Ucraina

Arrivati al dunque. Verso il punto di non ritorno nel crimine supremo della guerra

Immagine generata dall’intelligenza artificiale

di  Pasquale Pugliese

“L’idea di una guerra legale o, addirittura, giusta si basa sulla possibilità di controllare gli strumenti di distruzione, ma poiché l’incontrollabilità è parte di quella stessa capacità di distruzione non c’è guerra che non finisca per commettere un crimine contro l’umanità come la distruzione della vita civile”, scriveva la filosofa Judith Butler nel libro Regimi di guerra, del 2009 ma recentemente pubblicato in Italia da Castelvecchi. La guerra dunque è criminogena in quanto tale o, per dirla con le parole di Butler, “le guerre diventano forme permissibili di criminalità, ma non possono mai essere considerate non-criminali”. Il crimine della guerra sta subendo, nel tempo oscuro che attraversiamo, un salto di qualità negativa che – se non interrotto con un estremo sussulto di consapevolezza e responsabilità – porterà presto l’umanità ad un punto catastrofico di non ritorno, non solo a Gaza. Rispetto al quale i governi in carica delle cosiddette “democrazie liberali”, anziché moderare e frenare il processo distruttivo, costruendone le alternative nonviolente per risolvere i conflitti, pigiano sull’acceleratore dell’escalation. Che porta alla catastrofe etica, oltre che umanitaria.

A cominciare dal doppio standard con il quale, mentre contribuiscono ad alimentare una guerra senza quartiere né prospettiva in Europa, se non quella nucleare come segnaliamo fin dall’inizio – anziché promuovere un serio negoziato di pace con il presidente russo Putin, nei confronti del quale la Corte penale internazionale ha emanato un ordine di cattura per crimini di guerra – supportano con l’invio di armi mai interrotto il presidente israeliano Netanyahu, al quale, dopo oltre 45.000 vittime civili, il Tribunale dell’Aja ha riservato lo stesso trattamento, per crimini contro l’umanità. Ma in questo secondo caso, la reazione di gran parte di politica e stampa occidentali, alla notizia del mandato di cattura internazionale per Netanyahu, è risultata intrisa di comprensione e complicità con il criminale, anziché con le vittime palestinesi, con tratti di vero e proprio suprematismo di stampo colonialista. Che, peraltro, rinnega gli stessi valori della civiltà giuridica occidentale: che la legge sia uguale per tutti; che nessuno è al di sopra della legge; che i diritti umani sono universali; che non si risponde alla barbarie con una barbarie infinitamente superiore…Ma la coerenza è nemica di ogni fondamentalismo.

Del resto, fondamentalismo bellico è anche quello in corso nell’assurda guerra, sempre più globale, tra Nato e Russia – dopo oltre mille giorni dall’invasione russa dell’Ucraina e dieci anni di conflitto armato in Donbass, che ne è stato il presupposto – nella quale le vittime complessive (tra civili e militari, morti e feriti, russi e ucraini) sono stimate ormai in oltre un milione di persone. Guerra che l’Ucraina, che ne è l’avamposto, sta perdendo sul terreno, e che – invece di finire finalmente al tavolo delle trattative, dove ogni giorno che passa le potenziali condizioni per gli ucraini si aggravano – vede alzarsi l’asticella della follia con la discesa in campo dei missili statunitensi e franco-britannici a lunga gittata, che colpiscono fin dentro il territorio russo. E con l’uguale e contraria risposta russa con il missile ipersonico, per il momento armato in modalità convenzionale, ma che potrebbe evolvere nel nucleare e colpire – a sua volta – basi e città europee fornitrici di quei missili, ben oltre il territorio ucraino. Una corsa verso la catastrofe mondiale, che a parole nessuno vuole ma che tutti alimentano, secondo logiche non di diritto internazionale – che altrimenti varrebbero sia in Palestina che in Ucraina – ma volte a ribadire supremazie e aree di influenza planetarie, buttando sempre più benzina sul fuoco criminale della guerra.

