NOTE SUL DISEGNO DI LEGGE GOVERNATIVO IN MATERIA DI SICUREZZA
di Gianni Giovannelli
Tirannide indistintamente appellare si
debbe ogni qualunque governo in cui
chi è preposto alla esecuzion delle leggi
può farle, distruggerle, infrangerle,
interpretarle, impedirle, sospenderle;
o anche soltanto deluderle,
con sicurezza d’impunitàVittorio Alfieri
Della tirannide, libri due, tipografia di Kehl, 1809
Se ne discute animatamente da alcuni mesi, quasi senza sosta. Ma ad oggi il disegno di legge (S 1236-C 1660) elaborato dal governo Meloni per riportare ordine nella nazione italiana ancora non ha ottenuto la definitiva conferma. Il testo approvato dalla Camera il 18 settembre 2024 è infatti fermo al Senato, dopo la rapida trasmissione già il giorno successivo. L’intoppo è legato al timore, per nulla infondato, di un rinvio delle singole norme alla Corte Costituzionale che potrebbe, con sentenze vincolanti, disporre imbarazzanti modifiche o cancellazioni, come più volte accaduto nel passato proprio in questa materia. Sono incidenti di percorso, in un quadro di incertezze e contraddizioni, non sempre prevedibili. Valga, per comprendere meglio la complessità tecnico-giuridica delle norme in discussione, la cronologia di percorso del reato di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 bis del codice penale).
Il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale
Questa ipotesi delittuosa fu introdotta nel 1930, in pieno regime fascista, nel c.d. Codice Rocco (ancora in vigore oggigiorno, con buona pace degli alfieri di questa democrazia in cui ci troviamo a vivere). Prevedeva la reclusione da un minimo di 6 mesi a un massimo di 2 anni, aumentabili fino a 3 in caso avvenisse in pubblico e a 4 in caso di contestuale minaccia. E questa rimase la pena anche dopo la liberazione, fino al 1994, quando la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 341, dichiarò irragionevole un minimo sanzionatorio così elevato, riducendolo d’imperio a 15 giorni. Ne sortì un dibattito politico che si concluse con la legge 25.6.1999 n. 205 che abrogò definitivamente e totalmente il reato, cancellando l’art. 341. Non era finita. Con successiva legge n. 94/2009 il governo Berlusconi (ministro per la gioventù era Giorgia Meloni) ripristinò con un art. 341 bis la punizione dell’oltraggio (da 15 giorni a 3 anni); e un decennio dopo, con legge 14.6.2019 n. 53 il governo Conte 1 (quello gialloverde in coppia con Salvini) tornò alla previsione originaria del nazionalfascista Alfredo Rocco (da 6 mesi a 3 anni). Invano la Corte d’Appello triestina richiese un nuovo intervento della Consulta, sottolineando come la sanzione ripristinata tradisse una concezione autoritaria e sacrale dei rapporti fra pubblici ufficiali e cittadini, tipica dell’epoca storica (la dittatura fascista), incompatibile con lo stato democratico. I tempi erano mutati e la Corte (recentissima sentenza n. 166 del 22 ottobre 2024) si è questa volta pronunziata per la legittimità costituzionale della norma, ritenendo che il nuovo 341 bis, pur con le stesse pene, fosse diverso dal vecchio 341 nel contenuto (osservazione assai poco convincente e anzi piuttosto traballante quanto a logica dell’esposizione). Il punto sta nel fatto che tutti noi si convive con l’incertezza; e questo ancor di più rileva ora che il Collegio conta su 11 membri soltanto, in attesa che il parlamento a camere riunite elegga i 4 mancanti, tutti di nomina politica, eletti con maggioranza qualificata (quella semplice non basta, è necessario un accordo fra maggioranza e opposizione, non ancora raggiunto, ma ormai vicino). Quattro membri su 15 possono fare la differenza: questa è una delle ragioni (anche se non la sola) che hanno indotto il governo Meloni a non accelerare troppo i tempi, dopo la scoppola ricevuta con la decisione sull’autonomia differenziata. La Corte Costituzionale, composta di esseri umani, è certamente sensibile al vento di destra che spira nel paese, ne tiene conto senza dubbio, ma non abbastanza da garantire all’esecutivo la strada spianata. E dunque Meloni procede con astuta cautela, lavorando sulle nomine mancanti, per poi assestare il colpo di scure che continua in cuor suo a ritenere maturo.
