Sessualità e politica

Acrilico su tela di Giulia Crastolla

di Lea Melandri

Raramente guardo Piazza Pulita (LA7), ma quando, prima di andare a dormire, sono capitata in un “processo mediatico”, un format che ormai conosciamo, ma con una protagonista femminile di particolare interesse (Maria Rosaria Boccia) e uno staff di giornalisti penosi – per il cosiddetto caso Sangiuliano – non ho potuto non fermarmi. Una trasmissione da riascoltare e studiare: un sintesi rara di questione di genere, privato e pubblico, personale e politico, sessualità e politica.
Quando il potere, politico e mediatico, si trova di fronte a una donna che non si piega alla posizione di vittima, è davvero “nudo”. Soprattutto se l’accanimento maschile, neppure tanto velatamente sessista, si trova di fronte a una donna pacata, razionale nelle sue argomentazioni e un sorriso inattaccabile. Comincio a credere che, invece di “una risata vi seppellirà”, per un potere maschile declinante, basterebbe il sorriso inquietante nella sua imperturbabilità di tante Maria Rosaria Boccia.

A differenza delle mie abitudini, questa volta non farò il pelo all’uovo, cercando di mettere in luce le ragioni più o meno nascoste che spingono Maria Rosaria Boccia a tenere aperto il suo caso sulla scena pubblica. Quello che mi colpisce e che ritengo meriti l’attuale duraturo dibattito politico su quanto intercorso tra lei e l’ex ministro Gennaro Sangiuliano, è il fatto che una donna raramente, anziché arrendersi oppure adattarsi al potere maschile, riesca a tenergli testa, a metterlo in scacco, e fare lo stesso con quei soloni del giornalismo che tengono banco dai pulpiti televisivi, a ogni ora e a ogni trasmissione. Tanto che ho pensato che li tengano lì anche a dormire.
Lo confesso: giovedì sera (3 ottobre), a Piazza Pulita, mi sono divertita molto. Che ci sia sempre stato un legame tra sessualità e politica il femminismo lo dice da mezzo secolo e oltre, ma come talvolta accade può essere un caso particolare a portare allo scoperto una verità rimasta così a lungo “impresentabile”.

Gli uomini di potere hanno sempre avuto mogli e amanti che in qualche modo hanno favorito, salvo scaricarle quando potevano intralciare le loro carriere, e riconciliarsi con le consorti. L’unica differenza è che in passato era più facile lasciare queste relazioni nel privato. Oggi, grazie alla cultura femminista, il “privato” viene riletto come “il personale”, il vissuto del singolo, nella relazione, che c’è sempre stata col “politico”. Non è ancora purtroppo una consapevolezza acquisita, ma è sotterraneamente la ragione per cui del caso Boccia-Sangiuliano si continua ossessivamente a discutere.
Insomma, sono con Maria Rosaria Boccia, qualunque siano le ragioni della sua tenace volontà di non farsi oscurare dall’arroganza del potere maschile.

L’articolo è stato pubblicato su Comune-info il 4 ottobre 2024 

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“Francesca Cabrini”: l’emigrazione italiana a New York e i soccorritori del tempo

Foto di Ufficio stampa Lucherini-Pignatelli

di Bruna Alasia

Il nuovo film del regista messicano Alejandro Monteverde, “Francesca Cabrini”, racconta un capitolo della storia dell’emigrazione: la nostra.

