pace

Rabbini americani entrano nel Palazzo di Vetro per chiedere il cessate il fuoco a Gaza

di Pressenza – Redazione Italia

Il 9 gennaio trentasei rabbini americani sono entrati nell’aula del Consiglio di sicurezza e in quella dell’Assemblea Generale al Palazzo di Vetro, sede delle Nazioni Unite, chiedendo un cessate il fuoco immediato a Gaza e invitando Joe Biden a “smettere di porre il veto alla pace”.

Siamo qui all’ONU per ricordare a Biden che tutto il mondo dice: Cessate il fuoco. Smettete di porre il veto alla pace” si legge nei post di Rabbis 4 Ceasefire.

Siamo qui per dire: Non c’è soluzione militare a questa violenza. L’ONU è il luogo in cui è possibile intraprendere un’azione diplomatica significativa per fermare la violenza. Siamo qui per sostenere l’ONU e respingere l’iniziativa della delegazione degli Stati Uniti e rifiutare il suo veto. Siamo qui per sostenere gli sforzi delle Nazioni Unite verso un cessate il fuoco.

L’ONU può svolgere un ruolo chiave nel fermare questa guerra, nel salvare vite umane e nel portare la pace. Siamo qui per sostenere le Nazioni Unite in questo senso. Siamo qui per dare voce al nostro sostegno per ottenere assistenza umanitaria ai palestinesi sfollati, affamati e senza un posto sicuro dove andare.

L’ONU è stata creata all’indomani della Seconda Guerra Mondiale e dell’Olocausto, proprio per dire “Mai più”. Siamo qui come ebrei, come rabbini, per esortare le Nazioni Unite a portare avanti questa nobile missione. Mai più significa mai più per nessuno di noi.

L’Assemblea Generale ha già votato a stragrande maggioranza a favore del cessate il fuoco, ma la delegazione americana sta ostacolando gli sforzi del Consiglio di Sicurezza per intraprendere un’azione significativa per il cessate il fuoco. Gli Stati Uniti stanno ostacolando l’azione della comunità internazionale per salvare vite umane”.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 10 gennaio 2024

La foto è di Rabbis for Ceasefire 

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Raffaele Crocco: “La pace non dev’essere la fine di una guerra, ma la normalità”

di Laura Tussi

Quella di Raffaele Crocco è una vita spesa a costruire e montare reportage e a portare testimonianze dai vari luoghi di conflitto armato nel mondo per contribuire prima di tutto a un’informazione seria, vera, equa, giusta. Oltre a essere giornalista Rai e inviato di guerra infatti, Raffaele è anche direttore di due progetti divulgativi, Unimondo e Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, che trattano di vari temi che spaziano dalla nonviolenza ai conflitti nel mondo, senza dimenticare ovviamente l’attuale e stringente situazione in Ucraina.

Come si pongono Unimondo e Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo rispetto a queste prospettive apocalittiche, ma che possono con il tempo concretizzarsi e diventare realtà, soprattutto tramite l’escalation bellica tra le due superpotenze coinvolte nel conflitto ucraino?
Noi che siamo pacifisti e nonviolenti non parteggiamo per una parte o per un’altra, anche se cerchiamo di comprendere e studiare le motivazioni geopolitiche di entrambe. Ma ci si rende sempre più conto che la ragione non sta e non sarà mai con il potere guerrafondaio, con il militarismo a oltranza, con il reclutamento di miseri uomini per la guerra, con il continuo invio di armi in questa congiuntura bellicista e oscurantista e guerrafondaia.

È proprio da ogni singola persona, dalla gente che scende nelle piazze contro la guerra che deve partire un’emanazione di pace. Dobbiamo a tutti i costi costruire la pace. Fare convergenza di popoli, genti, minoranze con energie fisiche e emotive e creatività a oltranza per ottenere la pace tramite la nonviolenza attiva che parte da ogni singola persona – per approfondire questi concetti si legga il saggio Resistenza e Nonviolenza creativa. I cittadini dal basso in ogni angolo del pianeta possono fare la pace, parafrasando le parole di Gino Strada. È necessario una presa di posizione pacifista di tutte le popolazioni senza farsi intimorire dalle strategie belliciste, militariste, guerresche dei poteri forti.

