paesi in guerra

Senza responsabilità. Il mondo unipolare e semplificato di Jens Stoltenberg

di Pasquale Pugliese

Nell’incontro al Parlamento europeo dello scorso 7 settembre, Jens Stoltenberg ha fatto le seguenti dichiarazioni: “nell’autunno del 2021 il presidente russo Vladimir Putin ci inviò una bozza di trattato: voleva che la Nato firmasse l’impegno a non allargarsi più. Naturalmente non lo abbiamo firmato. Era la precondizione per non invadere l’Ucraina” – continua il Segretario generale della Nato – “voleva che rimuovessimo le infrastrutture militari in tutti i Paesi entrati dal 1997, il che voleva dire che avremmo dovuto rimuovere la Nato dall’Europa Centrale ed Orientale, introducendo una membership di seconda classe. Lo abbiamo rifiutato e lui è andato alla guerra, per evitare di avere confini più vicini alla Nato. Ha ottenuto esattamente l’opposto: una maggiore presenza della Nato nella parte orientale dell’Alleanza”. Non entro sul piano delle implicazioni geopolitiche di queste decisioni se non per osservare che, a parti invertite, sappiamo come avrebbero reagito gli USA se un’alleanza militare ostile si fosse avvicinata alle sue porte con dispiegamento di armamenti: nel 1961 l’umanità è stata sull’orlo di una guerra nucleare esattamente perché l’URSS aveva provato a portare i missili nucleari a Cuba; ne’ entro sulla questione – da alcuni ritenuta controversa – se ci fossero accordi verbali o scritti, dopo l’abbattimento del muro di Berlino e la riunificazione della Germania, tra il presidente Gorbacëv e il governo statunitense sulla non espansione della Nato ad Est.

Sto sulle cose certe. Nonostante la conclusione della “guerra fredda” tra il 1989 e il 1991 abbia generato un nuovo assetto dell’Europa e del mondo, essa non è stata l’esito di una vittoria militare di una parte sull’altra, ma la conseguenza della convergenza delle azioni nonviolente dei popoli dal basso e dell’avvio del disarmo unilaterale voluto da Gorbacëv dall’alto. Essendo sfuggita al paradigma bellico come motore della storia che domina il pensiero politico impregnato di militarismo, nel quale la pace è solo considerata “negativa”, ossia fine della guerra, e non frutto di una specifica gestione nonviolenta dei conflitti come invece era accaduto in quel frangente, la fine della guerra fredda non è stata sancito da alcuna Conferenza internazionale di pace – come la fine delle precedenti guerre europee e mondiali – generando così interpretazioni differenti sul suo esito nei diversi protagonisti. E azioni conseguenti. Non a caso il 6 febbraio del 1992 Michail Gorbacëv, già premio Nobel per la pace ma ormai privo di ruoli di potere in Russia, su La Stampa di Torino scriveva: “Il presidente George Bush ha ripetuto che gli Stati Uniti hanno vinto la guerra fredda. Vorrei rispondere così: rimanendo per anni nel clima della guerra fredda, tutti hanno perduto. E oggi, quando il mondo ha saputo liberarsi di quel clima, tutti hanno vinto”. Oltre tre decenni di guerre, da allora ad oggi, dimostrano che non è andata così.

Alla luce di questo fatto è utile leggere le dichiarazioni di Stoltenberg dal punto di vista dell’etica politica che sottendono: nonostante si muovano in un mondo complesso e multipolare gli USA e la Nato agiscono come fossero in un mondo unipolare e semplificato, in base ai propri principi e interessi globali, disinteressandosi delle reazioni e delle conseguenze: è il dispiegamento dell’etica delle intenzioni. Ossia il contrario dell’etica della responsabilità che invece – soprattutto nell’epoca nucleare – impone di agire tenendo conto del contesto e degli effetti delle azioni, per prevedere, valutare e prevenire le prevedibili re-azioni ed “effetti collaterali”. Non ha caso, dopo Hiroshima e Nagasaki, sull’etica della responsabilità sono state fondate la Costituzione italiana e la Carta delle Nazioni Unite; scritti l’appello di Albert Einstein e Bertrand Russell per il disarmo nucleare e le lettere di don Lorenzo Milani ai cappellani militari ed ai giudici; elaborati importanti lavori filosofici da pensatori come Hans Jonas e Hannah Arendt, Aldo Capitini e Günther Anders, per citarne solo alcuni