“Francesca Cabrini” è infatti la biografia dell’omonima donna, nata il 15 luglio 1850 a Sant’Angelo Lodigiano, in provincia di Milano; penultima di undici figli di una famiglia profondamente credente e benestante, spinta da spirito missionario prese i voti religiosi nel 1877 e salpò alla volta della dedizione agli ultimi. Il suo sogno era andare in Cina, ma il Papa Leone XIII la mandò a New York, dove si recò per aiutare gli emigrati italiani. Da qui prende le mosse l’avventuroso racconto di una persona fuori del comune, che contribuì a rendere possibile l’osteggiatissima accoglienza dei nostri connazionali.
Francesca Cabrini e le sue compagne sono state le prime missionarie oltreoceano, in una città le cui fondamenta, a detta degli stessi newyorkesi, sono le ossa di migranti e le cui strade l’unico luogo di vita possibile per i numerosi orfani. L’accoglienza degli italiani negli USA era vessata dallo stesso, attuale rifiuto razzista di certa parte del nostro Paese verso i disperati che fortunosamente arrivano ai nostri confini. Non solo, Francesca Cabrini fu ostacolata dalle autorità ecclesiastiche e politiche di New York.  Il trattamento verso i nostri connazionali era crudele: venivano chiamati “dogo” da dog, ovvero cani e non erano soccorsi neanche in pericolo di morte. Il film è il ritratto, a qualsiasi latitudine, della insensibilità di parte della nostra specie davanti allo straniero che chiede salvezza.

Nonostante difficoltà enormi Francesca Cabrini, grazie alla tenacia e al coraggio straordinari, fondò scuole, orfanotrofi e ospedali, prima a New York, poi allargò la sua opera.
Anche se fu santificata e oggi viene chiamata patrona dei migranti, di Francesca Cabrini non si sapeva molto.  Alejandro Monteverde, nato a Tampico in Messico, Paese anch’esso di profughi, con la sua storia porta alla ribalta un simbolo. Il film racconta con pathos e scorrevolezza la titanica impresa di Francesca e delle sue missionarie. L’argomento interessa tanto che ha raggiunto, solo nella parte settentrionale degli Stati Uniti il quarto posto al botteghino, con un incasso di 20 milioni di dollari. Ora arriva nei cinema italiani con un’uscita evento il 13-14-15 ottobre, distribuito da Dominus Production, fondata da Federica Picchi Roncali, che promuove opere cinematografiche basate su storie vere legate a temi socialmente rilevanti.

Data di uscita: 13 – 14 – 15 ottobre 2024
Genere: Drammatico, Biografico
Anno: 2024
Regia: Alejandro Gomez Monteverde
Attori: Cristiana Dell’Anna, David Morse, Romana Maggiora Vergano, Federico Ielapi, Patch Darragh, Liam Campora, Jeremy Bobb, John Lithgow, Rolando Villazón, Montserrat Espadalé, Giancarlo Giannini, Fausto Russo Alesi, Andrew Polk, Giampiero Judica, Federico Castelluccio
Paese: USA
Durata: 144 minuti
Distribuzione: Dominus Production
Sceneggiatura: Rod Barr
Fotografia: Gorka Gómez Andreu
Montaggio: Brian Scofield
Musiche: Gene Back
Produzione: Angel Studios, Francesca Film Production NY, Lupin Fi

L’ articolo è stato pubblicato su Pressenza il 4 ottobre 2024

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Nuove forme di guerra

di Gianni Giovannelli  

A un nemico accerchiato
devi lasciare una via d’uscita.

Sun Zu, 7.31

Non c’è dubbio alcuno. Con l’esplosione sincronizzata, a migliaia, di cercapersone acquistati dalla struttura dirigente Hezbollah e distribuiti ai militanti per i necessari contatti, il governo israeliano ha colto di sorpresa e stupito il mondo intero, seminando il panico nella popolazione, non solo in Palestina occupata ma anche in Libano e Siria. Il giorno successivo, quando i primi commenti si incrociavano incerti, alla stessa ora, le 15, la strage si è ripetuta: questa volta si trattava di walkie talkie o altre apparecchiature comandate a distanza. Ogni oggetto di uso comune diviene potenzialmente uno strumento di morte, l’insidia produce inevitabilmente terrore, intacca qualsiasi rete di rapporti sociali. Questa è la risposta del governo israeliano all’indignazione sollevata dai massacri quotidianamente perpetrati nella striscia di Gaza, al crescere delle critiche, alle accorate richieste di tregua; una risposta che prelude all’esecuzione di un programmato sterminio.

