Punto rosa

Una Jane Austen 2.0

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L’ultimo libro di Bia Cusumano, docente di italiano e latino in un liceo di Castelvetrano, in provincia di Trapani, è una raccolta di racconti, Trame Tradite, edita da Navarra a Palermo nel 2023. Perché parlarne qui? Perché offre preziosi spunti per una eventuale riflessione di gruppo (un tempo si chiamavano gruppi di autocoscienza, ma stavolta dovrebbe essere misto) sull’empowerment femminile, sulla violenza di genere, sulla disabilità e la malattia come cifre esistenziali, ma anche sulle strutture di coppia, sull’ipocrisia delle istituzioni familiari e sugli affetti, e ancora sulle inquietudini dell’adolescenza, o infine sulla pandemia, le guerre e le migrazioni.

La protagonista delle storie è quasi sempre la stessa, sotto diverse sfaccettature. Esile, bella, con ricorrenti capelli rossi, ben vestita e professionalmente realizzata (anche in ambiti tradizionalmente maschili come la chirurgia, l’ingegneria, la magistratura), forte e sicura di sé di fronte agli altri, cela però un dolore segreto, un rovello che è anche la pietra angolare della sua costruzione di sé. Può essere l’abbandono della madre, la malattia “invisibile, ladra di vita”, un lontano amore imploso o esploso e non elaborato, la maternità negata o conflittuale. Ella incarna, insomma, per usare una parola oggi di moda, una resilienza decisa.

È in certo modo proiezione dell’autrice che, per sua stessa ammissione, fa della scrittura una misura catartica insostituibile: “scrivere all’inizio fu come pregare. Poi divenne come respirare. Poi fu vivere. Poi sentirmi amata.” E più in là: “Scrivere mi aveva sempre restituito a me stessa. Mi aveva sempre sanato dalle ferite del mondo e salvato dai suoi orrori”, perché “siamo fatti di parole”.

Gli eventi con i quali le donne di Cusumano devono fare i conti sono talvolta estremi: il tentato infanticidio in culla ad opera di una madre sofferente di depressione post-partum; un suicidio, perché una Itaca in cui trovare rifugio o fare ritorno a casa non esiste; uno stupro di gruppo. Più spesso sono esiti di una perdita con i quali convivere per sviluppare consapevolezza: compare insistente il tema del divorzio o del ritrovamento di un perduto amore, come pure il desiderio impossibile di mettere al mondo una figlia (non un figlio, si badi!).

Troviamo pure bambini e giovanissimi in queste pagine e non solo perché l’autrice ama “con passione” il suo mestiere e la scuola, ma per la sua attenzione alle fragilità cui è necessario dedicarsi: un piccolo Down, un adulto rimasto “piccolo” per un qualche male non detto, un orfano di guerra ucraino con il quale comunicare in silenzio mano nella mano, ed anche una vecchina con il morbo di Alzheimer.

Il racconto più bello è forse il primo, dedicato all’albero di limoni della villa paterna, generoso come quello descritto da Danilo Dolci nella sua poesia I limoni lunari: un albero che “ad ogni luna butta le sue zagare”, aveva scritto il Gandhi della Sicilia, figura dei contadini che sanno di fatica e solidarietà; un albero di cui prendersi cura, scrive Cusumano, perché “in una casa sempre servono i limoni freschi”, doni profumati come quelli dipinti da Renato Guttuso, infatti “il bene fa ciàvuru pure se non si vede”. E l’albero è l’incarnazione dell’amata nonna, scrittrice e veggente, di cui la narratrice porta il nome e il destino. Come non pensare al romanzo di Gioconda Belli La donna abitata, in cui una giovane, bevuta una spremuta di arance colte dall’albero del suo giardino, diviene una valorosa rivoluzionaria, poiché quel succo era sangue della sua antenata guerrigliera?