Ma Stoltenberg, ignorando tutto ciò, continua il suo intervento al Parlamento europeo dicendo che “tutti vorremmo investire in qualcos’altro, ma il problema è che, a volte, bisogna investire in armamenti per assicurare la pace”. Ossia ribadisce anche l’obsoleto paradigma fondato sul pensiero magico del se vis pacem, para bellum. Non abbiamo mai speso tanto per preparare le guerre (2240 miliardi di dollari nel solo 2022) ed esse, infatti, dilagano ovunque (170 conflitti armati sul pianeta), perfino in Europa e non siamo mai stati così vicini alla mezzanotte nucleare (a soli 90 secondi, dice il Bollettino degli scienziati atomici; nel 1961 eravamo a 7 minuti). E’ necessario ribaltare, dunque, l’irrazionale paradigma che ancora guida le relazioni internazionali, costruendo e dando gambe e mezzi al paradigma opposto fondato sulla ragione: se vuoi la pace, prepara la pace. Trasformando anche lo strumento di misurazione dell’efficacia e sostenibilità delle guerre per “risolvere” i conflittti: non i metri persi o conquistati – “cento metri al giorno”, dice ancora Stoltenberg a proposito della controffensiva ucraina – ma le vite perse o, al contrario, risparmiate. Sarebbe un salto di civiltà, cioè di razionalità e responsabilità.

L’articolo è stato pubblicato su Annotazioni il 12 settembre 2023

La foto è di 首相官邸ホームページ da wikimedia

Un anno dopo sull’orlo dell’abisso: adesso mettere in campo i saperi della nonviolenza

di Pasquale Pugliese

Dall’invasione militare russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 ad oggi è in corso una doppia guerra: quella combattuta sul territorio ucraino, di fatto tra due superpotenze nucleari, e quella mediatica che si svolge all’interno di entrambi i fronti, che Edgar Morin chiama “isteria di guerra”. La guerra sul terreno è ormai un “aggirarsi come sonnambuli sull’orlo dell’abisso”, com’è stata efficacemente definita dal filosofo Jürgen Habermas (la Repubblica, 19 febbraio 2023), evocando forse il libro “I sonnambuli” dello storico Christopher Clark che racconta come le case regnanti del 1914 portarono il mondo dentro l’abisso della “grande guerra” muovendosi come sonnambuli, apparentemente vigili ma non in grado di vedere l’orrore nel quale stavano facendo precipitare l’umanità. Ma l’abisso sul cui orlo ci troviamo adesso è quello incomparabilmente più devastante della guerra nucleare, rispetto al quale i governi e i popoli sono stati ripetutamente avvisati. Per esempio dall’Associazione degli scienziati atomici che il 24 gennaio scorso hanno spostato le lancette dell’Orologio dell’Apocalisse a soli 90 secondi dalla mezzanotte, situazione di pericolo mai raggiunta prima; oppure dal Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres: “siamo al più alto rischio da decenni di una guerra nucleare che potrebbe iniziare per caso o per scelta” (Twitter, 8 febbraio 2023).

Nonostante questo scenario apocalittico, durante questo anno non sono stati messi in campo, né dai confliggenti né dalle terze parti – che è cosa più grave – gli strumenti della ragione per risolvere il conflitto attraverso il negoziato, ma le armi della follia che hanno versato – e versano ancora – benzina sul fuoco in una “santa barbara” nucleare. Lo stessa parola “pace” nel discorso pubblico è stata sostituita dalla parola “vittoria”. Ossia dall’illusione della vittoria, come è stato autorevolmente dichiarato dal Capo di stato maggiore USA Mark Milley, “nessuno può vincere la guerra” (Il sole 24 ore, 16 febbraio 2023), e dal Capo di stato maggiore italiano Giuseppe Cavo Dragone, “non esiste una soluzione militare” (Il secolo XIX, 24 febbraio 2023). Ma le decisioni dei governi, anziché fondarsi sull’etica della responsabilità, che è il principio della politica nell’era atomica, sulla quale sono fondati la Carta dell’ONU, la Costituzione italiana, il Manifesto Einstein-Russell – come definito dal filosofo Hans Jonas: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilità di vita futura sulla terra” (Il principio responsabilità) – si fonda ancora sull’etica antica delle intenzioni, alimentando lo “scarto prometeico” (Günther Anders) – la distanza – tra le parole pronunciate, le azioni realizzate e la consapevolezza delle loro possibili conseguenze apocalittiche.

