Libri

Conflitto Israele-Palestina, per un federalismo dal basso.

Recensione di “Gaza” di Gad Lerner

di Sergio Sinigaglia

Gad Lerner ha pubblicato “Gaza”, un testo da leggere, dove affronta i nodi cruciali di una vicenda secolare.
La nuova fase del conflitto israelo-palestinese creatosi a partire dal pogrom di Hamas del 7 ottobre, il sequestro di circa 250 civili e la risposta criminale del governo Netanyahu ha provocato reazioni diverse e contrastanti anche all’interno del mondo ebraico che vive fuori da Israele.

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Imparare a pensare la speranza

Un capitolo di La speranza. In un tempo senza speranza. Edizioni il  Punto Rosso, 2023.

di John Holloway

Sperare è facile, ma spesso ha poca sostanza. Molto più difficile è pensare la speranza. È ciò che Bloch chiama una docta spes [1], una speranza ragionata e sorvegliata, una speranza compresa [2].
L’idea di docta spes è diretta contro il “pio desiderio”. Il pio desiderio non porta da nessuna parte. Rompe ogni connessione pratica tra soggetto e oggetto. “Non sarebbe bello se vivessimo in un mondo in cui i migranti non fossero ammucchiati dentro a un container come le sardine!”. Il pio desiderio non fa nulla per cambiare il mondo: al contrario, anestetizza.

Questo libro parla di speranza, non di un pio desiderio. Eppure, il pio desiderio è alle nostre spalle, uno spettro che non vogliamo vedere, ci sussurra ciò che non vogliamo sentire: cos’è tutta questa storia dell’anticapitalismo? Perché dici che un mondo diverso, un mondo di reciproco riconoscimento e amore, è possibile quando sai che non lo è?
Guardati intorno, guarda il computer che stai usando, guarda i vestiti che indossi, pensa alla serie che ti stai godendo su Netflix, pensi davvero che si possa creare un mondo non capitalistico? Dedichi la tua vita a pensare alla teoria critica, una forma di pensiero che trae la sua pretesa di validità dalla possibilità di creare un mondo oltre il capitalismo, ma pensi davvero che sia possibile? Tu e i tuoi lettori non state sprecando le vostre vite in un pio desiderio? Nonostante tutta la tua raffinatezza teorica, nonostante tutte le tue frasi latine, non sei semplicemente perso in un mondo del “non sarebbe carino”? Una docta spes, una speranza pensante, ci costringe a confrontarci continuamente con lo spettro del Wishful Thinking. “Parli di creare un mondo diverso, un mondo non capitalistico: mostracelo allora, mostracelo allora!”. Come possiamo dimostrare che questo mondo che non-è-ancora è più che fantasia, più che un pio desiderio?

Una risposta è che non importa. Lottiamo non perché pensiamo di vincere, ma perché non possiamo accettare ciò che esiste. Gridare contro un sistema che ci disumanizza non ha bisogno di giustificazioni. È semplicemente un’espressione di ciò che intende essere la nostra umanità. Il nostro anticapitalismo si basa sugli orrori del sistema, non sulla fiducia che possiamo creare qualcos’altro. Le nostre lotte non sono un mezzo per un fine, sono una dignità, un rifiuto, che nasce dal profondo del nostro essere.

La lotta contro il sistema che ci sta uccidendo non ha bisogno di speranza per giustificarsi. Se una società annuncia che aprirà una miniera a cielo aperto in una comunità agricola e la gente si rende conto che ciò esaurirà e contaminerà l’approvvigionamento idrico, la base della loro agricoltura, allora è probabile che resistano, indipendentemente dal fatto che sperino di vincere la battaglia. Eppure una sorta di speranza è quasi sempre presente.

La speranza, dice Bloch, proprio all’inizio del suo capolavoro, “è innamorata del successo piuttosto che del fallimento” (1959/1985, 1). Eagleton, che non è un fan di Bloch, qualifica questa frase come una “affermazione inquietante” (2015, 107).

È inquietante, forse, nel senso che può condurre facilmente ad un opportunismo in cui la speranza del successo è usata per giustificare i mezzi usati per raggiungerlo. Suggerisce anche che può esserci una facile definizione di successo. La rivoluzione russa è stata un successo o un fallimento? Vista da coloro che desideravano un altro mondo, si rivelò un terribile fallimento. Eppure Bloch ha ragione: la speranza ci indirizza verso una sorta di realizzazione, una sorta di successo.

Vogliamo fare di più che morire con dignità: vogliamo vincere.