Il testo approvato dalla Camera dei Deputati. L’occupazione di case.
Il testo approvato dalla Camera, diviso in 38 articoli, non subirà, salvo sorprese, modifiche sostanziali; le variazioni (che imporrebbero un nuovo passaggio in aula) saranno minime e l’esecutivo farà il possibile per evitare code: dispone dei numeri per farlo. Il primo capo (9 articoli) introduce modifiche, per lo più di facciata e d’immagine, nel gran mare di mafia, terrorismo internazionale e (pure) fuochi artificiali. Ben diverso il secondo capo (da 10 a 18) che aggrava pesantemente l’apparato sanzionatorio contro chi occupa le case (e contro ogni azione di solidarietà o sostegno degli occupanti). Oggi le pene sono relativamente contenute (fra i 15 giorni e tre anni); ma il nuovo articolo 634 bis, introdotto con il disegno di legge (art. 10), prevede il carcere da 2 a 7 anni per chi occupa (o anche solo detiene, magari per mezzo di artifizi) qualsiasi immobile, pubblico o privato, utilizzato o non utilizzato dal proprietario. La stessa pena tocca a chi si intromette o in qualsiasi modo coopera (aiuta) per consentire l’occupazione, dunque anche il semplice sostegno di movimento viene criminalizzato pesantemente. Inoltre apre la via al reato associativo e alle aggravanti tradizionali della promozione e/o organizzazione delle occupazioni, con inevitabili aggravanti utili ad appesantire condanne esemplari. Di recente la Corte d’Appello milanese aveva annullato le dure condanne inflitte, per associazione a delinquere, ai militanti dei centri sociali attivi nel movimento per la casa nel quartiere Giambellino; ora il governo provvede a rinforzare lo schema accusatorio con le nuove norme antipopolari. Con la nuova legge si facilita inoltre l’emissione dell’ordine di sgombero e la sua immediata esecuzione, ampliando anche i possibili interventi di polizia; lo strumento della querela da parte della proprietà (non solo dei singoli, ma anche delle strutture societarie pubbliche o private) diviene una potente arma di ricatto per indebolire il fronte ribelle, insieme alla ipotesi di non punibilità in favore di chi libera l’immobile dopo l’ordine di sgombero e al tempo stesso collabora all’accertamento dei fatti. Siamo all’atto di nascita di una nuova figura processuale: l’occupante pentito!
Occupare case è più grave che provocare morti sul lavoro
Infliggere pene più o meno severe è una scelta del legislatore connessa alla maggiore o minore gravità della violazione; trattandosi di un disegno di legge governativo in questo caso il potere esecutivo impone al potere legislativo un preciso cammino da percorrere, determina le priorità di politica sociale e l’urgenza dell’intervento repressivo.
Il raffronto fra le sanzioni connesse alle singole violazioni consente di comprendere quali comportamenti siano da ritenersi meno tollerati. Nonostante l’incremento di morti sul lavoro provocate in Italia nel 2024 dal sistema di appalto sregolato e selvaggio e dalla mancata applicazione delle regole in materia di sicurezza delle persone, queste disposizioni in materia di sicurezza pubblica (questo il titolo del disegno) non prende nella minima considerazione gli omicidi bianchi. L’art. 589 c.p. punisce chi provoca la morte dei lavoratori violando le norme antinfortunistiche con la reclusione da 2 a 7 anni (legge 21.2.2006 n. 102), ovvero la stessa pena base proposta contro chi occupa case; ma le aggravanti associative qui in concreto non trovano ingresso e infatti prevalgono costantemente le attenuanti, i colpevoli la fanno sistematicamente franca, il meccanismo della delega permesso dal nostro ordinamento consente ai proprietari delle imprese di non essere neppure inquisiti. Il c.d. omicidio stradale, punito con il carcere da 3 a 10 anni, viene considerato più grave di quello in cantiere o in fabbrica.
