Punto rosa

Lasciarsi alle spalle il patriarcato

di Cristina Formica

“La storia dello Stato è la storia del patriarcato e il DNA dello Stato è patriarcale” (Rita Laura Segato)

Ho una grande difficoltà a scrivere in poco spazio quanto questo testo mi abbia arricchito, suggestionato, quante cose mi abbia chiesto, quanto conferme mi abbia dato. Va assolutamente letto il libro, peraltro appena uscito in Italia, dell’antropologa e femminista argentina Rita Laura Segato, Contro-pedagogie della crudeltà, con la traduzione attenta fatta da Valeria Stabile. Il libro inaugura la nuova collana editoriale “Transfemminismi” (Manifestolibri – FactoryA) diretta da Francesca Romana Recchia Luciani (Università di Bari).
Inspiegabilmente, Rita Laura Segato non è conosciutissima in Italia benché lavori, da più di trent’anni, sulla violenza di genere, sul razzismo e sul colonialismo, oltre che approfondire e impegnarsi rispetto a molte altre cose; Marco Calabria l’amava profondamente e anche per questo rendiamo omaggio a lui, che purtroppo non c’è più per parlare di questa formidabile studiosa.

Segato ha insegnato per decenni all’Università di Brasilia e in quelle argentine, oltre ad aver svolto consulenze autorevoli nei tanti misfatti centro e sudamericani contro le donne, primo fra tutti i femminicidi di Ciudad Juarez, dove migliaia di bambine, giovani e giovanissime donne furono torturate, violentate e uccise al confine con il ricco vicino statunitense. Il percorso di studio dell’autrice parte quando, giovane ricercatrice, lavorò con le comunità indigene del Brasile, dove le donne non subivano reati, violenze, non prendevano botte, ma avevano sempre avuto un ruolo sia pubblico che privato di tutto rispetto, una grande autonomia di decisione sia rispetto a loro stesse che alla dimensione comunitaria. Le questioni di genere, la sessualità e l’amore nelle comunità indigene brasiliane, secondo Segato, non avevano una situazione binaria maschile/femminile e uomo/donna, ma erano legate alla persona, per cui nella comunità i ruoli si riadattavano alla volontà delle persone che esprimevano il loro desiderio e il loro amore, attuando liberamente le loro scelte personali in armonia con la dimensione collettiva. Da quegli studi, la situazione delle comunità è cambiata, rileva Segato, e non in meglio.

Durante le tre straordinarie lezioni tenute nel 2016 alla Facultad Libre di Rosario, in Argentina, l’autrice spiega in termini scientifici e politici, ma soprattutto intellettuali e umani, come il cambiamento traumatico alla realizzazione umana delle originarie comunità brasiliane si ebbe con la colonizzazione, quando il centro del mondo era l’Europa e ancora lo è. Con il colonialismo crudele nasce anche la pedagogia della crudeltà, che impone agli uomini indigeni e afrodiscendenti il modello patriarcale, a cui comunque anche loro non potranno mai aspirare definitivamente perché non bianchi, ma che li ha portati a chiudere le donne nella dimensione privata della casa grazie alla cultura criolla, aderendo a un modello universale nel quale la donna è una minaccia per gli uomini e ponendo la violenza di genere come parte della struttura patriarcale e colonialista. Da 500 anni fa, la razzializzazione e la patriarcalizzazione producono cambiamenti profondi e sostanziali alle comunità indigene, mettendo gli uomini sotto il dominio del bianco (razzista, misogino, omofobo, transfobico e specista secondo Rita Laura Segato) e creando un uomo criollo disposto a punire violentemente tutto ciò che disobbedisce al patriarca.

