La marcia come azione nonviolenta di massa

Contro la normalizzazione della violenza

di Pasquale Pugliese

Nella storia della nonviolenza la marcia non è una passeggiata e neanche un pellegrinaggio: è un’azione nonviolenta di massa. Marciare insieme da Marzabotto a Monte Sole, luogo sacro alla memoria del nostro paese che vide l’eccidio nazista di popolazioni inermi, è un’azione nonviolenta contro la normalizzazione della violenza che oggi non vede il genocidio del governo israeliano contro le popolazioni inermi di Palestina. O, se lo vede – garantendo con falsa coscienza le cure a qualche bambino sopravvissuto allo sterminio della propria famiglia – non fa niente per fermare quel genocidio: anzi il nostro governo continua ad inviare armi al governo criminale di Netanyahu, rendendosi complice dello sterminio in corso.
La marcia è anche un’azione nonviolenta di massa contro la normalizzazione della guerra, che – dall’Europa al Mediorente, e spesso con gli stessi attori coinvolti, come il governo israeliano – ha nuovamente, tragicamente e pericolosamente, sostituito il diritto internazionale nella regolamentazione dei conflitti. Che non regolamenta ma dilata, approfondisce, perpetua.
Ed è un’azione nonviolenta di massa contro il riarmo, che nel folle ritorno della logica delle deterrenza produce conflitti armati quanto più prepara la guerra, spendendo in armamenti: ogni anno più del precedente si trasferiscono risorse dagli investimenti civili, sociali, sanitari alle spese militari – cioè ai profitti dell’industria bellica nazionale e internazionale – e ogni anno più del precedente aumentano i conflitti armati, le vittime civili, i profughi delle tante guerre. “Se vuoi la pace prepara la guerra” è la più subdola e illusoria delle menzogne, sempre smentita dalla storia: ogni riarmo ha prodotto nuove guerre, anche due guerre mondiali. Ed ora ricompone i pezzi della Terza. Se vogliamo la pace dobbiamo preparare la pace: non c’è alternativa, ovunque ed a tutti i livelli.

Inoltre la marcia è un’azione nonviolenta contro la logica di guerra, fondata sul dispositivo binario amico-nemico, che scatena le tifoserie e lacera e dilania, oltre i corpi di chi è colpito direttamente, la capacità di pensiero critico di chi giustifica e incita perfino al massacro. La guerra va decostruita nelle nostre teste, per poter essere abbandonata – definitivamente – tra i ferrivecchi, obsoleti, della storia. Sembrava avessimo fatto dei passi in avanti, almeno alle nostre latitudini, almeno con l’Articolo 11 della Costituzione, tanto antifascista quanto pacifista, ma stiamo riprecipitando velocemente nell’abisso.
Eppure le reti pacifiste, composte da organizzazioni impegnate per il disarmo e la nonviolenza, non hanno mai smesso di svolgere iniziative per tenere gli occhi aperti e preoccupati sulle guerre e sulla tragedia palestinese, dimenticata dal resto del mondo prima dell’attentato terrorista di Hamas del 7 ottobre 2023. Ma oggi – che quella tragedia assume mese dopo mese le dimensioni dell’orrore senza fine, condotto metodicamente dal governo israeliano con i bombardamenti, la fame, la sete, la deportazione – è necessario moltiplicare gli sforzi, guardare nell’abisso, chiamare le cose con il loro nome, svolgere azioni di solidarietà concreta con il popolo palestinese, interrompere tutte le collaborazioni militari, dirette e indirette, ad ogni livello con il governo israeliano.

Contemporaneamente, per dirla con Italo Calvino, occorre “cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”, a cominciare dagli obiettori di coscienza e dai disertori israeliani, dalle organizzazioni pacifiste israeliane represse dal loro governo, dai gruppi misti israelo-palestinesi che già adesso – dentro l’inferno – cercano faticosamente di tenere e ricostruire relazioni di riconoscimento, di riconciliazione, di convivenza. Nostri compagni di strada nella marcia dei popoli per la pace e la nonviolenza.

