Sergio Tardetti

Collezionisti di nuvole

DOMENICA

di Sergio Tardetti

Potrebbe sembrare un giorno qualunque, se non fosse per la pretesa di volersi divertire ad ogni costo. Sole o pioggia, estate o inverno, la domenica è fatta così, per divertirsi. Finita la semplice intenzione di riposare, si va a cercare intorno una qualunque occasione di svago, vera o presunta che sia. Partono le carovane di auto che si snodano in lunghe code su per i tornanti montani, che si accavallano a grandi ondate sulle autostrade e superstrade dirette al mare, che si spandono a grandi macchie roventi nei parcheggi, consentiti e non, dislocati intorno alle località dove tutti vanno, appunto, per divertirsi. A questo punto verrebbe da pensare che ormai il più sia fatto e che, dopo tanto strazio e sudore, la vita finalmente possa diventare davvero un divertimento. L’illusione, però, dura al massimo un paio di minuti, il tempo di scendere dall’auto, guardarsi intorno e cominciare a cercare. Cosa si cerca? Via, lo sappiamo tutti! Un posto tranquillo, per riposarsi dalle fatiche del viaggio e illudersi di essere arrivati fuori dal mondo. Invece, sembra che tutto il mondo si sia dato appuntamento proprio qui, perché la gente sembra preferire lo stare in mezzo ad altra gente piuttosto che da sola. Da soli cosa si può fare, se non si è abituati alla solitudine? Così, per evitare di essere assaliti da quel nodo alla gola che alcuni chiamano tristezza, altri invece ansia, si preferisce tornare ad imprecare per l’impossibilità di trovare un parcheggio, per la difficoltà di sedere a tavola per un pasto di qualunque genere, per l’eccessivo chiasso che fa tutta quella gente che, non si sa bene per quale motivo, ha deciso di venirti dietro in quell’unico posto tranquillo che frequentavi da quando eri bambino. Dimenticando, però, che quando tu eri bambino, tutta quella gente non poteva arrivare fino a lì, a quel posto segreto e nascosto che solo tu e pochi altri conoscevate. Adesso non ci sono più posti segreti e tranquilli, nemmeno in cima alle montagne del Nepal, perché tutti vogliono andarci, anche chi non può o non potrebbe. Dove sono andate a finire quelle belle domeniche d’ozio? Sdraiati sull’erba tenera di un prato, o su un asciugamano appena umido, steso sulla sabbia rovente, ce ne stavamo immobili, a volte anche per ore intere, a osservare le nuvole che si fermavano sopra di noi, come a volerci osservare a loro volta. E quel loro continuo mutare di forme, quanto ci affascinava? Da bambini giocavamo a dare un nome a quelle forme, e ridevamo ogni volta che qualcuno di noi trovava un nome strano per qualche strana nuvola. Oggi, chi si ferma più a guardare il cielo? Sta lì da così tanto tempo che sembra scontato che continui a rimanerci e che lo troveremo identico anche il giorno dopo, e due giorni dopo, e chissà ancora per quanto. Almeno la domenica servisse a questo, a riappacificarsi con l’universo! Macché, niente di tutto questo. Impegnati come siamo a guardare dove mettere i piedi, continuiamo a fissare la terra, lasciando al cielo il suo unico compito, quello di esserci. Poi, ad un tratto, quasi senza preavviso, il cielo comincia a scurirsi, l’aria si fa più fresca, perfino più fredda, e così tutti, ma proprio tutti, decidiamo di risalire nelle nostre auto e, dopo esserci finalmente districati dal groviglio del traffico, riprendiamo la strada verso casa, provando a capire nel frattempo se, almeno quel giorno, ci siamo veramente divertiti. Perché domani è lunedì.