La prima lezione riguarda principalmente la visione che Segato ha rispetto alla violenza sessuale, i femminicidi o femigenocidi, come lei li definisce, approfondendo i temi già proposti nel suo testo del 2003 Las estructuras elementares de la violencialo stupro è letto come un’azione agita con violenza dal maschio che afferma due assi di dialogo, il primo con la donna vittima e il secondo con il gruppo di altri maschi pari a lui. L’asse con la vittima è verticale e indica anche il livello di violenza e crudeltà espresse nella punizione fatta a una donna, che va rimessa al suo posto, che deve essere punita secondo un universale culturale comune a tutto il pianeta. L’asse orizzontale, che riguarda gli altri uomini, costituisce un dialogo in cui l’ingiunzione della mascolinità è omaggiata e sottolineata rispetto ai propri pari, egemoni sui corpi e sul ruolo sociale delle donne.

Segato propone quest’analisi grazie ai suoi trent’anni di studi e confronti con i più terribili reati contro il genere femminile, attuati nell’America Latina in seguito a dittature, genocidi, traffici di droghe, sempre e solo per mantenere la supremazia patriarcale. Ma la svolta che lei stessa riporta, durante gli incontri descritti nel libro, è stato lo studio che ha condotto nel Carcere di Brasilia, dopo che un Colonnello della Polizia Penale le chiese di investigare su perché erano così tanti gli stupri nella capitale brasiliana. Segato incontrò gli uomini condannati per questo odioso reato, che spesso le riportarono che loro stessi non sapevano spiegarsi il motivo per cui avevano commesso il crimine, non era per un bisogno di sesso, non era perché desideravano quella donna in particolare oltre la sua volontà. Come scrive la stessa autrice,

“attraverso lo stupro, l’aggressore esige da quel corpo subordinato un tributo che fluisce verso di lui e che costruisce la sua mascolinità, perché comprova la sua potenza nella capacità di estorcere e usurpare autonomia al corpo sottomesso”.

L’affermarsi del patriarcato colonialista, che pone le donne da soggetto ad oggetto della volontà maschista, ci propone una visione fondamentale per cui è urgente per le donne tenere conto di tale visione, per difendersi e per interrompere questa realtà femminicida, che uccide anche gli stessi uomini che non aderiscono alla logica patriarcale imperante.

Nella seconda lezione, Segato ricompone la diseguaglianza genere-razza, elementi sociali che si coniugano perfettamente con l’invasione europea del continente americano. Partita con lo spiegamento di forza e violenza, la disparità storica verrà poi giustificata con motivi biologici e cosiddetti scientifici, che ancora oggi sono considerati veri da gente piuttosto turpe, vedi in in Italia il dibattito infame sui tratti fisionomici italici. L’autrice inizia a proporre la sua visione rispetto all’uscita da questa realtà, estremamente violenta in generale e verso le donne: la rivolta verso la burocrazia che impone la disuguaglianza, il rifiuto dell’autoritarismo, il caldeggiare l’utopia insita nella Storia, che racchiude in sé le risposte imprevedibili dei grandi cambiamenti sociali. Le comunità indigene, secondo Segato, sono abituate a pensare guardando lontano, ad attivare forme di resistenza che permettano la loro continuità, a fronte di un mondo razzista e capitalista che vuole inglobarli dopo non essere riuscito a sterminarle. Il femminismo ha il compito fondamentale di porre in atto politiche alternative a quelle patriarcali, non copiare i modelli già imposti con la prepotenza, ma passando per modi nuovi di attuare la comunità, il potere, la cura di sé, della collettività e dell’ambiente.

Perché non contrastare il potere patriarcale porta a crimini umanitari come i femminicidi di Ciudad Juarez, in Messico, dove il machismo si realizza attraverso l’associazione mafiosa tra uomini di questo tipo, che ribadiscono la sovranità territoriale attraverso la tortura dei corpi delle donne, trattate come spazzatura, con la connivenza degli organi dello stato che tralasciano troppe tracce, troppi indizi, per non arrivare alla soluzione di questo orrore. I crimini accaduti in strada contro le donne non riguardano la sfera privata della persona offesa: Segato definisce questi delitti femigenocidi, ragazze colpite perché donne, a monito di tutte le altre e di chi non si conforma alla mafia patriarcale. Uccisioni di donne attraverso reati sessuali, perché tramite questo tipo di crimini si uccide moralmente la persona e la società di cui essa fa parte: come è sempre stato, la violenza sessuale come arma di guerra annienta il popolo che la subisce, toglie onore agli uomini: stuprare per ottenere vantaggio politico,il gruppo machista diventa dominante sugli altri uomini da conquistare. Ciudad Juarez primeggia nella violenza a livello mondiale, continentale e pure rispetto al violentissimo Messico.

