativi ovviamente). Contraddittoriamente queste posizioni ideologiche raccolgono consenso nelle urne, ma si rivelano fallimentari nei comportamenti concreti: anche nella comunità indigena italiana il numero dei morti continua a superare quello dei partoriti, proseguono dunque la diminuzione e l’invecchiamento. Ma l’ultradestra non demorde.

Negli Stati Uniti l’ultimo censimento decennale del 2020 conferma invece la crescita in termini assoluti, ma al tempo stesso muta la composizione etnica interna. Nel 1945 i bianchi erano il 77,7%, i neri 8,4%, gli ispanici 10,7%, gli asiatici 2,7%; ma nel 2020 i nati dopo il 2012 sono bianchi solo per il 49,6% (per la prima volta non la maggioranza), gli ispanici il 25,9%, gli asiatici il 20,4%, i neri il 13,7%. Fra luglio 2023 e luglio 2024 la popolazione è aumentata di 1% (in Italia -0,3%), 3,3 milioni; nello stesso periodo il saldo migratorio (differenza fra insediati più o meno regolari ed espulsi) risulta essere circa 2,79 milioni. In buona sostanza i vecchi americani calano, la curva demografica rimane in salita per il permanere di una rilevante quota di arrivi dalle più diverse parti del mondo. In questo quadro si inserisce il progetto di Trump, deciso a mettere in esecuzione una gigantesca cacciata degli stranieri irregolari dal paese, rimuovendo ogni residua forma di assistenza o di pacifica convivenza. Suona il corno di guerra.

L’incremento demografico non accenna invece a diminuire proprio dove non solo mancano risorse, ma vengono pure bruciate senza tregua le possibilità di utilizzarle. In America ogni singolo cittadino consuma in media 150 chilogrammi di carne all’anno, ma anche i 75 chilogrammi pro capite dell’europeo non sono sostenibili dal punto di vista ambientale (cfr. Mauro Mandrioli, Nove miliardi a tavola, Zanichelli, 2020). In Africa invece si muore di fame, manca l’acqua e dilaga la siccità, l’agricoltura non riesce a far fronte alle più elementari necessità di sussistenza, milizie di soldati predoni rubano quel che trovano e terrorizzano i popoli, una minoranza di faccendieri al governo viene pagata dalle imprese multinazionali per consentire l’esproprio di ogni bene comune. La comunicazione si cala in questa realtà, cancella il segreto, ogni povero affamato africano sa che altrove vivono esseri umani che mangiano, bevono, si vestono, hanno un tetto, consumano. E sognano di muoversi, di partecipare alla spartizione, in mancanza di cibo o medicinali si nutrono di speranza. In queste comunità l’invito ad estinguersi di Les U. Knight non riuscirà mai ad attecchire, sono i moderni barbari, non vogliono estinguersi, vogliono migrare, migliorare la loro sorte: non temono la morte, sono disponibili ad affrontarla, mirano a un futuro che si colloca in una dimensione ultra-generazionale.

Certo. Non hanno mezzi, soldi, armi. Ma sono in molti e, direbbe il nostro Karl Marx, hanno da perdere solo le catene. Pensiamo alla marcia, straordinaria, incredibile, di oltre duecentomila gazawi (gli abitanti di Gaza, ndr.) decisi a riprendersi un cumulo di rovine perché è l’unica cosa che hanno. Forse Donald Trump riuscirà a deportarli o a ucciderli tutti; ma non avrà risolto il problema, lo avrà solo aggravato. Sono i bianchi ad invecchiare, a rischiare l’estinzione, non gli africani, giovani, in crescita. Non esistono bombe atomiche o minacce nucleari capaci di fermare il cammino che miliardi di affamati saranno costretti ad intraprendere, spinti dalla necessità di sopravvivere, decisi a non soccombere, refrattari all’ipotesi di estinguersi.

Ancora esitano, incerti, spaventati. Lasciano al centro dell’impero ancora una residua possibilità di costruire un’alternativa: ecologica per salvare il pianeta danneggiato, etnica mediante la fusione in luogo di guerra e sostituzione violenta, sociale con più giustizia, politica proteggendo il comune. Il centro dell’impero sembra, oggi, preferire le barriere, i muri, i confini, l’emarginazione, la supremazia, la violenza; si tratta di una scelta destinata ad una cocente sconfitta perché i numeri non lasciano scampo. Il futuro sarà, piaccia o no, inevitabilmente meticcio.

