Politica

I pifferi di montagna

di Carlo Luigi Secondat

De plus, il se servit de la plus vile populace por troubler les Magistrats dans leurs fonctions

(Si servì, inoltre, della più vile plebaglia per disturbare i magistrati nelle loro funzioni)

Montesquieu
(Considerazioni sulle cause della grandezza dei romani e della loro decadenza, XI)

Aveva trattato questa particolare materia proprio su Effimera il mio amico e collega Thomas E.J. Aquinate il 6 ottobre 2023, in un pezzo con titolo Il coro dei beoti a commento del putiferio sorto dopo la decisione del Tribunale di Catania, presa dalla dottoressa Iolanda Apostolico, che aveva negato la convalida dei trattenimenti disposti dal questore di Ragusa in ragione della normativa dell’Unione Europea, prevalente su quella nazionale italiana, secondo la nostra stessa costituzione (qui). Sia la dottoressa Apostolico sia il dottor Rosario Cuprì (che aveva preso a seguire provvedimento analogo) furono destinatari di male parole e trattati da pericolosi eversori, per giorni e giorni: la (o il come pretende, in fondo non cale) presidente del consiglio e il ministro Nordio (per giunta a lungo magistrato, anche con funzioni direttive) annunciarono appelli qualificando abnorme e indifendibile la sentenza. Ma si trattava invece di un decreto, non appellabile: i vertici dello stato mostrarono di non conoscere neppure le norme da loro stessi approvate, come fin da subito ebbe a rilevare l’Aquinate.

Ma che è successo dopo? Premessa necessaria

Grazie all’intervento dell’Avvocatura di Stato (non si comprende perché non allertata dall’inizio) il ministro Piantedosi e il questore di Ragusa evitarono il promesso appello (sarebbe stato marchiato come inammissibile) e si rivolsero invece alla Corte di Cassazione contro il diabolico decreto per eliminare una grave ferita all’ordinamento; e invocarono una procedura urgente, anzi urgentissima. Il ricorso fu assegnato, per la novità e la rilevanza del caso, alle Sezioni Unite già il 27 ottobre 2023, 2 giorni dopo il deposito. Le Sezioni Unite, per quanto non proprio formalmente vincolanti nei giudizi futuri, hanno tuttavia un compito d’indirizzo di cui in concreto si tiene gran conto. La trattazione venne fissata in tempi rapidi: 8 febbraio 2024. Ma l’esito dell’esame fu interlocutorio: proprio per il carattere vincolante delle direttive europee, cui l’ordinamento italiano deve piegarsi, le Sezioni Unite rinviarono alla Corte di Giustizia al fine di conoscere la corretta interpretazione degli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33UE richiamata dai giudici del Tribunale di Catania per disapplicare la normativa nazionale.

Nel frattempo il ministro Piantedosi, silenziosamente e prudentemente, revocò il suo stesso provvedimento del 14.9.2023 (bollato come illegittimo da Apostolico e Cuprì) già in data 10 maggio 2024 (Gazzetta Ufficiale 19.6.2024), prima che la Corte di Giustizia si pronunciasse. Non è finita; arrivò un’altra sorpresa sgradita al governo italiano.