Raffaele Crocco, come argomenti queste affermazioni sui tuoi canali divulgativi?
In realtà la risposta è più semplice di quanto sembri: la pace è la cosa più intelligente che possiamo proporre. Dobbiamo lavorare su questo, trasformando il pacifismo in atto politico, cioè nella costruzione concreta di una società che sappia misurare con esattezza e convenienza i benefici della pace. Una società che si fondi sul rispetto dei diritti umani e che in quel rispetto trovi nuove formule per la distribuzione della ricchezza, l’uso delle risorse naturali e l’applicazione dei diritti individuali e collettivi.

È una rivoluzione che va portata avanti anche sul piano culturale?
Se ci pensiamo, consideriamo normalità la guerra e questo è semplicemente stupido. È come se considerassimo normale vivere ammalati, con qualche momento eccezionale in cui siamo sani. Ora, questa idea che a molti appare irrealizzabile è invece una strada percorribile. Noi abbiamo gli strumenti e le conoscenze per rendere reale questo progetto. Allora, andiamo per gradi: la cosa magnifica sarebbe iniziare a parlare di Pace in tempo di Pace. Intendo che dovremmo smetterla di legarla sempre alla fine di una qualche guerra. Questo ci costringerebbe a usare parole nuove e diverse. Soprattutto ci porterebbe a leggere la storia in modo differente e a immaginare l’educazione, la scuola, come luoghi di costruzione della cittadinanza attiva.

Una costruzione e una costruzione lenta, inesorabile, difficile, inflessibile, quotidiana, che coinvolge tutti e ciascuno. Un agire – la pace è azione, non immobilismo o indifferenza – che trasforma “l’utopia” in concretezza. Noi sappiamo esattamente cosa fare. Sappiamo che la guerra è effetto, non causa. Vuol dire che arriva là dove diritti umani, libertà, equa distribuzione del reddito restano lettera morta.

In tutto questo il ruolo dell’informazione è fondamentale. Credo, con tutta la prudenza del caso, che lo sviluppo della rete abbia portato benefici abbattendo costi, pigrizie e creando buona informazione. Si sono moltiplicate le testate impegnate nel diffondere cultura della pace e nel dare notizie precise di ciò che accade nel Pianeta. L’informazione poi si è moltiplicata nelle occasioni pubbliche di incontro, stimolando curiosità e interesse.

Consideriamo normalità la guerra e questo è semplicemente stupido. È come se considerassimo normale vivere ammalati, , con qualche momento eccezionale in cui siamo sani

Qual è il ruolo del movimento pacifista in tutto ciò?
Altrettanto importante però è il lavoro “pratico”, creato da gruppi, associazioni e ONG pronte ad operare sul campo, sia intervenendo nelle emergenze e nella salvaguardia reale del diritto umanitario, sia operando nei territori per far crescere la cittadinanza consapevole, legando i principi del consumo responsabile, della crescita sostenibile, del rispetto dell’ambiente e dei diritti alla grande partita nella costruzione quotidiana della Pace. Nei fatti, oggi possiamo probabilmente contare su una rete operativa e consapevole molto più presente e solida di trent’anni fa. Magari è meno appariscente.

La militanza si manifesta molto meno nella partecipazione alla protesta in piazza, ma è forte e la troviamo nella piccola, ma diffusa e responsabile azione quotidiana. Abbiamo conoscenza, strumenti e voglia di cambiare le cose. È essenziale smetterla di pensare sia impossibile. È fondamentale mettersi alle spalle le grida e gli slogan di chi sguaina la spada e grida alla guerra come “inevitabile”. La storia non è non sarà dalla loro parte. Non per bontà. Semplicemente per intelligenza.

L’articolo è stato pubblicato su Unimondo il 12 maggio 2023

Foto di Kiều Trường da Pixabay

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Pace e giustizia: diritti dei detenuti – diritti umani

Raccolta fondi

ADVANCING EQUAL JUSTICE AND HUMAN RIGHTS IS OUR GOAL – HELP THE MEMBERS OF THE ITALIAN COALITION KEEP UP THE GOOD WORK!
 
