Gianni Giovannelli

Un colpo di genio

(Si fanno delegare e pagare dalle vittime)

di Gianni Giovannelli

O si deve , invece, accettare la scommessa straziante e meravigliosa dell’assurdo?

(Albert Camus, Il mito di Sisifo)

Il sostituto procuratore di Milano, dottor Paolo Storari, con provvedimento cautelare urgente, affidato per l’esecuzione alla Guardia di Finanza, ha disposto il commissariamento della società Mondialpol, fra le principali strutture d’impresa nel settore della vigilanza, con migliaia di dipendenti. L’iniziativa segue, a brevissima distanza, quella analoga nei confronti di un altro colosso che opera nel medesimo segmento, Servizi Fiduciari, del gruppo Sicuritalia.

L’indagine parte da un dato oggettivo, ovvero la ridottissima retribuzione corrisposta ai dipendenti, assunti per svolgere compiti di sorveglianza su committenza di importanti aziende, quali ad esempio Banca Intesa San Paolo o Poste Italiane, per citarne due che in questo periodo di declamata crisi economica si sono distinte sia per il notevolissimo incremento del profitto sia per la decisa ferma opposizione a qualsiasi aumento dell’imposizione fiscale a loro carico (la cosiddetta tassa sugli extra profitti qualunque sia il significato di questa espressione gergale, oggetto di molto sproloquio e di nessuna pratica applicazione). Il crimine contestato è lo sfruttamento di prestazione lavorative abusando di una posizione dominante, dunque con un sostanziale violento ricatto. L’indagine è a modo suo semplicissima, proprio perché fondata su fatti noti e documentali: orario e salario non sono per nulla occulti o occultati, ma costituiscono l’applicazione di patti stipulati fra imprese e sindacato.

Tre sono i contratti collettivi applicati al personale ingaggiato – non in nero o comunque di nascosto – in questa vasta area che è funzionale al controllo e alla tutela dell’attività terziaria, arretrata e/o avanzata, pubblica e/o privata. Il CCNL conosciuto come servizi fiduciari è quello caratterizzato dai minimi più bassi, 980 euro lordi mensili per la categoria più diffusa (la D), detratte le ritenute fiscali e previdenziali diventano 685 euro netti per 13 mensilità, a fronte di 173 ore mensili di lavoro (tempo pieno). Lo hanno firmato CGIL e CISL, senza la UIL. Come ben spiega la sentenza 21 febbraio 2023 del Tribunale di Milano anche gli altri due contratti collettivi di categoria (firmati da UIL e UGL), pur discostandosi sul quanto non lo fanno in misura significativa e comunque sono ben lontani dal quel minimo vitale che secondo l’articolo 36 della Costituzione italiana deve ritenersi assolutamente inderogabile. L’estensore della sentenza è un magistrato con una certa esperienza sul campo (il dottor Tullio Perillo) e soprattutto con una giurisprudenza personale assai prudente, attenta a non sconfinare in affermazioni troppo radicali, sempre misurata. Non siamo di fronte ad una iniziativa clamorosa di un Giudice comunista che strappa le regole in vigore con lo scopo di fornire le basi a una rivoluzione sociale; prevale anzi il richiamo di precedenti consolidati in tema, di principi costantemente recepiti anche dalla Corte di Casazione. La conclusione cui perviene il Giudice con questa sentenza non consente equivoci: tutti e tre i contratti collettivi prevedono compensi per il lavoro svolto inaccettabili e illeciti, dunque nulli e privi di effetto vincolante, perché non consentono al prestatore, in violazione della norma costituzionale, di vivere un’esistenza qualificabile (almeno economicamente) come dignitosa (per quanto modesta).

Tutte le organizzazione sindacali, sottoscrivendo le tre diverse stesure, hanno firmato – afferma il Tribunale – un patto illecito con le imprese: la quantificazione deve essere rimossa e sostituita con un parametro conforme a diritto, che la sentenza poi quantifica in un aumento di (circa) 300 euro lordi mensili, onde collocare più in alto l’assicella del corrispettivo, tenendo conto della soglia di povertà. A conferma del taglio prudente di esame fatto proprio dal Tribunale il minimo vitale individuato da ISTAT viene invece ritenuto troppo elevato, in ragione delle retribuzioni medie percepite dal precariato italiano, che sappiamo essere il peggio pagato e per giunta in costante peggioramento.

La procura di Milano, disponendo il commissariamento  di Mondialpol e Servizi Fiduciari mediante controllo giudiziario, ha preso in considerazione innanzitutto gli accordi economici che tutte le organizzazioni sindacali (escluse naturalmente quelle c.d. di base che non hanno accesso alla trattativa nazionale); sono dati oggettivi, sotto gli occhi di tutti, mai messi in discussione dai servizi ispettivi ministeriali, dalle istituzioni pubbliche in occasione delle gare d’appalto, dagli economisti e dai giuslavoristi di regime che offrono consulenza al governo e alle autorità territoriali. La prova del crimine è la stipula di un contratto collettivo firmato dalle organizzazioni dei lavoratori più rappresentative, quelle ammesse al CNEL. A fronte di paghe così basse, tali da non consentire neppure vitto e alloggio, i dipendenti – afferma la procura dopo averli sentiti e interrogati in una sorta di anomala conricerca – sono di fatto costretti con violenza ad accettare lo straordinario in misura esagerata, a starsene zitti per evitare ritorsioni, a piegarsi ad ogni richiesta datoriale. Il commissariamento dell’amministrazione d’impresa viene indicato quale unico strumento tecnico possibile per imporre l’adeguamento del percepito da molte migliaia di lavoratori, sottraendoli allo sfruttamento intensivo che i loro rappresentanti sindacali si ostinano a considerare giusto.

Ci troviamo di fronte ad un contrasto inusuale. La procura inquirente ritiene che i minimi salariali applicati nel settore della vigilanza siano un crimine da perseguire; i sindacati confederali (e con loro UGL) resistono sulle loro posizioni e hanno firmato, di recente, il 30 maggio 2023, il rinnovo, con l’adesione pure di Lega Coop, ottenendo nelle assemblee l’approvazione delle vittime del reato, con una larghissima maggioranza (80% dei votanti), come sempre avviene nelle dittature. Eppure l’aumento previsto nel rinnovo mantiene le retribuzioni molto al di sotto della quota ritenuta in giurisprudenza come limite possibile non valicabile in peggio. Si tratta nei segmenti più fortunati di circa 140 euro lordi (meno di 100 euro netti), spalmati in cinque tranche da oggi al 2026. Ma la prima tranche (50 euro lordi) mangia i 20 euro di copertura anticipata già in provvisorio vigore, mentre la più bassa categoria F vale come ingresso e dura 18 mesi. Ove prima di delitto effettivamente si trattasse (come sostiene la procura) il delitto anche oggi permane e le organizzazioni sindacali con l’accordo contribuiscono attivamente a perpetrarlo.

Abbiamo citato un precedente, significativo, della Sezione Lavoro del Tribunale di Milano, condiviso nei suoi presupposti dalla procura inquirente che agisce contro Mondialpol e Servizi Fiduciari. Non è l’unico. La Corte d’Appello milanese (riformando una precedente decisione negativa del Tribunale) con sentenza n. 580/2022 ha sancito i medesimi principi, ordinando anzi l’applicazione d’imperio del contratto c.d. multiservizi , ancora più oneroso per le imprese; e la Terza Sezione del TAR Campania con sentenza n. 1488 del 7 marzo 2023 ha stabilito che le gare d’appalto pubbliche debbano recepire questo indirizzo nei bandi. Ma, va detto, l’orientamento non è per nulla univoco, esistono decisioni di segno contrario, anche a Milano. Tre sentenze (1495/2023, 1924/2023, 1495/2023) hanno respinto le domande dei lavoratori sul presupposto che la firma sindacale legittimi in ogni caso il quanto previsto negli accordi, inteso come giusto per sua stessa natura, a prescindere dalla Costituzione. I lavoratori, intimoriti dalle conseguenze di un cammino giudiziario incerto costoso lungo e zeppo di pericoli, si tengono in disparte rinunziando ad ogni pretesa per non rischiare di perdere quel poco che hanno. In parlamento si preparano del resto al rigetto della proposta di salario minimo a 9 euro lordi orari, con larghi settori del PD apertamente contrari e un segmento di opposizione (Italia Viva) che sostiene la maggioranza meloniana. L’argomento più utilizzato per negare il varo di un salario minimo orario (fatto proprio pure da molti sindacalisti di parte lavoratrice) di cui usufruirebbero bel 4,5 milioni di dipendenti oggi sotto la soglia si articola in duplice aspetto: il salario minimo incoraggia il lavoro nero e sottrae forza alle organizzazioni dei lavoratori. Sono considerazioni non solo arroganti e infondate, ma anche segnale di un cinismo grottesco e disgustoso.

Le organizzazioni sindacali firmatarie del rinnovo (CGIL, CISL, UIL, UGL) ricevono dalle loro vittime una quota mensile per l’iscrizione e delega a rappresentarle; le aziende provvedono alla trattenuta in busta paga versando il prelievo nelle casse sociali. Non sono semplicemente degli sprovveduti, sono complici. Per uno strano gioco del destino il carnefice viene eletto e finanziato dai precari perseguitati, li rappresenta, si serve di loro per sedere alla tavola del potere; bisogna riconoscere che c’è del talento, forse anche del genio, in tanta spietata efferatezza.