La Moldavia non è un paese sicuro

La Corte di Giustizia, con sentenza del 4 ottobre 2024 (vincolante anche per gli stati membri e pure per la Repubblica Italiana) C406/22 (reperibile in rete con facilità per chi volesse consultarla) decise la vicenda di un cittadino moldavo che aveva chiesto di non essere rispedito in patria (paese non sicuro) e di poter rimanere nella Repubblica Ceca cui aveva chiesto asilo. In prima istanza la sua domanda era stata respinta; nel giudizio di opposizione al provvedimento di diniego il Tribunale di Brno (la città nota agli italiani per lo Spielberg in cui fu carcerato Silvio Pellico, il patriota delle mie prigioni) chiese alla Corte di Giustizia di chiarire come andavano interpretate le direttive. E il 4 ottobre la risposta è arrivata! Innanzitutto si precisava che l’art. 30 della direttiva 85 del 2005 era da intendersi sostituito (non affiancato) dall’art. 37 della direttiva 32 del 2013, chiarimento di notevole importanza per l’ordinamento italiano. In Italia l’art. 2 bis comma 2 del decreto legislativo 25/2008 consente di definire comunque paese sicuro anche con esclusione di parti di territorio o di categorie di persone. Dopo la sentenza del 4 ottobre 2024 questo non è più possibile, con effetto perfino retroattivo. Per la Corte di Giustizia è sufficiente che una porzione territoriale non sia sicura per impedire la definizione sicuro in tema di asilo e migrazione; in quel caso (Moldavia) la striscia di Trasnistria in mano agli autonomisti russofoni al confine con l’Ucraina imponeva di accogliere la domanda di asilo e inibiva il rimpatrio forzato. Per capire la portata della decisione si tenga conto che la Moldavia è stata ammessa a presentare domanda d’ingresso in UE: anche questo non è ritenuto dalla Corte di Giustizia elemento decisivo. Non solo. La Corte ha chiarito che un paese deve essere sicuro in ogni sua parte e con riferimento all’esercizio dei propri diritti da parte di tutti gli abitanti del territorio: senza discriminazioni di genere, di religione, di orientamento sessuale, di provenienza etnica.

Piantedosi legge e marcia indietro

Avuta notizia della pubblicazione della sentenza emessa il 4 ottobre, 3 giorni dopo, il 7 ottobre 2024, il ministro Piantedosi e il questore di Ragusa, hanno depositato la rinunzia al ricorso per Cassazione, con iniziativa unilaterale. Conseguentemente i provvedimenti del Tribunale di Catania sono divenuti definitivi, con buona pace di Nordio e Meloni, rimasti con la coda fra le gambe dopo aver promesso di spezzare le reni ai due giudici siciliani che invece si sono visti pienamente riconoscere di aver preso una decisione conforme a diritto.

E adesso l’Albania!

Con solo qualche mese di ritardo, dopo le vacanze estive e un notevole incremento dell’afflusso turistico sulla costa albanese, nei pressi del ristorante Meloni (giuro: si chiama così!), a un passo dal mare, è stato aperto il carcere per migranti in attesa di espulsione (non si chiama carcere ovviamente: ma sono stanze in cui la gente viene rinchiusa contro la propria volontà e il nome non basta a cambiare la sostanza).

Hanno scelto 16 maschi (discriminazione di genere? mah…), a loro dire maggiorenni e sani, provenienti dal paradiso libico a bordo di un barcone, intercettati dalla nostra guardia costiera a poche bracciate dalla spiaggia di Lampedusa, subito separati dal grosso con cui avevano viaggiato, e dirottati verso il porto di Schengjin. Il costo della crociera (durata 2 giorni: dal 14 al 16 ottobre), secondo le stime unanimi, è stato di circa 18.000 euro per passeggero, con riferimento alla sola andata, in totale circa 288.000 euro; conveniva  noleggiare un aerotaxi, con meno di 20.000 euro in due ore il viaggio era concluso.

Appena sbarcati 4 migranti su 16 (il 25%) furono riportati in Italia: 2 perché minori e 2 perché vulnerabili (ovvero malati e/o malmessi). Nessuno ha spiegato come fosse potuto accadere, evidentemente il governo italiano non ha alcun timore del ridicolo, gli corre incontro con perseveranza.

Gli altri 12 hanno presentato richiesta di asilo contestualmente all’identificazione, ma la commissione territoriale (nominata da Piantedosi con decreto) le ha respinte tutte in un battibaleno. Non abbiamo il testo: tuttavia la decisione, per quanto ministeriale, neppure ha raggiunto l’unanimità! A questo punto i 12 migranti hanno un tempo brevissimo per avviare il ricorso avverso il provvedimento dopo aver trovato un legale: per chi è trattenuto sono solo 15 giorni, poi scatta l’espulsione (nel loro caso il rimpatrio in Egitto o Bangladesh).