La rinuncia all’etica della responsabilità porta con sé la rimozione di tutti i saperi della nonviolenza, necessari per affrontare e risolvere ragionevolmente questo conflitto con “mezzi pacifici” (Carta ONU, Art. 2), come tutte le “controversie internazionali” (Costituzione italiana, Art. 11). E’ stato rimosso, per esempio, il sapere dei mediatori, i quali sanno che se i conflitti degenerano in violenza armata e sono lasciati a se stessi (o, peggio, alimentati da coloro che inviano armi) ad ogni azione violenta di una parte corrisponde un’azione contraria di livello di violenza superiore dall’altra, in un crescendo che – trattandosi in questo caso di potenze atomiche – può portare alla distruzione di tutti, a cominciare dal martoriato popolo ucraino. Se non intervengono soggetti terzi a mediare tra le parti, anziché a spingere sull’incremento del conflitto. Si chiama dinamica dell’escalation, quella che Mohandas K. Gandhi spiegava dicendo che “occhio per occhio, il mondo diventa cieco”.

E poi nella vulgata binaria – resistenza o resa – che costruisce fin dagli inizi di questa guerra la narrazione tossica anti-pacifista, mancano i saperi di oltre un secolo di lotte nonviolente e resistenze disarmate, anche di fronte al nazifascimo. Saperi che non mancavano, per esempio, ad Hannah Arendt che ne La banalità del male faceva un appello per lo studio della resistenza disarmata del popolo danese all’occupazione nazista in tutte le facoltà di scienze politiche del mondo “per dare un’idea della potenza enorme della nonviolenza, anche se l’avversario è violento e dispone di mezzi infinitamente superiori”. Unica resistenza in Europa, quella danese, capace di salvare dai campi di sterminio la quasi totalità dei cittadini di origine ebraica.

E poi sono stati rimossi i saperi dei movimenti per la pace che, almeno dalla guerra nei Balcani, propongono all’UE e ai governi italiani la costituzione dei Corpi civili europei di pace – secondo il progetto che già nel 1995 Alex Langer aveva avanzato al Parlamento europeo – e mettono in campo esperienze di interventi civili di pace gestiti dal basso. Per esempio, con un esperimento di storia controfattuale potremmo immaginare che cosa sarebbe potuto accadere se nelle regioni del Donbass, a partire dal 2014, invece di far arrivare armi e armati a entrambe le parti, fosse stato inviato un Corpo civile di pace internazionale per fare interposizione, mediazione, riconciliazione tra le comunità, presidiando sul terreno l’applicazione degli accordi di Minsk, che invece sono stati puntualmente disattesi preparando così l’escalation successiva della guerra. Ma ai pacifisti viene chiesto “dove sono?” dopo l’escalation bellica, mai ascoltati prima, quando propongono strumenti pacifici per prevenire le guerre e manutenere la pace.

E ancora i saperi degli obiettori di coscienza che in migliaia disertano in Russia, in Ucraina e in Bielorussia non solo l’obbligo di imbracciare le armi – e per questo sono perseguitati dai rispettivi governi – ma anche di fare propria la logica dell’odio per il “nemico” che viene ossessivamente propagandata da ciascuna delle parti in guerra. E’ quanto hanno spiegato anche le attiviste pacifiste ucraina, russa e bielorussa ospitate in Italia recentemente dal Movimento Nonviolento: “in tempo di pace” – ha ricordato la giovane ucraina Kateryna Lanko – “sei considerato un buon cittadino se non uccidi, invece in tempo di guerra chi si rifiuta di combattere è considerato traditore della patria e condannato alla prigione. Sono qui a chiedere il vostro supporto, insieme alle mie colleghe attiviste, per difendere e promuovere il diritto all’obiezione di coscienza come via concreta alla pace e cercare tutte le vie possibili per dimostrare che anche oggi la nonviolenza è possibile.”(azionenonviolenta.it, 2 marzo)

Infine, ricordiamo che quello in corso in Ucraina – come documenta l’Uppsala Conflict Data Program del Dipartimento sulla pace e i conflitti dell’Università di Uppsala – è solo uno del 170 settanta conflitti armati – a bassa, media e alta intensità (di cui 54 guerre) – in corso in questo momento sul pianeta. Si tratta degli effetti a catena della crisi sistemica globale – climatica, idrica, energetica, alimentare, pandemica – che sta avviluppando il pianeta, per cui o mettiamo in campo i saperi della nonviolenza per affrontare e gestire questa moltiplicazione dei conflitti senza l’uso della violenza, oppure non ne usciremo vivi.