Crisi, transizione e accumulazione

(Il fantasma di Elisabeth Sutherland)

di Gianni Giovannelli

Fury, rage madness in a wind
sweet through America

(William Blake, America, X)

Dentro l’attuale transizione – durante il passaggio, cioè, dal vecchio modo di produzione fordista all’attuale struttura economica finanziarizzata – assistiamo, in sequenza, variegata ma continua,  all’attuazione di scelte istituzionali e di decisioni imprenditoriali che concretano un progetto di accumulazione originaria, naturalmente aggiornato e contestualizzato, così da poter essere lo strumento con il quale il nuovo assetto capitalistico intende ottenere un dominio pieno e incontrastato, piegando alle proprie esigenze di profitto gli abitanti di ogni territorio. Come nel passato anche questa nuova accumulazione deve caratterizzarsi necessariamente in una acquisizione coattiva e violenta delle risorse monetarie (ma non solo monetarie) da mettere in circolazione, per impiegarle e trasformarle in (plus)valore. L’evento eccezionale consente, direbbe Carl Schmitt, l’uso dello stato di eccezione da parte dell’istituzione politica; in effetti tutti i governi, compreso quello italiano, non esitano ad invocare come inevitabili misure qualificate straordinarie  nel momento della loro introduzione, ma concepite invece fin da subito come permanenti. La moderna forma stato, in tutte le sue concrete sedimentazioni e pur con indubbie differenze, vive in simbiosi con la crisi, di essa si nutre, tanto che, quando tarda a manifestarsi o si presenta troppo tenue, viene sollecitata, provocata, stimolata, accresciuta rimuovendo i freni. Per sottomettere la moltitudine precaria e meticcia, e vincere lo scontro aperto in questa transizione, la violenza assume un ruolo strategico, il capitale non può non usarla che a piene mani; il ricorso a metodi tipici dell’accumulazione originaria non è affatto un ritorno al passato o, tanto meno, una rievocazione del fascismo inteso come riproposizione di un sistema ormai consegnato alla storia del secolo scorso. Le suggestioni nostalgiche proposte da segmenti reazionari e/o razzisti nei parlamenti europei vengono usate, in congiunzione o in contrapposizione controllata, insieme alle istanze liberal(i) volte ad ottenere trattamenti paritari nelle società civili. È dunque l’invenzione di un moderno dispotismo, assai articolato nella sua formale veste giuridico-statuale, molto simile nei suoi interventi di gestione politico-economica a breve termine. Il vecchio fordismo era un sistema dotato di una sua stabilità, a patto che si salvaguardasse la permanenza dell’aumento di produttività, per consentire l’incremento contemporaneo del salario reale e del profitto. Tuttavia, a partire dagli Anni Ottanta, si è consolidato il capitalismo cognitivo e finanziarizzato, poi evoluto in un capitalismo delle piattaforme; ma ciò ha comportato anche una instabilità strutturale, non rimuovibile con i provvedimenti di tipo fordista. È la crisi che alimenta il capitalismo, non viceversa: per questo proprio durante l’insorgere di una crisi il capitalismo si rivitalizza, cresce e non soffre.

Questo spiega la mobilità contraddittoria delle alleanze, il continuo mutamento delle ideologie rivendicate (sovranismo, monarchia, parlamentarismo, presidenzialismo e così via), la coerenza nell’incrementare la spesa militare e nell’attaccare il sistema di diritti sociali, ogni forma di residuo welfare (per quanto attenuato). Neppure vi è contraddizione fra un alto livello di sviluppo scientifico-tecnologico e l’utilizzo, dentro la transizione, di meccanismi tipici dell’accumulazione originaria, per accelerare il processo di trasformazione e/o incrementare il profitto. Anzi. Per riuscire a mettere a valore l’intera esistenza della generalità degli abitanti di un territorio è utile togliere loro ogni risorsa, sottrarre qualsiasi diversa alternativa, perfino quella di autarchica autonomia mediante piccole collettività insediate in luoghi appartati. Il capitale del XXI secolo è più feroce di quello che lo ha preceduto, non concede tregua, non tollera diserzioni  e resistenze, in nessuna forma e di nessun genere.

La duchessa di Sutherland

Il 21 gennaio 1853 uscì sul diffuso quotidiano New York Daily Tribune, espressione della linea politica antischiavista, un articolo di Karl Marx, al solito irriverente e ironico, che poneva all’attenzione del pubblico la figura della (defunta) duchessa scozzese Elisabeth Sutherland (1765-1839) e, sia pure indirettamente, del marito George, esponente del movimento Whig in cui pure si riconosceva il foglio che ospitava il pezzo (nota 1). C’era clima di crisi in quei giorni; dopo le elezioni la maggioranza si reggeva per soli sei voti, il tasso di sconto era cresciuto, i cereali scarseggiavano per via del cattivo raccolto, montava la speculazione su ferro e ghisa scozzese con crescita esponenziale del prezzo di mercato, non si placava la polemica sulla schiavitù avvicinando il tempo della ormai inevitabile guerra civile americana. Il liberalismo inglese era schierato per l’abolizione, con molta foga, senza tuttavia concedere nulla ai “liberi operai” del Regno Unito, che, in patria, subivano una costante repressione e angherie di ogni sorta. Marx non perse una ghiotta occasione per mettere i democratici europei alla berlina, rievocando quanto era accaduto, fra il 1814 e il 1820, nelle Highlands grazie alla sua duchessa, Elisabeth. L’articolo spiega come funziona in concreto il meccanismo di accumulazione originaria, dalla teoria alla pratica; e per questo rimane utilissimo anche oggi.

Pecore al posto di umani

Nel 1814 la duchessa di Sutherland ereditò i vasti territori delle isole; ci vivevano 3.000 famiglie, per un totale di circa 15.000 anime, e la terra era in uso comune, non del singolo agricoltore ma della collettività che abitava il territorio, nel suo insieme. Nessuno pativa la fame, il costo dell’affitto era modesto, sostenibile. Un illuminista scozzese, Dugald Stewart (1753-1828), calcolò che un campo coltivato nelle Highlands forniva sostentamento a un numero di persone dieci volte superiore rispetto ad uno di grandezza identica situato nelle province più ricche del Regno Unito (opere, volume 1^, capitolo XVI).

Purtroppo per gli abitanti l’agricoltura rendeva meno del pascolo alla duchessa, che, fra il 1814 e il 1820, ordinò di bruciare e distruggere i villaggi scatenando l’esercito contro chi resisteva alla deportazione e non esitando a passare i ribelli per le armi. Quindicimila Gaeli furono sostituiti da 131.000 pecore, divise in 29 allevamenti affidati a 29 famiglie (per lo più inglesi) che sostituirono le tremila indigene. I superstiti si videro assegnare seimila acri (poco meno di 15.000 ettari) abbandonati e incolti, ma non più in gestione collettiva bensì dietro pagamento di un elevato compenso per uso solo singolo. Gli esseri umani erano impoveriti, ma i profitti invece risultavano assai cresciuti, con l’aggiunta anche di una rendita fondiaria. La duchessa Elisabeth era una convinta abolizionista, sosteneva le ragioni degli antischiavisti già nei primi anni del suo secolo; evidentemente la filantropia, come ai giorni nostri, cerca beneficiati il più possibile lontani da casa propria!

Dispotismo e accumulazione primitiva

In un arco di tempo ridotto (2020-2023) si sono susseguite e accavallate tre crisi diverse, tutte con effetti e conseguenze di notevole peso per i soggetti che le hanno subite e per l’economia nel suo complesso: pandemia/sindemia, guerra russo/ucraina, banche/moneta/inflazione. Il neo-capitalismo finanziarizzato ha colto l’occasione per forzare le tappe del processo di sussunzione già avviato, attaccando ogni resistenza, ogni possibile opposizione.

L’emergenza sanitaria ha consentito, nel biennio 2020-2021, di limitare il diritto di critica e di sciopero, di accelerare ulteriormente la compressione dei salari e la precarizzazione anche mediante provvedimenti per decreto, di introdurre la delazione (intesa quale dovere civico) nelle comunità territoriali, di aggredire la sanità pubblica consegnando a quella privata ingentissimi profitti con imposizione fiscale agevolata grazie agli accordi europei sul costo del vaccino e sulle modalità di pagamento (ma anche grazie alle convenzioni nazionali sulla cura e sul costo dei farmaci). L’ingerenza dell’autorità, imposta agitando il timore del contagio, si è consolidata in un accettato autoritarismo e questo va evolvendosi in un moderno dispotismo che non ammette forme di reale opposizione o resistenza. Il governo, dentro la pandemia, poteva decidere con totale discrezionalità quel che si era autorizzati a produrre e/o vendere; in quei giorni le imprese della logistica e delle armi non subirono alcun fermo o limitazione, benché depositi e fabbriche si trovassero in località epicentro del contagio, con incremento geometrico dei profitti di quei settori merceologici. Perfino i vaccini e gli autisti furono in qualche modo “militarizzati”.