 

L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 17 febbraio 2025

Chi ha paura del migrante? Leggi tutto »

Tempi di Equalize

di Gianni Giovannelli

Bisognerebbe anzitutto che le masse europee
decidessero di svegliarsi, si scuotessero
il cervello e cessassero di giocare
al gioco irresponsabile della
bella addormentata nel bosco

Francesco Fanon
(I dannati della terra)

Associazione per delinquere, ovvero l’accordo fra più soggetti per costituire una struttura organizzata stabilmente con il preciso scopo di commettere crimini in sequenza (in genere con un occhio rivolto al ricavarne vantaggi personali). Questa è l’ipotesi di reato in base alla quale si è mossa la Direzione Distrettuale Antimafia a Milano e su cui la Procura ha dato corso alle indagini del caso Equalize; la magistratura inquirente ha ottenuto l’autorizzazione alle intercettazioni, anche ambientali, proprio in ragione del contestato delitto associativo. L’inchiesta si caratterizza fin da subito per una sorta di paradosso: ad essere spiata questa volta è un’impresa capitalistica legale di spioni! Equalize srl emetteva infatti regolari fatture e raccoglieva, senza nasconderlo e contabilizzando gli incassi a fini fiscali, informazioni sul conto di persone ignare per conto della clientela. Una polizia privata in buona sostanza.

La proprietà di Equalize srl

Per aggiunta Enrico Pazzali, ovvero l’indagato imprenditore dedito, come socio di maggioranza, al commercio dei dati acquisiti, ricopre una carica pubblica di non piccola importanza: nel 2019 divenne presidente, ora al secondo mandato con scadenza nel 2025, della Fondazione Fiera Milano, per nomina congiunta del Comune (centrosinistra) e della Regione (centrodestra). I ricavi della Fiera di Milano (si vede il bilancio consolidato), nel 2023, ammontano a circa 300 milioni di Euro; la Fondazione gioca un ruolo di primo piano nella realizzazione del gigantesco affare legato alle Olimpiadi Invernali e possiede un enorme patrimonio immobiliare, in continua crescita. Il socio (di minoranza) incaricato della gestione operativa, Carmine Gallo, è invece un brillante ex funzionario di polizia, con esperienza acquisita sul campo quale addetto ad operazioni importanti e delicate, prima di optare per il pensionamento, ben inserito nel cuore dell’apparato e dunque a conoscenza di ogni segreto meccanismo inquisitorio. Gente nata e cresciuta dentro le istituzioni, capace di tessere una fitta rete di relazioni e di usarle.

L’ordinanza del 28 ottobre 2024

L’ordinanza di custodia cautelare (nella forma attenuata degli arresti domiciliari, negati peraltro nel caso di Pazzali) è davvero voluminosa: 516 pagine! Vi risparmiamo, dunque, il testo integrale. Il GIP, dottor Fabrizio Filice, si è mosso con una certa prudenza, ha limitato per quanto poteva l’uso delle manette, ma era inimmaginabile evitare il clamore mediatico provocato da una vicenda oggettivamente atta a suscitare scandalo e scalpore, vuoi per il ruolo dei protagonisti vuoi per la gravità (anche quantitativa) degli elementi emersi in oltre un anno di indagini. Infatti la Procura ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame invocando maggiore severità; vedremo a breve che cosa ne verrà fuori.