[Testo della relazione al seminario Un anno di guerra è troppo. La pace è la vittoria di cui abbiamo bisogno svolto il 24 febbraio 2023 a Reggio Emilia. Un estratto della quale, con qualche aggiunta (e cofirmato con Giorgio Beretta), è stata pubblicata su il Fatto Quotidiano, vedi qui]

Pubblicato su Annotazioni. Per la nonviolenza e il disarmo, militare e culturale, 11 marzo 2023

Noam Chomsky: “Il cambiamento può avvenire solo attraverso la protesta di massa della gente comune”

di Europe for Peace

Nel 2007, abbiamo chiesto a Chomsky di sottoscrivere la dichiarazione di Europa per la pace e di appoggiare la campagna per impedire la costruzione dello Scudo spaziale americano nella Repubblica Ceca, progetto fortemente contestato dalla stragrande maggioranza della popolazione. Chomsky ha subito aderito, citando nel suo messaggio l’appello che Russell ed Einstein avevano scritto a tutti i popoli del mondo “affinché affrontassero il fatto che siamo di fronte a una scelta rigida, terrificante e inevitabile: metteremo fine alla razza umana o l’umanità rinuncerà alla guerra?”.

Quel manifesto è il più importante documento di denuncia mai scritto sulla minaccia rappresentata dalle armi nucleari per il genere umano e ricorda che “qualsiasi accordo sia stato raggiunto in tempo di pace per non usare le bombe H non sarà più considerato vincolante in tempo di guerra”.

“Le minacce – ci scrisse allora Chomsky – sono sempre più gravi e l’Europa è nella posizione ideale per intraprendere la missione storica di salvare la razza umana dall’autodistruzione”.

Ma ora che l’Europa si ritrova a vivere sul proprio suolo una guerra devastante, Noam sosterrebbe ancora quell’affermazione? Gli scriviamo quindi per chiedergli se è possibile che l’Europa cambi rotta o se l’Europa è ormai così sottomessa agli USA d’aver perso definitivamente la sua possibilità di salvare la razza umana dall’autodistruzione, per citare le sue parole.

“Come ho già detto recentemente – ci risponde Chomsky – Putin ha fatto a Washington il più grande regalo che gli USA potessero immaginare. L’Europa adesso è nelle mani di Washington e, per certi versi, è ancora più pazza degli Stati Uniti. L’opportunità di una “Casa Comune Europea” indipendente è ormai perduta? Per ora temo di sì, ma i vantaggi che l’Europa può trarne sono talmente enormi che la casa comune può forse risorgere nuovamente, con un’altra vittoria come quella che avete ottenuto voi con la base USA”.

La sua affermazione che una casa comune europea potrebbe risorgere getta una nuova luce sulla situazione. Gli chiediamo allora se pensa che il cambiamento possa partire dall’alto o se potrà avvenire soltanto attraverso una protesta di massa da parte della gente comune. Quali passi fare per porre fine a uno scontro militare il cui risultato sarà inevitabilmente disastroso per tutte le parti? È ancora possibile trasformare il rifiuto della guerra in un movimento di massa, anche se le vecchie forme sono fallite e la disintegrazione del tessuto sociale sembra impedire ogni azione comune?

“Concordo sul fatto che il cambiamento possa avvenire solo attraverso la protesta di massa della gente comune. Piccoli gruppi di attivisti impegnati possono lavorare per aumentare la comprensione e ispirare l’attivismo, ma sono movimenti di massa che contano. Difficile pensare a un’eccezione. Potrà accadere? Non si sa mai. Possiamo solo provarci”.

Sì, vale la pena di provarci, perché c’è ancora tempo per un’inversione radicale di rotta.

Il 2 aprile, in tutta Europa e in tutto il mondo, spegniamo allora le televisioni e i social network, spegniamo la propaganda di guerra e le informazioni manipolate. Mettiamo da parte le nostre differenze e convergiamo in una miriade di attività differenti ma con un unico obiettivo –  la pace – e con una chiara metodologia – la nonviolenza attiva –  perché la guerra non si ferma con le armi, ma con la pace.

“Sono molto contento di sapere cosa state facendo. È molto importante” ci risponde Chomsky quando lo informiamo di quest’iniziativa, perché “se c’è la volontà, è possibile evitare la catastrofe e virare verso un mondo molto migliore”.