Ma le donne di Cusumano niente sanno di rivoluzione e poco si interessano al mondo fuori: tutte ripiegate nell’introspezione e dedite agli affetti privati, cercano ostinatamente l’amore perfetto, la pura “appartenenza” e, in qualche caso, lo trovano anche o credono di trovarlo. Ricordano le eroine di Jane Austen, combattute tra il desiderio di autonomia e di indipendenza economica, il vincolo sociale che le vuole esclusivamente spose e l’aspirazione ad un incontro unico e totalizzante. Donne in bilico, tra un femminismo mai esplicitato (anche la sorellanza si limita a relazioni tra amiche intime e non si apre alla circolarità sociale) e il persistente perseguimento di un modello di coppia chiusa.

Ecco perché all’inizio ho suggerito la lettura di questo libro come sprone ad una riflessione politica: le vicende narrate da Cusumano possono forse offrirsi ad esiti diversi, come storie con un finale aperto che, inserite in un contesto politico, entro uno sfondo storico che tenga conto delle contraddizioni attuali, costituiscano uno sprone per noi, per un’analisi collettiva che faccia del partire da sé un metodo per interpretare il mondo e trasformarlo.

L’articolo è stato pubblicato su pressenza il 10 aprile 2024

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Le ribellioni delle donne nere

di Cristina Formica

Sia chiara una cosa: la lettura segue il cuore. Io, da molti anni, leggo più libri contemporaneamente; in genere alterno un libro scritto da una donna a un libro scritto da un uomo. Può capitarmi di leggere un po’ di libri solo di donne, a volte anche di solo di uomini: lo sguardo va sempre alternato, secondo me. La lettura crea sempre altra lettura.

Questa piccola nota autobiografica serve per presentare il magnifico libro di Angela DavisDonne, razza e classe, testo femminista indispensabile da leggere, oltre che importantissimo anche rispetto alla lotta di classe, il razzismo, il colonialismo e tutto il sistema patriarcale-capitalista.

Angela Davis scrisse la parte originale di questo saggio mentre si trovava imprigionata nelle carceri statunitensi, nel 1971, dove rischiava una dura condanna per terrorismo, nell’ambito della guerra senza quartiere scatenata in quegli anni dal governo bianco contro l’ampio movimento nero: una guerra che portò a numerosi morti e che Angela Davis ripercorre nel suo testo Autobiografia di una rivoluzionaria.

Ma le radici di Donne, razza e classe nascono anche dallo stesso movimento nero, che esprimeva in alcune situazioni un machismo che nascondeva l’enorme apporto delle donne afro-americane alla lotta al razzismo e al colonialismo. Davis ripercorre la Storia femminista afro-americana, che inevitabilmente si intreccia con quella del femminismo bianco sin dal 1.800. La puntuale analisi di quanto accaduto nella lotta contro lo schiavismo, che rendeva uomini e donne oggetti di proprietà del padrone bianco, si intreccia fittamente con i diritti fondamentali di uomini e donne nere, una lotta che non si vinse, allora, mai realmente: bisognerà aspettare molti decenni dalla fine dello schiavismo prima che le comunità nere si organizzino, fino ad arrivare alle rivolte degli anni Cinquanta e Sessanta, a partire dalla ribellione per il diritto a sedersi sull’autobus di Rosa Park. Seguiranno la morte di Malcom X, di Martin Luther King, gli assalti alle Pantere Nere, le vendette di stato contro i suoi esponenti come Mumia Abu Jamal, in carcere dal 1981 con una condanna a morte cancellata solo trent’anni dopo: la pena fu trasformata nel 2011 in un ergastolo con chiari connotati razzisti. Il movimento Black Lives Matter contesta oggi una violenza istituzionale che nasce dalla stessa radice dello schiavismo, nonostante siano passati più di duecento anni dalla sua abolizione formale al Congresso di Vienna del 1815.