Di fronte alla minaccia dell’annientamento umano, non vogliamo solo protestare, vogliamo spezzare la dinamica della distruzione. Vogliamo fermare il treno della morte, riuscire a tirare il freno di emergenza [3]. Vogliamo che la nostra speranza sia realistica. La speranza cresce dalla dignità, ma si spinge oltre. La dignità è al centro della lotta per un mondo migliore. L’enfasi zapatista sulla dignità sottolinea un cambiamento cruciale rispetto allo strumentalismo del precedente pensiero rivoluzionario. Combattiamo perché la nostra dignità di esseri umani lo richiede, non perché vogliamo raggiungere un obiettivo predefinito.

Coerente con questo è il loro rifiuto della Rivoluzione con la “R” maiuscola a favore della rivoluzione con la “r” minuscola, e il loro attuale accento su “resistenza e ribellione”, piuttosto che sulla rivoluzione. La nozione di dignità segnala uno spostamento di enfasi molto importante e molto gradito dall’oggetto della lotta (il capitalismo) al suo soggetto (la nostra dignità). Questo cambiamento è presente in molti altri movimenti di resistenza e ribellione e in molto di ciò che è stato scritto su di essi.

Eppure, è qui che la figlia ribelle che è questo libro diventa irrequieta e dice “sì, sì, dignità, dignità! Ma bisogna andare oltre, serve speranza, vogliamo vincere! Vogliamo vincere, anche se sappiamo che ciò che significa vincere può diventare chiaro solo nel corso del suo conseguimento. La speranza si basa sulla dignità, ma è più esigente. La speranza è la dignità che spinge oltre se stessa.


Note
[1] Bloch 1959/1985, 7: “Docta spes, speranza compresa, illumina così il concetto di un principio nel mondo, un concetto che non lo lascerà più”.
[2] Vedi Eagleton 2015, 61: “La ragione non può esistere senza speranza, scrive Bloch nel Principio speranza, e la speranza non può fiorire senza ragione”. E Eagleton, commentando direttamente: “L’autentica speranza … deve essere sostenuta dalla ragione” (2015, 3).
[3] Il freno di emergenza è un riferimento alla riformulazione della rivoluzione di Walter Benjamin, che svilupperò in seguito.