Europa per la Pace

Il 2 aprile spegniamo le guerre e accendiamo la pace

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 2 marzo 2023 ed è disponibile anche in Spagnolo
La Foto è di Andrew RusK da Wikipedia

Da Washington DC si leva più forte e partecipata che mai la richiesta di pace

di Daniela Bezzi

Enorme, partecipatissima, coloratissima, sventolante delle bandiere e striscioni e messaggi più diversi: il movimento pacifista americano non ha aspettato la data del 24 febbraio, anniversario dell’invasione russa in Ucraina, per mobilitarsi. E basta passare qualche ora nel surfing tra le varie piattaforme sul web, e poi sui vari canali social, per capire che già da giorni (sebbene le notizie che riceviamo dagli Stati Uniti siano tutt’altre) è tutto un fervore di riunioni preparatorie o vere e proprie convocazioni.
Ed ecco infatti che già domenica 19 febbraio si sono radunati in migliaia per le strade di Washington, per protestare contro la politica guerrafondaia del governo USA, per la continua fornitura di armi dell’amministrazione Biden all’Ucraina e (udite udite) per mettere fine alla NATO.
I vari cortei si sono poi uniti alla manifestazione più importante numericamente, che si è tenuta di fronte al Lincoln Memorial, con il combattivo slogan Rage against the War Machine, ovvero Rabbia contro la macchina della guerra. Armati in realtà di pacifici cartelli e striscioni i manifestanti hanno ribadito in tutti i modi possibili l’urgenza di colloqui di pace e la necessità di mettere fine all’invio di aiuti finanziari e militari in Ucraina, considerata anche l’emergenza sociale che da tempo affligge un crescente numero di americani.

E prendendo spunto dal discusso ma indubbiamente esplosivo scoop pubblicato l’8 febbraio scorso dal pluripremiato giornalista Seymour Hersh circa il diretto coinvolgimento anzi direzione della NATO nel sabotaggio del gasdotto Nordstream 1 e 2 (che assicurava alla Germania e a tutti noi in Europa forniture di gas russo a condizioni straordinariamente convenienti, ma sgradite agli americani), molti slogan hanno scandito anche l’urgenza di mettere fine alla cosiddetta alleanza atlantica, ritenuta responsabile di troppe guerre e relativi crimini in tutto il mondo.

E insomma sarà pur vero che la stampa mainstream americana ha fatto di tutto per ignorare e se possibile denigrare persino una grande firma della statura di Seymour Hersh (come documenta una puntuale analisi su The Mint Press News). Ma così non è stato sul web, dove il suo dettagliato articolo ha avuto milioni di visualizzazioni in tutte le lingue del mondo, e dove le critiche e la prevedibile polarizzazione delle posizioni hanno sollecitato una quantità di interviste e complessivamente favorito la diffusione della notizia. E se in Europa, inspiegabilmente, non si sono registrate reazioni di nessun tipo, neppure tra la componente Verde del Parlamento tedesco rispetto a quello che (al di là di ogni considerazione) è stato anche un enorme disastro ambientale (300.000 tonnellate di metano disperse in un colpo solo nelle acque del Mar Baltico non sono uno scherzo), all’interno della multicolore galassia pacifista US ecco rafforzarsi ogni giorno di più l’indignazione per il danno, anzi crimine di guerra obiettivamente compiuto nei confronti di un governo sovrano come la Germania e contro quell’Europa di cui gli Stati Uniti sarebbero alleati!

All’inchiesta di Hersh ha fatto riferimento in particolare Dennis Kucinich, ex membro del Congresso nelle fila del Partito Democratico e sindaco di Cleveland, sottolineando che “il più grande talento della Casa Bianca è fabbricare disinformazione per meglio manipolare i media e creare divisione nell’opinione pubblica con le armi dell’odio e della paura, diffondendo ogni genere di notizie allarmistiche, che sono l’opposto di ogni democrazia.” E nel sollecitare al più presto una Commissione di Inchiesta che possa fare luce su quanto denunciato da Hersh, Kucinich ha promesso a nome dei manifestanti che ai responsabili non verrà data tregua. “Non ci fermeremo fino a che non saranno rivelati i nomi di chi ha commesso questo ennesimo crimine di guerra.”

Prima e dopo di lui hanno parlato Tulsi Gabbard, Ann Wright, Ron Paul e i vari portavoce delle tantissime organizzazioni che hanno aderito alla manifestazione, da Veterans for Peace e Bring our Troops Home, a TNT RadioWorld Beyond War, Actions4AssangeAntiWar.com e molte altre. Promossa dal Libertarian Party e dal People’s Party, l’iniziativa era stata concepita infatti all’insegna della massima convergenza di posizioni, e aperta al maggior numero di rappresentanze della società civile, unite dal comune obiettivo di mettere fine all’interventismo e allo stato di guerra permanente di cui gli Stati Uniti sono in effetti i principali responsabili o in qualche modo protagonisti dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi. E infatti dai filmati che si vedevano ieri sui canali social spiccava in particolare la varietà dei messaggi, sulla soleggiata spianata del Lincoln Memorial: gli striscioni di Abbasso NATO accanto a quelli di Free Julian Assange, un grande poster con il benevolo sorriso di Papa Francesco accanto alla bandiera rossa dei socialisti e così via.