Human rights work depends on the voluntary efforts and goodwill of activists and concerned citizens.
 
When the Italian Coalition was founded in 1997, the founding members decided that all the members of the association – including themselves – should be unpaid volunteers, which means that nobody has ever received and won’t ever receive money for their work on the national territory (and abroad).
Until not long ago, we were able to self-finance our trips to the USA. But sadly today, as a consequence of the financial and economic crisis in our country, the war, the pandemic, the lack of work and the lack of regional, state, and private funding, we are forced to seek help, because unfortunately we are no longer able to finance this kind of projects by our own efforts and means only.
Hence the need for collecting funds in order to continue to effectively achieve the positive results that we have been achieving for so many years, which have undoubtedly helped raise awareness and educate the public on crime prevention and on what can and should be done to stay human even in a violent society.
The goal that we would like to achieve is a trip to Texas in the last two weeks of August 2023 to visit some prisoners detained in the Allan B. Polunsky Unit in Livingston.
 

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E’ tempo di dispiegare gli strumenti della ragione anziché le armi della follia

Note su un anno di guerra in Ucraina e nelle nostre menti, in dialogo con Edgar Morin

di Pasquale Pugliese

Già in tempi cosiddetti normali, è predominante
la conoscenza compartimentata e decontestualizzata.
Quando imperversa l’isteria fanatica o l’isteria di guerra,
essa diventa sovrana e provoca l’odio di ogni conoscenza complessa
e di ogni contestualizzazione.

(Edgar Morin, Di guerra in guerra)

Per fare riflessioni dotate di senso in occasione di questo primo anno dall’invasione russa dell’Ucraina, tra le tante pubblicazioni uscite, suggerisco anche la lettura di un libretto tanto denso quanto essenziale, ossia di “Di guerra in guerra” (Raffaello Cortina, 2023), che raccoglie le riflessioni di Edgar Morin sulla guerra, il quale nella sua lunga vita (101 anni e una chiarezza di analisi e visione inarrivabili dalla maggior parte degli “analisti” che da dodici mesi ripetono su tutti i media il mantra del circolo vizioso più armi-più guerra-più armi) ha partecipato attivamente alla resistenza contro il nazifascismo ed ha osservato con sguardo lucido le tante guerre che da allora hanno tragicamente contrassegnato il mondo contemporaneo. E’ una lettura che aiuta a uscire da alcuni dei principali vizi interpretativi della nuova guerra in corso in Europa, che continuano a determinare irresponsabili scelte politiche e militari da parte dei governi europei e statunitense per rispondere all’ingiustificabile invasione russa: l’isteria di guerra, il presentismo decontestualizzante, l’illusione della vittoria. Sono questioni che più volte abbiamo messo a fuoco nei mesi passati – dall’interno del movimento per la pace – ma che è necessario rilanciare, anche con l’autorevole legittimazione fornita dal grande filosofo francese.