© Sergio Tardetti 2023

Foto di Nile da Pixabay

RICORDO DI ESULE

di Sergio Tardetti
 
Nel Giorno del Ricordo, pensando ai tanti che hanno dovuto lasciare tutto, portando con sé solo sé stessi e i propri ricordi…
 
 
Zara, mi disse, è la città della mia infanzia
Non saprei dire perché, mi commosse
Quella parola, infanzia. Immaginavo
 
Vicende dolorose, incerto stanco vagare
Da una città ad un’altra, finché un giorno
Approdi a un luogo che puoi chiamare casa
 
E lì pianti radici, cresci, esisti, fruttifichi
E il tuo tronco si fa ogni giorno più forte
E le generazioni di ogni tempo affollano
 
Certe tue stanze vuote e silenziose
Dove trascorri nell’ombra quei momenti
Dolorosi dell’anima, al ricordo di quando
 
Zara era ancora la tua città, il tuo mondo
Lasciato indietro, insieme alla tua infanzia
 
 
© Sergio Tardetti 2023
 
 
Foto di pubblico dominio

UNA MATTINA QUALUNQUE

di Sergio Tardetti

Capita, una mattina qualunque, di guardarsi intorno e immaginare come sarà il mondo, quando. E’ su questo “quando” che indugia sovente il pensiero, proponendo ipotesi e situazioni che a volte non includono la necessità della nostra presenza, piuttosto tendono ad escluderla. Nei quando atemporali c’è sempre modo di collocare tutto e tutti, ad esclusione di noi stessi, perché i “quando” contemplano giorni piuttosto lontani dall’oggi. Sterile esercizio, direbbe qualcuno particolarmente materialista, come lo definisco io, oppure particolarmente animato da senso pratico, come si definirebbe lui. Il fatto è che immaginare è uno degli esercizi mentali che preferisco e che in questi tempi sembra piuttosto accantonato. Credo di averlo fatto da sempre, fin da bambino, come quasi certamente la stragrande maggioranza dei miei coetanei, ancora completamente all’oscuro delle costrizioni a cui ci avrebbe sottoposto, in un futuro non troppo remoto, la cosiddetta educazione. Questa parola, dai molteplici significati e sfumature, finiva sempre per coincidere con l’altra più temuta “istruzione”, capace senza dubbio di fornire gli strumenti per trasformare le cose immaginate in segni sulla carta e dare loro quella fisicità che, a parere di alcuni, avrebbe dovuto eternarle. A volte le cose immaginate si trasformavano in pensieri piuttosto che in oggetti, non sempre il desiderio attiene al possesso, a volte si incarna in qualcosa di non apprezzabile in senso stretto.
Così, in una mattina qualunque, ci si ferma a fantasticare, non troppo a lungo perché il tempo, come dicono quelli che prezzano tutto, è denaro e senza denaro non puoi comprare il tempo. La durata dell’operazione è anch’essa una durata qualunque, conseguenza della notevole diversità esistente, per nostra fortuna, tra le persone che popolano questa terra. E in qualche modo, dipende anche dal valore – e non dal prezzo – che le attribuiamo. E questo valore aumenta notevolmente tra le persone che non danno importanza al prezzo, non già perché siano ricche di loro, ma perché considerano il denaro una necessità, ma non un dovere. In quanto necessità, il denaro occorre per la vita quotidiana, ma c’è chi è convinto che lo scopo della vita non sia accumulare denaro, quindi non fare del denaro un dovere. Strano, vero? Eppure, ne conosco di persone che limitano il possesso di denaro a quanto basta per vivere con dignità, senza essere costretti a mendicare per poter disporre della soddisfazione almeno dei bisogni primari. Una mattina qualunque, capiterà a ciascuno di noi di dover riflettere in pochissimi istanti sul senso del nostro passaggio su questa terra e su cosa avremo lasciato e staremo lasciando in quel momento. Se lasceremo volti sorridenti e pensieri felici, allora saremo riusciti a sfuggire al dovere del denaro.
© Sergio Tardetti 2023

NEL FOLTO DELLE RIGHE

Considerazioni su un’opera di Aldo Merce “Non leggete tra le righe – meta esercizio di lettura”

di Sergio Tardetti

Ci fu un tempo in cui l’invito a leggere tra le righe veniva raccolto da pochi sceltissimi studiosi, che passavano ore e ore del proprio preziosissimo tempo per individuare in quel candido lucore significanti che fossero eventualmente sfuggiti a una prima lettura. Salvo poi scoprire che tra le righe c’era solo il bianco della pagina che fa da spazio tra una riga e un’altra.