Emerge tuttavia, già ora, un quadro davvero impressionante. La piattaforma Beyond, utilizzata da Equalize, non basta certo a spiegare l’afflusso di informazioni, al più consente di comprendere la loro elaborazione proposta al mercato. Fra i clienti abituali di questa piccola società con due soli dipendenti (ma con tanti fidati collaboratori piuttosto efficienti) spiccano, oltre a colossi di settore, quali ERG BARILLA o ENI, anche il Mossad e il Vaticano. Il mitico servizio segreto israeliano, in particolare, chiedeva una mappatura delle risorse finanziarie cui attinge la struttura militare della compagnia mercenaria Wagner, un report rilevante negli equilibri di guerra nel pianeta. Per fornire i servizi richiesti dai committenti Equalize attingeva non solo a banche dati quali Serpico (Agenzia delle Entrate) o SIVA 2 (operazioni valutarie, sospette incluse), ma aveva accesso perfino a quelle di massima sensibilità a disposizione dei servizi di sicurezza: gli archivi di AISE e AISI (le Agenzie Informazioni di Sicurezza Interna ed Esterna) e quella connessa del DIS (il Dipartimento Informazioni Sicurezza). Lo Stato italiano non ha segreti per Equalize! Una giornalista disinvolta quale Claudia Fusani (Repubblica, l’Unità, Il Riformista) propone perfino una possibile ardita congiunzione con i miliardari russi Toporov e Khatovin nell’ambito di quella che definisce asimmetria informatica. Avvalendosi di IAB (Initial Access Broker), ovvero operatori (s)pregiudicati nel settore delle informazioni acquisite illegalmente, venne costruita una rete diffusa e capace, composta di tecnici (per esempio Samuele Colamucci di Mercury Advisor), agenti (per esempio Giuliano Schiano, in forza alla DIA di Lecce) o manager (per esempio l’ex socio Pier Francesco Barletta, vicepresidente di SEA, indagato e ora autosospeso dalla carica pubblica). L’intreccio fra attività imprenditoriale privata criminale e gestione degli enti pubblici caratterizza il paesaggio dell’inchiesta giudiziaria, ma, al tempo stesso, viene in genere tralasciato dai commentatori e dai media in generale.

Da notare per incidere tre cose

Uno dei principali clienti di Equalize, la Fenice srl, opera nel settore dell’edilizia, lo stesso in cui è attivo Pazzali, quale presidente della Fondazione Fiera Milano. Fenice è una società romana, attiva anche in Veneto (partecipa al Mose); il GIP ha negato alla procura l’arresto, ma il nesso fra pubblico e privato appare qui piuttosto evidente, almeno nella formulazione dell’accusa.

Inoltre, dopo l’autosospensione di Pazzali dalla carica in Fiera, il suo posto è stato preso dal vicepresidente vicario, Davide Corritore, già direttore del Comune durante la giunta Pisapia e già al vertice di MM (che pure di immobili ne ha molti); un manager di area PD che gode tuttavia della piena fiducia sia dell’indagato (che pur sospeso rimane in carica) sia della destra al governo regionale. Del resto l’altro vicepresidente in Fiera, Vasiliki Pierrakea, indicato da Confcommercio, è ottima cuoca (ha un suo locale di cucina greca a Milano) ma non è figura politica adatta a condurre la nave durante una tempesta. La scelta bipartisan del ceto politico è stata quella del silenzio operativo e della continuità verso il business delle Olimpiadi Invernali attualmente in esecuzione.

Infine notiamo l’assenza di commenti governativi di fronte alla notizia di un costante saccheggio di dati sensibili nel cuore del sistema difensivo: DIS, AISE e AISI. Il 19 aprile scorso Giorgia Meloni ha collocato al vertice di AISI il dottor Bruno Valensise; nomina assai controversa e di rottura con la tradizionale assegnazione della carica a un militare. Valensise non ha mai portato la divisa, è un funzionario d’apparato; era in precedenza vicedirettore del DIS (dal 2019) e già aveva guidato la scuola per addestrare il personale alla segretezza, oltre all’Ufficio Centrale per la Segretezza. La direzione DIS (Elisabetta Belloni) scade a maggio 2025; quella dell’AISE (generale Giovanni Caravelli) nel maggio 2026 (nomina di Draghi, poco prima di andarsene, per il periodo massimo consentito: 4 anni). Nessuno ha chiesto conto al trio dirigente delle falle riscontrate; e loro, d’altra parte, si sono ben guardati dal fornire spiegazioni o dall’azzardare ipotesi. Ognuno, sia al governo sia ai servizi, sta zitto e muto, o, meglio, come diceva Totò, si muove tomo tomo cacchio cacchio. Ove mai venissero interrogati dai magistrati milanesi possono sempre opporre il segreto di stato!

Prosegue la transizione e si modifica l’impianto del diritto

Non sarà facile per gli inquirenti, e a maggior ragione per i giudicanti, sbrogliare la matassa del caso Equalize. Per ora non sono riusciti a trovare il bottino, la refurtiva (i dati acquisiti) è al riparo, manca il cd habeas corpus (la famosa pistola fumante). Dicono che il server si trova in Lituania, oppure in Gran Bretagna, o forse in entrambi i paesi. Ammesso e non concesso che i governi di Vilnius e Londra decidano di aiutare la magistratura italiana (ma mi si permetta, senza offesa per inglesi e lituani, di dubitarne) ora che arrivi l’autorizzazione il server risulterà trasferito altrove, magari nello stato non riconosciuto del Puntland, magari su un satellite di Elon Musk.