E mentre la nuova “dottrina strategica” russa, appena varata, avvisa che potrebbe lanciare armi nucleari in risposta a un attacco sul suo territorio da parte di uno Stato non armato nuclearmente, se sostenuto da uno nucleare, dimostra che “la deterrenza nucleare, anziché garantire stabilità, alimenta insicurezze e tensioni crescenti proprie di una cultura di guerra” – come ribadisce Rete Italiana Pace e Disarmo – gli Stati Uniti, dopo i missili Atacms, hanno deciso di inviare in Ucraina anche le mine anti-persona. Ossia armi che mutilano e uccidono soprattutto i civili e per questo vietate dalla Convenzione di Ottawa fin dal 1997, sottoscritta anche dall’Ucraina, al contrario della Russia e degli USA. Il punto di non ritorno è, dunque, il ritorno agli orrori del passato, dall’uso delle mine alle armi nucleari, ma enormemente più distruttivi. Abbattendo progressivamente tutti i limiti al crimine supremo della guerra. “Nell’epoca delle armi nucleari, se non siamo noi ad abolire la guerra, sarà la guerra ad abolire la maggior parte di noi”, scriveva nel 1970 il politologo Karl Deutsch (Journal of the Conflict Resolution, 14): adesso siamo arrivati al dunque.

L’articolo è stato pubblicato su Annotazioni il 29 novembre 2024

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L’UE può sopravvivere solo come progetto di pace e non come sussidiaria della NATO

Foto di worldbeyondwar.org

di Florina Tufescu – 
Traduzione dall’inglese di Daniela Bezzi. Revisione di Maria Sartori.

Dirigenti dell’Unione Europea, basta con il bellicismo!

L’ultimo sondaggio commissionato dal Consiglio Europeo per gli Affari Esteri (ECFR, un influente think tank in cui lavorano numerosi politici di spicco, funzionari dell’UE ed ex segretari generali della NATO) mostra che il 41% dei cittadini europei preferirebbe che l’Europa esercitasse pressioni sull’Ucraina affinché si impegni in negoziati con la Russia, rispetto al 31% che è favorevole a un continuo sostegno militare. Tuttavia, la conclusione dell’analisi del sondaggio, di cui è coautore il direttore dell’ECFR, è che i leader europei non debbano prestare attenzione alle opinioni dei cittadini, ma semplicemente riformulare e perfezionare il loro messaggio, sottolineando la preferenza per la “pace duratura” raggiungibile attraverso il proseguimento del conflitto, invece di una pace reale che potrebbe essere raggiunta già adesso mediante i negoziati.

Sappiamo dal capo della delegazione ucraina e leader del Partito al Servizio del Popolo, David Arahamiya, che i negoziatori russi “erano pronti a porre fine alla guerra se avessimo adottato – come fece una volta la Finlandia – la neutralità”. La proposta è stata respinta per la mancanza di garanzie di sicurezza e per il fatto che l’intenzione di aderire alla NATO era scritta nella Costituzione ucraina. Un successivo round di colloqui di pace nell’aprile 2022 è stato presumibilmente sabotato dal Regno Unito e dagli Stati Uniti, secondo quanto riferito da più fonti, che includono ancora una volta il portavoce ucraino.

Da allora non è stato tentato alcun negoziato di pace, probabilmente perché il rischio di successo era troppo alto. La guerra deve continuare per giustificare l’espansione delle industrie militari degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. La spesa militare totale della NATO, che dovrebbe essere un’alleanza “difensiva”, ha raggiunto il massimo storico di 1.100 miliardi di dollari nel 2023. Secondo i dati forniti dal SIPRI, la spesa militare dei Paesi dell’Europa centrale e occidentale, che si sono auto dichiarati campioni della democrazia e della pace, è arrivata anch’essa al massimo storico, ovvero a 345 miliardi di dollari già nel 2022, in confronto alla Russia, una dittatura direttamente coinvolta nella guerra, che ha speso solo 86,4 miliardi di dollari per la difesa militare nel 2022, sempre secondo il SIPRI.