Nel settore della logistica, ove (insieme all’edilizia) più numerose sono le vittime il nuovo assetto normativo in via di approvazione consente di estendere l’applicazione anche agli scioperanti; la legge non limita la previsione alle case, ma ad ogni immobile o struttura edilizia, dunque ai piazzali, ai depositi, all’area privata di magazzino. Si preparano ad usarla contro i sindacati di base (USB, CUB, SI COBAS e altre sigle nate nella lotta e per la lotta), nel silenzio generale mediatico. Questo è il programma vero dell’apparato di comando che riunisce maggioranza e buona parte dell’opposizione: reprimere ogni residua forma di dissenso, imporre la condizione precaria come l’unica possibile per vivere senza essere emarginati dal tessuto sociale, normalizzare lo stato di guerra, dividere in segmenti minoritari disorganizzati la moltitudine. In nome del profitto.
Protezione solo per gli addetti alla repressione
Il sistematico smantellamento del vecchio apparato liberaldemocratico (e ovviamente del suo welfare storico) per un verso cancella la tutela dei deboli (infatti aumenta assai la fascia di povertà), per altro verso allarga la protezione dei funzionari armati che hanno il compito di sedare tumulti (quelli che il popolo riunisce nella generale categoria degli sbirri e il potere chiama invece servitori dello stato). Il capo terzo del disegno di legge (articoli da 19 a 32) aumenta, e non di poco, le pene previste per resistenza e violenza contro il pubblico ufficiale (già ora non sono da poco). Lo scontro con la polizia, in piazza o al picchetto o contro gli sfratti, può costare da 8 mesi a sette anni e mezzo; per giunta, e questa è una novità, si vieta ai giudicanti di considerare prevalenti le attenuanti sulle aggravanti, così che la pena in concreto sia più elevata. Già ora quando lo scontro coinvolge, come di consueto, oltre 10 persone, si prevede il carcere da 3 a 15 anni; la modifica dell’art. 339 c.p. introduce l’aumento, fino a un terzo, quando i manifestanti si oppongono a una qualche spesa pubblica oppure contrastano la costruzione di infrastrutture strategiche. Destinatari di questi fulmini sono con tutta evidenza il movimento NO TAV, quello ecologista e quello pacifista; ma già si mettono in lista d’attesa quelli che si opporranno al Ponte sullo Stretto o magari a nuove centrali atomiche di ultima generazione. L’azione dei NO TAV viene considerata molto più grave dell’omicidio bianco: sono 20 anni di pena massima contro 7! E mentre la spesa per la sanità viene tagliata l’unico intervento di settore consiste nell’estendere alla zona ospedaliera le norme in vigore contro il teppismo negli stadi, parificando i malati di cancro in lista d’attesa ai tifosi di calcio.
I bastonati pagano l’avvocato ai loro bastonatori
Gli articoli 22 e 23 della legge sulla sicurezza stanzia, sottraendoli ad interventi strutturali pubblici, 860.000 euro per pagare gli avvocati di fiducia scelti dai poliziotti accusati di reati commessi in servizio (per ciascuno sono 10.000 euro per grado, considerando l’udienza preliminare fino a 40.000 euro per ogni poliziotto incriminato, a prescindere dal capo d’accusa, fatti tipo Diaz e omicidi compresi). Il taglio della spesa pubblica viene destinato alla difesa privata di chi viene accusato di violenze ed abusi; il bastonato invece l’avvocato se lo deve pagare! Per rendere la difesa più agevole gli sbirri potranno portare armi personali, senza licenza, anche fuori servizio; durante le manifestazioni o i picchetti, perfino sui treni, sono autorizzati alle riprese con telecamere attestandone (loro) il contenuto; ad evitare che soggetti poco raccomandabili come i migranti clandestini possano documentare soprusi polizieschi l’art. 32 vieta la vendita di schede telefoniche agli stranieri senza permesso di soggiorno.