“Una marcia non è fine a se stessa, produce onde che vanno lontano”, diceva Aldo Capitini in occasione della prima Marcia della pace da Perugia ad Assisi. Partecipare oggi a questa azione nonviolenta di massa significa assumere impegni personali – non solo morali, ma politici e concreti – da portare nei rispettivi territori, come un’onda che si propaga e va lontano. Ogni guerra ha una filiera economica e culturale che la supporta, la prepara e la giustifica, che si dirama dal centro verso le periferie: il primo impegno da prendere è recidere la filiera, le collaborazioni, le giustificazioni. “A ciascuno di fare qualcosa”, diceva ancora Aldo Capitini ai partecipanti della Marcia del 1961. Ciascuno secondo le sue possibilità e responsabilità: nessuno si sottragga.


L’articolo è stato pubblicato su Comune-info il 18 giugno 2025

Testo dell’intervento alla marcia nazionale “Save Gaza” promossa il 15 giugno da Marzabotto a Monte Sole da Rete Italiana Pace e Disarmo, ANPI, Unione delle Comunità Islamiche d’Italia e molte altre realtà (pubblicato anche su un blog del fattoquotidiano.it). Pasquale Pugliese ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura

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Per celebrare il Bloomsday

sandwich al gorgonzola
  • C’è un sandwich al Formaggio?
  • Sì signore.

[…]

Magari qualche olive se l’hanno. Italiane, le preferisco. Buon bicchiere di borgogna; si porta via tutto. Lubrifica. Una bella insalata, fresca come un cetriolo.

[…]

  • Allora un sandwich al formaggio. Avete del gorgonzola?
  • Sì signore.

[…]

  • Senape, signore?
  • Grazie

ULISSE di James Joyce nella traduzione di Gianni Celati

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Bloomsday 2025

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In memoria di John Young e di Cryptome


di Denis Roio

Omaggio a John Young e a  Cryptome, il più antico progetto per la libertà di informazione in rete che non si è mai svenduto e non si è mai arreso

John Young è morto. Aveva ottantanove anni. La sua opera con Cryptome è eminente per molti di coloro che furono attivi agli albori delle reti digitali. Young assieme a sua moglie Deborah Natsios fu il cofondatore di Cryptome, un progetto che, per il sottoscritto e per altri, costituì un esempio precoce di attivismo in rete, o hacktivism, che dir si voglia.

Scroprii Cryptome durante le mie prime esplorazioni in rete. Credo fossi da poco diventato maggiorenne e la mia passione per la letteratura americana mi portò a leggere dibattiti contemporanei collegandomi a comunità digitali nascenti quali The Well, Nettime ed i fora ospitati da The Thing BBS a New York City. Agli albori di Internet, Cryptome già si distingueva assieme a pochi altri siti: un sito scevro da orpelli che distribuiva documenti non reperibili altrove e tra i quali i più interessanti davano prova di crimini commessi da stati o multinazionali che malcelavano la propria buona fede. Cryptome era la prova che Internet avrebbe significato per tutti noi una nuova frontiera per la libertà delle informazioni.

Cryptome nacque nel 1996 e credo che Young abbia iniziato pensando il suo ruolo come quello di un archivista: curava la collezione, ma non i contenuti dei singoli documenti, nel senso che non li modificava e filtrava in alcun modo. Ha pubblicato informazioni molto utili ed approfondite concernenti crittografia, contro-spionaggio, operazioni più o meno celate di governi e multi-nazionali, tutti argomenti ai quali io stesso mi appassiono da una vita. La collezione di Cryptome per sua stessa ammissione conteneva anche materiale datato o impreciso: non si poneva come una fonte autoritativa, ma affidava le informazioni alla capacità del pubblico di valutarle autonomamente.