La guerra in Ucraina ha già causato centinaia di migliaia di vittime dal febbraio 2022, oltre ai milioni di rifugiati e il 30% del territorio ucraino contaminato dalle mine. Non si può permettere che questa tragedia continui solo per giustificare la crescita dell’industria delle armi, di cui i leader dell’UE sembrano ora decisi a fare uno dei punti chiave, con il commissario per il Mercato interno Thierry Breton che chiede altri 100 miliardi di euro di finanziamenti militari, in aggiunta a tutti gli impegni esistenti a livello UE e a livello nazionale da parte dei Paesi europei in quanto membri della NATO. Come il tricheco addolorato del poema di Lewis Carroll, i leader dell’UE e della NATO hanno mostrato la loro faccia più triste nel sottolineare l’inevitabilità dei preparativi per la guerra, pur non facendo nulla per ridurre il conflitto e mostrando la massima disinvoltura di fronte al rischio di escalation nucleare.

Le possibilità di porre fine alla guerra sono già note e sono state discusse negli accordi di Minsk e nei negoziati di pace di Istanbul. Gli accordi dovrebbero includere la neutralità dell’Ucraina e la garanzia dei diritti della minoranza russa in Ucraina, che sarebbe un modo molto più efficace di minare l’influenza di Putin invece di inviare altre armi.

Inoltre, l’UE dovrebbe sostenere gli obiettori di coscienza di Russia, Ucraina e Bielorussia. Il diritto all’obiezione di coscienza, sancito dall’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non è attualmente riconosciuto dall’Ucraina e, sebbene sia legalmente riconosciuto in Russia per il personale non militare, secondo l’Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza viene disatteso in circa il 50% dei casi.

Meno di 10.000 dei 250.000 russi che sono fuggiti dalla loro patria per evitare il servizio di leva, hanno ottenuto asilo nell’UE, nonostante l’appello lanciato da 60 organizzazioni già nel giugno 2022 (relazione annuale dell’EBCO, Agenzia Europea per l’Obiezione di Coscienza, pag. 3). Questa strada verso la pace non è stata dunque percorsa, presumibilmente perché i rifugiati pesano sull’economia senza alcun vantaggio per le cricche di potere, mentre l’industria militare è altamente redditizia per alcuni ed esercita un’influenza sempre più grandi sulle politiche dell’UE, come rivelano il rapporto Fanning the Flames pubblicato dal Transnational Institute e dall’European Network Against Arms Trade e il rapporto ENAAT (Rete Europea Contro il Commercio delle Armi“From war lobby to war economy” (Dalle lobby della guerra all’economia di guerra).

È giunto il momento per i leader dell’UE di recuperare un briciolo di credibilità dimostrando di essere disposti a fare almeno un modesto investimento nella pace e nei negoziati di pace, parallelamente all’investimento senza precedenti nei preparativi per la guerra. È ora che i leader dell’UE antepongano gli interessi dei cittadini europei e degli esseri umani in generale a quelli dell’industria bellica.

L’articolo è stato pubblicato su pressenza il 9 aprile 2024 ed  è disponibile anche in: IngleseFranceseTedescoPortoghese

La foto è di Foto di worldbeyondwar.org 

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Noam Chomsky: “Il cambiamento può avvenire solo attraverso la protesta di massa della gente comune”

di Europe for Peace

Nel 2007, abbiamo chiesto a Chomsky di sottoscrivere la dichiarazione di Europa per la pace e di appoggiare la campagna per impedire la costruzione dello Scudo spaziale americano nella Repubblica Ceca, progetto fortemente contestato dalla stragrande maggioranza della popolazione. Chomsky ha subito aderito, citando nel suo messaggio l’appello che Russell ed Einstein avevano scritto a tutti i popoli del mondo “affinché affrontassero il fatto che siamo di fronte a una scelta rigida, terrificante e inevitabile: metteremo fine alla razza umana o l’umanità rinuncerà alla guerra?”.

