Cultura

LA PERSEVERANZA DEL SANTO

Dalla quarta di copertina

Rimini. Nel caldo afoso del luglio 2012, l’ufficiale dei carabinieri Federico Santucci, noto come “il Santo”, si ritrova coinvolto in un’indagine per il ritrovamento di un corpo avvenuto in acqua, a poca distanza dalla spiaggia. E’ una ragazza e indossa solo il reggiseno. Mentre cerca di affrontare il dolore nella sua vita personale, segnata dal fallimento di una relazione importante, l’omicidio di Estella, una giovane donna in cerca di evasione e intrappolata in una spirale di dipendenza, cambia il corso della sua vita.
La storia si sviluppa tra eventi drammatici e ricordi dolorosi, rivelando i segreti e le ombre che si nascondono dietro la facciata di una città balneare. Con una narrazione avvincente, il romanzo esplora temi di perdita, redenzione e la lotta contro i propri demoni interiori.

Davide Grassi, avvocato penalista, scrittore e podcaster vive e lavora a Rimini.
Prima di questo thriller ha pubblicato nella veste di coautore il libro inchiesta San Marino SpA (Rubbettino 2013) e il romanzo Il braccio destro (Mursia, 2020).


Davide Grassi – La perseveranza del santo, Carlo Filippini Editore, 2024


Recensione di Davide Cardone


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Festival del Medioevo 2025

Gubbio, 24–28 settembre 2025

Dal 24 al 28 settembre 2025, Gubbio ospiterà l’undicesima edizione del Festival del Medioevo, dedicata al tema “Il viaggio. Pellegrini, viandanti, esploratori”. Un’occasione per sfatare l’idea di un Medioevo statico e raccontare le migrazioni, i pellegrinaggi, i commerci e gli incontri culturali che hanno segnato quell’epoca.

Per cinque giorni, storici, scrittori, scienziati, giornalisti e filosofi animeranno il festival con conferenze stimolanti, affiancate da mostre, mercati, spettacoli, rievocazioni storiche e laboratori didattici per i più giovani.

Tra gli appuntamenti irrinunciabili: la Fiera del Libro Medievale, lo spazio Scriptoria, dedicato alla miniatura e alla calligrafia, e il ciclo “Medievalismi”, che esplora l’influenza del Medioevo sulla cultura contemporanea.

Il festival è organizzato dall’Associazione Festival del Medioevo, in collaborazione con il Comune di Gubbio, con il sostegno di numerosi sponsor e istituzioni culturali.Inizio modulo

Fonte: Festival del Medioevo

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Mirabilia

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CATASTROFISTI E POSSIBILISTI