Altre novità dello stesso genere
A mio avviso il dispotismo repressivo di maggior rilevanza e gravità riguarda la difesa violenta della proprietà immobiliare privata, perché comporta in un momento difficile una sorta di macelleria sociale che logora redditi familiari già ridotti all’osso, senza alcun correttivo assistenziale. Ma, per quanto aggressivi, non sono gli unici. Nel contorno si sono bastonate per tutti. Il controllo sui cittadini tramite i servizi segreti (DIS, AISE e AISI) prevede acquisizione di dati sensibili anche in violazione della privacy mediante contratti connessi a pubblica utilità, anche in convenzione o in concessione: il grande fratello avanza. L’imbrattamento dei monumenti (qui tocca a Ultima Generazione) passa da 3-12 mesi a 6-18; ma in caso di recidiva (condanne in sequenza) si rischiano 3 anni, senza più condizionale (art. 24). Inoltre, modificando l’art. 415 c.p. si allarga il quadro della c.d. istigazione a delinquere per colpire chi con scritti rivolti ai detenuti aiuti le rivolte carcerarie o comunque le fomenti; un articolo 415 bis aggrava poi le pene in caso di rivolta effettiva, fino a 20 anni quando ci scappi involontariamente un morto (per le morti volontarie c’era già la pena massima). Ma con l’art. 27 della legge sulla sicurezza vengono introdotte sanzioni carcerarie anche per chi è detenuto nei centri per migranti; quando la protesta sia di più persone, con bastoni o coltelli, i promotori rischiano per ciò solo da 2 a 7 anni (e senza rimborso delle spese per l’avvocato!).
Infine: il blocco stradale
Questo reato ha una storia dimenticata e oggi poco nota. Fu introdotto nell’Italia repubblicana, con il Decreto Legislativo 22 gennaio 1948 n. 66, quando Mario Scelba era ministro dell’interno. L’ostacolo alla circolazione stradale era punito con la reclusione da 1 a 6 anni, pena raddoppiata (da 2 a 12) quando ad attuarlo concorrevano più persone, cioè sempre. Per organizzatori e promotori (art. 112 c.p.) c’era l’aumento fino a un terzo. Il massimo edittale di 16 anni imponeva (allora) l’obbligo per il magistrato di emettere il mandato di cattura. Questo quadro normativo rimase in vigore fino 30 dicembre 1999, quando fu depenalizzata con l’art. 17 del decreto n. 507 (governo D’Alema); ma già da anni era venuto meno il carcere preventivo obbligatorio che fine agli anni settanta aveva colpito operai e studenti in lotta. Durante l’autunno caldo moltissimi militanti furono rinchiusi in galera o costretti alla latitanza, fino alle amnistie concesse a furor di popolo che depotenziarono lo strumento repressivo.
La legge del 1999 ridusse il blocco stradale attuato con il corpo a illecito amministrativo; ma nel 2018 (decreto 113 del 5 ottobre, Conte 1) ripristinò il reato, ma solo nel caso in cui si trattasse di qualche cosa di simile alla barricata (ostruzione edilizia), con la vecchia pena fino a 12 anni. Ora il governo pensa di sanzionare nuovamente anche il semplice uso del proprio corpo per fermare la circolazione, con una pena da 6 mesi a 2 anni; non siamo ancora al ritorno di Scelba ma il cammino è iniziato!
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