Ci troviamo di fronte a un cambio di passo. Funzionari anonimi, specializzati in singoli segmenti di attacco criminale, operano in equipe, ben celati agli occhi della popolazione, e colpiscono a distanza, senza partecipare al combattimento sul campo. Come gli addetti finanziari pigiano sulla tastiera le mosse di compravendita capaci di creare o distruggere patrimoni (al tempo stesso modificando l’esistenza di soggetti a loro sconosciuti per i quali provano solo indifferenza) così i tecnici del Mossad, segretamente, elaborano, su commissione politico-militare proveniente dall’estrema destra colonialista al potere, progetti idonei a sopprimere vite umane. Probabilmente questi assassini in camice bianco neppure odiano i loro bersagli; semplicemente cercano di fare al meglio il lavoro che viene loro assegnato, evitando inutili domande. Certamente la deriva teocratica (con la crescita costante di Hamas e della estrema destra sionista) ha giocato un ruolo importante nel conflitto; o forse, al contrario, è stato il sabotaggio della pace, pervicacemente messo in opera dall’occidente democratico in questo secolo, a creare le condizioni che hanno consentito il successo dei fondamentalisti in entrambi i fronti. Se sia nato prima l’uovo o la gallina non lo sapremo mai, dunque poco importa. Quel che conta è la scelta del governo israeliano, oggi: vogliono imporsi con la forza, prendersi i territori, allargare i confini. A qualsiasi costo. Disposti a tutto, sordi a qualunque richiamo da parte di chi invita al buon senso.

Israele probabilmente non ha avvisato gli Stati Uniti di quel che aveva in mente di fare, così ha evitato sia discussioni fastidiose sia di mettere in imbarazzo il principale sostenitore. Comunque vadano le elezioni americane di novembre possono contare sull’appoggio di entrambi i candidati, sulla continuità del veto sempre apposto nel Consiglio di Sicurezza a qualunque deliberazione non gradita. La mossa preparata e attuata dal Mossad presuppone una rete spionistica in grado di superare i confini degli stati senza interferenze ostruzionistiche; l’uso della tecnologia insieme all’elaborazione dei complotti non ha (per lo meno: non ha ancora) alcun equivalente paragonabile negli stati e nei movimenti politico-militari di parte araba. Ove mai ci fosse una risposta bellica che facesse prevalere la supremazia dei corpi lo Stato d’Israele appare pronto ad usare la bomba atomica (quella c.d. tattica). A fianco del ricatto atomico si cala oggi la strage mediante cercapersone. Il soldato nemico viene trasformato in una sorta di mina umana che colpisce proprio la comunità che lo ha spinto ad indossare la divisa, a combattere per la propria terra; una mina pronta ad esplodere alle 15,30 in un mercato, in una scuola, in un ospedale, in autobus, sulla strada, alla partita di calcio. Chi vive nei territori occupati vede ora come potenziale pericolo lo scaldabagno, il televisore, la piastra per cucinare; dunque riceve il messaggio di andarsene per non essere annientato. I commenti della stampa europea e occidentale a questo cambio di passo, a questa nuova forma di guerra mai usata prima di oggi e vietata dalle norme internazionali lasciano intravedere un misto di ipocrisia (lasciare il dubbio che l’autore sia il Mossad) e di riduzione della strage a un semplice colpo inflitto all’avversario con indubbia maestria. Fingono tutti di non capire la portata di questa vicenda, l’innovazione bellica che una volta introdotta farà inevitabilmente scuola, negli anni a venire, provocando conseguenze che oggi nessuno si azzarda ad esaminare; sembrano non rendersi conto del fatto che le conseguenze ad Israele oggi semplicemente non interessano perché sono concentrati solo sulla vittoria, sull’annientamento di tutti coloro che si oppongono all’annientamento dei palestinesi (o al loro definitivo esodo). Tutti parlano della bomba atomica in mano a Putin (che non vuole usarla) e incautamente lo provocano (perché la usi); al tempo stesso tacciono delle bombe atomiche in mano alla coppia Netanyahu-Ben Gvir, pur consapevoli che costoro (specie il secondo) non si farebbero scrupoli a trasformare Beirut o San’a’ in una novella Hiroshima, pur di raggiungere il loro scopo.