Mai dire gatto…

A questo punto i giochi sembravano fatti. Mancava solo la convalida del trattenimento forzato nel centro di Gjader, connesso a Shengjin, da parte del Tribunale di Roma. L’udienza si è tenuta con un sistema di collegamento video, i migranti in Albania, i loro avvocati a Roma, senza aver avuto alcuna possibilità di preparare la difesa, con difficoltà anche a raccogliere il mandato. Il meccanismo era stato predisposto per limitare ogni possibile resistenza tecnica alla convalida, ma era pur tuttavia un congegno ideato da una squadra di funzionari di dubbia capacità tecnico-giuridica: a guardar bene sembra una delle macchine inutili costruite da Willy il Coyote per tentare la cattura dello struzzo Beep Beep nei cartoni Warner Bros di Chuck Jones. Il 18 ottobre 2024, raccolti gli elementi, la giudice Luciana Sangiovanni, ha negato la convalida del trattenimento e disposto, con il decreto già pubblicato da Effimera (qui) l’immediato rilascio di tutti e 12 i migranti, quelli del Bangladesh e quelli egiziani. Applicando la direttiva europea, perché vincolante e prevalente sulla norma nazionale, Luciana Sangiovanni ha esaminato il merito della vicenda e negato che correttamente potessero definirsi sicuri, con riferimento a questi singoli soggetti provenienti dalla Libia via mare, i due paesi in cui il governo italiano pretendeva di rimpatriarli; non è sufficiente compilare un elenco di comodo di stati in qualche modo amici per legittimare l’espulsione mettendo le esistenze in pericolo. Appena depositato il decreto si è scatenata la reazione scomposta del governo in carica, mettendo in croce l’intera sezione specializzata del Tribunale di Roma.

I pifferi di montagna

La vicenda porta alla mente un gustoso detto popolare che fu reso celebre dal bibliotecario fiorentino Giovanni Lami con un componimento in terzine. Narrava di tre fratelli che vivevano in un qualche paese di montagna, suonavano il piffero, conoscevano solo due note e tuttavia erano convinti di essere artisti eccezionalmente bravi. Così decisero di andare nei borghi vicini per far conoscere la loro musica eseguendo nelle piazze il loro repertorio. Ma non erano bravi, erano solo arroganti incapaci, il pubblicò che li ascoltava manifestò prima fastidio, poi gridò disappunto e infine, visto che non accennavano a smetterla, li presero a bastonate. Di qui il detto: tu fai come i pifferi di montagna che andarono per sonare e furono sonati (Cfrl’edizione Edelin e Pickard, Londra, 1738 uscita sotto falso nome).

Meloni e Piantedosi si ostinano a non tener in conto alcuno le norme, a prendere decisioni in contrasto con il diritto positivo vigente; al loro fianco scalpitano Salvini e Nordio. Quest’ultimo, pur magistrato per lunghi anni in quel di Venezia (da ultimo quale procuratore aggiunto, ruolo semiapicale), ancora non ha ben chiara la differenza fra decreto sentenza, come lui pervicacemente insiste a definire il provvedimento secondo lui abnorme del Tribunale. Già infastidisce l’errore dei cronisti giudiziari (ma ormai sono manovali sottopagati e li perdoniamo); in bocca a un ministro di giustizia non è accettabile.

A breve un nuovo spettacolo

Ora questi geni si preparano a varare un ennesimo colpo di mano. Pur di spuntarla metteranno a repentaglio la già scarsa credibilità della Repubblica Italiana nelle Corti di Giustizia sovranazionali. Senza tener conto della sentenza C406/22 e dei principi vincolanti enunciati nella motivazione si preparano a inserire in un decreto legge urgente (che andrà comunque poi approvato dalle Camere nei 60 giorni e che necessita anche della firma di Mattarella) una lista di paese a loro dire sicuri. Qualcuna/o ha detto loro che la lista, inserita in una legge, sfuggirà all’esame del Giudice; la giurisprudenza costante, consolidata, granitica, sostiene altro: impone al magistrato la disapplicazione della norma nazionale in contrasto con la direttiva europea. E qui è prontamente intervenuta nientemeno che la seconda carica dello stato, l’avvocato Ignazio La Russa, con la soluzione: poiché il vincolo della direttiva è previsto dalla nostra Costituzione andiamo subito a cambiarla. La norma nazionale prevarrà, dopo la modifica, sulla norma europea e non viceversa: il problema secondo lui è risolto. Non ci sono più limiti alla totale assenza di buon senso.