Quel manifesto è il più importante documento di denuncia mai scritto sulla minaccia rappresentata dalle armi nucleari per il genere umano e ricorda che “qualsiasi accordo sia stato raggiunto in tempo di pace per non usare le bombe H non sarà più considerato vincolante in tempo di guerra”.

“Le minacce – ci scrisse allora Chomsky – sono sempre più gravi e l’Europa è nella posizione ideale per intraprendere la missione storica di salvare la razza umana dall’autodistruzione”.

Ma ora che l’Europa si ritrova a vivere sul proprio suolo una guerra devastante, Noam sosterrebbe ancora quell’affermazione? Gli scriviamo quindi per chiedergli se è possibile che l’Europa cambi rotta o se l’Europa è ormai così sottomessa agli USA d’aver perso definitivamente la sua possibilità di salvare la razza umana dall’autodistruzione, per citare le sue parole.

“Come ho già detto recentemente – ci risponde Chomsky – Putin ha fatto a Washington il più grande regalo che gli USA potessero immaginare. L’Europa adesso è nelle mani di Washington e, per certi versi, è ancora più pazza degli Stati Uniti. L’opportunità di una “Casa Comune Europea” indipendente è ormai perduta? Per ora temo di sì, ma i vantaggi che l’Europa può trarne sono talmente enormi che la casa comune può forse risorgere nuovamente, con un’altra vittoria come quella che avete ottenuto voi con la base USA”.

La sua affermazione che una casa comune europea potrebbe risorgere getta una nuova luce sulla situazione. Gli chiediamo allora se pensa che il cambiamento possa partire dall’alto o se potrà avvenire soltanto attraverso una protesta di massa da parte della gente comune. Quali passi fare per porre fine a uno scontro militare il cui risultato sarà inevitabilmente disastroso per tutte le parti? È ancora possibile trasformare il rifiuto della guerra in un movimento di massa, anche se le vecchie forme sono fallite e la disintegrazione del tessuto sociale sembra impedire ogni azione comune?

“Concordo sul fatto che il cambiamento possa avvenire solo attraverso la protesta di massa della gente comune. Piccoli gruppi di attivisti impegnati possono lavorare per aumentare la comprensione e ispirare l’attivismo, ma sono movimenti di massa che contano. Difficile pensare a un’eccezione. Potrà accadere? Non si sa mai. Possiamo solo provarci”.

Sì, vale la pena di provarci, perché c’è ancora tempo per un’inversione radicale di rotta.

Il 2 aprile, in tutta Europa e in tutto il mondo, spegniamo allora le televisioni e i social network, spegniamo la propaganda di guerra e le informazioni manipolate. Mettiamo da parte le nostre differenze e convergiamo in una miriade di attività differenti ma con un unico obiettivo –  la pace – e con una chiara metodologia – la nonviolenza attiva –  perché la guerra non si ferma con le armi, ma con la pace.

“Sono molto contento di sapere cosa state facendo. È molto importante” ci risponde Chomsky quando lo informiamo di quest’iniziativa, perché “se c’è la volontà, è possibile evitare la catastrofe e virare verso un mondo molto migliore”.

Europa per la Pace

Il 2 aprile spegniamo le guerre e accendiamo la pace

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 2 marzo 2023 ed è disponibile anche in Spagnolo
La Foto è di Andrew RusK da Wikipedia

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Movimento pacifista più che mai in crescita negli Stati Uniti

Foto di codepinkalert

di Daniela Bezzi

Nell’anniversario del 24 febbraio, con le tantissime manifestazioni che in Italia e in tutta Europa, da Londra a Palermo, hanno riempito le piazze nel week end appena trascorso, ecco la consolazione di veder rinascere il movimento pacifista, e persino negli Stati Uniti! Siamo lontani dalle manifestazioni oceaniche che il 15 febbraio del 2003 cercarono vanamente di impedire l’invasione dell’Iraq, nonostante la definizione di ‘seconda potenza mondiale’. Ma un dato che i nostri governi non potranno ignorare è il declinante consenso per l’ulteriore invio di armi in Ucraina, che oltre a sottrarre risorse a tutti i malandati welfare del ‘blocco’ occidentale, avrebbe il solo effetto di prolungare il conflitto all’infinito (che però è quello che l’Industria delle Armi convintamente vuole).