Col tempo i pasdaran della lettura tra le righe hanno reiterato e potenziato i loro appelli, diventando via via sempre più insistenti e minacciosi, imponendo così il loro punto di vista, secondo il quale tra le righe c’era da scoprire molto di più che nelle singole righe. Così, tanto per compensare in qualche modo il tempo perso in questa sterile operazione, molti studiosi cominciarono a raccontare e a scrivere di apparizioni miracolose, scorte proprio lì dove l’ordine ricevuto e puntualmente eseguito non aveva poi dato i frutti sperati. Chi riuscì in questo modo a scoprire doppi e tripli significati ai significanti riportati nelle righe, qualcuno arrivò addirittura a individuare quadrupli significati.

Per puro spirito di emulazione, altri studiosi presero a cercare doppi e tripli sensi all’interno di quelli trovati dai loro colleghi, continuando questo genere di ricerche fino ai giorni nostri. Eppure, un modo di rompere questa catena, che rischiava di trascinarsi all’infinito, doveva pur esserci. E, in effetti, un modo c’è e ce lo dimostra Aldo Merce con la sua recentissima opera “Non leggete tra le righe – meta esercizio di lettura”. Il suo è un esplicito invito a desistere da quell’operazione – la lettura tra le righe, appunto – che, se condotta per troppo tempo e senza adeguati strumenti ottici – leggi occhiali – rischia di far perdere non solo il cervello ma anche la vista della gran parte degli studiosi. Se il problema è leggere tra le righe, ha pensato l’artista, allora una soluzione c’è: eliminare il “tra le righe”, lo spazio bianco che ormai da tempo viene lasciato, tradizionalmente per lunga abitudine, tra una riga e un’altra. Vedo già i tralerighisti agitarsi, li sento quasi gridare: impossibile! Impossibile, cosa? “Nihil difficile volenti” e nemmeno impossibile, basta volerlo. La soluzione? Scrivere le righe una attaccata all’altra, senza nessuno spazio in mezzo. Un’idea semplice, decisamente lapalissiana direi. E perché fino ad ora nessuno ci aveva pensato? Proprio perché i tralerighisti, il partito di chi proclama, impone, ordina la lettura tra le righe è potente, si è infiltrato in tutte le istituzioni e mai nessuno avrebbe osato opporsi ai loro diktat, votando una risoluzione che imponesse di annullare lo spazio tra le righe. Con evidente guadagno di spazio e risparmio di pagine, direi. E anche di tempo, perso da parte degli studiosi nei loro sterili tentativi di leggere tra le righe. Niente più “tra le righe”, nessuna tentazione di provare a leggervi lasciamo il “tra le righe” al suo destino. Lasciamo gli studiosi ad operazioni ben più fruttuose che non il leggere tra le righe, che ritornino finalmente al compito iniziale che si erano scelti, capire cosa c’è scritto nelle righe e ricercarne il significato, diffondere il verbo erga omnes. E’ bastato dunque il gesto anarchico di un artista, un moto di ribellione alle parole d’ordine, per far crollare un mondo che era rimasto in piedi inalterato per secoli. Le opere di Aldo Merce, artista capace di stimolare riflessioni su argomenti di solito considerati marginali da chi si occupa soltanto di “questioni importanti”, hanno sempre un alto contenuto di provocazione. Del resto, se così non fosse per un artista, la sua opera diverrebbe banale e scontata, cosa che non è certo proprio ciò che ci si attende dai veri artisti.
Quanto a me, lascio uno spazio bianco tra una riga e un’altra: legga tra le righe chi vuole e chi sa!

© Sergio Tardetti 2023