A seguire, dal febbraio 2022, la guerra in Ucraina ha consentito (e giustificato ideologicamente nella comunicazione) un formidabile attacco alle condizioni di vita dei ceti popolari. L’aumento dei costi dell’energia elettrica è stato il pretesto per una crescita incontrollata del prezzo dei generi di prima necessità, quali pane, pasta e frutta; l’incremento del costo di gestione delle autovetture private e del riscaldamento domestico ha colpito soprattutto i redditi più bassi; in generale i maggiori oneri provocati dalle sanzioni antirusse hanno comportato, per naturale conseguenza, un prelievo a strascico di risorse, sottratte ai meno abbienti, che si è poi concretato in un rilevante allargamento della forbice ricchezza/povertà e, al tempo stesso, in profitti enormi sia per i monopolisti dell’energia sia per quelli dell’industria militare, che già godevano di posizioni privilegiate. Il costo del gas era pari ad Euro 0,084 nel terzo trimestre del 2020, poi era salito ad Euro 0,285 nel terzo trimestre del 2021 (ancora anteguerra), toccando il picco di 1,247 nel dicembre 2022 (dopo l’attentato alle condotte) per poi scendere ad Euro 0,608 nell’aprile 2023 (in regime di tutela). Al termine dell’operazione complessiva (che ha consentito guadagni immensi) il prezzo dell’erogazione rimane comunque almeno sette volte superiore a quello del 2020, ma non troppo dissimile da quello di inizio guerra, segno palese di una crisi fraudolenta. Il conflitto fra Russia e Stati Uniti, trasformato dalla propaganda dei due governi in guerra patriottica, si è risolto in una generalizzata riduzione del livello medio di vita, in un impoverimento complessivo che rende più debole la resistenza dei corpi messi a valore e più forte il dominio sulle esistenze dei subordinati.

Ed ora le conseguenze dei fallimenti bancari americani si vanno legando all’inflazione già in essere durante la guerra, al minor costo del lavoro, alle fluttuazioni monetarie, esaltando uno stato di crisi i cui costi sono risolti con il vistoso ulteriore calo della spesa pubblica, con il taglio di residue forme di Welfare, con sempre più diffuse forme di prelievo che invadono ormai l’area dei trattamenti previdenziali e perfino pensionistici.

Il susseguirsi delle crisi diviene, con sempre maggiore evidenza, lo strumento necessario per attuare il disegno neocapitalistico di finanziare il costo della transizione mediante forme moderne della storica accumulazione originaria. E poiché la violenza assume un ruolo strategico in ogni passaggio di accumulazione c.d. primitiva, non può stupire la scelta di usare la guerra su larga scala territoriale (non solo in Ucraina!) e la coazione come strumento di governo (il dispotismo: quello democratico, quello teocratico, quello liberista, quello del c.d. socialcomunismo reale). In veste nuova siamo di fronte alla formazione violenta del capitale nella transizione.

La questione del salario minimo

Il recente rapporto OIL (Organizzazione Internazionale Lavoro) presentato a Roma il 22 dicembre 2022 conferma il continuo processo di riduzione del salario in Italia; fra il 2019 e il 2022 la fascia di retribuzione più bassa è passata da 9,6% a 10,5%, certificando come anche all’interno degli occupati sia in aumento la povertà. Durante la doppia crisi pandemia-guerra, per la prima volta nel XXI secolo, nel corso del 2022 la diminuzione del salario reale è registrata su scala mondiale, sia pure in piccola percentuale; in Italia l’erosione del salario è stata di 6 punti percentuali (12 punti nel periodo 2008-2022). I dati forniti dall’OCSE nel 2021 (a pandemia in corso) confermano come l’Italia sia l’unico paese europeo in cui le retribuzioni di fatto siano diminuite nel trentennio 1990-2020 (2,9%); per contro la Lituania (che però partiva da una base assai contenuta) mostra una crescita del 276%, la Grecia del 30,5% e la Spagna del 6,2%. Sono in linea i dati ISTAT: fra il 2007 e il 2020 le entrate reali dei lavoratori sono scese almeno del 10%, mentre sono cresciute le imposte a loro carico del 2% e si è invece ridotto l’importo previdenziale a carico delle imprese (4%). Con poche eccezioni nel pianeta lavorare porta meno introiti e lo sciame precario -se si tiene conto del costo necessario per esistere- si avvia verso una povertà democratica (nel senso di ugualitaria) che pone all’ordine del giorno la questione del salario minimo come argine al peggio visibile osservando l’orizzonte.

Le organizzazioni sindacali, con sempre meno iscritti, mostrano segni di evidente debolezza e di propensione al cedimento inteso come male minore (a prescindere dai crescenti episodi di patrocinio infedele o di corruzione, che, per quanto ignobili, non spiegano tuttavia quanto sta avvenendo). La contrarietà del sindacato all’introduzione di una soglia di salvaguardia a tutela di chi vive lavorando viene motivata, in modo per la verità assai poco convincente, con la necessità di non rompere il fronte dei lavoratori uniti, difendendo l’istituto del contratto collettivo ed evitando l’atomizzazione delle retribuzioni. Ma sul campo un simile progetto è rimasto senza riscontro, è apparso senza gambe per camminare, mettendo solo a nudo l’incapacità di reagire al costante attacco del moderno capitale. Significativa appare la pronunzia della Corte d’Appello di Firenze (sentenza n. 68 del 28 marzo 2023) che ha dichiarato la nullità del CCNL sottoscritto da CGIL CISL e UIL per il settore dei Servizi Fiduciari, ravvisando nei minimi retributivi accettati dalle OO.SS. la violazione del precettivo articolo 36 della Costituzione in punto di un c.d. minimo vitale. Utilizzando quale parametro di adeguatezza la soglia di povertà individuata da ISTAT  e esigenze minime di un essere umano vivente in Toscana la Corte (una Corte peraltro tradizionalmente prudente nelle sue statuizioni) ha rilevato che il corrispettivo previsto dal contratto nazionale di settore si collocasse in una fascia inaccettabile secondo i principi della nostra Carta. E’ il segnale di una crisi operativa dell’istituzione-sindacato, di una abdicazione che lascia scoperta la casella di quel ruolo che nel secondo dopoguerra era stato tradizionalmente riconosciuto dai governi occidentali.

È ben vero che il limite dell’art. 36, almeno in astratto, dovrebbe garantire a tutti, senza bisogno di una norma specifica, il salario minimo; ma si tratta in realtà di pura ipocrisia, non è pensabile che per ottenere in concreto il risultato un lavoratore sottopagato debba ingaggiare un legale e rivolgersi, senza risultati certi, a un Tribunale! Dunque si pone come un obiettivo necessario e realistico quello di rivendicare una chiara legge, di poche righe, che imponga una soglia minima inderogabile a compenso dell’ora e della giornata di lavoro effettivo (in tempi di lavoro intermittente, di prestazione da remoto, di esecuzione spesso discontinua il riferimento non può essere solo orario, ma in alternativa anche giornaliero). Non è certamente un programma rivoluzionario, ma, in una situazione di debolezza e di trincea difensiva, pare oggi anche l’unico che può trovare gambe per camminare e conquistare vasta adesione.

La povertà in aumento è una scelta lucida del potere, non un incidente di percorso.

Le crisi che caratterizzano questo terzo decennio del secolo hanno accelerato sia l’allargamento della forbice fra ricchezza e miseria sia l’incremento al momento inarrestabile della quota di soggetti costretti ad un’esistenza indigente. La fascia di povertà assoluta (629,29 Euro mensili, ISTAT, 2021) toccava già 1,9 milioni di famiglie, 5,6 milioni di persone, il 7,5% degli abitanti in quella che Giorgia Meloni chiama nazione italiana (CENSIS, 2 dicembre 2022)La povertà relativa (qui il parametro varia, possiamo collocarla intorno a 826,7 Euro) comprende 2,9 milioni di famiglie, 8,8 milioni di persone, 11,1% del paese. Entrambe crescono senza sosta, l’ISTAT valuta in 18 milioni i soggetti a rischio; il CENSIS (ultimo rapporto sulla situazione sociale in Italia) ritiene, in ragione dei dati acquisiti, che gli individui soggetti al rischio di povertà o di esclusione sociale o in condizioni di grave deprivazione sono ormai il 25,4% della popolazione (uno su quattro), e il 32,4 fra gli stranieri (uno su tre).

Contribuisce all’impoverimento complessivo il costo di un bene necessario quale è la luce elettrica per uso domestico. Le fonti statistiche ARERA evidenziano un costo pari a 18,84 Euro per KW/H nel 2016, sceso a 16,08 nel 2020, poi impennato a 46,3 Euro e a 66,01 Euro nel 2022 (crisi di guerra) per poi assestarsi nel 2023, dopo il prelievo forzato, a 23,75 Euro. Dopo il referendum lo stato, per una sorta di vendicativa ritorsione, ha deliberatamente omesso di investire sulla manutenzione della rete idrica; per conseguenza le perdite aumentano e (in piena crisi di siccità) si collocano ora ben oltre la soglia del 40% (almeno 42% secondo ISTAT) e almeno 18 milioni di residenti non hanno collegamento con la rete. L’Istituto di Statistica segnala che il 28,4% della popolazione non beve acqua di rubinetto perché “non si fida” consentendo all’industria legata a quella minerale un aumento quasi geometrico del profitto, godendo di concessioni scandalosamente a buon prezzo, senza alcuna concorrenza del pubblico. L’impoverimento genera profitto, l’impoverimento crea valore.