di Sergio Tardetti

(Un eterno confronto tra chi si lascia trascinare dagli eventi e chi invece prova a fare qualcosa per cambiarli)
Da grande sarei voluto rimanere come da ragazzo, potenzialmente aperto ad ogni possibilità. Questo era, ed è rimasto tuttora, il mio più vivo desiderio. D’altra parte, tutto incoraggiava a poter mantenere questo atteggiamento positivo e propositivo, dalle parole di elogio pronunciate in ogni occasione dagli amici per il mio modo di condurmi, alle azioni compiute per mettere in pratica quello che era stato enunciato in teoria, fino agli attestati di stima e di solidarietà provenienti da ogni parte, per tutte le volte che mi mostravo disponibile al confronto con gli altri e con il futuro. Il mio possibilismo era universalmente conclamato, accompagnato ogni volta da riconoscimenti e apprezzamenti che mi invitavano a mantenere ben salda la rotta, senza deviarne minimamente, quasi fossi considerato unastella polare per la linea di condotta degli altri. Col passare del tempo, mi rendevo conto di quanta fatica cominciasse a costarmi mantenere quella rotta, continuare a rimanere possibilista, malgrado il duro quotidiano confronto con la realtà mi spingesse verso altre direzioni. Quello che accadeva intorno a me non faceva ben sperare chepotessi rimanere ancora a lungo su quella strada, ormai solo apparentemente tracciata, ma in realtà ancora tutta da tracciare. Intanto, però, i possibilisti che mi avevano accompagnato lungo quel cammino cominciavano a diradarsi, come foglie d’autunno, incalzati e sopraffatti dal turbine della realtà.
Man mano che i giorni passavano, mi accorgevo di essere sempre più isolato, perché molti avevano ceduto e si erano ritrovati a far parte della folla dei catastrofisti. “Come va?”, chiedevo di tanto in tanto a qualcuno. “Male, male! Va tutto male!”, era l’inevitabile risposta che mi giungeva. Quando, però, si trattava di entrare nei particolari, si finiva per scoprire che, infine, così male non stava andando, intanto perché, a differenza di altri che ci avevano accompagnato per un lungo tratto, noi eravamo ancora lì a poterci lamentare e a ricordare le figure e le vicende degli assenti. “Da quando mi stancai di cercare, cominciai a trovare”, mi ripetevo mentalmente come un mantra, e dovevo in effetti riconoscere che era vero. La catastrofe, nella maggior parte dei casi, nasceva proprio dalla furia della ricerca di un qualcosa che non si riusciva a trovare, pur investendo tempo e denaro, soprattutto denaro, in quella impresa. Denaro speso in serate trascorse a stordirsi con musica e alcool, sperando di riuscire ad osservare la realtà sotto un altro nuovo aspetto, oppure in lunghi ed estenuanti viaggi, per cercare di tenersi lontano da quella realtà che continuava a provocare in ciascuno un così pesante turbamento. Ogni volta che ci si riprendeva dallo stordimento o si rimetteva piede sul suolo natio, però, ritornava quella sensazione dolorosa di scoraggiamento, che continuava a far vedere un presente sconfortante e un futuro ancora più nero.
Passati i primi dieci minuti, in cui era ancora vivo e presente il disorientamento euforico, causato dal temporaneo cambiamento di stato o di luogo, ognuno riprendeva a lamentarsi della propria vita e di quel mondo che lo circondava. L’eco di quei “Male, male, va tutto male!” tornava a risuonare nell’aria come il lamento di una generazione moribonda e ormai senza più via di scampo. Che fare, a questo punto? Continuare lungo la stessa strada, sempre più soli e sempre più stanchi? O cominciare a pensare a qualche forma di cambiamento? Le litanie e i cori dei catastrofisti giungevano alle orecchie da ogni direzione, fino al punto da contagiare gli amici più stretti e persino i familiari. Quando, però, si trattava di scendere nei dettagli, specificando cos’era che andasse “Male, male, tutto male”, nessuno riusciva ad essere particolarmente preciso. Si trattava per lo più di sensazioni, forse anche del fatto che, con l’avanzare dell’età, certamente molti compagni di strada avevano cominciato a mancare, altri iniziavano a cedere, ma per il resto non c’era poi così tanto da lamentarsi. Alla fine, ci si era soltanto uniti al coro dei più, perché il ruolo del catastrofista è meno faticoso da sostenere. Al possibilista, invece, è sempre richiesto di indicare direzioni da prendere, mete da raggiungere, sapendo già egli stesso che raggiungerle sarà possibile, ma non sempre certo. A quel punto, quando la meta agognata e profetizzata non apparirà all’orizzonte, tornerà a levarsi il coro dei catastrofisti e quel “Male, male, va tutto male!” finirà per diventare l’enorme buco nero che inghiottirà al suo interno anche l’ultimo dei possibilisti.