Secondo Segato, la fase capitalistica che stiamo vivendo si realizza attraverso due livelli: lo Stato ufficiale, che costituisce la prima realtà, e il secondo Stato, la seconda realtà dove tutto è possibile, soprattutto la violenza contro chi è più debole, chi vale meno come le donne. I dati che l’autrice cita sono impressionanti: secondo l’ONU, nel 2015 tra le 50 città più violente del mondo molte sono in America Latina, e 21 sono brasiliane. In tutta questa violenza c’è la droga, la tratta, il contrabbando di merci tra cui le armi, azioni illegali che costituiscono ricchi proventi per la seconda realtà, da sempre possibile perché ha grande connivenze con la prima realtà. In questa guerra, vittime e oggetto di crimine sono spesso le donne.

L’ultima lezione riprende un tema molto caro a Segato, quello delle lotte antirazziste all’interno delle università, di cui lei è stata puntuale protagonista e che hanno portato a una legge che in Brasile garantisce le quote di accesso universitario per le comunità indigene. Il tema, che parte dal diritto dei e delle giovani indigene a far parte della ricerca culturale, è sviluppato attraverso la giusta considerazione che la colonizzazione non è ancora morta, si estende anche, a volte soprattutto, attraverso il sapere. La considerazione che il mondo del pensiero latinoamericano deve porsi, secondo Segato, è che il confronto con il pensiero europeo non deve più essere perdente, ma assumere la propria autonomia di scelta su cosa e come indagare, a che problematiche rispondere, che proposte avanzare, smettendo di rispondere ai criteri del potere coloniale. Tra le critiche espresse dall’autrice, anche quella alle ONG e alle donne che lavorano nelle ONG: restituiscono una visione delle comunità indie e afrodiscendenti come antimoderne, bisognose di crescita attraverso risposte che non sono quelle da loro volute; Segato contesta fortemente il ruolo dello sviluppo e della crescita economica come destino ineluttabile, l’adesione al modello capitalistico che uccide le comunità e produce violenza, aggressione alle donne, umiliazione agli uomini che non vogliono adeguarsi a quest’evoluzione per loro non necessaria.

Leggere questo testo di Rita Laura Segato lascia tante suggestioni e molti suggerimenti: a partire dal pensare libero, non assecondano la regola ortodossa e ufficiale, con cui spaziare e agire curiosità a partire dalle proprie intuizioni, seguendo un cammino intellettuale personale che può essere diverso da quello autorizzato dalle strutture del potere, di qualsiasi potere si tratti. Fondamentale il ruolo di chi produce pensiero, nelle università, negli apparati politici, nelle società, che deve dare voce alle espressioni umane di chi non ha voce, anche attraverso l’uso di un linguaggio nuovo, che permetta di vedere i limiti, le distorsioni, i crimini che sono fatti alle persone che non si adeguano ai cambiamenti strutturali che il capitale porta avanti. È importante insegnare a pensare, rompere gli schemi delle posizioni sociali, disobbedire alle regole che non rispondo ai bisogni reali, smettere di riprodurre un sistema che uccide chi non si allinea, chi è povero, chi è diverso e diversa.

Le donne, secondo Segato, hanno un compito fondamentale, possono avere un ruolo importantissimo in questa inversione di tendenza necessaria a tutto il mondo: ricostruire i rapporti che le donne hanno portato avanti nel loro privato e rendere a livello pubblico la proposta di relazione che le donne sanno agire, smettendo la visione eurocentrica e patriarcale, della guerra contro i popoli e contro le donne. Costruire comunità resistenti che siano dentro e fuori lo stato, insistendo laddove è essenziale insistere, costruendo altrove quando è possibile, quando è necessario.