La sentenza C406/22 prevale sulla legge italiana, quale che sia, nei principi enunciati in motivazione. Dunque Egitto e Bangladesh, stati che Meloni considera sicuri, dovrebbero innanzitutto controllare il territorio nazionale. Ma in Egitto il triangolo di Halaib (2580 kmq, grande come l’Emilia Romagna, più della Transnistria) è conteso militarmente fra Egitto e Sudan, tanto che una società canadese non estrae petrolio ad evitare guai altrimenti certi. Basterebbe questo in aggiunta al processo Regeni, ma c’è di più. L’omosessualità, valutata come depravazione pur in assenza di previsione specifica, prevede fino a 17 anni di carcere. I cristiani copti sono discriminati, le donne pure. Poiché un paese deve essere sicuro per il singolo soggetto a prescindere da qualsiasi lista nazionale, un egiziano potrà dichiararsi copto, gay, o ateo bisessuale, nessuno potrà negargli asilo. Quanto al Bangladesh oltre alla guerra civile in corso esiste esplicito il reato di omosessualità (fino a dieci anni di carcere) e per questioni religiose è un attimo incappare nella blasfemia e in conseguenze ben peggiori. I paesi da cui si scappa, è un dato notorio che non necessità argomentazioni, sono poco sicuri; le società povere ma libere e pacifiche oggi esistono solo nelle fiabe, basti pensare ai quasi dieci milioni di sfollati in Sudan che non interessano a nessuno e che stanno attraversando l’africa subsahariana in cerca di un posto dove vivere. Se ne facciano una ragione. Pensare di risolvere il problema migratorio, con la guerra diffusa in corso, aprendo qualche centro in Albania e la Taverna Meloni a Schingjin, è comunque una presa in giro. Per giunta è un delirio mal costruito giuridicamente. Questi poggiano su personale mediocre. I nazisti potevano almeno contare su Carl Schmitt, mente criminale senza dubbio, ma giurista di talento. Il che lascia ben sperare.

L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 23 ottobre 2024 

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Sessualità e politica

Acrilico su tela di Giulia Crastolla

di Lea Melandri

Raramente guardo Piazza Pulita (LA7), ma quando, prima di andare a dormire, sono capitata in un “processo mediatico”, un format che ormai conosciamo, ma con una protagonista femminile di particolare interesse (Maria Rosaria Boccia) e uno staff di giornalisti penosi – per il cosiddetto caso Sangiuliano – non ho potuto non fermarmi. Una trasmissione da riascoltare e studiare: un sintesi rara di questione di genere, privato e pubblico, personale e politico, sessualità e politica.
Quando il potere, politico e mediatico, si trova di fronte a una donna che non si piega alla posizione di vittima, è davvero “nudo”. Soprattutto se l’accanimento maschile, neppure tanto velatamente sessista, si trova di fronte a una donna pacata, razionale nelle sue argomentazioni e un sorriso inattaccabile. Comincio a credere che, invece di “una risata vi seppellirà”, per un potere maschile declinante, basterebbe il sorriso inquietante nella sua imperturbabilità di tante Maria Rosaria Boccia.

A differenza delle mie abitudini, questa volta non farò il pelo all’uovo, cercando di mettere in luce le ragioni più o meno nascoste che spingono Maria Rosaria Boccia a tenere aperto il suo caso sulla scena pubblica. Quello che mi colpisce e che ritengo meriti l’attuale duraturo dibattito politico su quanto intercorso tra lei e l’ex ministro Gennaro Sangiuliano, è il fatto che una donna raramente, anziché arrendersi oppure adattarsi al potere maschile, riesca a tenergli testa, a metterlo in scacco, e fare lo stesso con quei soloni del giornalismo che tengono banco dai pulpiti televisivi, a ogni ora e a ogni trasmissione. Tanto che ho pensato che li tengano lì anche a dormire.
Lo confesso: giovedì sera (3 ottobre), a Piazza Pulita, mi sono divertita molto. Che ci sia sempre stato un legame tra sessualità e politica il femminismo lo dice da mezzo secolo e oltre, ma come talvolta accade può essere un caso particolare a portare allo scoperto una verità rimasta così a lungo “impresentabile”.