Un filo sottile lega l’esplosivo nascosto dal Mossad nei cercapersone acquistati da Hezbollah e l’arsenale atomico distribuito nel pianeta; è il legame fra l’uso del terrore quotidiano, capace di esasperare le comunità, e l’esplosione nucleare, capace di eliminare una comunità. Non solo Israele, fra i piccoli, possiede l’arma atomica; per giunta si possono anche vendere a terzi, in caso di bisogno. La rinunzia americana al ruolo di gendarme innanzitutto del proprio alleato non è segno di forza, ma di debolezza; se non mostra di essere capace di tenere a bada un Ben-Gvir qualunque finisce con il promuovere un rivoltoso malumore fra i propri sudditi. E che spesso sia un malumore di destra non dovrebbe rassicurare né Harris né Trump.

La tecnologia è poco capace di custodire a lungo i propri segreti; è fragile, è per sua natura esposta alla riproduzione. Questo vale sia per l’uso tradizionalmente commerciale, sia per il suo detournement militare-terroristico. Mi si perdoni un inciso commemorativo: come ci manca Guy Debord a commento di questo complotto israeliano di guerra! In tempo di Intelligenza Artificiale l’esplosione sincronizzata di cercapersone potrà essere acquisita prima dagli apparati statali (grandi o piccoli), poi dalla criminalità, e ancora dalle organizzazioni per qualsiasi motivo ribelli (di qualunque etnia o tendenza). Le metropoli sono bucate, piene di falle; la globalizzazione ha travolto i confini, non bastano i nazionalismi a identica riedificazione, ci sono ancora, ci saranno, ma diversi. Soprattutto non fermano la tecnologia. Israele ha scoperchiato il vaso di Pandora; l’uso del micro-esplosivo può essere esportato non solo a mezzo di droni, ma in qualunque oggetto. E la conseguente disarticolazione sociale avvicina la tentazione di ricorrere all’atomica. L’errore strategico di Israele (accecato dal nazionalismo colonialista e dalla frenesia di potere) è di non indicare alcuna via d’uscita, continuando solo a massacrare. Così però prima o poi si va a sbattere, come osservava Sun Zu nell’esergo.

L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 22 settembre 2024

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Lasciarsi alle spalle il patriarcato

di Cristina Formica

“La storia dello Stato è la storia del patriarcato e il DNA dello Stato è patriarcale” (Rita Laura Segato)

Ho una grande difficoltà a scrivere in poco spazio quanto questo testo mi abbia arricchito, suggestionato, quante cose mi abbia chiesto, quanto conferme mi abbia dato. Va assolutamente letto il libro, peraltro appena uscito in Italia, dell’antropologa e femminista argentina Rita Laura Segato, Contro-pedagogie della crudeltà, con la traduzione attenta fatta da Valeria Stabile. Il libro inaugura la nuova collana editoriale “Transfemminismi” (Manifestolibri – FactoryA) diretta da Francesca Romana Recchia Luciani (Università di Bari).
Inspiegabilmente, Rita Laura Segato non è conosciutissima in Italia benché lavori, da più di trent’anni, sulla violenza di genere, sul razzismo e sul colonialismo, oltre che approfondire e impegnarsi rispetto a molte altre cose; Marco Calabria l’amava profondamente e anche per questo rendiamo omaggio a lui, che purtroppo non c’è più per parlare di questa formidabile studiosa.

Segato ha insegnato per decenni all’Università di Brasilia e in quelle argentine, oltre ad aver svolto consulenze autorevoli nei tanti misfatti centro e sudamericani contro le donne, primo fra tutti i femminicidi di Ciudad Juarez, dove migliaia di bambine, giovani e giovanissime donne furono torturate, violentate e uccise al confine con il ricco vicino statunitense. Il percorso di studio dell’autrice parte quando, giovane ricercatrice, lavorò con le comunità indigene del Brasile, dove le donne non subivano reati, violenze, non prendevano botte, ma avevano sempre avuto un ruolo sia pubblico che privato di tutto rispetto, una grande autonomia di decisione sia rispetto a loro stesse che alla dimensione comunitaria. Le questioni di genere, la sessualità e l’amore nelle comunità indigene brasiliane, secondo Segato, non avevano una situazione binaria maschile/femminile e uomo/donna, ma erano legate alla persona, per cui nella comunità i ruoli si riadattavano alla volontà delle persone che esprimevano il loro desiderio e il loro amore, attuando liberamente le loro scelte personali in armonia con la dimensione collettiva. Da quegli studi, la situazione delle comunità è cambiata, rileva Segato, e non in meglio.