L’isteria di guerra ha come scopo la necessità di instillare la guerra nelle menti, ha come effetto la semina dell’odio per la parte avversa, necessaria e legittimare l’uso crescente della violenza contro i “nemici” passando anche attraverso l’identificazione dei popoli con i rispettivi governi. E’ la caratteristica culturale che attraversa tutti i fronti di tutte le guerre ed è alimentata dalle rispettive propagande di guerra. Anche da quella dalla parte giusta del conflitto: Morin ricorda, a questo proposito, i bombardamenti a tappeto degli Alleati sulle città tedesche, per esempio su Dresda rasa al suolo, e le atomiche USA su Hiroshima e Nagasaki, che colpivano scientemente la popolazione civile, come “crimini di guerra sistemici”, prima legittimati dalla propaganda e poi rimossi dalla coscienza dei vincitori. “Ogni guerra, per sua natura” – scrive Morin – “per l’isteria alimentata dai governanti e dai media, per la propaganda unilaterale e spesso menzognera, comporta una criminalità che va al di là dell’azione strettamente militare”. E’ quanto rilevava per esempio il politico pacifista inglese Arthur Ponsonby dopo la prima guerra mondiale analizzando le “bugie in tempo di guerra” diffuse dalla propaganda di tutti i governi in conflitto. La storica belga Anne Morelli ha recuperato quel testo e ne ha fatto un una verifica alla luce delle guerre successive, fino all’aggressione militare USA dell’Iraq del 2003, nelle quali tutti i “Principi elementari della propaganda di guerra” (Ediesse, 2005) risultano confermati, ripetuti e adattati ai diversi contesti, per convincere le opinioni pubbliche tendenzialmente pacifiste dei rispettivi paesi (come quella italiana nella guerra in corso). Le guerre hanno degli enormi costi sia umani che economici e per esse bisogna essere disponibili a uccidere, a morire e ad aumentare le spese militari a discapito di quelle civili e sociali: per questo è necessario mettere in campo gli specifici meccanismi comunicativi di persuasione, che si ripropongono, guerra dopo guerra, attraverso sistemi mediatici sempre più sofisticati, pervasivi e persuasivi. Ecco l’elenco dei dieci principi elementari di propaganda di guerra, riproposti ossessivamente anche nell’ultimo anno – oltre che sui media russi – con le relative variazioni sul tema, anche sui democratici media occidentali: non siamo noi a volere la guerra (ma siamo costretti a prepararla e, se necessario, a farla); i nemici sono i soli responsabili della guerra; il nemico ha l’aspetto del demonio o del male assoluto (salvo averci fatto affari fino a poco prima); noi difendiamo una causa nobile, non i nostri interessi; il nemico provoca volutamente delle atrocità, i nostri sono involontari effetti collaterali; il nemico usa armi illegali (noi rispettiamo le regole); le perdite del nemico sono imponenti, le nostre assai ridotte; gli intellettuali, gli artisti (i giornalisti) sostengono la nostra causa; la nostra causa ha un carattere sacro (letterale o metaforico); quelli che mettono in dubbio la propaganda sono dei traditori. Quante volte abbiamo sentito – e sentiamo ancora – queste formule, diversamente e ripetutamente declinate, invece di analisi capaci di entrare ed affrontare con consapevolezza e responsabilità l’estrema complessità e pericolosità della tragedia della guerra in corso?