Angela Davis pubblicherà definitivamente nel 1981 il suo saggio, nel quale storicamente sessimo, razzismo e sfruttamento di classe nei confronti delle donne nere, sommano le energie e promuovono angherie per far guadagnare di più il capitalismo. Protagoniste sin dai primi albori del movimento anti-schiavista, le femministe storiche hanno dovuto nel tempo lottare anche per esprimersi agli incontri femministi bianchi, testimoniando il proprio coraggio, frutto della ribellione al padrone schiavista che puniva la donna anche sessualmente, oltre che con tutte le stesse torture che subivano gli uomini neri. Le donne nere erano storicamente sfruttate nel lavoro di produzione, che le poneva come protagoniste nell’abuso di classe che portò negli Stati Uniti il cambio capitalistico del lavoro salariato e, soprattutto per la componente femminile, dei lavori di cura. La visione delle donne nere vittime del patriarcato nero si riallinea con quella dei popoli colonizzati, dato che il patriarcato era assolutamente e solo appannaggio dei maschi ricchi e razzisti. Il femminismo nero ha vissuto nei decenni una lotta dura, che ha avuto gravi conseguenze per molte sue esponenti. Angela Davis portò avanti, nei suoi scritti, una lettura marxista del sessismo che subivano le donne nere, associate nelle pessime condizioni lavorative delle fabbriche alle donne bianche povere, sorelle nella lotta per la sopravvivenza di sé e delle proprie famiglie.

Ma alle donne nere, alle quali era stato “abbonato” lo schiavismo, rimase una condizione di fatto perpetrata dalla mancanza del diritto al voto, all’istruzione, all’autodeterminazione sociale ed economica: donne che dovevano continuare a lottare per i loro diritti anche in contrasto alle femministe bianche; ancora più perché donne, le afro-americane hanno pagato storicamente un prezzo che le vuole ancora oggi povere, con meno accesso al diritto all’istruzione, con i nuclei familiari distrutti dal sistema giuridico e sociale statunitense.

Ma la chiarezza, la bellezza e la forte spinta ad agire politicamente che Donne, razza e classe dà all’identità di donne e femministe, oltre che a chi lotta per contrastare il razzismo e per una società più giusta, un punto di forza per ciò che espone e suggerisce; altri femminismi hanno posto nel tempo le stesse questioni, affermando sguardi diversi e altre necessità che non possono che arricchire quello che siamo, quello che vogliamo.

L’articolo è stato pubblicato su Comune-info il 9 marzo 2024

Angela Davis – Donne, razza e classe. Edizioni Alegre, 2018

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Le Equilibriste. La maternità nel Rapporto 2023 di Save the Children

di Giovanni Caprio

La popolazione italiana è in costante calo dal 2008 e lo scorso anno si è registrato il record minimo di nascite, scese, come non succedeva dalla seconda metà dell’800, sotto la soglia delle 400mila unità. Una denatalità che neppure la presenza della popolazione residente di origine straniera riesce più a compensare: anche tra le famiglie con almeno un genitore straniero sono infatti diminuite le nascite, passando da più di 107.000 nati nel 2012 a poco meno di 86.000 nel 2021. Altrettanto simile appare la decrescita nei nuclei con entrambi i genitori stranieri, dove si passa da circa 80.000 figli/e nel 2012 ai quasi 57.000 del 2021.

I fattori che stanno alla base di questi trend negativi sono molti e riguardano ogni aspetto della vita quotidiana: il ritardo con cui i giovani tendono a iniziare la vita indipendente a causa dell’investimento nell’educazione e nella formazione; le difficoltà che incontrano ad entrare nel mondo del lavoro, dove spesso sono costretti ad accettare occupazioni precarie, instabili e povere; un mercato immobiliare estremamente sfavorevole, per non dire proibitivo, nei confronti delle giovani coppie; i costi insostenibili della cura dei figli e delle figlie; la carenza di politiche a sostegno delle famiglie; l’assenza di una rete di supporto familiare sul territorio; le difficoltà di conciliare adeguatamente la maternità e la paternità con il lavoro. Nel 2021, il 6% degli uomini si è dimesso dal proprio impiego in occasione della nascita di un/a figlio/a, dato che per le donne è schizzato addirittura al 65,5%, ovvero più di 6 donne su 10 rinunciano al proprio lavoro per adempiere alle responsabilità di cura dei propri figli.

Troppo spesso di questi tempi quando si parla di denatalità ci si dimentica però che avere figli/e è una possibilità e non un obbligo imposto dalla società, che si deve arrivare alla maternità e alla paternità con consapevolezza e partendo da una scelta fatta in assoluta libertà, che va tutelato anche chi nel proprio orizzonte di vita non ha ritenuto di considerare la genitorialità e tutti coloro che non possono avere  figli/e. Così come ci si dimentica con facilità dello squilibrio di genere che caratterizza la suddivisione del lavoro produttivo e riproduttivo all’interno della società contemporanea.