Durante le tre straordinarie lezioni tenute nel 2016 alla Facultad Libre di Rosario, in Argentina, l’autrice spiega in termini scientifici e politici, ma soprattutto intellettuali e umani, come il cambiamento traumatico alla realizzazione umana delle originarie comunità brasiliane si ebbe con la colonizzazione, quando il centro del mondo era l’Europa e ancora lo è. Con il colonialismo crudele nasce anche la pedagogia della crudeltà, che impone agli uomini indigeni e afrodiscendenti il modello patriarcale, a cui comunque anche loro non potranno mai aspirare definitivamente perché non bianchi, ma che li ha portati a chiudere le donne nella dimensione privata della casa grazie alla cultura criolla, aderendo a un modello universale nel quale la donna è una minaccia per gli uomini e ponendo la violenza di genere come parte della struttura patriarcale e colonialista. Da 500 anni fa, la razzializzazione e la patriarcalizzazione producono cambiamenti profondi e sostanziali alle comunità indigene, mettendo gli uomini sotto il dominio del bianco (razzista, misogino, omofobo, transfobico e specista secondo Rita Laura Segato) e creando un uomo criollo disposto a punire violentemente tutto ciò che disobbedisce al patriarca.

La prima lezione riguarda principalmente la visione che Segato ha rispetto alla violenza sessuale, i femminicidi o femigenocidi, come lei li definisce, approfondendo i temi già proposti nel suo testo del 2003 Las estructuras elementares de la violencialo stupro è letto come un’azione agita con violenza dal maschio che afferma due assi di dialogo, il primo con la donna vittima e il secondo con il gruppo di altri maschi pari a lui. L’asse con la vittima è verticale e indica anche il livello di violenza e crudeltà espresse nella punizione fatta a una donna, che va rimessa al suo posto, che deve essere punita secondo un universale culturale comune a tutto il pianeta. L’asse orizzontale, che riguarda gli altri uomini, costituisce un dialogo in cui l’ingiunzione della mascolinità è omaggiata e sottolineata rispetto ai propri pari, egemoni sui corpi e sul ruolo sociale delle donne.

Segato propone quest’analisi grazie ai suoi trent’anni di studi e confronti con i più terribili reati contro il genere femminile, attuati nell’America Latina in seguito a dittature, genocidi, traffici di droghe, sempre e solo per mantenere la supremazia patriarcale. Ma la svolta che lei stessa riporta, durante gli incontri descritti nel libro, è stato lo studio che ha condotto nel Carcere di Brasilia, dopo che un Colonnello della Polizia Penale le chiese di investigare su perché erano così tanti gli stupri nella capitale brasiliana. Segato incontrò gli uomini condannati per questo odioso reato, che spesso le riportarono che loro stessi non sapevano spiegarsi il motivo per cui avevano commesso il crimine, non era per un bisogno di sesso, non era perché desideravano quella donna in particolare oltre la sua volontà. Come scrive la stessa autrice,

“attraverso lo stupro, l’aggressore esige da quel corpo subordinato un tributo che fluisce verso di lui e che costruisce la sua mascolinità, perché comprova la sua potenza nella capacità di estorcere e usurpare autonomia al corpo sottomesso”.

L’affermarsi del patriarcato colonialista, che pone le donne da soggetto ad oggetto della volontà maschista, ci propone una visione fondamentale per cui è urgente per le donne tenere conto di tale visione, per difendersi e per interrompere questa realtà femminicida, che uccide anche gli stessi uomini che non aderiscono alla logica patriarcale imperante.