Il presentismo, l’assenza di contestualizzazione e di visione prospettica, narra la guerra come se si svolgesse attraverso istantanee che non hanno né con-cause passate né con-seguenze future: un eterno presente, rispetto al quale si disconoscono anche le più elementari regole del pensiero complesso, dall’equilibrio delicato del sistema delle relazioni internazionali – “il battito d’ali di una farfalla in Brasile può generare un uragano in Texas” (Edward Lorenz) – alle dinamiche di escalation dei conflitti – “condotta delle operazioni belliche caratterizzata da un aumento progressivo e graduale nell’impiego delle armi e nell’estenione delle misure militari, sotto il controllo dell’autorità politica” (enciclopedia Treccani). “La guerra fra l’invasore e l’invaso” – annota ancora Edgar Morin – “non si può isolare dai suoi antecedenti e dai suoi contesti storici e geopolitici, né, a fortiori, dalle relazioni tra Stati Uniti e Russia”. Per comprendere le ragioni di quanto avvenuto a partire dal 24 febbraio 2022 con l’invasione russa dell’Ucraina e in questo anno che ci separa da quella data – consapevoli che “è una debolezza intellettuale estremamente diffusa pensare che la spiegazione sia una giustificazione” (Edgar Morin, Twitter, 21 marzo 2022)  è necessario tornare indietro non solo al 2014, quando avvenne la cosiddetta rivoluzione del Maidan (o colpo di stato, a seconda della prospettiva), con le conseguenti occupazione della Crimea da parte della Russia e ribellione e repressione delle repubbliche separatiste russofone e russofile da parte del governo ucraino, ma ancora indietro all’implosione del sistema di relazioni internazionali con la fine della “guerra fredda”, di cui il conflitto in corso è un ulteriore effetto. Quando – grazie alla saldatura dei movimenti pacifisti occidentali con i movimenti per la democrazia dei paesi dell’Est e il disarmo unilaterale voluto dal presidente Michail Gorbacëv (morto, sostanzialmente dimenticato da tutti, sei mesi dopo l’invasione russa dell’Ucraina) – furono abbattuti muro di Berlino e “cortina di ferro” ed ebbe termine la lunga guerra fredda, ma non fu costituto quell’ordine globale fondato sulla cooperazione e l’interdipendenza egualitaria e pacifica che Gorbacëv aveva teorizzato e attivamente promosso, per un’Europa unita dall’Atlantico agli Urali. Le conseguenze della fine della guerra fredda, nonostante generassero enormi rivolgimenti che hanno dato un nuovo assetto all’Europa, non essendo esito di una vittoria militare – anzi, sfuggendo al paradigma bellico come motore della storia – non sono state sancite da alcuna Conferenza di pace ma solo da accordi verbali, man mano, nel tempo disattesi. Il 6 febbraio del 1992, già premio Nobel per la pace ma ormai estromesso dal potere del suo paese, su La Stampa di Torino Gorbacëv scriverà: “Il presidente George Bush ha ripetuto che gli Stati Uniti hanno vinto la guerra fredda. Vorrei rispondere così: rimanendo per anni nel clima della guerra fredda, tutti hanno perduto. E oggi, quando il mondo ha saputo liberarsi di quel clima, tutti hanno vinto”. E invece le speranze di Gorbacëv sono state tradite e la fine di quella guerra non ha costruito visioni e strategie di pace ma una narrazione di “vittoria” di una parte che ha costruito strategie di nuove guerre, calde e fredde: “di fatto, negli anni Novanta cominciò una dialettica infernale in cui ciascuno dei due partner si sentì minacciato e si fece minaccioso”, sintetizza Morin. E, nel nuovo secolo, dopo le aggressioni USA di Afghanistan e Iraq siamo all’aggressione russa dell’Ucraina.n questo quadro l’illusione di poter perseguire la “vittoria” militare, anziché la pace, all’interno di un contesto dominato dall’arsenale nucleare dei “due imperialismi” (Morin) che si fronteggiano in Ucraina, porta con sé la fine della ragione oltre che potenzialmente dell’umanità. ”Nel 1945 è iniziata una nuova era con la minaccia di morte dell’umanità” – scrive Morin – “minaccia che è continuamente accresciuta dalla proliferazione di armi nucleari, dalla loro sofisticazione e dal loro possibile utilizzo qualora l’escalation continui ad aggravare e ad amplificare la guerra d’Ucraina”. Gravissimo rischio che stiamo correndo come mai prima d’ora, del quale siamo stati avvisati anche poche settimane fa dagli scienziati atomici che hanno posizionato le lancette dell’Orologio dell’Apocalisse a soli 90 secondi dalla mezzanotte nucleare – mentre nella fase del disarmo voluto da Gorbacëv avevamo raggiunto la maggiore distanza di sicurezza mai rilevata nell’epoca nucleare – e pochi giorni fa dal Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres: “siamo al più alto rischio da decenni di una guerra nucleare che potrebbe iniziare per caso o per scelta. Il cosiddetto uso “tattico” delle armi nucleari è assurdo. I paesi dotati di armi nucleari devono rinunciare all’uso di queste armi irragionevoli, sempre e ovunque” (Twitter, 8 febbraio 2023). Invece la rinuncia alle armi nucleari, come la rinuncia all’uso della guerra per la “risoluzione delle controversie internazionali” – sancita solennemente dalla Costituzione italiana – come la ricerca negoziale della pace sono stati banditi dal discorso pubblico sulla guerra che, ormai, parla esclusivamente di “vittoria”. Ossia dell’illusione di vittoria (perfino il Capo di stato maggiore statunitense, generale Mark Milley ha ammesso che “nessuno può vincere la guerra”) rincorrendo la quale, attraverso la continua intensificazione, da entrambe le parti, dell’invio e dell’uso di armi sempre più distruttive, l’esito inevitabile sarà la sconfitta totale non solo di ucraini e russi, ma – almeno – di tutta l’Europa. “Più la guerra si aggrava, più la pace è difficile e più è urgente. Evitiamo una guerra mondiale. Sarebbe peggio della precedente”, conclude Edgar Morin. Per farlo, come indica la maggioranza dei cittadini italiani che ribadiscono – sondaggio dopo sondaggio – la contrarietà all’ingaggio militare del nostro paese, ignorati da quasi tutti i partiti che siedono in parlamento (con grave danno per la democrazia, come si è visto anche con il crollo di partecipazione alle ultime elezioni) è necessario attingere ai saperi della nonviolenza e dei facitori di pace. Quelli che da sempre indicano e praticano le vie alternative alla guerra per affrontare i conflitti. Dispiegando finalmente gli strumenti della ragione, anziché le armi della follia.