E insomma, contrariamente a quanto gli stanchi dibattiti nei talk show vorrebbero farci credere, il sentiment è proprio cambiato: ecco levarsi sempre più forte e chiara la domanda di pace, come non hanno potuto fare a meno di registrare le foto che sono circolate in questi giorni dalla quantità di partecipatissime iniziative anti-war che si sono verificate in tutta Europa, e per l’appunto, anche oltreoceano. Perché oltre a superare tutte le altre potenze occidentali in termini di aiuti militari e finanziari all’Ucraina (stanziamenti pari a 73 miliardi di euro, la cifra più alta mai spesa dalla Casa Bianca) il più riluttante a prendere in considerazione qualsiasi soluzione negoziata è proprio l’entourage di Mr Biden.

Già da domenica 19 febbraio, in anticipo su tutte le città del blocco occidentale, ecco quella partecipatissima manifestazione intitolata Rabbia contro la macchina da guerra che ha coinvolto decine di organizzazioni diverse e migliaia di manifestanti a Washington DC (ne abbiamo dato notizia qui) per reiterare tre fondamentali richieste:

  • stop agli aiuti militari all’Ucraina in favore di ben più urgenti priorità per il popolo americano
  • massimo impegno sul piano diplomatico per l’immediato cessate il fuoco preliminare a seri negoziati di pace
  • e (udite udite) quanto mai urgente e necessario smantellamento della NATO, considerata (con una chiarezza non sempre altrettanto esplicita presso alcuni pacifisti di casa nostra) tra i principali ostacoli per un mondo di pace.

Tra i vari interventi dal palco, è stato particolarmente applaudito quello di Chris Hedges, giornalista pluripremiato, autore di una quantità di libri contro la guerra, che tra le altre cose ha elencato uno per uno i vari istituti, think thank, produttori di armi e di morte, accomunati dagli eterni interessi guerrafondai che hanno creato i presupposti anche di questo conflitto.

Ed ecco che anche lo scorso fine settimana, a partire da venerdì 24 febbraio, tutte le principali città degli Stati Uniti sono state teatro di manifestazioni promosse dalla galassia del movimento pacifista americano: New York, Boston, San Francisco, Philadelphia, e tantissime altre, si sono divise le piazze tra quanti manifestavano in sostegno dell’Ucraina invasa dalla Russia, e quanti reclamavano l’immediato cessate il fuoco da parte di entrambi gli attori di una guerra per procura che gli Stati Uniti non vedevano l’ora di ingaggiare con la Russia. Ennesimo episodio di quella guerra infinita che da decenni vede impegnato l’Impero Americano per alimentare appunto la War Machine e che subito dopo la Russia avrebbe come target la Cina.

Non a caso l’impegno di questo risorto movimento pacifista americano non si è esaurito con lo scorso week end, ma anzi sta registrando un crescendo di iniziative, sia in presenza che on line, in vista della prossima e ancor più importante convocazione del 18 marzo, per commemorare appunto il ventennale dell’invasione in Iraq, con una manifestazione che si preannuncia più partecipata che mai a Washington DC.

E basta andare sul sito di United National Antiwar Coalition, o anche di Answer Coalition oppure di Veterans for PeaceWorld Beyond WarThe People’s Forum, per non dire di quel formidabile movimento di donne (però non esclusivamente femminista) che è CodePink (alias Medea Benjamin, Marcy Winograd, Jodie Evans e tantissime altre attiviste a tutto campo) per capire che sarà una manifestazione ancora più forte e significativa di quella del 19 febbraio, con un fittissimo calendario di eventi preparatori, una quantità di bus che si stanno organizzando da ogni Stato della federazione, un programma di webinar di altissimo livello e contributi che sarebbero di grande interesse anche per noi e che per quanto possibile cercheremo di seguire anche su Pressenza.