Casa e risparmio: il cerchio si chiude

Il rapporto Federproprietari-Censis del 12 dicembre 2022 indica una percentuale di chi vive nella casa di proprietà pari al 70,8%, mentre il 20,5% abita in locazione (la parte residua in usufrutto o per diverse ragioni senza versare corrispettivo). Fra il 2010 e il 2019 il prezzo medio degli immobili è cresciuto del 19,4%, mentre in Italia, proprio per la maggior diffusione della proprietà, è salito meno, del 16,6%. Al tempo stesso, nelle metropoli italiane (e non solo nelle metropoli) cresce la propensione all’investimento immobiliare, attirando capitale estero. Con l’inflazione, e dentro la crisi degli istituti bancari privati americani, il capitalismo contemporaneo aggredisce il risparmio di famiglia (caratteristica molto italiana, per qualità e quantità); con l’aumento dei costi di gestione delle case in concreto abitate e il contemporaneo disegno europeo di ristrutturazione energetica coattiva si prepara l’aggressione a questa ulteriore sacca di resistenza popolare.

La spesa militare – cresciuta fino a 28,7 miliardi, ovvero 1,54% del PIL – assorbe ogni investimento e lo sottrae sia alla sanità, sia alla ricerca, sia ovviamente al c.d. sociale. La crisi di guerra viene evocata per legittimare come inevitabile una scelta che invece la precede, con una continuità incontestabile fra governo Draghi e governo Meloni. La soppressione di quel che residuava del modesto reddito di cittadinanza si colloca con assoluta coerenza nel piano generale in via di attuazione.

Sussunzione formale e sussunzione reale si intrecciano, in attesa che il mosaico del dispotismo che caratterizza questo susseguirsi di crisi dentro la transizione consenta alla seconda di inglobare la prima. La rimozione di ogni sicurezza e il costante incremento dell’area di povertà (relativa e assoluta) sono la via violenta per mettere l’esistenza a valore; ancora una volta la violenza si rivela una forza produttiva. Il fantasma della duchessa Elisabeth Sutherland si aggira in Europa, anzi nel pianeta.

NOTE
1. Marx Karl, “La duchessa di Sutherland e la schiavitù”, in Opere, 2021, volume 11, pag. 511, traduzione di Elsa Fubini.

L’articolo è stato pubblicato il 2 maggio 2023 su Effimera e in contemporanea su Machina-DeriveApprodi e su El Salto tradotto in spagnolo.

Foto di RMN da wikimedia

Appunti per una critica del diritto prossimo venturo

Sciopero alla Fiat, Torino 1943

di Gianni Giovannelli

Fu un linguaggio del dispotismo e della tirannia il dire che la sola regola della legislazione è la volontà
del legislatore.
Gaetano Filangieri
(La scienza della legislazione, I, III Napoli, Raimondi, 1780)

Costituisce un dato di fatto, oggettivo e incontestabile, che siano in corso mutamenti profondi nella legislazione italiana e che questi mutamenti trovino un puntuale riscontro anche negli altri territori del pianeta, perfino a prescindere dalle diverse strutture politico-istituzionali. Non si tratta di una generica stretta repressiva limitata al diritto penale, come un esame soltanto superficiale potrebbe indurre a credere; la trasformazione – di questo si tratta come ogni giorno appare sempre più evidente – si estende all’insieme complessivo delle norme ordinamentali, civili, amministrative, lavoristiche, marittime, militari, interstatuali.

Il mutamento

Scricchiola e vacilla il tradizionale riferimento ai codici e perfino alle costituzioni, ovvero a uno stabile quadro di regole dei rapporti contrattuali e sociali, dentro un orizzonte temporale tale da consentire una qualche programmazione esistenziale. Certo: le guerre, le catastrofi naturali o le epidemie potevano imporre il varo di provvedimenti eccezionali, ma con l’intesa che poi sarebbe tornata la normalità. Perfino la Seconda guerra mondiale non riuscì a cancellare questa concezione dei patti di convivenza, nata durante il terremoto napoleonico e articolatasi nel concreto in mille diverse versioni. L’attuale capitalismo, rinnovato e finanziarizzato, procede invece, con determinazione, nel perseguire questa radicale mutazione, ritenuta ormai necessaria al processo di valorizzazione; non intende rallentare e tantomeno fermarsi.

La pandemia, la guerra – ormai endemica e diffusa, non limitata alla punta ucraina – e la crisi, anch’essa a carattere permanente, sono un fattore di accelerazione, utilizzato con crescente professionalità nelle singole situazioni dagli addetti alla cabina di controllo e di comando. La pandemia ha generato ansia, timore, soprattutto un senso di rassegnazione servile, di accettazione della subordinazione quale unica possibile via di sopravvivenza. La guerra ha aggiunto una preoccupata insicurezza (per le fonti energetiche e per i rischi atomici) su cui viene coltivato sapientemente l’odio in luogo della solidarietà. Infine la crisi ha allargato la forbice fra ricchi e poveri, ha logorato il vecchio welfare e consentito tramite inflazione il prelievo del risparmio, così andando a indebolire la resistenza delle famiglie popolari, costrette ad accettare condizioni lavorative e retributive in costante peggioramento; le organizzazioni sindacali assistono, o impotenti o qualche volta complici, al disastro, comunque senza reagire.

La scelta del capitale

La scelta del capitale – e dei diversi esecutivi incaricati di mantenere l’ordine, pur variando il metodo per giungere allo scopo – par essere quella di un moderno dispotismo, adattato al territorio in cui si cala. Si tratta di una forma istituzionale adottata, per fatti concludenti, dalla teocrazia iraniana, dai laburisti australiani, dai nazionalisti indiani, dai comunisti cinesi e, ora, in continuità con Draghi, dai neofascisti italiani. Siamo in presenza di un concetto aggiornato di quella che viene definita come costituzione materiale. Come aveva intuito quasi duecentocinquant’anni or sono il nostro Filangieri, giurista geniale, il mezzo per imporre una sostanziale tirannia del più forte (economicamente e militarmente) consiste in una legislazione caratterizzata, in via principale, dalla sola volontà del legislatore insediato nelle sale del potere. Al tempo stesso un meccanismo di estrazione del valore (con esproprio dei frutti della cooperazione sociale) fondato sulla conquista dell’esistenza e dei corpi non può sopravvivere senza la sopraffazione che assicura il controllo; al cittadino della borghesia fordista subentra il suddito, diviso per separati segmenti (religione, ideologia, etnia, genere, nazione, censo).

Ricomposizione e repressione

Il nemico del capitale è la ricomposizione che si annida dentro la resistenza, dentro la protesta; la miscela di rivendicazioni, diritti certi, solidarietà, unità ed emancipazione rischia sempre di trasformarsi in rivolta e va disinnescata prima di esplodere, non dopo. La repressione del dissenso risponde dunque, nella fase attuale di transizione, al duplice scopo di assicurare il controllo e di incrementare la produzione sociale complessiva. Al tempo stesso l’attacco al welfare, il saccheggio del risparmio, l’esproprio di ricchezza collettiva consentono di recuperare risorse con cui far fronte ai costi delle singole crisi. Alla pianificazione del socialismo reale e del liberalismo fordista – fondata in entrambi i casi sul consenso, sul contratto e sulla certezza del diritto – si sostituisce, in ogni regime attuale, nessuno escluso, un orizzonte normativo di breve respiro, mobile, modificabile, piegato alle esigenze della crisi e a quelle del profitto. Un comportamento lecito può, per volontà del legislatore al comando, diventare illecito; le sanzioni possono essere cancellate, alleviate o aggravate per decreto di governo, secondo le oscillazioni della moneta o della carenza di materia prima; il patto o il contratto, anche fra privati, può essere rimosso, annullato, modificato dall’autorità.

Variazioni del diritto

Il sistema delle norme, dei diritti e delle obbligazioni diventa, nell’attuale assetto capitalistico, soggetto a sbalzi quotidiani come fosse una quotazione in borsa: il mercato si è impadronito della legislazione, rendendola fluttuante, abbattendo ogni certezza.

Dopo la manovra finanziaria, con il decreto governativo di fine anno (30 dicembre), perfino inquinare diventa opinabile: nella produzione di acciaio quel che si vieta come veleno a Catania o a Firenze lo si consente (e impone agli abitanti) a Taranto e Priolo. Il legislatore, nel tempo del dispotismo, giunge così ad arrogarsi il potere di colpire la salute pubblica, di favorire i tumori, statuendo pure uno scudo penale (così i media di regime chiamano l’impunità) ai funzionari incaricati del crimine legalizzato in nome della produzione d’interesse nazionale. Assolti gli inquinatori e presumibilmente condannati coloro che cercheranno di opporsi al loro avvelenamento; in questa vicenda potrebbe tornar buono il severissimo apparato sanzionatorio auspicato in forma di decreto punitivo dalla seconda carica dello Stato, avvocato Ignazio La Russa, contro i giovani verniciatori di Ultima Generazione.