L’articolo è stato pubblicato sul sito di Pasquale Pugliese il 19 febbraio 2023

Foto di Natalie da Pixabay 

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Discorso di Roger Waters al Consiglio di Sicurezza dell’ONU

di  
traduzione di Anna Polo

Roger Waters, cofondatore dei Pink Floyd, è intervenuto alla riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) tenutasi mercoledì 8 febbraio 2023 a New York.

Signora/Signor Presidente, Eccellenze, Signore e Signori.

Mi sento profondamente onorato di avere questa singolare opportunità di rivolgermi oggi alle vostre Eccellenze. Grazie alla vostra pazienza, cercherò di esprimere quelli che ritengo essere i sentimenti di innumerevoli nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo, sia qui a New York che oltreoceano. Li inviterò in queste sale sacre per dire la loro.

Siamo qui per considerare le possibilità di pace nell’Ucraina dilaniata dalla guerra, soprattutto alla luce del crescente volume di armi che arrivano in questo infelice Paese. Ogni mattina, quando mi siedo al mio computer, penso ai nostri fratelli e sorelle, in Ucraina e altrove, che senza alcuna colpa si trovano in circostanze terribili e spesso mortali. Laggiù, in Ucraina, possono essere soldati che affrontano un’altra giornata mortale al fronte, o madri o padri che si pongono l’atroce domanda di come possono sfamare i figli, o civili che sanno che oggi la luce si spegnerà di sicuro, come accade sempre nelle zone di guerra, che non c’è acqua corrente, che non c’è carburante per la stufa, che non ci sono coperte, ma solo filo spinato e torri di guardia e muri e ostilità. Oppure possono trovarsi in gravi difficoltà qui, in una città grande e ricca come New York. Forse, in qualche modo, per quanto abbiano lavorato duramente per tutta la vita, hanno perso l’equilibrio sul ponte scivoloso e inclinato della nave capitalista neoliberista che chiamiamo vita in città e sono caduti in mare, finendo per annegare. Forse si sono ammalati, o forse hanno contratto un prestito studentesco, forse hanno saltato un pagamento, i margini sono sottili, chi lo sa, ma ora vivono per strada sotto un mucchio di cartone, forse anche in vista di questo edificio delle Nazioni Unite. In ogni caso, ovunque si trovino, in tutto il mondo, zone di guerra o meno, insieme costituiscono una maggioranza, una maggioranza senza voce. Oggi cercherò di parlare per loro.

Noi popoli vogliamo vivere. Vogliamo vivere in pace, in condizioni di parità che ci diano la possibilità reale di prenderci cura di noi stessi e dei nostri cari. Siamo grandi lavoratori e siamo pronti a lavorare sodo. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è una giusta opportunità dopo cinquecento anni di imperialismo, colonialismo e schiavitù.

In ogni caso, vi prego di aiutarci.

Per aiutarci dovrete considerare la nostra situazione e per farlo dovrete distogliere per un attimo lo sguardo, mettendo momentaneamente da parte i vostri obiettivi. A proposito, quali sono i vostri obiettivi? E qui forse rivolgo le mie domande più ai cinque membri permanenti di questo Consiglio. Quali sono i vostri obiettivi? Cosa c’è nella pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno? Maggiori profitti per le industrie belliche? Più potere a livello globale? Una fetta più grande della torta globale? La Madre Terra è una torta da divorare? Una fetta più grande della torta non significa forse che ne resterà meno per tutti gli altri? E se oggi, in questo luogo di sicurezza, guardassimo in un’altra direzione, per esempio alla nostra capacità di empatia, di metterci nei panni degli altri, come, per esempio, in questo momento, nei panni di quel ragazzo dall’altra parte di questa stanza, o anche nei panni della maggioranza senza voce, ammesso che abbia dei panni con cui coprirsi?

