CATASTROFISTI E POSSIBILISTI
(Un eterno confronto tra chi si lascia trascinare dagli eventi e chi invece prova a fare qualcosa per cambiarli)
Da grande sarei voluto rimanere come da ragazzo, potenzialmente aperto ad ogni possibilità. Questo era, ed è rimasto tuttora, il mio più vivo desiderio. D’altra parte, tutto incoraggiava a poter mantenere questo atteggiamento positivo e propositivo, dalle parole di elogio pronunciate in ogni occasione dagli amici per il mio modo di condurmi, alle azioni compiute per mettere in pratica quello che era stato enunciato in teoria, fino agli attestati di stima e di solidarietà provenienti da ogni parte, per tutte le volte che mi mostravo disponibile al confronto con gli altri e con il futuro. Il mio possibilismo era universalmente conclamato, accompagnato ogni volta da riconoscimenti e apprezzamenti che mi invitavano a mantenere ben salda la rotta, senza deviarne minimamente, quasi fossi considerato unastella polare per la linea di condotta degli altri. Col passare del tempo, mi rendevo conto di quanta fatica cominciasse a costarmi mantenere quella rotta, continuare a rimanere possibilista, malgrado il duro quotidiano confronto con la realtà mi spingesse verso altre direzioni. Quello che accadeva intorno a me non faceva ben sperare chepotessi rimanere ancora a lungo su quella strada, ormai solo apparentemente tracciata, ma in realtà ancora tutta da tracciare. Intanto, però, i possibilisti che mi avevano accompagnato lungo quel cammino cominciavano a diradarsi, come foglie d’autunno, incalzati e sopraffatti dal turbine della realtà.
Man mano che i giorni passavano, mi accorgevo di essere sempre più isolato, perché molti avevano ceduto e si erano ritrovati a far parte della folla dei catastrofisti. “Come va?”, chiedevo di tanto in tanto a qualcuno. “Male, male! Va tutto male!”, era l’inevitabile risposta che mi giungeva. Quando, però, si trattava di entrare nei particolari, si finiva per scoprire che, infine, così male non stava andando, intanto perché, a differenza di altri che ci avevano accompagnato per un lungo tratto, noi eravamo ancora lì a poterci lamentare e a ricordare le figure e le vicende degli assenti. “Da quando mi stancai di cercare, cominciai a trovare”, mi ripetevo mentalmente come un mantra, e dovevo in effetti riconoscere che era vero. La catastrofe, nella maggior parte dei casi, nasceva proprio dalla furia della ricerca di un qualcosa che non si riusciva a trovare, pur investendo tempo e denaro, soprattutto denaro, in quella impresa. Denaro speso in serate trascorse a stordirsi con musica e alcool, sperando di riuscire ad osservare la realtà sotto un altro nuovo aspetto, oppure in lunghi ed estenuanti viaggi, per cercare di tenersi lontano da quella realtà che continuava a provocare in ciascuno un così pesante turbamento. Ogni volta che ci si riprendeva dallo stordimento o si rimetteva piede sul suolo natio, però, ritornava quella sensazione dolorosa di scoraggiamento, che continuava a far vedere un presente sconfortante e un futuro ancora più nero.
Passati i primi dieci minuti, in cui era ancora vivo e presente il disorientamento euforico, causato dal temporaneo cambiamento di stato o di luogo, ognuno riprendeva a lamentarsi della propria vita e di quel mondo che lo circondava. L’eco di quei “Male, male, va tutto male!” tornava a risuonare nell’aria come il lamento di una generazione moribonda e ormai senza più via di scampo. Che fare, a questo punto? Continuare lungo la stessa strada, sempre più soli e sempre più stanchi? O cominciare a pensare a qualche forma di cambiamento? Le litanie e i cori dei catastrofisti giungevano alle orecchie da ogni direzione, fino al punto da contagiare gli amici più stretti e persino i familiari. Quando, però, si trattava di scendere nei dettagli, specificando cos’era che andasse “Male, male, tutto male”, nessuno riusciva ad essere particolarmente preciso. Si trattava per lo più di sensazioni, forse anche del fatto che, con l’avanzare dell’età, certamente molti compagni di strada avevano cominciato a mancare, altri iniziavano a cedere, ma per il resto non c’era poi così tanto da lamentarsi. Alla fine, ci si era soltanto uniti al coro dei più, perché il ruolo del catastrofista è meno faticoso da sostenere. Al possibilista, invece, è sempre richiesto di indicare direzioni da prendere, mete da raggiungere, sapendo già egli stesso che raggiungerle sarà possibile, ma non sempre certo. A quel punto, quando la meta agognata e profetizzata non apparirà all’orizzonte, tornerà a levarsi il coro dei catastrofisti e quel “Male, male, va tutto male!” finirà per diventare l’enorme buco nero che inghiottirà al suo interno anche l’ultimo dei possibilisti.
© Sergio Tardetti 2025
Foto di Pete Linforth da Pixabay
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