Nella seconda lezione, Segato ricompone la diseguaglianza genere-razza, elementi sociali che si coniugano perfettamente con l’invasione europea del continente americano. Partita con lo spiegamento di forza e violenza, la disparità storica verrà poi giustificata con motivi biologici e cosiddetti scientifici, che ancora oggi sono considerati veri da gente piuttosto turpe, vedi in in Italia il dibattito infame sui tratti fisionomici italici. L’autrice inizia a proporre la sua visione rispetto all’uscita da questa realtà, estremamente violenta in generale e verso le donne: la rivolta verso la burocrazia che impone la disuguaglianza, il rifiuto dell’autoritarismo, il caldeggiare l’utopia insita nella Storia, che racchiude in sé le risposte imprevedibili dei grandi cambiamenti sociali. Le comunità indigene, secondo Segato, sono abituate a pensare guardando lontano, ad attivare forme di resistenza che permettano la loro continuità, a fronte di un mondo razzista e capitalista che vuole inglobarli dopo non essere riuscito a sterminarle. Il femminismo ha il compito fondamentale di porre in atto politiche alternative a quelle patriarcali, non copiare i modelli già imposti con la prepotenza, ma passando per modi nuovi di attuare la comunità, il potere, la cura di sé, della collettività e dell’ambiente.

Perché non contrastare il potere patriarcale porta a crimini umanitari come i femminicidi di Ciudad Juarez, in Messico, dove il machismo si realizza attraverso l’associazione mafiosa tra uomini di questo tipo, che ribadiscono la sovranità territoriale attraverso la tortura dei corpi delle donne, trattate come spazzatura, con la connivenza degli organi dello stato che tralasciano troppe tracce, troppi indizi, per non arrivare alla soluzione di questo orrore. I crimini accaduti in strada contro le donne non riguardano la sfera privata della persona offesa: Segato definisce questi delitti femigenocidi, ragazze colpite perché donne, a monito di tutte le altre e di chi non si conforma alla mafia patriarcale. Uccisioni di donne attraverso reati sessuali, perché tramite questo tipo di crimini si uccide moralmente la persona e la società di cui essa fa parte: come è sempre stato, la violenza sessuale come arma di guerra annienta il popolo che la subisce, toglie onore agli uomini: stuprare per ottenere vantaggio politico,il gruppo machista diventa dominante sugli altri uomini da conquistare. Ciudad Juarez primeggia nella violenza a livello mondiale, continentale e pure rispetto al violentissimo Messico.

Secondo Segato, la fase capitalistica che stiamo vivendo si realizza attraverso due livelli: lo Stato ufficiale, che costituisce la prima realtà, e il secondo Stato, la seconda realtà dove tutto è possibile, soprattutto la violenza contro chi è più debole, chi vale meno come le donne. I dati che l’autrice cita sono impressionanti: secondo l’ONU, nel 2015 tra le 50 città più violente del mondo molte sono in America Latina, e 21 sono brasiliane. In tutta questa violenza c’è la droga, la tratta, il contrabbando di merci tra cui le armi, azioni illegali che costituiscono ricchi proventi per la seconda realtà, da sempre possibile perché ha grande connivenze con la prima realtà. In questa guerra, vittime e oggetto di crimine sono spesso le donne.

L’ultima lezione riprende un tema molto caro a Segato, quello delle lotte antirazziste all’interno delle università, di cui lei è stata puntuale protagonista e che hanno portato a una legge che in Brasile garantisce le quote di accesso universitario per le comunità indigene. Il tema, che parte dal diritto dei e delle giovani indigene a far parte della ricerca culturale, è sviluppato attraverso la giusta considerazione che la colonizzazione non è ancora morta, si estende anche, a volte soprattutto, attraverso il sapere. La considerazione che il mondo del pensiero latinoamericano deve porsi, secondo Segato, è che il confronto con il pensiero europeo non deve più essere perdente, ma assumere la propria autonomia di scelta su cosa e come indagare, a che problematiche rispondere, che proposte avanzare, smettendo di rispondere ai criteri del potere coloniale. Tra le critiche espresse dall’autrice, anche quella alle ONG e alle donne che lavorano nelle ONG: restituiscono una visione delle comunità indie e afrodiscendenti come antimoderne, bisognose di crescita attraverso risposte che non sono quelle da loro volute; Segato contesta fortemente il ruolo dello sviluppo e della crescita economica come destino ineluttabile, l’adesione al modello capitalistico che uccide le comunità e produce violenza, aggressione alle donne, umiliazione agli uomini che non vogliono adeguarsi a quest’evoluzione per loro non necessaria.