Gli uomini di potere hanno sempre avuto mogli e amanti che in qualche modo hanno favorito, salvo scaricarle quando potevano intralciare le loro carriere, e riconciliarsi con le consorti. L’unica differenza è che in passato era più facile lasciare queste relazioni nel privato. Oggi, grazie alla cultura femminista, il “privato” viene riletto come “il personale”, il vissuto del singolo, nella relazione, che c’è sempre stata col “politico”. Non è ancora purtroppo una consapevolezza acquisita, ma è sotterraneamente la ragione per cui del caso Boccia-Sangiuliano si continua ossessivamente a discutere.
Insomma, sono con Maria Rosaria Boccia, qualunque siano le ragioni della sua tenace volontà di non farsi oscurare dall’arroganza del potere maschile.

L’articolo è stato pubblicato su Comune-info il 4 ottobre 2024 

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Nuove forme di guerra

di Gianni Giovannelli  

A un nemico accerchiato
devi lasciare una via d’uscita.

Sun Zu, 7.31

Non c’è dubbio alcuno. Con l’esplosione sincronizzata, a migliaia, di cercapersone acquistati dalla struttura dirigente Hezbollah e distribuiti ai militanti per i necessari contatti, il governo israeliano ha colto di sorpresa e stupito il mondo intero, seminando il panico nella popolazione, non solo in Palestina occupata ma anche in Libano e Siria. Il giorno successivo, quando i primi commenti si incrociavano incerti, alla stessa ora, le 15, la strage si è ripetuta: questa volta si trattava di walkie talkie o altre apparecchiature comandate a distanza. Ogni oggetto di uso comune diviene potenzialmente uno strumento di morte, l’insidia produce inevitabilmente terrore, intacca qualsiasi rete di rapporti sociali. Questa è la risposta del governo israeliano all’indignazione sollevata dai massacri quotidianamente perpetrati nella striscia di Gaza, al crescere delle critiche, alle accorate richieste di tregua; una risposta che prelude all’esecuzione di un programmato sterminio.

Ci troviamo di fronte a un cambio di passo. Funzionari anonimi, specializzati in singoli segmenti di attacco criminale, operano in equipe, ben celati agli occhi della popolazione, e colpiscono a distanza, senza partecipare al combattimento sul campo. Come gli addetti finanziari pigiano sulla tastiera le mosse di compravendita capaci di creare o distruggere patrimoni (al tempo stesso modificando l’esistenza di soggetti a loro sconosciuti per i quali provano solo indifferenza) così i tecnici del Mossad, segretamente, elaborano, su commissione politico-militare proveniente dall’estrema destra colonialista al potere, progetti idonei a sopprimere vite umane. Probabilmente questi assassini in camice bianco neppure odiano i loro bersagli; semplicemente cercano di fare al meglio il lavoro che viene loro assegnato, evitando inutili domande. Certamente la deriva teocratica (con la crescita costante di Hamas e della estrema destra sionista) ha giocato un ruolo importante nel conflitto; o forse, al contrario, è stato il sabotaggio della pace, pervicacemente messo in opera dall’occidente democratico in questo secolo, a creare le condizioni che hanno consentito il successo dei fondamentalisti in entrambi i fronti. Se sia nato prima l’uovo o la gallina non lo sapremo mai, dunque poco importa. Quel che conta è la scelta del governo israeliano, oggi: vogliono imporsi con la forza, prendersi i territori, allargare i confini. A qualsiasi costo. Disposti a tutto, sordi a qualunque richiamo da parte di chi invita al buon senso.