Per esempio questa settimana è prevista una serie di interventi on line da parte di giornalisti e autori di indubbio valore con l’obiettivo di contrastare o come minimo indagare e se possibile decostruire la propaganda dei media mainstream, circa le superiori “ragioni” della proxy war con la Russia. Ieri sera c’era il giornalista franco-russo-americano Vladimir Posner, con un’accurata ricostruzione degli eventi che hanno preceduto il conflitto in corso, al punto da ribaltare quello scenario di pace che si era creato con la caduta del muro trent’anni fa, con l’attuale guerra senza possibilità di vittoria (come viene ormai definita) per cui guerra infinita.

Questa sera sarà la volta di Daniel Ellsberg in tema di Minaccia Nucleare e così via fino a venerdì sera, con le conclusioni di Medea Benjamin e Marcy Winograd, che proveranno a delineare possibili Percorsi di pace. E anche per l’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, il tema delle manifestazioni convocate da CodePink non potrà limitarsi alla violenza di genere, ma denuncerà in tutti i possibili slogan la violenza senza precedenti che il conflitto in corso già rappresenta per le popolazioni colpite e per tutto il genere umano, se dovesse degenerare (ipotesi tutt’altro che peregrina) in olocausto nucleare.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 28 febbraio 2023

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Da Washington DC si leva più forte e partecipata che mai la richiesta di pace

di Daniela Bezzi

Enorme, partecipatissima, coloratissima, sventolante delle bandiere e striscioni e messaggi più diversi: il movimento pacifista americano non ha aspettato la data del 24 febbraio, anniversario dell’invasione russa in Ucraina, per mobilitarsi. E basta passare qualche ora nel surfing tra le varie piattaforme sul web, e poi sui vari canali social, per capire che già da giorni (sebbene le notizie che riceviamo dagli Stati Uniti siano tutt’altre) è tutto un fervore di riunioni preparatorie o vere e proprie convocazioni.
Ed ecco infatti che già domenica 19 febbraio si sono radunati in migliaia per le strade di Washington, per protestare contro la politica guerrafondaia del governo USA, per la continua fornitura di armi dell’amministrazione Biden all’Ucraina e (udite udite) per mettere fine alla NATO.
I vari cortei si sono poi uniti alla manifestazione più importante numericamente, che si è tenuta di fronte al Lincoln Memorial, con il combattivo slogan Rage against the War Machine, ovvero Rabbia contro la macchina della guerra. Armati in realtà di pacifici cartelli e striscioni i manifestanti hanno ribadito in tutti i modi possibili l’urgenza di colloqui di pace e la necessità di mettere fine all’invio di aiuti finanziari e militari in Ucraina, considerata anche l’emergenza sociale che da tempo affligge un crescente numero di americani.

E prendendo spunto dal discusso ma indubbiamente esplosivo scoop pubblicato l’8 febbraio scorso dal pluripremiato giornalista Seymour Hersh circa il diretto coinvolgimento anzi direzione della NATO nel sabotaggio del gasdotto Nordstream 1 e 2 (che assicurava alla Germania e a tutti noi in Europa forniture di gas russo a condizioni straordinariamente convenienti, ma sgradite agli americani), molti slogan hanno scandito anche l’urgenza di mettere fine alla cosiddetta alleanza atlantica, ritenuta responsabile di troppe guerre e relativi crimini in tutto il mondo.

E insomma sarà pur vero che la stampa mainstream americana ha fatto di tutto per ignorare e se possibile denigrare persino una grande firma della statura di Seymour Hersh (come documenta una puntuale analisi su The Mint Press News). Ma così non è stato sul web, dove il suo dettagliato articolo ha avuto milioni di visualizzazioni in tutte le lingue del mondo, e dove le critiche e la prevedibile polarizzazione delle posizioni hanno sollecitato una quantità di interviste e complessivamente favorito la diffusione della notizia. E se in Europa, inspiegabilmente, non si sono registrate reazioni di nessun tipo, neppure tra la componente Verde del Parlamento tedesco rispetto a quello che (al di là di ogni considerazione) è stato anche un enorme disastro ambientale (300.000 tonnellate di metano disperse in un colpo solo nelle acque del Mar Baltico non sono uno scherzo), all’interno della multicolore galassia pacifista US ecco rafforzarsi ogni giorno di più l’indignazione per il danno, anzi crimine di guerra obiettivamente compiuto nei confronti di un governo sovrano come la Germania e contro quell’Europa di cui gli Stati Uniti sarebbero alleati!