Un cammino che intuiamo, a volte anche realizziamo, che può crescere e che può continuare: anche Rita Laura Segato ci dà la forza necessaria, ogni giorno, di essere questa potenza rivoluzionaria per noi stesse e per tutt@.

Rita Laura Segato – Contro-pedagogie della crudeltà. Manifestolibri in collaborazione con FactoryA APS, Roma, 2024

L’ articolo è stato pubblicato su Comune-info il 28 agosto 2024

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Una Jane Austen 2.0

di 

L’ultimo libro di Bia Cusumano, docente di italiano e latino in un liceo di Castelvetrano, in provincia di Trapani, è una raccolta di racconti, Trame Tradite, edita da Navarra a Palermo nel 2023. Perché parlarne qui? Perché offre preziosi spunti per una eventuale riflessione di gruppo (un tempo si chiamavano gruppi di autocoscienza, ma stavolta dovrebbe essere misto) sull’empowerment femminile, sulla violenza di genere, sulla disabilità e la malattia come cifre esistenziali, ma anche sulle strutture di coppia, sull’ipocrisia delle istituzioni familiari e sugli affetti, e ancora sulle inquietudini dell’adolescenza, o infine sulla pandemia, le guerre e le migrazioni.

La protagonista delle storie è quasi sempre la stessa, sotto diverse sfaccettature. Esile, bella, con ricorrenti capelli rossi, ben vestita e professionalmente realizzata (anche in ambiti tradizionalmente maschili come la chirurgia, l’ingegneria, la magistratura), forte e sicura di sé di fronte agli altri, cela però un dolore segreto, un rovello che è anche la pietra angolare della sua costruzione di sé. Può essere l’abbandono della madre, la malattia “invisibile, ladra di vita”, un lontano amore imploso o esploso e non elaborato, la maternità negata o conflittuale. Ella incarna, insomma, per usare una parola oggi di moda, una resilienza decisa.

È in certo modo proiezione dell’autrice che, per sua stessa ammissione, fa della scrittura una misura catartica insostituibile: “scrivere all’inizio fu come pregare. Poi divenne come respirare. Poi fu vivere. Poi sentirmi amata.” E più in là: “Scrivere mi aveva sempre restituito a me stessa. Mi aveva sempre sanato dalle ferite del mondo e salvato dai suoi orrori”, perché “siamo fatti di parole”.

Gli eventi con i quali le donne di Cusumano devono fare i conti sono talvolta estremi: il tentato infanticidio in culla ad opera di una madre sofferente di depressione post-partum; un suicidio, perché una Itaca in cui trovare rifugio o fare ritorno a casa non esiste; uno stupro di gruppo. Più spesso sono esiti di una perdita con i quali convivere per sviluppare consapevolezza: compare insistente il tema del divorzio o del ritrovamento di un perduto amore, come pure il desiderio impossibile di mettere al mondo una figlia (non un figlio, si badi!).

Troviamo pure bambini e giovanissimi in queste pagine e non solo perché l’autrice ama “con passione” il suo mestiere e la scuola, ma per la sua attenzione alle fragilità cui è necessario dedicarsi: un piccolo Down, un adulto rimasto “piccolo” per un qualche male non detto, un orfano di guerra ucraino con il quale comunicare in silenzio mano nella mano, ed anche una vecchina con il morbo di Alzheimer.

Il racconto più bello è forse il primo, dedicato all’albero di limoni della villa paterna, generoso come quello descritto da Danilo Dolci nella sua poesia I limoni lunari: un albero che “ad ogni luna butta le sue zagare”, aveva scritto il Gandhi della Sicilia, figura dei contadini che sanno di fatica e solidarietà; un albero di cui prendersi cura, scrive Cusumano, perché “in una casa sempre servono i limoni freschi”, doni profumati come quelli dipinti da Renato Guttuso, infatti “il bene fa ciàvuru pure se non si vede”. E l’albero è l’incarnazione dell’amata nonna, scrittrice e veggente, di cui la narratrice porta il nome e il destino. Come non pensare al romanzo di Gioconda Belli La donna abitata, in cui una giovane, bevuta una spremuta di arance colte dall’albero del suo giardino, diviene una valorosa rivoluzionaria, poiché quel succo era sangue della sua antenata guerrigliera?