Ed è proprio allo squilibrio di genere che si richiama una parte dell’8^ edizione del Report del maggio scorso di Save the Children intitolato “Le equilibriste: la maternità in Italia nel 2023”, curato da Alessandra Minnello e Maddalena Cannito. “Dalle risposte relative alla distribuzione dei carichi di cura emerge tra le coppie che convivono, si legge nel Rapportoun forte squilibrio a svantaggio delle donne. Sebbene solo il 13% delle mamme che convivono con il padre o l’attuale partner si dichiari insoddisfatta della loro collaborazione nell’accudimento del bambino, sono loro a dedicare gran parte del proprio tempo quotidiano alla cura del figlio/a: 16 ore al giorno contro le 7 del partner”.

La cura dei figli continua insomma a penalizzare le mamme, nonostante alcuni importanti passi avanti fatti sul terreno della parità. “In relazione al congedo parentale (ovvero facoltativo), nonostante si rilevi un certo livello di adesione dei padri, che nel 16% dei casi hanno preso un congedo più lungo delle madri e nel 22% in maniera equilibrata rispetto alle madri, permane– si sottolinea nel Report, una prevalenza di donne che ne usufruiscono (53% hanno preso un congedo più lungo, a cui si sommano quelle che lo hanno preso in maniera equilibrata rispetto ai padri). Da segnalare che, tra le motivazioni addotte a un congedo più lungo da parte delle donne, il 37% delle mamme lavoratrici intervistate indica motivi legati al mercato del lavoro: per il 21% lo stipendio inferiore a quello del padre e per il 16% il lavoro del padre più promettente del proprio hanno influito sulle scelte relative alla cura dei figli”.

E’ pur vero però che anche in Italia la paternità sta cambiando ed è importante accelerare con tutti i mezzi un cambiamento culturale, sostenuto dalle politiche, che renda la cura dei figli anche una responsabilità maschile, mettendo in luce i numerosi benefici che il  coinvolgimento paterno ha su diversi fronti. Sono molti ormai, si sottolinea nel Rapporto di Save the Children, gli studi che hanno trovato una relazione positiva di una paternità attiva e accudente sulla parità di genere nelle coppie eterosessuali, sui mutamenti delle pratiche e dei modelli di maschilità, sulla riduzione della violenza nelle relazioni intime, sulla salute, il benessere di madri e padri, sullo sviluppo cognitivo ed emotivo di bambini/e. Certamente il cammino è ancora lungo e tanti passi vanno fatti sia sul lato del cambiamento di modelli culturali di riferimento maschili che delle politiche, ma il percorso della condivisione delle cure sembra ormai irreversibile e rappresenta un tassello fondamentale per contrastare la crisi demografica in atto nel nostro Paese, rilanciare l’occupazione femminile e, in ultima battuta, raggiungere, promuovere e avanzare verso la parità di genere.

Qui per scaricare il Report.

Qui il video con le testimonianze delle madri “equilibriste”.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 3 settembre 2023
Foto di Endho da Pixabay

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8 MARZO, UGUALI E INSIEME. MA DAVVERO?

di Gianni Falcone

In questi giorni alle mimose, ai trionfi floreali e ai cuoricini si è aggiunto il simbolo della Giornata Internazionale delle Donne: sotto forma di distintivo lo esibiscono tutti, dai presentatori tivvù ai giornalisti, dai cantanti agli atleti, dagli attori agli opinionisti. Perfino politici notoriamente misogini.
Non è per far polemica, ma quel simbolo non mi pare proprio il massimo dell’efficacia comunicativa. Sicuramente vuole rimandare all’uguale matematico, ma chi lo guarda non percepisce questo significato e vede invece due elementi grafici che secondo me non danno l’idea dell’uguaglianza ma suggeriscono una gerarchia.
Forse bastava ruotare di 90 gradi l’immagine…
Ecco, quest’anno abbandono il rituale delle mimose e offro questa riflessione leggera ma nemmeno tanto.
A tutte, naturalmente. Baci, abbracci e giorni sereni!

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