All’inchiesta di Hersh ha fatto riferimento in particolare Dennis Kucinich, ex membro del Congresso nelle fila del Partito Democratico e sindaco di Cleveland, sottolineando che “il più grande talento della Casa Bianca è fabbricare disinformazione per meglio manipolare i media e creare divisione nell’opinione pubblica con le armi dell’odio e della paura, diffondendo ogni genere di notizie allarmistiche, che sono l’opposto di ogni democrazia.” E nel sollecitare al più presto una Commissione di Inchiesta che possa fare luce su quanto denunciato da Hersh, Kucinich ha promesso a nome dei manifestanti che ai responsabili non verrà data tregua. “Non ci fermeremo fino a che non saranno rivelati i nomi di chi ha commesso questo ennesimo crimine di guerra.”

Prima e dopo di lui hanno parlato Tulsi Gabbard, Ann Wright, Ron Paul e i vari portavoce delle tantissime organizzazioni che hanno aderito alla manifestazione, da Veterans for Peace e Bring our Troops Home, a TNT RadioWorld Beyond War, Actions4AssangeAntiWar.com e molte altre. Promossa dal Libertarian Party e dal People’s Party, l’iniziativa era stata concepita infatti all’insegna della massima convergenza di posizioni, e aperta al maggior numero di rappresentanze della società civile, unite dal comune obiettivo di mettere fine all’interventismo e allo stato di guerra permanente di cui gli Stati Uniti sono in effetti i principali responsabili o in qualche modo protagonisti dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi. E infatti dai filmati che si vedevano ieri sui canali social spiccava in particolare la varietà dei messaggi, sulla soleggiata spianata del Lincoln Memorial: gli striscioni di Abbasso NATO accanto a quelli di Free Julian Assange, un grande poster con il benevolo sorriso di Papa Francesco accanto alla bandiera rossa dei socialisti e così via.

Tra gli interventi più applauditi, quello di Chris Hedges, anche lui giornalista pluripremiato e autore di numerosi libri contro la guerra, oltre a servire come Ministro Presbiteriano. E non poteva mancare in chiusura di manifestazione un messaggio a distanza di Roger Waters, come sempre molto personale e coinvolgente nel ricordo della madre che quando era ragazzino gli raccomandava di “leggere, leggere, leggere, per imparare ad ascoltare le ragioni di chi magari non la pensa come vorremmo noi, ecc ecc…”. Decisamente da vedere questo messaggio di Roger Waters soprattutto dove si rivolge al Presidente Biden pregandolo di “fare la cosa giusta, do the right thing… interrompi le forniture di armi per una guerra che ha già causato fin troppi morti e che sta inesorabilmente precipitando nell’Armageddon nucleare…”

Niente da fare. Nelle stesse ore in cui di fronte alla Casa Bianca si levava così forte e chiara la richiesta di pace, Joe Biden si preparava a volare verso Kiev per la visita a sorpresa al protegè Zelensky: per assicurare a lui (e a tutti noi) che questa ennesima ‘guerra di libertà’ andrà avanti oltranza e whatever it takes.
Una cosa però è certa: la rinascita del movimento pacifista americano, come molti commentatori hanno detto a caldo e come non mancheremo di osservare nei prossimi giorni, con le tante manifestazioni previste in tutte le più importanti città degli Stati Uniti, New York, Boston, San Francisco, Filadelfia, Madison, Santa Fè andando verso il 24 febbraio sarà una marea. E speriamo che come già è successo per la guerra in Vietnam, la marea abbia ragione della War Machine.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 21 febbraio 2023

Foto di Daniel da Pixabay

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