Nel paese degli Acchiappacitrulli, del resto, funziona proprio così; infatti Maya Bossier, giovane ribelle No Tav piemontese, dopo aver denunciato alla magistratura il poliziotto che le aveva tirato un cazzotto in faccia nel corso del fermo, ne ebbe puntuale conferma. Infatti il Tribunale di Torino (Giudice la dottoressa Costanza Goria) ha assolto il bastonatore e inflitto quattro mesi alla bastonata. Ancora: nessun risarcimento Inail riconosce a Giuliano De Seta, morto schiacciato in fabbrica durante lo stage, perché lavorava senza essere ancora stato promosso lavoratore da certificazione idonea. Al tempo stesso, tuttavia, una buona dose di carcere preventivo per i quattro ribelli che manifestavano contro la pericolosa insicurezza della legge di alternanza scuola-lavoro, senza rispetto per la gerarchia.

La legge del capitale

Questi episodi sono significativi, ma rientrano, in fondo, nel tradizionale indirizzo della cattiva giustizia italiana, sempre lesta nel punire i deboli e salvare i potenti, a volte dietro compenso, più spesso per convinzione. Ma quel che accade in questa fase della crisi è diverso da quanto avveniva in passato: alla violazione delle regole si sostituisce la cancellazione di norme giuridiche certe, rimettendo alla volontà dell’esecutivo la decisione in ordine al confine fra lecito e illecito, alla scelta di assolvere o punire, secondo le convenienze contingenti di governance e produzione. Questo processo è articolato, non è univoco, viene attuato per segmenti: sia con decisioni della magistratura sia con disposizioni normative sia ancora con interventi di carattere amministrativo. C’è del metodo in tale confusa strategia legata a obiettivi contingenti di brevissimo periodo, ma al tempo stesso mirata ad annientare il dissenso prima che diventi un fatto, criminalizzando come antisociale ogni tentativo di opposizione al regime.

Criminalizzazione continua

Questa è la scelta del capitale dentro la crisi e dentro la transizione in corso: trasformare qualsiasi esperimento sul campo di ricomposizione, di solidarietà e di unità in una associazione per delinquere. Lo strumento tecnico giuridico per tale piano del capitale è, in Italia, l’art. 416 del vecchio codice penale fascista (Regio Decreto 19.10.1930 n. 1398), interpretato con la necessaria disinvoltura nella sua concreta applicazione, fino a innovarlo e stravolgerlo. Lo schema del 416 è semplice: prevede, a carico di promotori e organizzatori e per ciò solo, la sanzione da 3 a 7 anni (e dunque consente le intercettazioni, telefoniche o ambientali) quando 3 o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti. Per i semplici partecipanti all’associazione (per il solo fatto di partecipare) la pena oscilla fra 1 e 5 anni di carcere. Questo è il grimaldello con cui, qui e oggi, il dispotismo forza il contenitore dei diritti residui, per rimuoverli e affermare il proprio pieno dominio.

Precedente di rilievo per questo filone giuridico è la sentenza n. 607/21 del Tribunale di Locri (Presidente il dott. Fulvio Accursio), a carico di Mimmo Lucano e di molti altri imputati; il reato associativo fu riconosciuto sussistente in una ipotesi di gestione dei fondi per lo sciame migrante in Calabria da parte di organismi no profit con le conseguenti durissime condanne oggi al vaglio d’appello (13 anni e 6 mesi al sindaco di Riace). Soprattutto, anche a prescindere dal caso specifico, fu l’occasione politica per criminalizzare l’intera rete del volontariato, dal salvataggio in mare al supporto tecnico di sportello fornito ai richiedenti asilo, fino all’assistenza sindacale durante lo svolgimento di lavori necessariamente precari. Questa operazione, nata e cresciuta quando il governo contava su larghe intese, prosegue ancora più violenta e astiosa con l’esecutivo Meloni (si consideri da ultimo il recentissimo decreto Piantedosi per contrastare le navi Ong).

A Piacenza nella logistica

Assai significativa è, successivamente, l’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari di Piacenza, dottoressa Sonia Caravelli, nel procedimento penale radicato dal Pubblico Ministero già nel 2016 (R.G. 1827/2016), contro i dirigenti dei sindacati di base nel settore della logistica (Usb e Si Cobas) e su impulso delle grandi imprese di settore (da Amazon a Gls). Per quasi sette anni i quadri sindacali furono costantemente pedinati, intercettati, tenuti sotto sorveglianza occulta, proprio in ragione dell’ipotesi criminosa a carattere associativo; il numero di ruolo assegnato dal Gip (2023/2021 e 2019/2022) certifica l’indagine come secretata per almeno 5 anni, dal 2016 al 2021, in attesa dell’occasione storica per utilizzare un tale archivio ancora oggi sottratto nella sua interezza alla difesa degli indagati. Non ha remore la dottoressa Caravelli nell’esprimere il suo punto di vista sui militanti sindacali: alimentavano attorno alle loro persone reti clientelari di lavoratori interessati alla stabilizzazione e volevano poi sostenerli con la forza ricattatoria del sindacato di appartenenza (il corsivo è citazione testuale del provvedimento). L’organizzazione delle lotte salariali diviene dunque associazione per delinquere, volta a commettere i reati tipici del conflitto fra capitale e lavoro: il picchetto (610 c.p., violenza privata), l’occupazione dei piazzali e l’invasione dei reparti (508 c.p.), il mancato scioglimento dell’assembramento (650 c.p.), l’interruzione del servizio di recapito (340 c.p.), la resistenza alla forza pubblica (337 c.p.), il disservizio nelle linee (513 c.p.), l’oltraggio al pubblico ufficiale (341 c.p.), il blocco stradale (la legge Togliatti del 1948 modificata dal D.L. 113/2018 di Gentiloni), il danno al pubblico servizio in genere (331 c.p.). Neppure il ministro di polizia più anticomunista della prima repubblica, l’avvocato Mario Scelba, nel suo lungo mandato (1947-53) era giunto a concepire un simile quadro accusatorio in danno degli scioperanti; al più usava la mitica Celere o, per i più riottosi, il battaglione Padova che interveniva secondo necessità un po’ dappertutto. Ora, in questa nuova e aggiornata versione, l’associazione per delinquere è quella che raccoglie i lavoratori interessati alla stabilizzazione (intesi come reti clientelari!) e i delitti che costituiscono lo scopo della struttura criminale sono quelli dello sciopero e del picchetto, mentre le lotte salariali diventano la costruzione di una forza ricattatoria.

Il capitalismo contemporaneo (delle piattaforme e della finanza) si discosta ormai dalla separazione sociale fra tempo di lavoro e tempo libero; l’intera esistenza dei corpi precari può, dunque deve, essere produttiva, va ricondotta dentro il complessivo processo di valorizzazione. Per questo, specie nell’ambito della crisi (o delle crisi) tutte le forme di dissenso diventano immediatamente nemiche del capitale e, pertanto, criminali.

L’occupazione di case a Milano

La quarta sezione del Tribunale di Milano (Presidente il dott. Giuseppe Fazio) ha accolto la tesi accusatoria del Pubblico Ministero dott. Leonardo Lesti e qualificato associazione per delinquere l’attività di Solidarietà Popolare nel quartiere del Giambellino. In pratica questa struttura territoriale fungeva da supporto agli occupanti di case popolari pubbliche, sfitte e abbandonate dall’Istituto, nel contempo dando vita ad attività culturali gratuite in zona. Secondo il periodico Internazionale su 2667 alloggi circa 900 risultavano vuoti; ma sostenere l’occupazione di quelli inutilizzati concreta associazione per delinquere e comporta nove condanne da 1 anno e 7 mesi fino a 5 anni e 4 mesi.

E il Tav

Non potevano, naturalmente, mancare nel mazzo i militanti contrari al Tav in Val di Susa: fallito ormai il tentativo della procura piemontese di colpire con la più nobile associazione sovversiva, la P.M. dottoressa Manuela Pedrotta si è servita del 416 c.p. ottenendo, dopo quasi tre anni di intercettazioni e pedinamenti, alcuni arresti nel corso dell’inchiesta chiamata «Sovrano»Si collocano fiduciosi in lista d’attesa i verniciatori di Ultima Generazione consapevoli che non tarderà l’intervento di qualche parlamentare in cerca di notorietà o di qualche magistrato solerte nei compiti assegnati dai tempi.