Il controllo sui comportamenti, sulle azioni di ogni singolo soggetto, sulla vita delle persone marcia spedito e crea diritto consentendo di fatto ciò che solo in apparenza sembra non consentito dagli ordinamenti nazionali; mettere a valore ogni corpo e ogni esistenza significa legittimare l’intrusione nella sfera privata. Questo comporta certamente il sorgere di contraddizioni (contrazioni in seno al moderno capitalismo direbbe il compagno Mao), ma non arrestare certo la transizione il fatto che si diffonda lo spionaggio ostile fra imprenditori; il potere può sopportare le guerre interne senza farne un dramma, ci è abituato.

Nella Cina Popolare è stato approvato il codice civile, in vigore dal 1 gennaio 2021, quasi in contemporanea con l’arrivo della pandemia, per uno strano gioco del destino (per chi ne volesse prendere visione: Pisa, 2021, Pacini Giuridica, a cura di Di Liberto, Dursi e Masi). La cosa curiosa sta nel fatto che il codice cinese (1260 articoli, noi ne abbiamo 2969) riprende la ripartizione di Giustiniano, si connette al diritto romano. Con una differenza rispetto alla nostra legislazione (non la sola differenza, naturalmente) annota, acuto, Oliviero Di Liberto nell’introduzione: fra il diritto civile cinese ora vigente e quello romano imperiale manca la mediazione dei codici napoleonici.

Il varo dei codici napoleonici fu la conseguenza della rivoluzione francese. La borghesia del capitalismo industriale voleva liberarsi dell’assolutismo, e l’assolutismo poggiava, nella sua concezione logico-giuridica, proprio sul diritto romano codificato nel corpo giustinianeo. Le nuove leggi concepite nella Francia giacobina sostituirono le norme applicate nel sacro impero della vecchia Europa, introducendo costituzioni, diritti individuali, proprietà privata. La restaurazione progettata a Vienna fallì, travolta dal quarantotto, dalle rivoluzioni nazionali e dalle lotte sociali di emancipazione; nuovi diritti furono elaborati e codificati, conquistarono vigore con innesto rigenerante nel vecchio ordine normativo. Non so se abbia prevalso la mediazione o si trattasse piuttosto del risultato di uno scontro dialettico, di certo fu un mutamento radicale.

Oggi, sotto i nostri occhi, l’assetto legislativo ordinario e costituzionale, costruito nel capitalismo occidentale e consolidato nel secolo scorso, si va sgretolando; assistiamo al processo di dissoluzione della democrazia rappresentativa, un processo che pare ormai inarrestabile. Il capitalismo del XXI secolo non si riconosce nel radicamento territoriale di lungo periodo e rifiuta la tradizionale ripartizione tempo libero/tempo lavorato. Le merci immateriali non hanno sede, il loro possesso esige invece, per essere mantenuto, controllo, comando, potere, armi, guerra. L’organizzazione del lavoro punta all’acquisizione dell’esistenza umana complessiva, non di un segmento orario delle singole vite. Il diritto alla privacy trova una limitazione, un muro invalicabile, nelle necessità connesse al valore; viene consentito e mantenuto all’interno dei rapporti affettivi o personali, ma quando entra in scena l’attività mercantile connessa al flusso di informazioni muore d’infarto, travolto dalla realtà. Così cadono anche gli altri diritti che hanno caratterizzato la vecchia democrazia liberalsocialista al tramonto, compresa quella colonna portante che è la certezza della norma. Per il moderno dispotismo occidentale (poco assimilabile al fascismo storico, perché privo di valori e miti, nobili o ignobili) conta solo l’interesse in quell’attimo, in quella circostanza.  Il governo incorpora la norma, il governo è la legge; ogni opposizione a questo principio assolutistico viene percepito come un crimine e come tale perseguito. La pioggia incessante delle più svariate disposizioni, spesso in contraddizione fra loro, mira ad una generale cancellazione della certezza: il trigger warning si impone come il nocciolo delle regole, nel momento in cui la vita viene messa a valore il corpo diviene esso stesso merce, le merci non hanno diritti propri. Sei costretto continuamente a scegliere, ma non sai mai, a priori, se la scelta sia giusta o sbagliata; devi vivere nell’ansia, in attesa del verdetto.