Tra gli interventi più applauditi, quello di Chris Hedges, anche lui giornalista pluripremiato e autore di numerosi libri contro la guerra, oltre a servire come Ministro Presbiteriano. E non poteva mancare in chiusura di manifestazione un messaggio a distanza di Roger Waters, come sempre molto personale e coinvolgente nel ricordo della madre che quando era ragazzino gli raccomandava di “leggere, leggere, leggere, per imparare ad ascoltare le ragioni di chi magari non la pensa come vorremmo noi, ecc ecc…”. Decisamente da vedere questo messaggio di Roger Waters soprattutto dove si rivolge al Presidente Biden pregandolo di “fare la cosa giusta, do the right thing… interrompi le forniture di armi per una guerra che ha già causato fin troppi morti e che sta inesorabilmente precipitando nell’Armageddon nucleare…”

Niente da fare. Nelle stesse ore in cui di fronte alla Casa Bianca si levava così forte e chiara la richiesta di pace, Joe Biden si preparava a volare verso Kiev per la visita a sorpresa al protegè Zelensky: per assicurare a lui (e a tutti noi) che questa ennesima ‘guerra di libertà’ andrà avanti oltranza e whatever it takes.
Una cosa però è certa: la rinascita del movimento pacifista americano, come molti commentatori hanno detto a caldo e come non mancheremo di osservare nei prossimi giorni, con le tante manifestazioni previste in tutte le più importanti città degli Stati Uniti, New York, Boston, San Francisco, Filadelfia, Madison, Santa Fè andando verso il 24 febbraio sarà una marea. E speriamo che come già è successo per la guerra in Vietnam, la marea abbia ragione della War Machine.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 21 febbraio 2023

Foto di Daniel da Pixabay

Discorso di Roger Waters al Consiglio di Sicurezza dell’ONU

di  
traduzione di Anna Polo

Roger Waters, cofondatore dei Pink Floyd, è intervenuto alla riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) tenutasi mercoledì 8 febbraio 2023 a New York.

Signora/Signor Presidente, Eccellenze, Signore e Signori.

Mi sento profondamente onorato di avere questa singolare opportunità di rivolgermi oggi alle vostre Eccellenze. Grazie alla vostra pazienza, cercherò di esprimere quelli che ritengo essere i sentimenti di innumerevoli nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo, sia qui a New York che oltreoceano. Li inviterò in queste sale sacre per dire la loro.

Siamo qui per considerare le possibilità di pace nell’Ucraina dilaniata dalla guerra, soprattutto alla luce del crescente volume di armi che arrivano in questo infelice Paese. Ogni mattina, quando mi siedo al mio computer, penso ai nostri fratelli e sorelle, in Ucraina e altrove, che senza alcuna colpa si trovano in circostanze terribili e spesso mortali. Laggiù, in Ucraina, possono essere soldati che affrontano un’altra giornata mortale al fronte, o madri o padri che si pongono l’atroce domanda di come possono sfamare i figli, o civili che sanno che oggi la luce si spegnerà di sicuro, come accade sempre nelle zone di guerra, che non c’è acqua corrente, che non c’è carburante per la stufa, che non ci sono coperte, ma solo filo spinato e torri di guardia e muri e ostilità. Oppure possono trovarsi in gravi difficoltà qui, in una città grande e ricca come New York. Forse, in qualche modo, per quanto abbiano lavorato duramente per tutta la vita, hanno perso l’equilibrio sul ponte scivoloso e inclinato della nave capitalista neoliberista che chiamiamo vita in città e sono caduti in mare, finendo per annegare. Forse si sono ammalati, o forse hanno contratto un prestito studentesco, forse hanno saltato un pagamento, i margini sono sottili, chi lo sa, ma ora vivono per strada sotto un mucchio di cartone, forse anche in vista di questo edificio delle Nazioni Unite. In ogni caso, ovunque si trovino, in tutto il mondo, zone di guerra o meno, insieme costituiscono una maggioranza, una maggioranza senza voce. Oggi cercherò di parlare per loro.