Decreto Rave

In linea con il disegno complessivo si pone, a fine anno, la conversione in legge con modifiche del decreto legge 31.10 2022 (c.d. decreto Rave), all’ultimo giorno, con la fiducia e l’aggiunta della cosiddetta ghigliottina (il nome rende bene l’idea di questo meccanismo parlamentare volto a tagliar corto e ad approvare in fretta qualunque cosa, senza necessariamente sapere di che si tratta). Rimane la pena da 1 a 6 anni, il che consente le intercettazioni, telefoniche e ambientali; rimane pure una certa vaghezza nel delineare l’area disciplinata dal decreto, il «raduno musicale» si presta a letture molteplici. In aggiunta all’occupazione arbitraria di terreni o edifici potrebbe infatti bastare la (inevitabile per gruppi spontanei non imprenditoriali) violazione della normativa (anche di un solo comma poco significativo!) sulla sicurezza e l’igiene (sterminata!) per far scattare la trappola accusatoria; anche i locali d’impresa (per prime le discoteche) incorrono spesso nell’infrazione di norme sull’igiene e sulla sicurezza (una jungla di disposizioni, spesso contraddittorie, di non facile lettura), ma con conseguenze ben diverse (sono contravvenzioni e si prescrivono presto) e incassi ben più sostenuti! In ogni caso rileva la premessa associativa nell’articolo 5 del decreto (promuove organizza), via maestra che consente senza troppa fatica di giungere al 416 c.p. solo aggiungendo un qualche altro delitto al già criminalizzato raduno musicale (questi Torquemada in sedicesimo avrebbero incarcerato volentieri quelli di Woodstock o dell’isola di Wight). Dalla frode fiscale per la vendita dei prodotti con marchio Genuino Clandestino alla ricettazione di chitarre hanno solo l’imbarazzo della scelta. L’importante è dominare.

L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 16 gennaio 2023, su Machina e tradotto e pubblicato su El Salto

CODIFICAZIONE DELL’INCERTEZZA

di Gianni Giovannelli

(Intervento di Giovannelli al seminario “Dei corpi perduti e dei corpi ritrovati” – Milano, 10 ottobre 2020)

La norma, che è il nocciolo della legge, caratterizza, nella sua sostanza, il sistema complessivo che regge il potere; definire la norma consente di cogliere i punti di forza e i punti di debolezza nell’apparato di comando.
Dobbiamo a un serbo della Voivodina, Vujadin Boskov (1931-1914) l’aforisma che inquadra perfettamente l’idea di norma che si è affermata, con sempre maggiore evidenza, nel capitalismo finanziarizzato delle piattaforme. Boskov, pur se laureato in storia e filosofo del diritto formatosi nel socialismo reale, era anche un abile allenatore di calcio, capace di portare la Sampdoria fino alla vittoria nel campionato. Richiesto di un parere sulla legittimità o meno della decisione arbitrale di sanzionare la sua squadra con il rigore rispose chiarendo il procedimento corretto di interpretazione delle regole sul campo: quando arbitro fischia quello è rigore. Il direttore di gara incorpora sia la previsione astratta sia la sanzione eventuale, il suo verdetto diventa per mera discrezionalità o anche per mero arbitrio la legge.
In fondo si tratta di una riscoperta del vecchio ordinamento imperiale romano, di una massima risalente a Domizio Ulpiano, libanese di Tiro: quod principis placuit legis habet vigorem (Digesto, I, 4, 1 pr.). Ovvero: quando il principe ha deciso quella è la legge. La discrezionalità un tempo riservata all’imperatore oggi viene esercitata da una legione di funzionari, pubblici o privati; si sono ben radicati nella vita sociale e nell’esistenza quotidiana al punto che nessuno mette più in discussione la loro funzione. Quando fischiano quella è una multa.
Non possiamo tuttavia ricondurre ad un generico fascismo questa ampia e generale cancellazione di un codice comprensibile dei diritti e dei divieti; si tratta di un fenomeno assai più complesso e variegato che caratterizza quasi tutte le moderne organizzazioni statuali, non solo in Italia. Il regime militare sudamericano o il nazismo tedesco si limitavano a decodificare i soli delitti politici, a criminalizzare gli oppositori o a punire lo sciopero; ma non hanno mai esteso l’incertezza sulla liceità o meno di un comportamento all’insieme dei rapporti sociali. Il codice civile ancora oggi in vigore risale al 1942 e reca la firma di Benito Mussolini. Nella legislazione sovietica venne elevata al rango di legge l’incertezza su ciò che si potesse o non si potesse fare, ma con una certa attenzione a circoscrivere la portata di questa scelta nell’ambito della repressione dei nemici della rivoluzione (articolo 58 del codice penale, 1927) o dei teppisti, gli huligani che violavano la morale socialista. Rielaborando l’esperienza zarista i giuristi sovietici portarono contributi originali; Iverskij affermò che dentro le leggi vi sono articoli che parlano e articoli che non parlano, il commissario alla giustizia Petr Ivanovic Stucka aggiunse che non tutto il diritto è espresso in legge. Il nodo fu individuato da Pasukanis: la sfera del dominio, che assume la forma del diritto soggettivo, è un fenomeno sociale che inerisce all’individuo allo stesso modo che il valore, anch’esso fenomeno sociale, viene ascritto alla cosa, prodotto del lavoro. Il feticismo della merce si completa con il feticismo giuridico. Dunque i rapporti sociali, secondo Pasukanis, tendono sempre ad assumere una formula duplice, enigmatica. A lato della proprietà mistica del valore compare qualche cosa di non meno enigmatico, il diritto. Il più cattivo di tutti, Vysinskij, il pubblico accusatore nei processi staliniani, dopo aver definito sia Stuka sia Pasukanis spie e sabotatori, giunse a conclusioni più drastiche: il diritto è un mezzo di controllo, si estinguerà quando gli uomini si saranno assuefatti al rispetto delle regole così da attuarle senza coazione. Probabilmente pensava: cioè mai!
Le vecchie regole erano quelle di una società fordista o di una società postcoloniale; si fondavano sul tempo e sul luogo, sulla religione e sulla gerarchia, sulla esatta indicazione dei diritti e dei doveri costruiti per una operosa esistenza delle masse operaie o contadine. Oggi la produzione di merci smaterializzate è alla base delle ricchezze più ingenti. Ci troviamo di fronte a un nuovo flusso, caratterizzato dall’inatteso, dalla continua innovazione. L’innovazione è organizzabile, ma non prevedibile. Non è neppure misurabile utilizzando le forme convenzionali di misurazione di cui dispongono le attuali strutture sindacali dei lavoratori, anche quelle più radicali. Questo torrente di innovazione è un torrente di lavoro vivo, che non perde la sua caratteristica solo perché non è misurabile con l’orologio del tempo convenzionale o per assenza di materialità. Il capitale incamera valore e al tempo stesso sottrae alla nostra vista il tesoro. Il vecchio padrone si cela nella piattaforma, non esiste neppure la possibilità di un incontro fisico fra Jeff Bezos e i corpi che utilizza in giro per il mondo. Eppure anche Jeff Bezos ha un corpo, una famiglia; in qualche luogo mangia e dorme.
Il corpo. Il corpo deve essere sempre disponibile, in casa, in bicicletta, sul furgone, in ufficio, per strada, collegato e raggiungibile. Il contratto fra piattaforma ed esistenza, fra merce immateriale e corpo non ha alcuna necessità di fissare i confini nei luoghi o nei tempi. Quale che sia l’assetto istituzionale in cui si articola, territorio per territorio, il dominio della nuova organizzazione capitalistica (sia essa teocratica, socialista, populista, liberale, democratica, autoritaria) esige, comunque, oggi, una generale delegificazione, una ampia decodificazione; l’attuale modo di produzione presuppone infatti la condizione precaria e si fonda sull’appropriazione dei frutti della cooperazione sociale. L’uso del precariato abbatte il tempo di lavoro tradizionale e stravolge ogni misurazione. Dunque l’unica regola possibile diventa l’assenza di regole; l’esproprio del sociale a sua volta si traduce inevitabilmente nella cancellazione di ogni tutela dei soggetti riuniti in comunità o singolarmente considerati. Prima era merce l’ora lavorativa, ora è merce l’intera esistenza e le merci non hanno diritti.
Ci troviamo davanti al rovesciamento dei presupposti stessi che caratterizzano il contratto di lavoro. Nell’epoca fordista l’operaio cedeva un segmento temporale (tempo di lavoro), ore astratte, merce/tempo immateriale che il capitalista acquisiva per usarla a proprio rischio in un luogo, contrattando prezzo e condizioni vincolanti, ovvero codificando conseguenti diritti di cui il venditore era titolare. Nell’epoca del capitalismo finanziarizzato le merci immateriali non hanno più necessità di un luogo preciso o tempo prefissato, ma richiedono invece l’esproprio della cooperazione sociale complessiva e la disponibilità delle esistenze precarie per intero; dunque l’esistenza diviene merce essa stessa, con implicita rinunzia del soggetto ad essere titolare di diritti, quasi una moderna forma giuridica di schiavitù nell’era informatica.
Giunge a conclusione un lungo tragitto giuridico, iniziato con Enghelbert d’Admont, il primo ad intuire che il Sacro Romano Impero si era avviato al tramonto; Baldo degli Ubaldi (1250-1331, conosciuto anche come Baldo da Perugia), allievo del celebre Bartolo da Sassoferrato, seppe elaborare strumenti tecnici in grado di arginare il potere assoluto, codificando diritti comunali e territoriali. A lui si deve, fra l’altro, il primo studio sulla cambiale. La codificazione dei diritti, e ovviamente delle pene, accompagnò sempre le rivendicazioni; erano le carte e non a caso i primi movimenti dei lavoratori si chiamarono cartisti in ragione delle petizioni sottoscritte che trainarono riforme elettorali prima, sociali poi.  La difesa pura e semplice del passato normativo fordista non ha un avvenire e si presenta quasi come un lamento luddista; lo scontro si è spostato ormai sul muro tecnico giuridico che il capitale va con diverse forme costruendo per impedire ai corpi del precariato di realizzare un diverso modo di vivere, per ambiente, produzione, distribuzione, uso del comune. La pandemia ha solo accelerato un processo già in atto. Non è il gallo che canta a determinare l’arrivo del mattino; non è il corona virus a produrre un ipotetico stato di eccezione. A ben vedere neppure si tratta di un vero e proprio stato di eccezione, almeno non in senso schmittiano. Al contrario: si tratta di una nuova normativa che prende il posto di quella precedente ormai desueta. Esistono invece molte varianti di un neo-autoritarismo che si consolida mediante la sistematica cancellazione istituzionale di ogni carta dei diritti. Si va delineando un moderno assolutismo in cui la piattaforma assume il ruolo del sovrano e i suoi caporali fungono da arbitri legibus soluti in un quadro giuridico contrassegnato da incertezza costante. Il capitale si è mosso rapidamente per trasformare la crisi in opportunità, e Jeff Bezos ha ulteriormente incrementato i profitti alla faccia della crisi, anzi dentro e grazie alla crisi. I dati sull’incremento della ricchezza e del fatturato di Amazon in costanza di pandemia sono impressionanti, ma prevedibili e previsti. Il precariato ha invece subito gli eventi. Questa è la differenza. Il resto non cale. Forse vale la pena di esaminare le ragioni di questa carenza di opposizione sociale; e la cancellazione del diritto non mi pare priva di rilevanza.
Thomas Hobbes, già nel 1640, ebbe ad osservare che tre sono gli elementi necessari per disporre gli animi alla sedizione contro l’ordine costituito: lo scontento, il pretesto di un diritto violato, la speranza di ottenere un risultato. La paura della povertà e il timore della pandemia può naturalmente determinare una sensazione di sofferenza che induce alla rivolta; ma in assenza di quel particolare convincimento che consiste nel ritenersi dalla parte del giusto prevale il timore delle sanzioni inflitte da chi detiene il potere, il rischio di essere incarcerati o espropriati della proprietà di un bene o anche soltanto multati. In ogni caso solo intravedendo una concreta possibilità di successo gli scontenti possono affrontare le altrettante possibili conseguenze di una sommossa. Senza questi tre elementi non vi può essere ribellione; quando invece compaiono tutti insieme non resta che dar fiato alla tromba (Elements of Law Natural and Politic, parte II, capitolo VIII; traduzione italiana di Arrigo Pacchi, Firenze, 1968, La Nuova Italia, pag. 238).
Il potere, in questo primo scorcio del XXI secolo, tende a cancellare le norme, o, meglio, a renderle così vaghe e generiche da risultare sostanzialmente incomprensibili; tocca al funzionario di polizia interpretarle e applicarle, la magistratura si limita ormai a confermare l’operato dei gendarmi. Un nostro giovane amico mi raccontò di essere stato multato da un vigile per aver passeggiato nel parco; lui aveva dato spiegazioni invocando una lettura della norma, ma il vigile non aveva sentito ragioni. Ricordate Boskov? Quando arbitro fischia quello è rigore. Il tema del cosiddetto negazionismo nulla ha a che vedere con questo passaggio dal diritto codificato al diritto delegificato, affidato all’interpretazione discrezionale dei funzionari.
Non esistono diritti certi, dunque non è possibile rivendicare giustizia o lamentare ingiustizia. Esistono solo formalità inutili, richieste dal moderno dispotismo con il solo scopo di affermare quotidianamente l’esercizio di un dominio cui è non solo vietato, ma anche impossibile sottrarsi. Astolphe de Custine aveva colto questa caratteristica della legislazione autoritaria nel momento stesso in cui era entrato in territorio russo: Je répète donc avec le seigneurs russes, que la Russie est le pays des formalités inutiles (Lettre huitième, 11 juillet 1839, au soir).
La libertà residua sopravvive solo nei pochissimi segmenti dell’esistenza individuale che il potere sovrano non è interessato ad acquisire o mettere comunque a valore; ma sono ritagli poco significativi. Pensate alla cassa integrazione. La richiede il datore di lavoro, non il lavoratore. E solo dopo un certo tempo il direttore provinciale di INPS dirà se e per quanto tempo è andata bene. Meglio di nulla, ovvio. Ma nessuna certezza. O pensate all’operaio che risulta positivo al sierologico (dunque deve uscire dall’azienda) ma rimane in attesa del tampone. Chi paga l’attesa? Non si sa, non lo si può sapere. Prevale in questo tempo un sentimento che viene efficacemente definito Trigger Warning, viviamo in una condizione di voluta e procurata incertezza; quale che sia la tua scelta in una determinata circostanza non è detto che sia la scelta giusta perché il verdetto spetta all’arbitro. Si crea dunque uno stato di ansia permanente, e questo produce profonde depressioni insieme a un senso di resa, di assenza di prospettive.
Con un decreto hanno delegificato il c.d. smart working, che poi neppure è esattamente tale. In realtà si tratta di innovazione, di lavoro telematico, di lavoro vivo sottratto a qualsiasi codificazione normativa e con molte zone d’ombra anche nella parte economica (indennità di mensa, straordinario ecc. ecc.). Il corpo del precariato messo a valore per l’intera esistenza si avvia a vivere in un tempo di totale incertezza codificata e si contrappone all’immaterialità del prodotto che il corpo è chiamato a realizzare; solo se il corpo rifiuta di essere merce può aprirsi la via di una nuova diversa codificazione dei diritti, finalmente rivendicati da un lavoro vivo capace di ricomporsi in classe. Ma per questo bisogna avere il coraggio di lasciarsi alle spalle i vecchi diritti fordisti e procedere invece alla elaborazione di quelli oggi necessari.
Rimane naturalmente la libertà di ribellarsi, e questa per sua stessa natura sfugge a qualsiasi codificazione: si trasforma in ordine nuovo quando la rivolta è accompagnata dal successo, produce la sanzione punitiva quando prevale la struttura di comando. La rimozione di ogni fondamento giuridico che possa legittimare i desideri originati dal malcontento rende difficile la sedizione e oggi prevale piuttosto la paura. Ma basta un niente perché una protesta venga affissa sul portone di Wittenberg e tutto cambi di nuovo.