Le motivazioni di Young sembrano essere state plasmate dalla sua esperienza delle proteste studentesche del 1968 alla Columbia University, erano i tempi delle proteste contro la guerra in Vietnam, per le quali venne anche brevemente arrestato. Nei primi anni Novanta il governo americano bloccò l’esportazione di algoritmi crittografici con una legislazione che li equiparava alle armi, una storia ben raccontata nel libro “Crypto” di Stephen Levy. Fu in quell’epoca che Phil Zimmermann rilasciò il codice di Pretty Good Privacy (PGP) e Cryptome naque in supporto a tale azione rivendicando la libertà di ricerca ed condivisione.

Negli anni seguenti Cryptome pubblicò svariati documenti probanti serviti a fare chiarezza ed alle volte anche giustizia sui misfatti di multinazionali e governi senza scrupoli. Dai colpi bassi di Monsanto ai contadini di tutto il mondo passando per i documenti dello “stay-behind” network di cui faceva parte il nostrano progetto Gladio, fino alle operazioni della CIA nei luoghi più remoti del pianeta atte a scardinare l’integrità democratica di paesi ostili agli USA. La passione di John per la tecnologia ed in particolare per la crittografia lo portarono anche a pubblicare documentazione tecnica di grande utilità per chi, come giornalisti ed attivisti che attraversano zone pericolose, ha bisogno di custodire dati digitali in sicurezza, inclusa manualistica sul nostro software “Tomb” di Dyne.org, esso stesso usato da attivisti, ma anche alcuni operativi della US Army.

Alcuni anni più tardi, circa venti anni fa, ebbi l’opportunità di incontrare John Young di persona. Ciò avvenne a Berlino, al festival Transmediale, dove fui onorato di ricevere il premio Vilem Flusser. Incontrare l’individuo dietro Cryptome, un archivio che ormai possedeva una certa mitologia per noi del settore, fu un’esperienza significativa. Fu incoraggiante sapere che un lavoro di quella portata possa essere il risultato della dedizione di individui che agiscono per principio, piuttosto che da organizzazioni cospicue con finanziamenti sostanziosi.

È importante ricordare che Cryptome non ha mai fatto profitto delle sue attività, le spese molto limitate del sito erano a carico dei suoi creatori, architetti di professione, che lo dichiaravano servizio pubblico. Questo lo rende molto diverso da altre piattaforme per la libertà di informazione come WikiLeaks o The Intercept.

L’approccio di John Young ancora oggi ci insegna che un’attività del genere non deve mirare all’approvazione generale, ai riconoscimenti, alle donazioni e quantomeno al profitto: un impegno saldo all’accesso pubblico all’informazione, indipendentemente da quanto scomoda quell’informazione potesse essere per i poteri costituiti, deve escludere qualsiasi interesse finanziario dal suo orizzonte, per essere assolutamente indipendente.

Internet è mutato dall’inizio di Cryptome, ma le questioni che il progetto di Young sollevò già trent’anni fa circa segretezza, controllo ed etica della pubblicazione rimangono attualissime e irrisolte. Cryptome mostra che chiunque abbia a cuore la libertà di informazione possa attivarsi per essa anche con poche risorse. Nonostante la dipartita di John Young, il suo progetto resta un punto di riferimento per un’ideologia di trasparenza radicale che possiamo annoverare tra le ricette di salvezza per un tipo di informazione pubblica che gli interessi di governi e multinazionali spesso vorrebbero mettere a tacere.

Qui il ricordo di John Yound da parte dell’Electronic Frontier Foundation



L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 30 maggio 2025

Nella foto: John Young e Deborah Natsios di Cryptome.org

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Premio Cesare Zavattini


AAMOD – Comunicazione & Ufficio Stampa 

Al via la X edizione del Premio Cesare Zavattini: aperto il Bando per giovani filmmaker Iscrizioni, Bando e Regolamento disponibili sul sito www.premiozavattini.it
Scadenza il 20 luglio 2025.