© Sergio Tardetti 2025

Foto di Pete Linforth da Pixabay



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Peccati essenziali

di Cristina Formica

I Sette peccati necessari. Manifesto contro il patriarcato è un libro da regalarsi e da regalare, da tenere vicino per riflettere e cambiare. È un testo fatto per amarsi e per criticarsi, perché solo guardando in faccia la realtà, la propria persona e la società si può veramente migliorare e stare meglio. Pubblicato dalla piccola casa editrice femminista LE PLURALI, è un testo che descrive un mondo recente ma non solo vicino, uno sguardo necessario per offrirci qualcosa di migliore e da coltivare. I peccati necessari sono quelli che le donne e tutte le identità LGBTQ+ hanno diritto ad agire, almeno quelle che non vogliono essere, o non vogliono più essere, le serve del patriarcato e che perciò possono imparare ad abitare, ad agire, a scagliarsi contro l’imperativo imperante di un mondo al maschile becero, quello bianco ed eterosessuale, quello capitalista e colonialista, anche quello nero e musulmano che ha gli stessi tratti di quello cattolico integralista e repressivo. Il patriarcato è il patriarcato in qualunque parte del mondo agisca, e questo libro lo spiega molto bene.
Peccare fa essere anche felici: la Rabbia, l’Attenzione, l’Ambizione, la volgarità, il Potere, la Violenza e la Lussuria possono essere il modo di riappropriarsi di se stesse e di lottare, anche da sole, contro tutti i mulini a vento che il patriarcato vuole mantenere per opprimere le donne. I peccati sono tali perché rompono muri, aboliscono proibizioni, urlano forte e lontano, trovano altre che donne che Mona Eltahawy nomina e unisce, scrivendo di donne che si muovono in tutto il pianeta, soprattutto in quelle zone di cui la tradizione patriarcale, secondo l’ottica occidentale, le vuole sempre sottomesse perché impossibilitate a lottare, incapaci di combattere per i propri diritti. Proprio questo elenco, lunghissimo e dettagliato, delle donne che lottano in Africa, nel Maghreb da cui l’autrice proviene, nel Medio Oriente e in tutta l’Asia, coniuga serenamente le lotte femministe nordamericane e australiane, quelle europee e sudamericane. Il rendere e pubblicizzare quello che le donne fanno in tutto il mondo non attenua la rabbia, ma la rende più forte per essere maggiormente potente, per essere insieme e non disperate, nonostante tutto, nonostante le sconfitte, l’umiliazione, la prigione e l’essere uccise, spesso non è solo un rischio di subire violenza: ma è proprio la rabbia che permette di affrontare la violenza subita.
Mona Eltahawy è una donna di più di 50 anni, è nata in Egitto e con la sua famiglia si è trasferita in Inghilterra e in Arabia Saudita; ha poi scelto di essere statunitense, dove si è trasferita nei primi anni del duemila e ha preso la cittadinanza, unendo i punti della sua vita e continuando a essere una giornalista e scrittrice importante, che gira il mondo con i capelli rosso fuoco; Mona è voluta diventare una femminista nota in tutto il mondo, come racconta di sé, per agitare le donne in ogni posto che va. Più di un anno fa era anche alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, dove arringava la folla, quasi solo di donne, non cedendo mai l’entusiasmo e la voglia di porsi avanti e guardare avanti. La scrittrice non nasconde mai la sua storia, parte fondamentale dei suoi cambiamenti e che hanno spesso rotto quegli equilibri ipocriti che nascondono le donne sotto, funzionali alla società degli uomini e anche delle donne: ci sono anche quelle, che Eltahawy definisce operaie del patriarcato, che mantengono e contribuiscono a mantenere l’oppressione delle donne, tutte le altre donne che non hanno raggiunto alcuna posizione ragguardevole per poter agire liberamente il loro essere. Non c’è carica politica, economica e sociale che tenga, anche se si arriva a una posizione “invidiabile” come donna bisogna saper mantenere uno sguardo che vada oltre sé e parli anche alle altre che non ce la fanno a realizzarsi, in molte situazioni a vivere dignitosamente