Il caso Equalize ci mette dinnanzi all’evidenza di un quadro economico, sociale, produttivo, politico profondamente mutato. L’innovazione tecnologica costante ha rotto ogni argine. Hanno ormai privatizzato, di fatto, perfino la polizia; questo non deve stupirci visto che avevano già privatizzato perfino lo spazio. Inutile cercare il bottino in un server a Vilnius o a Londra; i satelliti di Musk sono proprietà privata e possono guardare dall’alto il pianeta, indispensabili per la guerra, per gli affari, per i governi. Il commercio dei dati posto in essere da Equalize rubando i dati al ministero lo gestiscono uomini delle istituzioni; al vertice dei governi non ci stanno più funzionari di fiducia dei capitalisti, sempre più spesso ci vanno loro direttamente, perdono meno tempo e rimuovono più facilmente gli ostacoli. Il primo passo è compiuto: la banca dati dei servizi segreti italiani è già sul mercato, a disposizione di chi paga l’opera prestata. Per sconsigliare l’uso delle informazioni in danno di alcuni soggetti da non intercettare (pochissimi), ferma restando la schedatura generalizzata delle merci-corpo quando renda commercialmente, bastano le armi convenzionali.

L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 29 novembre 2024

L’immagine è di geralt da pixabay

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Nuove forme di guerra

di Gianni Giovannelli  

A un nemico accerchiato
devi lasciare una via d’uscita.

Sun Zu, 7.31

Non c’è dubbio alcuno. Con l’esplosione sincronizzata, a migliaia, di cercapersone acquistati dalla struttura dirigente Hezbollah e distribuiti ai militanti per i necessari contatti, il governo israeliano ha colto di sorpresa e stupito il mondo intero, seminando il panico nella popolazione, non solo in Palestina occupata ma anche in Libano e Siria. Il giorno successivo, quando i primi commenti si incrociavano incerti, alla stessa ora, le 15, la strage si è ripetuta: questa volta si trattava di walkie talkie o altre apparecchiature comandate a distanza. Ogni oggetto di uso comune diviene potenzialmente uno strumento di morte, l’insidia produce inevitabilmente terrore, intacca qualsiasi rete di rapporti sociali. Questa è la risposta del governo israeliano all’indignazione sollevata dai massacri quotidianamente perpetrati nella striscia di Gaza, al crescere delle critiche, alle accorate richieste di tregua; una risposta che prelude all’esecuzione di un programmato sterminio.

Ci troviamo di fronte a un cambio di passo. Funzionari anonimi, specializzati in singoli segmenti di attacco criminale, operano in equipe, ben celati agli occhi della popolazione, e colpiscono a distanza, senza partecipare al combattimento sul campo. Come gli addetti finanziari pigiano sulla tastiera le mosse di compravendita capaci di creare o distruggere patrimoni (al tempo stesso modificando l’esistenza di soggetti a loro sconosciuti per i quali provano solo indifferenza) così i tecnici del Mossad, segretamente, elaborano, su commissione politico-militare proveniente dall’estrema destra colonialista al potere, progetti idonei a sopprimere vite umane. Probabilmente questi assassini in camice bianco neppure odiano i loro bersagli; semplicemente cercano di fare al meglio il lavoro che viene loro assegnato, evitando inutili domande. Certamente la deriva teocratica (con la crescita costante di Hamas e della estrema destra sionista) ha giocato un ruolo importante nel conflitto; o forse, al contrario, è stato il sabotaggio della pace, pervicacemente messo in opera dall’occidente democratico in questo secolo, a creare le condizioni che hanno consentito il successo dei fondamentalisti in entrambi i fronti. Se sia nato prima l’uovo o la gallina non lo sapremo mai, dunque poco importa. Quel che conta è la scelta del governo israeliano, oggi: vogliono imporsi con la forza, prendersi i territori, allargare i confini. A qualsiasi costo. Disposti a tutto, sordi a qualunque richiamo da parte di chi invita al buon senso.