Noi popoli vogliamo vivere. Vogliamo vivere in pace, in condizioni di parità che ci diano la possibilità reale di prenderci cura di noi stessi e dei nostri cari. Siamo grandi lavoratori e siamo pronti a lavorare sodo. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è una giusta opportunità dopo cinquecento anni di imperialismo, colonialismo e schiavitù.

In ogni caso, vi prego di aiutarci.

Per aiutarci dovrete considerare la nostra situazione e per farlo dovrete distogliere per un attimo lo sguardo, mettendo momentaneamente da parte i vostri obiettivi. A proposito, quali sono i vostri obiettivi? E qui forse rivolgo le mie domande più ai cinque membri permanenti di questo Consiglio. Quali sono i vostri obiettivi? Cosa c’è nella pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno? Maggiori profitti per le industrie belliche? Più potere a livello globale? Una fetta più grande della torta globale? La Madre Terra è una torta da divorare? Una fetta più grande della torta non significa forse che ne resterà meno per tutti gli altri? E se oggi, in questo luogo di sicurezza, guardassimo in un’altra direzione, per esempio alla nostra capacità di empatia, di metterci nei panni degli altri, come, per esempio, in questo momento, nei panni di quel ragazzo dall’altra parte di questa stanza, o anche nei panni della maggioranza senza voce, ammesso che abbia dei panni con cui coprirsi?

La maggioranza senza voce è preoccupata che le vostre guerre, sì, le vostre guerre, perché queste guerre perpetue non sono una nostra scelta, che le vostre guerre distruggeranno il pianeta che è la nostra casa, e insieme a ogni altro essere vivente saremo sacrificati sull’altare di due cose, i profitti della guerra per riempire le tasche di pochi, pochissimi, e la marcia egemonica di qualche impero o altro verso il dominio mondiale unipolare. Per favore, rassicurateci che questa non è la vostra visione, perché non c’è alcun risultato positivo su questa strada. Quella strada porta solo al disastro, tutti hanno un pulsante rosso nella loro valigetta e più andiamo avanti, più le dita pruriginose si avvicinano a quel pulsante rosso e più ci avviciniamo tutti all’Armageddon. Guardate dall’altra parte della stanza, a questo livello siamo tutti nella stessa situazione.

Torniamo all’Ucraina. L’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa è stata illegale. La condanno nei termini più forti possibili. Non si può dire però che non ci sia stata una provocazione dietro a questa invasione, quindi condanno anche i provocatori nei termini più forti possibili. Ecco, mi sono tolto il pensiero.

Quando ieri ho scritto questo discorso, ho incluso un’osservazione sul fatto che il potere di veto in questo Consiglio si trova solo nelle mani dei suoi membri permanenti. Temevo che ciò fosse antidemocratico e rendesse impotente questo Consiglio, come una bocca senza denti… Stamattina ho avuto una rivelazione… SENZA DENTI! Forse per certi versi è una buona cosa… Forse posso aprire la mia grande bocca a nome di chi non ha voce senza che mi venga staccata la testa a morsi… Che bello! Stamattina ho letto sul giornale che un diplomatico anonimo ha detto: “Roger Waters parla al Consiglio di Sicurezza? E poi chi arriverà? Mr Bean! Ah! Ah! Ah!” Per chi non lo sapesse, Mr Bean è un personaggio inetto di una serie televisiva comica inglese. Quindi il diplomatico anonimo è un inglese! Ah! Ah! Ah! Anche a lei, signore!

Ok, credo sia giunto il momento di presentare mia madre, Mary Duncan Waters, che ha avuto una grande influenza su di me; era una maestra, dico era perché è morta da quindici anni. Anche mio padre, Eric Fletcher Waters, ha avuto una grande influenza su di me; anche lui è morto, è stato ucciso il 18 febbraio 1944 ad Aprilia, vicino alla testa di ponte di Anzio, in Italia, quando avevo solo cinque mesi, quindi ne so qualcosa di guerra e di perdite. Comunque, torniamo a mia madre. Quando avevo circa tredici anni stavo lottando con qualche problema adolescenziale o altro cercando di decidere cosa fare, non importa cosa fosse, non riesco comunque a ricordarlo, ma mia madre mi fece sedere e mi disse: “Ascolta, ti troverai di fronte a molti problemi difficili nel corso della tua vita e quando lo farai ecco il mio consiglio: Leggi, leggi, leggi, scopri tutto quello che puoi su qualunque cosa, guardala da tutti i lati, da tutte le angolazioni, ascolta tutte le opinioni, specialmente quelle con cui non sei d’accordo, fai una ricerca approfondita, quando l’avrai fatto avrai concluso tutto il lavoro pesante e la parte successiva sarà facile. Ok mamma, qual è la parte più facile? Oh, la parte più facile è che devi solo fare la cosa giusta”. Hmm!