proprio perché donne. Non esiste nessuna carica che possa effettivamente riuscire a cambiare il patriarcato se si agisce come un uomo, ne è un esempio perfetto Giorgia Meloni che infatti si definisce al maschile, contribuendo ad una visione del potere che è sempre e solo degli uomini. E come lei, le diverse donne nominate dalla prima presidenza di Trump, di cui l’autrice ricorda come non sia né sia mai stato dalla parte delle donne, lui che è accusato di violenza sessuale e che ha nominato Gina Haspel a capo della CIA nel 2018, una donna funzionale al patriarcato e che ha partecipato direttamente a sessioni di tortura di sospetti terroristi, distruggendone poi la documentazione di prova, atti orrendi per cui è stata accusata di crimini di guerra.
Molte sono le storie che Eltahawy racconta, a partire dalle molestie e violenze che ha subito e che l’hanno incoraggiata a combattere la violenza contro le donne in ogni posto in cui ha vissuto. Poi, ci sono le storie degli stupri etnici in Bosnia e in Rwanda, di cui nessuno vuole mantenere memoria. Ed ancora le storie delle donne indiane che lottano per andare nei templi nonostante le mestruazioni, periodo naturale che impedisce alle donne la preghiera, come se qualsiasi dio sia meno disposto ad essere riverito se lo fa una donna con il mestruo; la stessa lotta è stata fatta dalle donne musulmane di New York, che subiscono la stessa limitazione. Ma d’altronde, anche in Italia, fino a non molto tempo fa, si diceva che se una donna aveva le mestruazioni non doveva impastare il pane e fare tutta una serie di cose perché il sangue avrebbe influito negativamente. E poi l’autrice parla delle donne elette al parlamento statunitense nel 2018, quando sono state nominate anche figure fuori dalla casta politica come Ilham Omar, una donna di origine somala che ha continuato a portare il velo anche nell’emiciclo di Washington; oppure Alexandria Ocasio-Cortez, eletta dai sobborghi newyorkesi perché anche lei si era dovuta districare in una vita complicata, essendo di origine portoricana, povera e a rischio di perdere la casa. Donne che il potere non ha sostenuto, ma la gente sì, anche per questo sono espressione contraria del patriarcato che, di nuovo, Trump rappresenta e non solo lui purtroppo.
Così come il racconto delle lotte in tante nazioni africane per i diritti delle donne, delle persone gay, lesbiche e trans: in diversi stati infatti si rischia la prigione e la morte se non si è eterosessuali, o se si attacca un leader uomo che governa anche rispetto al fatto che le donne si vedono negare i propri diritti umani, tutti i giorni della loro vita, perché sono donne.
Un libro che esprime il bisogno di essere ribelli, di essere libere e liberi perché questo è il destino necessario per una vita ricca e realizzata. A seguire il potere (patriarcale) si rimane sempre sotto un sistema che forse individualmente salva, ma è un destino solitario, senza sbocchi se non quelli che qualcun altro vuole darti oppure, da un momento a un altro, toglierti. Un libro che non vuole assolutamente trovare una soluzione pacifica, ma che anzi sobilla ed agita perché è questo l’unico modo di cambiare ciò che non ci piace; Mona Eltahawy ci è riuscita, approfittando delle possibilità che ha avuto e mostrandosi sempre in prima linea, consapevole che la sua posizione di notorietà l’avrebbe protetta: ma soprattutto ha protetto altre donne, e su questo indica una strada che è ancora tutta da percorrere, perché realmente possiamo costruire quanto di meglio per noi se, e solo se, consideriamo anche le altre persone, anche se non sono come noi, anche se non vogliono essere come noi.
Alla fine, leggendo questo libro, rimane un confine molto più ampio da varcare, un coraggio più grande, un pensiero più forte, è proprio un libro di forza e ne abbiamo, mai come ora, assolutamente bisogno.

Mona Eltahawy – I Sette peccati necessari. Manifesto contro il patriarcato. LE PLURALI Editrice

L’articolo è stato pubblicato su Comune-info il 9 febbraio 2025




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