L’articolo è stato pubblicato da Comune-info il 2 maggio 2024

La foto è di Gerd Altmann da Pixabay

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I TRENI DELLA VITA

Recensione del libro “LE CAREZZE DEI LAMPI” di Fabio Mongardi

di Sergio Tardetti

Ammetto sinceramente – e confesso – che l’ultimo romanzo di Fabio Mongardi, “Le carezze dei lampi”, mi ha dato molto da riflettere, a cominciare dal titolo. Per l’intero volume ho rincorso l’indizio/ chiave di lettura celato in quel titolo, sperando in una sua incarnazione in una scena, in un avvenimento, in un dialogo, in un personaggio che ne rivelasse l’essenza reale. L’ho rincorso avendo trascurato, per mia distrazione, il fatto che l’enigma si era praticamente chiarito da sé fin dalle prime pagine, con quel riferimento in esergo ai versi di Isacco Turina, la cui citazione, nelle intenzioni dell’autore, voleva essere un suggerimento che indirizzasse verso la comprensione del titolo, e che, di fatto, ha acceso una luce soltanto a lettura avanzata. Dimostrazione questa che, ancora una volta, il lettore va in cerca di qualcosa che si nasconde proprio davanti ai suoi occhi.
Parole del titolo che poi rinviano ad un avvenimento non secondario, che coinvolge due dei protagonisti del romanzo. E qui mi fermerei, per evitare di rivelare eccessivi dettagli della trama e dei personaggi, ma proseguirei piuttosto con considerazioni che sono emerse nel corso della lettura. Una lettura – posso affermarlo senza tema di smentita – che scorre via continua e fluida, non senza lasciare profonde tracce di sé sotto forma di sensazioni e di impressioni, che risultano così note (vorrei dire comuni) a quanti, come me, sono cresciuti e continuano a vivere in un contesto di provincia. L’immagine che mi ha accompagnato per tutto il corso della lettura è stata quella del treno che apre la storia e che poi ne determina lo sviluppo. Da lì a trasformare quell’immagine in metafora dell’esistenza il passo è stato breve, complice un’espressione francese, train de vie, “stile di vita”, che mi è tornata in mente seguendo qualche percorso contorto e accidentato della memoria. Da qui a ricondurla agli accadimenti di una comune esistenza il passo è stato breve.
Così sono le vite di provincia, inquiete nel profondo e fintamente serene di fuori, quella provincia avvertita a volte come ambiente del quale si è prigionieri, ridotti in catene dalle convenzioni di rapporti instaurati nel corso di intere esistenze. Una provincia apparentemente perdente nel confronto con la megalopoli, luogo di sfrenate libertà, dove nessuno ti giudica per quello che sei né per quello che fai, ma in cui ciascuno si tiene a distanza dalle vite di chi l’abita, senza nemmeno tentare di avvertirne lo scorrere sulla pelle. La megalopoli spesso dura e ostile, corazzata contro ogni vizio ma anche contro ogni virtù, indifferente al bene così come al male. Si pensa, invece, alla provincia come a una miriade di piccoli e piccolissimi borghi, dove tutti si conoscono e ognuno sa tutto – o almeno immagina di sapere tutto – di tutti gli altri, dove l’osservanza della regola è elogiata e l’eccezione è considerata devianza dagli schemi sociali imposti da secolari tradizioni e comportamenti. Ed è così che viene chiesto, spesso anche preteso, dalle vite di provincia il rispetto di questi vincoli, dai quali non consentito deviare se non “deragliando”, uscendo cioè dai binari della norma. Tenendo costantemente presente che ci sono sempre, comunque e ovunque, prezzi da pagare per il proprio “train de vie”.
I treni della vita sono quelli che, a volte, decidiamo di prendere, altre volte, invece, di perdere, per libera scelta, per distrazione o perché semplicemente li ignoriamo. Sono treni che, una volta presi, portano un po’ ovunque, a volte ci travolgono, più spesso ci limitiamo a guardarli passare, mentre altri personaggi ne scendono e salgono di continuo. Accade ad ogni esistenza, in ogni luogo. L’incidente rimane in ogni caso l’evento traumatico che cambia vite e destini, quello che fa deragliare il treno, lo fa uscire dai binari della quotidianità e delle abitudini. Le vite subiscono in questo modo uno scossone violento, alcune diventano incontrollabili e irrecuperabili, perché ognuno è legato a tutti gli altri, che lo desideri o no. Complice del “deragliamento” diventa anche la distrazione di chi “guida” questo treno, ma che poi, alla fine, può fare ben poco per evitare l’evento traumatico che costringe a ripensare le vite di molti e a modificarne il percorso attuando nuove scelte e nuove decisioni. “Le carezze dei lampi” è un romanzo “corale”, in cui ogni personaggio è, in qualche modo, oltre che protagonista della propria vicenda personale, anche di quella collettiva, passeggero volontario o involontario, consapevole o meno, di quel treno che sconvolge il piccolo mondo in cui si sviluppa la storia.
Chiudo con un’ultima annotazione, della quale mi corre l’obbligo di non tacere. È interessante sottolineare come il paesaggio, così come minuziosamente descritto, diventa non solo spettatore e fondale animato – nel senso di “dotato di anima” -della vicenda, ma anche esso stesso personaggio, insinuandosi in molte pagine, per attribuire alla narrazione una precisa collocazione spaziale e temporale; un “personaggio” che fa da collante allo sviluppo della trama, rappresentato attraverso descrizioni di tale intensità e realismo che non può essere ignorato né dimenticato, anche molto tempo dopo il termine della lettura.

Fabio Mongardi – Le carezze dei Lampi. Morellini Editore, 2023.

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Le carezze dei lampi

Nelle librerie e online dal 24-3-23

In un’afosa mattina, Marco, un diciassettenne problematico e inquieto, viene investito da un treno. E stato un incidente o voleva uccidersi? E perché lo avrebbe fatto? Villa Severa, un piccolo paese perso in mezzo alle pianure della bassa Romagna, è un minuscolo mondo di periferia travolto dalla modernizzazione che ha spazzato via sicurezze consolidate e vecchie abitudini. La tragedia non distrugge solo la vita del ragazzo, ma mina anche le esistenze dei genitori, degli amici e del macchinista del treno. In un affresco corale, dove ogni personaggio si racconta e cerca di dare una spiegazione a quel terribile fatto, ognuno parla delle proprie scelte e del senso della propria vita. Queste storie vengono a galla lentamente, come tessere di un mosaico, disegnando il ritratto di un paese, ma anche della provincia italiana in bilico tra un passato rassicurante ormai finito e una modernità che disorienta. Un mondo contadino sta scomparendo e assiste impotente al suo tramonto che brucia, crudele, anche la vita dei suoi figli.

Fabio Mongardi – Le carezze dei lampi. Morellini Editore, 2023

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Collezionisti di nuvole

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