Israele probabilmente non ha avvisato gli Stati Uniti di quel che aveva in mente di fare, così ha evitato sia discussioni fastidiose sia di mettere in imbarazzo il principale sostenitore. Comunque vadano le elezioni americane di novembre possono contare sull’appoggio di entrambi i candidati, sulla continuità del veto sempre apposto nel Consiglio di Sicurezza a qualunque deliberazione non gradita. La mossa preparata e attuata dal Mossad presuppone una rete spionistica in grado di superare i confini degli stati senza interferenze ostruzionistiche; l’uso della tecnologia insieme all’elaborazione dei complotti non ha (per lo meno: non ha ancora) alcun equivalente paragonabile negli stati e nei movimenti politico-militari di parte araba. Ove mai ci fosse una risposta bellica che facesse prevalere la supremazia dei corpi lo Stato d’Israele appare pronto ad usare la bomba atomica (quella c.d. tattica). A fianco del ricatto atomico si cala oggi la strage mediante cercapersone. Il soldato nemico viene trasformato in una sorta di mina umana che colpisce proprio la comunità che lo ha spinto ad indossare la divisa, a combattere per la propria terra; una mina pronta ad esplodere alle 15,30 in un mercato, in una scuola, in un ospedale, in autobus, sulla strada, alla partita di calcio. Chi vive nei territori occupati vede ora come potenziale pericolo lo scaldabagno, il televisore, la piastra per cucinare; dunque riceve il messaggio di andarsene per non essere annientato. I commenti della stampa europea e occidentale a questo cambio di passo, a questa nuova forma di guerra mai usata prima di oggi e vietata dalle norme internazionali lasciano intravedere un misto di ipocrisia (lasciare il dubbio che l’autore sia il Mossad) e di riduzione della strage a un semplice colpo inflitto all’avversario con indubbia maestria. Fingono tutti di non capire la portata di questa vicenda, l’innovazione bellica che una volta introdotta farà inevitabilmente scuola, negli anni a venire, provocando conseguenze che oggi nessuno si azzarda ad esaminare; sembrano non rendersi conto del fatto che le conseguenze ad Israele oggi semplicemente non interessano perché sono concentrati solo sulla vittoria, sull’annientamento di tutti coloro che si oppongono all’annientamento dei palestinesi (o al loro definitivo esodo). Tutti parlano della bomba atomica in mano a Putin (che non vuole usarla) e incautamente lo provocano (perché la usi); al tempo stesso tacciono delle bombe atomiche in mano alla coppia Netanyahu-Ben Gvir, pur consapevoli che costoro (specie il secondo) non si farebbero scrupoli a trasformare Beirut o San’a’ in una novella Hiroshima, pur di raggiungere il loro scopo.

Un filo sottile lega l’esplosivo nascosto dal Mossad nei cercapersone acquistati da Hezbollah e l’arsenale atomico distribuito nel pianeta; è il legame fra l’uso del terrore quotidiano, capace di esasperare le comunità, e l’esplosione nucleare, capace di eliminare una comunità. Non solo Israele, fra i piccoli, possiede l’arma atomica; per giunta si possono anche vendere a terzi, in caso di bisogno. La rinunzia americana al ruolo di gendarme innanzitutto del proprio alleato non è segno di forza, ma di debolezza; se non mostra di essere capace di tenere a bada un Ben-Gvir qualunque finisce con il promuovere un rivoltoso malumore fra i propri sudditi. E che spesso sia un malumore di destra non dovrebbe rassicurare né Harris né Trump.

La tecnologia è poco capace di custodire a lungo i propri segreti; è fragile, è per sua natura esposta alla riproduzione. Questo vale sia per l’uso tradizionalmente commerciale, sia per il suo detournement militare-terroristico. Mi si perdoni un inciso commemorativo: come ci manca Guy Debord a commento di questo complotto israeliano di guerra! In tempo di Intelligenza Artificiale l’esplosione sincronizzata di cercapersone potrà essere acquisita prima dagli apparati statali (grandi o piccoli), poi dalla criminalità, e ancora dalle organizzazioni per qualsiasi motivo ribelli (di qualunque etnia o tendenza). Le metropoli sono bucate, piene di falle; la globalizzazione ha travolto i confini, non bastano i nazionalismi a identica riedificazione, ci sono ancora, ci saranno, ma diversi. Soprattutto non fermano la tecnologia. Israele ha scoperchiato il vaso di Pandora; l’uso del micro-esplosivo può essere esportato non solo a mezzo di droni, ma in qualunque oggetto. E la conseguente disarticolazione sociale avvicina la tentazione di ricorrere all’atomica. L’errore strategico di Israele (accecato dal nazionalismo colonialista e dalla frenesia di potere) è di non indicare alcuna via d’uscita, continuando solo a massacrare. Così però prima o poi si va a sbattere, come osservava Sun Zu nell’esergo.

L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 22 settembre 2024

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