La maggioranza senza voce è preoccupata che le vostre guerre, sì, le vostre guerre, perché queste guerre perpetue non sono una nostra scelta, che le vostre guerre distruggeranno il pianeta che è la nostra casa, e insieme a ogni altro essere vivente saremo sacrificati sull’altare di due cose, i profitti della guerra per riempire le tasche di pochi, pochissimi, e la marcia egemonica di qualche impero o altro verso il dominio mondiale unipolare. Per favore, rassicurateci che questa non è la vostra visione, perché non c’è alcun risultato positivo su questa strada. Quella strada porta solo al disastro, tutti hanno un pulsante rosso nella loro valigetta e più andiamo avanti, più le dita pruriginose si avvicinano a quel pulsante rosso e più ci avviciniamo tutti all’Armageddon. Guardate dall’altra parte della stanza, a questo livello siamo tutti nella stessa situazione.

Torniamo all’Ucraina. L’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa è stata illegale. La condanno nei termini più forti possibili. Non si può dire però che non ci sia stata una provocazione dietro a questa invasione, quindi condanno anche i provocatori nei termini più forti possibili. Ecco, mi sono tolto il pensiero.

Quando ieri ho scritto questo discorso, ho incluso un’osservazione sul fatto che il potere di veto in questo Consiglio si trova solo nelle mani dei suoi membri permanenti. Temevo che ciò fosse antidemocratico e rendesse impotente questo Consiglio, come una bocca senza denti… Stamattina ho avuto una rivelazione… SENZA DENTI! Forse per certi versi è una buona cosa… Forse posso aprire la mia grande bocca a nome di chi non ha voce senza che mi venga staccata la testa a morsi… Che bello! Stamattina ho letto sul giornale che un diplomatico anonimo ha detto: “Roger Waters parla al Consiglio di Sicurezza? E poi chi arriverà? Mr Bean! Ah! Ah! Ah!” Per chi non lo sapesse, Mr Bean è un personaggio inetto di una serie televisiva comica inglese. Quindi il diplomatico anonimo è un inglese! Ah! Ah! Ah! Anche a lei, signore!

Ok, credo sia giunto il momento di presentare mia madre, Mary Duncan Waters, che ha avuto una grande influenza su di me; era una maestra, dico era perché è morta da quindici anni. Anche mio padre, Eric Fletcher Waters, ha avuto una grande influenza su di me; anche lui è morto, è stato ucciso il 18 febbraio 1944 ad Aprilia, vicino alla testa di ponte di Anzio, in Italia, quando avevo solo cinque mesi, quindi ne so qualcosa di guerra e di perdite. Comunque, torniamo a mia madre. Quando avevo circa tredici anni stavo lottando con qualche problema adolescenziale o altro cercando di decidere cosa fare, non importa cosa fosse, non riesco comunque a ricordarlo, ma mia madre mi fece sedere e mi disse: “Ascolta, ti troverai di fronte a molti problemi difficili nel corso della tua vita e quando lo farai ecco il mio consiglio: Leggi, leggi, leggi, scopri tutto quello che puoi su qualunque cosa, guardala da tutti i lati, da tutte le angolazioni, ascolta tutte le opinioni, specialmente quelle con cui non sei d’accordo, fai una ricerca approfondita, quando l’avrai fatto avrai concluso tutto il lavoro pesante e la parte successiva sarà facile. Ok mamma, qual è la parte più facile? Oh, la parte più facile è che devi solo fare la cosa giusta”. Hmm!

Parlare di fare la cosa giusta mi porta ai diritti umani.