L’immagine è di di Anemone123 da Pixabay

DISTRAZIONI DI MASSA

Foto di Collen da Pixabay

di Gianni Giovannelli

Quando uno schiavo non prende
coscienza del significato e del
perché delle catene che ne
fanno uno schiavo, se gliele togli
ti accuserà di furto.

(Ugo Duse, 1926-1997, musicologo comunista)

La relazione sull’evasione fiscale e contributiva è parte integrante del NADEF (la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza), testo che deve obbligatoriamente essere presentato entro la data del 27 settembre, ogni anno. Il professor Alessandro Santoro, professore ordinario di scienza delle finanze presso la Bicocca e consigliere retribuito del MEF, aveva provveduto al deposito in termini, già il 19 settembre. Ma l’ineffabile Mario Draghi, come suo costume, della scadenza se ne è allegramente infischiato, rendendo nota solo la cosiddetta “previsione tendenziale”, congelando il resto, senza dare spiegazioni. Tale decisione, unilaterale e illegittima, ha provocato qualche timido malessere in una sparuta pattuglia di parlamentari, ma è stata accettata dalla larga maggioranza, silenziosa e genuflessa, incapace di resistere alla prepotenza del Presidente nominato dagli americani (dunque infallibile quando agisce ex cathedra). La nota di aggiornamento fu pertanto rivelata, insieme al testo completo del NADEF, solo il 5 novembre, da Giorgetti, nuovo ministro posto a capo del MEF con il beneplacito di Draghi.   La “previsione tendenziale” era naturalmente ottimistica ed encomiastica; la relazione, a consuntivo, un po’ meno. Il problema sta nell’oggettività dei numeri. Mentre l’evasione verificata, in termini assoluti, mostrava un sia pur minimo calo, toccava il massimo storico la quota in cui sono accorpate (per la verità senza una convincente giustificazione) le prestazioni autonome e i guadagni delle imprese: 68,7% per un totale di 27,65 miliardi nel corso dell’anno 2020. Come noto il numero complessivo di autonomi e imprenditori è alquanto più basso di quello dei lavoratori subordinati, ma il raffronto con l’evasione di questi ultimi è impietoso: 4,6 miliardi (in lieve crescita pure questo, era a 4,4). Una lettura di questi dati sembrerebbe suggerire una stretta repressiva contro i maggiori responsabili del mancato introito, ovvero le imprese, destinando a questo obiettivo la gran parte delle risorse. Invece entrambi i governi, quello uscente e quello appena insediato, hanno annunciato di voler destinare proprio alle imprese la gran parte delle risorse disponibili, negando invece l’utilità di introdurre una soglia salariale minima di garanzia per i lavoratori sottopagati; quindi ai 27,65 miliardi evasi (somma quasi pari allo stanziamento della manovra ultima approvata in consiglio dei ministri, 30 miliardi, da reperire con tagli alla spesa pubblica e uso dell’accantonato disponibile) si aggiungerà un premio alle imprese responsabili dell’evasione, senza alcun programma impositivo per recuperare i giganteschi profitti (quelli che vengono chiamati extraprofitti con definizione impropria atta a nascondere frodi e saccheggi consentiti dal dispotismo finanziario).