Israele probabilmente non ha avvisato gli Stati Uniti di quel che aveva in mente di fare, così ha evitato sia discussioni fastidiose sia di mettere in imbarazzo il principale sostenitore. Comunque vadano le elezioni americane di novembre possono contare sull’appoggio di entrambi i candidati, sulla continuità del veto sempre apposto nel Consiglio di Sicurezza a qualunque deliberazione non gradita. La mossa preparata e attuata dal Mossad presuppone una rete spionistica in grado di superare i confini degli stati senza interferenze ostruzionistiche; l’uso della tecnologia insieme all’elaborazione dei complotti non ha (per lo meno: non ha ancora) alcun equivalente paragonabile negli stati e nei movimenti politico-militari di parte araba. Ove mai ci fosse una risposta bellica che facesse prevalere la supremazia dei corpi lo Stato d’Israele appare pronto ad usare la bomba atomica (quella c.d. tattica). A fianco del ricatto atomico si cala oggi la strage mediante cercapersone. Il soldato nemico viene trasformato in una sorta di mina umana che colpisce proprio la comunità che lo ha spinto ad indossare la divisa, a combattere per la propria terra; una mina pronta ad esplodere alle 15,30 in un mercato, in una scuola, in un ospedale, in autobus, sulla strada, alla partita di calcio. Chi vive nei territori occupati vede ora come potenziale pericolo lo scaldabagno, il televisore, la piastra per cucinare; dunque riceve il messaggio di andarsene per non essere annientato. I commenti della stampa europea e occidentale a questo cambio di passo, a questa nuova forma di guerra mai usata prima di oggi e vietata dalle norme internazionali lasciano intravedere un misto di ipocrisia (lasciare il dubbio che l’autore sia il Mossad) e di riduzione della strage a un semplice colpo inflitto all’avversario con indubbia maestria. Fingono tutti di non capire la portata di questa vicenda, l’innovazione bellica che una volta introdotta farà inevitabilmente scuola, negli anni a venire, provocando conseguenze che oggi nessuno si azzarda ad esaminare; sembrano non rendersi conto del fatto che le conseguenze ad Israele oggi semplicemente non interessano perché sono concentrati solo sulla vittoria, sull’annientamento di tutti coloro che si oppongono all’annientamento dei palestinesi (o al loro definitivo esodo). Tutti parlano della bomba atomica in mano a Putin (che non vuole usarla) e incautamente lo provocano (perché la usi); al tempo stesso tacciono delle bombe atomiche in mano alla coppia Netanyahu-Ben Gvir, pur consapevoli che costoro (specie il secondo) non si farebbero scrupoli a trasformare Beirut o San’a’ in una novella Hiroshima, pur di raggiungere il loro scopo.

Un filo sottile lega l’esplosivo nascosto dal Mossad nei cercapersone acquistati da Hezbollah e l’arsenale atomico distribuito nel pianeta; è il legame fra l’uso del terrore quotidiano, capace di esasperare le comunità, e l’esplosione nucleare, capace di eliminare una comunità. Non solo Israele, fra i piccoli, possiede l’arma atomica; per giunta si possono anche vendere a terzi, in caso di bisogno. La rinunzia americana al ruolo di gendarme innanzitutto del proprio alleato non è segno di forza, ma di debolezza; se non mostra di essere capace di tenere a bada un Ben-Gvir qualunque finisce con il promuovere un rivoltoso malumore fra i propri sudditi. E che spesso sia un malumore di destra non dovrebbe rassicurare né Harris né Trump.

La tecnologia è poco capace di custodire a lungo i propri segreti; è fragile, è per sua natura esposta alla riproduzione. Questo vale sia per l’uso tradizionalmente commerciale, sia per il suo detournement militare-terroristico. Mi si perdoni un inciso commemorativo: come ci manca Guy Debord a commento di questo complotto israeliano di guerra! In tempo di Intelligenza Artificiale l’esplosione sincronizzata di cercapersone potrà essere acquisita prima dagli apparati statali (grandi o piccoli), poi dalla criminalità, e ancora dalle organizzazioni per qualsiasi motivo ribelli (di qualunque etnia o tendenza). Le metropoli sono bucate, piene di falle; la globalizzazione ha travolto i confini, non bastano i nazionalismi a identica riedificazione, ci sono ancora, ci saranno, ma diversi. Soprattutto non fermano la tecnologia. Israele ha scoperchiato il vaso di Pandora; l’uso del micro-esplosivo può essere esportato non solo a mezzo di droni, ma in qualunque oggetto. E la conseguente disarticolazione sociale avvicina la tentazione di ricorrere all’atomica. L’errore strategico di Israele (accecato dal nazionalismo colonialista e dalla frenesia di potere) è di non indicare alcuna via d’uscita, continuando solo a massacrare. Così però prima o poi si va a sbattere, come osservava Sun Zu nell’esergo.

L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 22 settembre 2024

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Bologna 2 agosto 2024

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