Parlare di fare la cosa giusta mi porta ai diritti umani.

Noi, il popolo, vogliamo diritti umani universali per tutti i nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo, indipendentemente dalla loro etnia, religione o nazionalità. Per essere chiari, ciò include, ma non si limita, al diritto alla vita e alla proprietà secondo la legge, per esempio per gli ucraini e per i palestinesi. Sì, lasciatevelo dire. E ovviamente per tutti gli altri. Uno dei problemi delle guerre è che in una zona di guerra o in qualsiasi altro luogo in cui la popolazione vive sotto occupazione militare, non c’è ricorso alla legge, non ci sono diritti umani.

Oggi ci occupiamo della possibilità di pace in Ucraina, con particolare riferimento all’invio di armi al regime di Kiev da parte di terzi.

Non ho più molto tempo, quindi,

Cos’hanno da dire i milioni di persone senza voce?

Dicono:

Grazie per averci ascoltato oggi

Siamo i molti che non partecipano ai profitti dell’industria bellica.

Non alleviamo volontariamente i nostri figli e le nostre figlie

per fornire carne da macello ai vostri cannoni.

Secondo noi

L’unica linea d’azione sensata oggi

è chiedere un immediato cessate il fuoco in Ucraina.

Senza se, senza ma e senza e.

Non una sola altra vita ucraina o russa deve essere sacrificata.

Non una.

Sono tutte preziose ai nostri occhi.

È quindi giunto il momento di dire la verità al potere. Vi ricordate tutti la storia del re nudo? Certo che sì. Ebbene, i leader dei vostri rispettivi imperi sono, in un modo o nell’altro, nudi davanti a noi. Abbiamo un messaggio per loro. È un messaggio da parte di tutti i rifugiati in tutti i campi, un messaggio da tutte le baraccopoli e le favelas, un messaggio da parte di tutti i senzatetto, in tutte le strade fredde, da tutti i terremoti e le alluvioni sulla terra. È anche un messaggio da parte di tutte le persone che non muoiono di fame, ma che si chiedono come fare perché la miseria che guadagnano possa coprire il costo di un tetto sopra la testa e del cibo per le loro famiglie. La mia madrepatria, l’Inghilterra, grazie a Dio, non è più un Impero, ma in quel Paese ora c’è un nuovo tormentone: “Mangiare o riscaldarsi?” Non si possono fare entrambe le cose. È un grido che riecheggia in tutta Europa.

A quanto pare, l’unica cosa che le potenze pensano che possiamo permetterci è la guerra perpetua. Una follia…

Quindi, da parte dei circa quattro miliardi di fratelli e sorelle di questa maggioranza senza voce che, insieme ai milioni del movimento internazionale contro la guerra, rappresentano un enorme collegio elettorale, diciamo basta! Chiediamo un cambiamento.

Presidente Biden, Presidente Putin, Presidente Zelensky,

USA, NATO, RUSSIA, L’UE, TUTTI VOI.

PER FAVORE, CAMBIATE ROTTA ORA,

ACCETTATE UN CESSATE IL FUOCO IN UCRAINA OGGI STESSO.

Questo, ovviamente, sarà solo il punto di partenza, ma tutto si estrapola da quel punto di partenza. Immaginate il sospiro di sollievo collettivo a livello mondiale. L’esplosione di gioia. L’unione internazionale delle voci che cantano in armonia un inno alla pace! John Lennon che agita il pugno dalla tomba. Finalmente siamo stati ascoltati nei corridoi del potere. I bulli nel cortile della scuola hanno accettato di smettere di giocare con il pericolo atomico. Alla fine non moriremo tutti in un olocausto, o almeno non oggi. Le potenze sono state convinte ad abbandonare la corsa agli armamenti e la guerra perpetua come loro modus operandi. Possiamo smettere di sperperare tutte le nostre preziose risorse nella guerra. Possiamo nutrire i nostri figli, possiamo tenerli al caldo. Potremmo persino imparare a cooperare con tutti i nostri fratelli e sorelle e persino salvare il nostro bellissimo pianeta dalla distruzione. Non sarebbe bello?

Eccellenze,

vi ringrazio per la vostra pazienza.

Roger Waters

Foto di Jethro da Wikipedia

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 9 febbraio 2023

L’articolo originale in lingua inglese lo trovate qui