Ma le donne di Cusumano niente sanno di rivoluzione e poco si interessano al mondo fuori: tutte ripiegate nell’introspezione e dedite agli affetti privati, cercano ostinatamente l’amore perfetto, la pura “appartenenza” e, in qualche caso, lo trovano anche o credono di trovarlo. Ricordano le eroine di Jane Austen, combattute tra il desiderio di autonomia e di indipendenza economica, il vincolo sociale che le vuole esclusivamente spose e l’aspirazione ad un incontro unico e totalizzante. Donne in bilico, tra un femminismo mai esplicitato (anche la sorellanza si limita a relazioni tra amiche intime e non si apre alla circolarità sociale) e il persistente perseguimento di un modello di coppia chiusa.

Ecco perché all’inizio ho suggerito la lettura di questo libro come sprone ad una riflessione politica: le vicende narrate da Cusumano possono forse offrirsi ad esiti diversi, come storie con un finale aperto che, inserite in un contesto politico, entro uno sfondo storico che tenga conto delle contraddizioni attuali, costituiscano uno sprone per noi, per un’analisi collettiva che faccia del partire da sé un metodo per interpretare il mondo e trasformarlo.

L’articolo è stato pubblicato su pressenza il 10 aprile 2024

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Le ribellioni delle donne nere

di Cristina Formica

Sia chiara una cosa: la lettura segue il cuore. Io, da molti anni, leggo più libri contemporaneamente; in genere alterno un libro scritto da una donna a un libro scritto da un uomo. Può capitarmi di leggere un po’ di libri solo di donne, a volte anche di solo di uomini: lo sguardo va sempre alternato, secondo me. La lettura crea sempre altra lettura.

Questa piccola nota autobiografica serve per presentare il magnifico libro di Angela DavisDonne, razza e classe, testo femminista indispensabile da leggere, oltre che importantissimo anche rispetto alla lotta di classe, il razzismo, il colonialismo e tutto il sistema patriarcale-capitalista.

Angela Davis scrisse la parte originale di questo saggio mentre si trovava imprigionata nelle carceri statunitensi, nel 1971, dove rischiava una dura condanna per terrorismo, nell’ambito della guerra senza quartiere scatenata in quegli anni dal governo bianco contro l’ampio movimento nero: una guerra che portò a numerosi morti e che Angela Davis ripercorre nel suo testo Autobiografia di una rivoluzionaria.

Ma le radici di Donne, razza e classe nascono anche dallo stesso movimento nero, che esprimeva in alcune situazioni un machismo che nascondeva l’enorme apporto delle donne afro-americane alla lotta al razzismo e al colonialismo. Davis ripercorre la Storia femminista afro-americana, che inevitabilmente si intreccia con quella del femminismo bianco sin dal 1.800. La puntuale analisi di quanto accaduto nella lotta contro lo schiavismo, che rendeva uomini e donne oggetti di proprietà del padrone bianco, si intreccia fittamente con i diritti fondamentali di uomini e donne nere, una lotta che non si vinse, allora, mai realmente: bisognerà aspettare molti decenni dalla fine dello schiavismo prima che le comunità nere si organizzino, fino ad arrivare alle rivolte degli anni Cinquanta e Sessanta, a partire dalla ribellione per il diritto a sedersi sull’autobus di Rosa Park. Seguiranno la morte di Malcom X, di Martin Luther King, gli assalti alle Pantere Nere, le vendette di stato contro i suoi esponenti come Mumia Abu Jamal, in carcere dal 1981 con una condanna a morte cancellata solo trent’anni dopo: la pena fu trasformata nel 2011 in un ergastolo con chiari connotati razzisti. Il movimento Black Lives Matter contesta oggi una violenza istituzionale che nasce dalla stessa radice dello schiavismo, nonostante siano passati più di duecento anni dalla sua abolizione formale al Congresso di Vienna del 1815.