Noi, il popolo, vogliamo diritti umani universali per tutti i nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo, indipendentemente dalla loro etnia, religione o nazionalità. Per essere chiari, ciò include, ma non si limita, al diritto alla vita e alla proprietà secondo la legge, per esempio per gli ucraini e per i palestinesi. Sì, lasciatevelo dire. E ovviamente per tutti gli altri. Uno dei problemi delle guerre è che in una zona di guerra o in qualsiasi altro luogo in cui la popolazione vive sotto occupazione militare, non c’è ricorso alla legge, non ci sono diritti umani.

Oggi ci occupiamo della possibilità di pace in Ucraina, con particolare riferimento all’invio di armi al regime di Kiev da parte di terzi.

Non ho più molto tempo, quindi,

Cos’hanno da dire i milioni di persone senza voce?

Dicono:

Grazie per averci ascoltato oggi

Siamo i molti che non partecipano ai profitti dell’industria bellica.

Non alleviamo volontariamente i nostri figli e le nostre figlie

per fornire carne da macello ai vostri cannoni.

Secondo noi

L’unica linea d’azione sensata oggi

è chiedere un immediato cessate il fuoco in Ucraina.

Senza se, senza ma e senza e.

Non una sola altra vita ucraina o russa deve essere sacrificata.

Non una.

Sono tutte preziose ai nostri occhi.

È quindi giunto il momento di dire la verità al potere. Vi ricordate tutti la storia del re nudo? Certo che sì. Ebbene, i leader dei vostri rispettivi imperi sono, in un modo o nell’altro, nudi davanti a noi. Abbiamo un messaggio per loro. È un messaggio da parte di tutti i rifugiati in tutti i campi, un messaggio da tutte le baraccopoli e le favelas, un messaggio da parte di tutti i senzatetto, in tutte le strade fredde, da tutti i terremoti e le alluvioni sulla terra. È anche un messaggio da parte di tutte le persone che non muoiono di fame, ma che si chiedono come fare perché la miseria che guadagnano possa coprire il costo di un tetto sopra la testa e del cibo per le loro famiglie. La mia madrepatria, l’Inghilterra, grazie a Dio, non è più un Impero, ma in quel Paese ora c’è un nuovo tormentone: “Mangiare o riscaldarsi?” Non si possono fare entrambe le cose. È un grido che riecheggia in tutta Europa.

A quanto pare, l’unica cosa che le potenze pensano che possiamo permetterci è la guerra perpetua. Una follia…

Quindi, da parte dei circa quattro miliardi di fratelli e sorelle di questa maggioranza senza voce che, insieme ai milioni del movimento internazionale contro la guerra, rappresentano un enorme collegio elettorale, diciamo basta! Chiediamo un cambiamento.

Presidente Biden, Presidente Putin, Presidente Zelensky,

USA, NATO, RUSSIA, L’UE, TUTTI VOI.

PER FAVORE, CAMBIATE ROTTA ORA,

ACCETTATE UN CESSATE IL FUOCO IN UCRAINA OGGI STESSO.

Questo, ovviamente, sarà solo il punto di partenza, ma tutto si estrapola da quel punto di partenza. Immaginate il sospiro di sollievo collettivo a livello mondiale. L’esplosione di gioia. L’unione internazionale delle voci che cantano in armonia un inno alla pace! John Lennon che agita il pugno dalla tomba. Finalmente siamo stati ascoltati nei corridoi del potere. I bulli nel cortile della scuola hanno accettato di smettere di giocare con il pericolo atomico. Alla fine non moriremo tutti in un olocausto, o almeno non oggi. Le potenze sono state convinte ad abbandonare la corsa agli armamenti e la guerra perpetua come loro modus operandi. Possiamo smettere di sperperare tutte le nostre preziose risorse nella guerra. Possiamo nutrire i nostri figli, possiamo tenerli al caldo. Potremmo persino imparare a cooperare con tutti i nostri fratelli e sorelle e persino salvare il nostro bellissimo pianeta dalla distruzione. Non sarebbe bello?

Eccellenze,

vi ringrazio per la vostra pazienza.

Roger Waters

Foto di Jethro da Wikipedia

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 9 febbraio 2023

L’articolo originale in lingua inglese lo trovate qui

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