È online il Bando della X edizione del Premio Cesare Zavattini, iniziativa che intende consolidare le competenze di giovani cineasti interessati al riuso creativo e sperimentale delle immagini d’archivio, consentendo loro di realizzare i propri progetti di cortometraggio, e nello stesso tempo promuovere la conoscenza degli archivi filmici e del cinema che li utilizza in modo originale e sperimentale. Il Bando è rivolto a filmmaker tra i 18 e i 35 anni, professionisti e non, di qualsiasi nazionalità, i quali possono candidarsi proponendo un progetto di cortometraggio della durata massima di 15 minuti, che preveda il riuso, anche parziale, di materiale filmico d’archivio.

Una Giuria composta da cinque personalità del cinema italiano selezionerà, tra i progetti pervenuti, nove finalisti e fino a tre uditori. Gli autori e le autrici delle proposte selezionate parteciperanno gratuitamente a un Workshop formativo e di sviluppo, articolato in incontri di formazione collettiva e sessioni di tutoring individuale per l’approfondimento delle idee progettuali. Al termine del percorso, i partecipanti presenteranno il proprio lavoro alla Giuria attraverso un pitch, che condurrà alla selezione dei tre progetti vincitori, con eventuale assegnazione di una Menzione speciale.

I progetti vincitori potranno utilizzare liberamente il materiale filmico dell’AAMOD e degli archivi partner e riceveranno servizi gratuiti di supporto alla produzione dei cortometraggi e un contributo economico di 2.000 euro ciascuno. Il Workshop si svolgerà tra settembre e dicembre 2025, mentre la fase di realizzazione è prevista tra febbraio e maggio 2026.

Le candidature devono essere inviate entro la mezzanotte di domenica 20 luglio 2025, compilando il form disponibile al seguente link:
 Modulo di iscrizione

Alla proposta progettuale (da redigere secondo il format scaricabile nella sezione “Bando” del sito www.premiozavattini.it), vanno allegati in formato PDF anche un curriculum vitae e una copia di un documento d’identità.

La presentazione ufficiale della X edizione del Premio, con la sua articolazione, le novità previste e le modalità di partecipazione, si terrà sabato 31 maggio 2025 alle ore 18.30 presso lo Spazio SCENA (Via degli Orti d’Alibert 1, Roma). Interverranno Antonio Medici, direttore del Premio, Aurora Palandrani, coordinatrice, e Matteo Angelici, project manager. L’evento rientra nella cornice di “Riuso di classe”, sezione collaterale della III edizione di UnArchive Found Footage Fest, festival internazionale dedicato al riuso creativo delle immagini d’archivio, promosso – come il Premio Zavattini – dalla Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (AAMOD).

A completamento della X edizione, nel mese di dicembre 2025, la sezione Zavattini Live! ospiterà una rassegna speciale con tutti i cortometraggi vincitori delle passate edizioni e una selezione di film italiani che si distinguono per l’uso originale di materiale d’archivio. La rassegna includerà anche una giornata di studio dedicata agli sguardi e alle pratiche dei giovani filmmaker che hanno partecipato al Premio nel corso degli anni, offrendo una riflessione sul presente, sulla memoria e sull’evoluzione del cortometraggio come forma espressiva contemporanea.

Il Premio Cesare Zavattini è una iniziativa promossa e organizzata dalla Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, sostenuta da Cinecittà S.p.A. – Archivio Storico Luce, con la partnership di Fondazione Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia e la collaborazione di Nuovo ImaieCineteca SardaArchivio delle Memorie MigrantiPremio Bookciak Azione!Deriva FilmOfficinaVisioni, Associazione Cinema del realeUCCA, FICC e Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza. Media partner: Radio Radicale e Diari di Cineclub.

Per informazioni e aggiornamenti:
www.premiozavattini.it
info@premiozavattini.it

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