Angela Davis pubblicherà definitivamente nel 1981 il suo saggio, nel quale storicamente sessimo, razzismo e sfruttamento di classe nei confronti delle donne nere, sommano le energie e promuovono angherie per far guadagnare di più il capitalismo. Protagoniste sin dai primi albori del movimento anti-schiavista, le femministe storiche hanno dovuto nel tempo lottare anche per esprimersi agli incontri femministi bianchi, testimoniando il proprio coraggio, frutto della ribellione al padrone schiavista che puniva la donna anche sessualmente, oltre che con tutte le stesse torture che subivano gli uomini neri. Le donne nere erano storicamente sfruttate nel lavoro di produzione, che le poneva come protagoniste nell’abuso di classe che portò negli Stati Uniti il cambio capitalistico del lavoro salariato e, soprattutto per la componente femminile, dei lavori di cura. La visione delle donne nere vittime del patriarcato nero si riallinea con quella dei popoli colonizzati, dato che il patriarcato era assolutamente e solo appannaggio dei maschi ricchi e razzisti. Il femminismo nero ha vissuto nei decenni una lotta dura, che ha avuto gravi conseguenze per molte sue esponenti. Angela Davis portò avanti, nei suoi scritti, una lettura marxista del sessismo che subivano le donne nere, associate nelle pessime condizioni lavorative delle fabbriche alle donne bianche povere, sorelle nella lotta per la sopravvivenza di sé e delle proprie famiglie.

Ma alle donne nere, alle quali era stato “abbonato” lo schiavismo, rimase una condizione di fatto perpetrata dalla mancanza del diritto al voto, all’istruzione, all’autodeterminazione sociale ed economica: donne che dovevano continuare a lottare per i loro diritti anche in contrasto alle femministe bianche; ancora più perché donne, le afro-americane hanno pagato storicamente un prezzo che le vuole ancora oggi povere, con meno accesso al diritto all’istruzione, con i nuclei familiari distrutti dal sistema giuridico e sociale statunitense.

Ma la chiarezza, la bellezza e la forte spinta ad agire politicamente che Donne, razza e classe dà all’identità di donne e femministe, oltre che a chi lotta per contrastare il razzismo e per una società più giusta, un punto di forza per ciò che espone e suggerisce; altri femminismi hanno posto nel tempo le stesse questioni, affermando sguardi diversi e altre necessità che non possono che arricchire quello che siamo, quello che vogliamo.

L’articolo è stato pubblicato su Comune-info il 9 marzo 2024

Angela Davis – Donne, razza e classe. Edizioni Alegre, 2018

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Le Equilibriste. La maternità nel Rapporto 2023 di Save the Children

di Giovanni Caprio

La popolazione italiana è in costante calo dal 2008 e lo scorso anno si è registrato il record minimo di nascite, scese, come non succedeva dalla seconda metà dell’800, sotto la soglia delle 400mila unità. Una denatalità che neppure la presenza della popolazione residente di origine straniera riesce più a compensare: anche tra le famiglie con almeno un genitore straniero sono infatti diminuite le nascite, passando da più di 107.000 nati nel 2012 a poco meno di 86.000 nel 2021. Altrettanto simile appare la decrescita nei nuclei con entrambi i genitori stranieri, dove si passa da circa 80.000 figli/e nel 2012 ai quasi 57.000 del 2021.

I fattori che stanno alla base di questi trend negativi sono molti e riguardano ogni aspetto della vita quotidiana: il ritardo con cui i giovani tendono a iniziare la vita indipendente a causa dell’investimento nell’educazione e nella formazione; le difficoltà che incontrano ad entrare nel mondo del lavoro, dove spesso sono costretti ad accettare occupazioni precarie, instabili e povere; un mercato immobiliare estremamente sfavorevole, per non dire proibitivo, nei confronti delle giovani coppie; i costi insostenibili della cura dei figli e delle figlie; la carenza di politiche a sostegno delle famiglie; l’assenza di una rete di supporto familiare sul territorio; le difficoltà di conciliare adeguatamente la maternità e la paternità con il lavoro. Nel 2021, il 6% degli uomini si è dimesso dal proprio impiego in occasione della nascita di un/a figlio/a, dato che per le donne è schizzato addirittura al 65,5%, ovvero più di 6 donne su 10 rinunciano al proprio lavoro per adempiere alle responsabilità di cura dei propri figli.