Le partite Iva

La nota di aggiornamento al DEF, approvata dal ministro Giorgetti, si pone peraltro in contrasto logico-politico con uno dei punti programmatici della Lega salviniana, l’estensione della flat tax al 15% (esente da IVA ma senza spese detraibili) da quota 65.000 euro (lordi) a 100.000 (trattabili o scaglionati, comunque almeno 85.000). Secondo la relazione il massimo storico di 27,65 miliardi sarebbe stato raggiunto a causa, dunque per colpa, dei lavoratori autonomi, i quali avrebbero omesso di dichiarare una parte di introiti per non superare il tetto attuale (65.000 euro) e subire un pesante aumento dell’imposizione. Hanno calcolato, infatti, che superando di un solo euro la soglia in cui opera la flat tax il singolo lavoratore autonomo si sarebbe visto addebitare circa 5.000 euro in più dall’Agenzia delle Entrate. Probabile, in effetti, che chi si sia trovato in quella condizione abbia ceduto alla tentazione di sottrarsi a un balzello irragionevole. Ma non convince molto che, in questa miscela fra imprese e lavoro autonomo, il picco di evasione sia riconducibile alle partite IVA con fatturato al confine del limite fissato dal regime forfettario; sembra piuttosto una considerazione politica volta a contrastare l’incremento dell’area a imposizione agevolata, un argomento in favore delle società di capitale, per struttura più adatte dei singoli soggetti fisici a mettere in opera meccanismi elusivi. Di certo, nello scontro assai acceso interno alla compagine di governo (a prescindere dall’esattezza di un rilievo presuntivo non accompagnato da riferimenti oggettivi), l’uso di una simile imputazione conduce per la via più rapida al prevalere di una linea in continuità con la gestione Draghi piuttosto che a un cambio di passo in senso nazional-populista. Il regime forfettario fu varato dal Conte 1, ovvero dalla maggioranza gialloverde, per iniziativa soprattutto della Lega, con una fiera opposizione non solo del PD (paladino delle macro-imprese) ma pure di LEU (per mera inguaribile ottusità). Il tetto di 65.000 euro (ma non tutti si collocano al tetto, il grosso sta sotto), applicando il 15%, porta a un ricavo di 55.250 euro, eroso tuttavia dalle spese, tutte non detraibili, legate all’attività svolta (box o ufficio o coworking, auto, cellulare, attrezzi) o sociali (materiali, sanità, assicurazioni, gestione separata INPS); stiamo dunque parlando di un’area caratterizzata da un forte rischio d’impresa e da orari pesanti (si pensi agli autisti), a fronte di un reddito netto mensile effettivo fra i 2 e i 3 mila euro, senza TFR. Concentrare la guerra contro questa ultima fascia residuale che sfugge agli estremi della forbice significa consegnare alla destra estrema (quella oltre Meloni) la loro rabbia, con la conseguenza di indebolire ulteriormente il fronte già logorato e diviso della maggioranza popolare (non populista) che subisce la violenza del liberismo, la prepotenza della scelta dispotica. L’incremento di evasione da 4,4 a 4,6 miliardi nel bacino subordinato va qualificata per quello che è: una disperata forma di resilienza, in un tempo di attacco al reddito della parte debole, da difendere e proteggere con la massima omertà, contro la polizia fiscale di destra e di sinistra. Con i lavoratori autonomi in regime forfettario va costruito invece un percorso di ricomposizione dell’unità, perché, a prescindere dal nominalismo, sono una componente indispensabile del possibile antagonismo, avversari oggettivi del dispotismo liberista (se e quando prenderanno coscienza delle catene).
L’avversario da colpire sono le imprese, in particolare quelle dell’energia, delle armi, della comunicazione, della farmaceutica; quelle che usano la guerra e la pandemia per moltiplicare i profitti allargando la forbice fra ricchi e poveri. L’evasione fiscale più rilevante, non esaminata nelle relazioni allegate al NADEF annuale, avviene legalmente, con il trasferimento della sede legale in Olanda o in Irlanda, con il pagamento dei vaccini europei in Svizzera, soprattutto con l’esproprio sistematico del comune (aria, mare, sottosuolo, sapere) da parte del c.d. privato. Un programma sovversivo non propone redistribuzione della ricchezza ma riappropriazione di quanto il liberismo dispotico ha rubato alle moltitudini.

Le menzogne di regime: il reddito di cittadinanza

Sono stati resi noti dalla Guardia di Finanza i dati complessivi relativi all’attività svolta nel quinquennio; e, quasi contestualmente la Banca d’Italia ha pubblicato il report UIF (Unità di Informazione Finanziaria), elaborato sulla base delle Segnalazioni di Operazioni Sospette ricevute. Il quadro emerso non è per nulla contraddittorio, sembra anzi integrarsi a conferma.
Le frodi accertate dal 2019 ad oggi nell’erogazione del reddito di cittadinanza ammontano a 288,7 milioni di Euro, ovvero una quota complessiva pari ad 1% delle somma complessiva impiegata (circa 25 miliardi). I soggetti accusati degli illeciti sono 29.194 (9731 per ogni anno); ogni criminale ha ottenuto, in media, un bottino di circa 300 Euro mensili, rischiando assai quanto a sanzioni, per giunta con poche possibilità di passarla liscia, posto che si tratta di verifiche incrociate cui è quasi impossibile sfuggire. In buona sostanza si tratta, in genere, di comunicazione in cui la dichiarazione risulta difforme rispetto all’ISEE o al DSU (Dichiarazione Sostitutiva Unica), ad opera per lo più di soggetti marginalizzati (pregiudicati, immigrati precari, tossicodipendenti); per giunta il controllo sull’utilizzo concreto di queste somme apre un sipario inquietante (di complicità fra mafia e istituzioni) visto che viaggiano mediante contratti di locazione fittizi e sovrafatturazione commerciale, strumenti più in uso fra i ricchi che fra i poveri (ma la rete di imbiancatori naturalmente non viene perseguita).
Su queste anomalie del tutto marginali (ripetiamo: 1%) la macchina della propaganda neoliberista ha sferrato un attacco mediatico di grandi proporzioni, arruolando economisti, giornalisti, opinionisti, con lo scopo dichiarato di eliminare questo ammortizzatore sociale, percepito come una sorta di concorrenza sleale da chi esige manodopera reclutata dai caporali e scandalosamente sottopagata. Le sanzioni a carico di chi accede al reddito di cittadinanza senza averne diritto sono più severe di quelle previste per chi omette le coperture contributive e spunta salari da fame giocando sul bisogno crescente dei poveri.
La marginalità delle anomalie legate all’erogazione del reddito di cittadinanza emerge chiarissima esaminando proprio i dati forniti dalla Guardia di Finanza. Nel periodo 2017-2021 (cinque anni) l’evasione e la frode nel settore degli appalti ammonta a 34 miliardi di Euro; riparametrati nel triennio (per un raffronto con quella del reddito di cittadinanza) sono 20,4 miliardi contro 288,7 milioni ! L’imputazione del totale è divisa in gran parte (30 miliardi su 34) fra appalti truccati (11 miliardi), corruzione (ovvero mazzette: 1 miliardo) e responsabili amministrativi di danno erariale (19 miliardi). Anche riparametrate al triennio le sole mazzette ammontano a 600.000 Euro, più del doppio delle frodi sul reddito di cittadinanza!
Clamoroso poi è l’esito di un raffronto condotto sui soggetti responsabili, che nel settore degli appalti riguarda 18.952 persone in cinque anni, dunque 11.371 nel triennio, contro i 29.154 nell’area del reddito di cittadinanza. Ciascun soggetto (in media naturalmente) nel settore appalti ha ricavato 10.964 Euro mensili per i tre anni di riferimento; dunque un singolo evasore nel settore appalti incassa in un mese quello che prende in tre anni un destinatario senza titolo del reddito di cittadinanza.
Ma la propaganda di regime tace sugli appalti e si scatena sull’ammortizzatore sociale, con il preciso disegno di non perseguire le grandi frodi e togliere a tutti i disagiati anche quel poco che ha consentito loro di sopravvivere durante questa lunga crisi.
I dati della Guardia di Finanza trovano conferma in quelli elaborati da UIF (Unità di Informazione Finanziaria) per Banca d’Italia, nell’analisi diretta e coordinata dal suo responsabile, dottor Claudio Clemente.
La menzogna viene distribuita al pubblico come verità e in qualche modo lo diventa, grazie all’arroganza del potere. E così matura la distrazione di massa, per far dimenticare guerra, inquinamento, attacco al risparmio, sfruttamento. E’ una forma moderna di guerra asimmetrica di classe condotta da chi detiene le chiavi del potere contro i sudditi.