Leggere questo testo di Rita Laura Segato lascia tante suggestioni e molti suggerimenti: a partire dal pensare libero, non assecondano la regola ortodossa e ufficiale, con cui spaziare e agire curiosità a partire dalle proprie intuizioni, seguendo un cammino intellettuale personale che può essere diverso da quello autorizzato dalle strutture del potere, di qualsiasi potere si tratti. Fondamentale il ruolo di chi produce pensiero, nelle università, negli apparati politici, nelle società, che deve dare voce alle espressioni umane di chi non ha voce, anche attraverso l’uso di un linguaggio nuovo, che permetta di vedere i limiti, le distorsioni, i crimini che sono fatti alle persone che non si adeguano ai cambiamenti strutturali che il capitale porta avanti. È importante insegnare a pensare, rompere gli schemi delle posizioni sociali, disobbedire alle regole che non rispondo ai bisogni reali, smettere di riprodurre un sistema che uccide chi non si allinea, chi è povero, chi è diverso e diversa.

Le donne, secondo Segato, hanno un compito fondamentale, possono avere un ruolo importantissimo in questa inversione di tendenza necessaria a tutto il mondo: ricostruire i rapporti che le donne hanno portato avanti nel loro privato e rendere a livello pubblico la proposta di relazione che le donne sanno agire, smettendo la visione eurocentrica e patriarcale, della guerra contro i popoli e contro le donne. Costruire comunità resistenti che siano dentro e fuori lo stato, insistendo laddove è essenziale insistere, costruendo altrove quando è possibile, quando è necessario.

Un cammino che intuiamo, a volte anche realizziamo, che può crescere e che può continuare: anche Rita Laura Segato ci dà la forza necessaria, ogni giorno, di essere questa potenza rivoluzionaria per noi stesse e per tutt@.

Rita Laura Segato – Contro-pedagogie della crudeltà. Manifestolibri in collaborazione con FactoryA APS, Roma, 2024

L’ articolo è stato pubblicato su Comune-info il 28 agosto 2024

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Residenza artistica

B. O.

Chiunque abbia indagato il senso del disegnare ha scoperto come sia da sempre un modo per dare forma alle idee e condividerle, ma prima di tutto un atto di conoscenza. I linguisti invece hanno spiegato da tempo come senza la dimensione verbale ogni esperienza non avrebbe senso, sarebbe soltanto un grumo di emozioni impossibile da sciogliere. Per questo la lotta contro qualsiasi tipo di discriminazione ha bisogno di trovare ogni giorno parole e segni. Scrivere, leggere e disegnare, del resto, sono prima di tutto un modo per pensare.
Una call internazionale dell’Ong GUS (progetto GEA/Global, Green, Generative and Equal Educational Activities), aperta fino al 2 ottobre, seleziona – sulla base dell’esperienza – dieci artisti under 35 attivi nell’ambito del fumetto che saranno ospitati a Castrignano dei Greci (Lecce) presso KORA-Contemporary Arts Center dal 13 ottobre al 19 ottobre: l’obiettivo è costruire un libro a fumetti che racconti la lotta a tutte le forme di discriminazione portata avanti dalla società civile.
La residenza, che sarà accompagnata dal fumettista Gianluca Costantini, prevede incontri di orientamento con esperti delle varie forme di discriminazione e libere esplorazioni del territorio. La partecipazione è gratuita. Per informazioni: progettogea@gus-italia.org, 328 7412054, www.gus-italia.org.

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