Troppo spesso di questi tempi quando si parla di denatalità ci si dimentica però che avere figli/e è una possibilità e non un obbligo imposto dalla società, che si deve arrivare alla maternità e alla paternità con consapevolezza e partendo da una scelta fatta in assoluta libertà, che va tutelato anche chi nel proprio orizzonte di vita non ha ritenuto di considerare la genitorialità e tutti coloro che non possono avere  figli/e. Così come ci si dimentica con facilità dello squilibrio di genere che caratterizza la suddivisione del lavoro produttivo e riproduttivo all’interno della società contemporanea.

Ed è proprio allo squilibrio di genere che si richiama una parte dell’8^ edizione del Report del maggio scorso di Save the Children intitolato “Le equilibriste: la maternità in Italia nel 2023”, curato da Alessandra Minnello e Maddalena Cannito. “Dalle risposte relative alla distribuzione dei carichi di cura emerge tra le coppie che convivono, si legge nel Rapportoun forte squilibrio a svantaggio delle donne. Sebbene solo il 13% delle mamme che convivono con il padre o l’attuale partner si dichiari insoddisfatta della loro collaborazione nell’accudimento del bambino, sono loro a dedicare gran parte del proprio tempo quotidiano alla cura del figlio/a: 16 ore al giorno contro le 7 del partner”.

La cura dei figli continua insomma a penalizzare le mamme, nonostante alcuni importanti passi avanti fatti sul terreno della parità. “In relazione al congedo parentale (ovvero facoltativo), nonostante si rilevi un certo livello di adesione dei padri, che nel 16% dei casi hanno preso un congedo più lungo delle madri e nel 22% in maniera equilibrata rispetto alle madri, permane– si sottolinea nel Report, una prevalenza di donne che ne usufruiscono (53% hanno preso un congedo più lungo, a cui si sommano quelle che lo hanno preso in maniera equilibrata rispetto ai padri). Da segnalare che, tra le motivazioni addotte a un congedo più lungo da parte delle donne, il 37% delle mamme lavoratrici intervistate indica motivi legati al mercato del lavoro: per il 21% lo stipendio inferiore a quello del padre e per il 16% il lavoro del padre più promettente del proprio hanno influito sulle scelte relative alla cura dei figli”.

E’ pur vero però che anche in Italia la paternità sta cambiando ed è importante accelerare con tutti i mezzi un cambiamento culturale, sostenuto dalle politiche, che renda la cura dei figli anche una responsabilità maschile, mettendo in luce i numerosi benefici che il  coinvolgimento paterno ha su diversi fronti. Sono molti ormai, si sottolinea nel Rapporto di Save the Children, gli studi che hanno trovato una relazione positiva di una paternità attiva e accudente sulla parità di genere nelle coppie eterosessuali, sui mutamenti delle pratiche e dei modelli di maschilità, sulla riduzione della violenza nelle relazioni intime, sulla salute, il benessere di madri e padri, sullo sviluppo cognitivo ed emotivo di bambini/e. Certamente il cammino è ancora lungo e tanti passi vanno fatti sia sul lato del cambiamento di modelli culturali di riferimento maschili che delle politiche, ma il percorso della condivisione delle cure sembra ormai irreversibile e rappresenta un tassello fondamentale per contrastare la crisi demografica in atto nel nostro Paese, rilanciare l’occupazione femminile e, in ultima battuta, raggiungere, promuovere e avanzare verso la parità di genere.

Qui per scaricare il Report.

Qui il video con le testimonianze delle madri “equilibriste”.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 3 settembre 2023
Foto di Endho da Pixabay

Le Equilibriste. La maternità nel Rapporto 2023 di Save the Children Leggi tutto »