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Si può ancora pensare dopo Gaza? Bifo e la fine dell’umano


di coltrane59

Si può davvero ancora pensare dopo Gaza?
Pensare dopo Gaza è un saggio sulla ferocia e la terminazione dell’umano, come indicato  nel sottotitolo del libro di Bifo uscito nel febbraio 2025 per la casa editrice indipendente Timeo.
Ultimamente recensire i libri di Bifo è veramente difficile ma proveremo a definire delle linee di lettura e di pensiero che si sforzano di capire, aprire varchi, indicare cosa vuol dire pensare oggi, dopo Gaza e dopo quel 1900 che sembrava, dopo Auschwitz e Hiroshima, dirci “mai più”…

La ferocia

Proprio dopo Auschwitz e dopo Hiroshima, dopo i continui avvertimenti sui rischi di guerre, povertà, miserie culturali e falsi miti, dittature e tecnologie usate per uccidere, siamo di fronte, in quel cimitero spettrale a cielo aperto che è Gaza, al “ritorno della ferocia come unico regolatore degli scambi tra gli umani che segna il processo di estinzione della cosiddetta civiltà”, dove ogni forma di linguaggio e di spettacolo di tv, media, social diventa uno strumento di sterminio. La politica e la società diventano i grandi assenti di questa crisi epocale dove la stessa cultura ebraica tradisce se stessa e l’universalità della ragione umana e della democrazia falliscono qualsiasi tentativo di mediazione e di risoluzione del conflitto, o meglio del genocidio in corso. Perché in quelle bombe ci siamo anche noi, inermi e responsabili, occidentali, stati, istituzioni, colonialismo interminabile, Orientalismo pervasivo, tecno-capitalismo e neoliberismo sfrenato. Se tutto poi viene mediato dalla ferocia vuol dire che gli spazi della politica sono ormai vuoti gusci fini a se stessi.
Cosa fare di fronte a questa ferocia pervasiva? Disertare forse, cercare una pace senza condizioni, la rinuncia a vincere, l’alleanza tra le vittime…Ma in realtà siamo solo parte inerme e privilegiata di un Occidente che si sta sgretolando in maniera irreversibile: no, non abbiamo la forza di fermare questo genocidio inarrestabile.

Gaza è Auschwitz con le telecamere

Bifo è sicuro: “la differenza tra Auschwitz e Gaza sta nel carattere pubblico, orgogliosamente ostentato dell’Olocausto inflitto ai palestinesi” dove  l’orgia degli orrori su tv, computer e telefonini produce “una sorta di nichilismo visuale” che porta a una pericolosa assuefazione estetica dell’orrore.
Ricordando il libro Mille piani di Deleuze e Guattari, l’autore definisce il fascismo come una situazione in cui la guerra è dappertutto, in ogni nicchia e in ogni luogo: siamo nelle tenebre davvero: “un tecno fascismo che si manifesta biopoliticamente come sterminio illimitato”.

Basta con la memoria

La memoria non esiste più e non crea più resistenza, conoscenza, storia, intensità. Inoltre si tratta di una memoria bianca, occidentale, patriarcale che non ricorda le varie stragi del colonialismo e dell’imperialismo: per esempio la popolazione della più grande democrazia al mondo, che deve diventare di nuovo grande, ha nella sua pelle lo sterminio delle popolazioni indigene del Nord America. Inoltre non ci ricordiamo mai che non sono gli ebrei che hanno voluto tornare in Palestina ma “sono i nazisti europei che li hanno spinti ad andarsene, sono i sionisti che insieme agli inglesi hanno preparato la trappola in cui gli ebrei sono caduti: quella trappola si chiama Israele”. Allora per Bifo la vera lotta per allontanarsi dal potere è “liberazione dalla memoria, da tutte le memorie”.
L’odio, le barbarie, il nazionalismo, il fascismo, il sovranismo, le guerre in corso hanno la loro memoria e ne traggono linfa vitale ma la memoria è ingannevole e si può trasformare in rancore: “perciò la memoria può essere nemica dell’amicizia”.

Disintegrazione

Non esiste nessuna democrazia liberale e il potere dei vari Putin, Trump, Milei, intesi come tiranni, sono soltanto “la manifestazione politica (cioè spettacolare) del potere sempre più ineludibile del sistema finanziario e del sistema tecno militare”. Ma Bifo ci ricorda continuamente che se la differenza tra democrazia liberale e sovranismo è ormai vuota invece la disintegrazione è reale. E comunque le bande di mafiosi attuali che governano Israele e Usa non faranno altro che accelerare questa disintegrazione di ogni valore sociale, culturale, politico ed esistenziale della nostra civiltà.

Una nazione bagnata di sangue

Bifo ci ricorda anche che Paul Auster, prima di morire, scrive un libro fondamentale (Una nazione bagnata di sangue) per i suoi Stati Uniti: “Questo è un paese nato nella violenza, con 180 anni di preistoria vissuti in continuo stato di guerra con gli abitanti delle terre di cui ci siamo impossessati e continui atti di oppressione contro la nostra minoranza schiavizzata”.
Adesso, e non solo negli USA, ci sono guerre, gang, armi, sparatorie, psicosi di massa, complottismo, suicidi, depressioni, sonno dimenticato, gaming permanente, crescente antinatalismo, schiavismo digitale e molto altro ancora.
Bifo rincara la dose: “lo schiavismo fa parte del bagaglio psichico della nazione americana… come può questa nazione pretendere di essere considerata come un esempio per qualcun altro? E forse gli americani votano Trump proprio perché è uno stupratore e un bugiardo nella stessa misura gli Israeliani votano Netanyahu proprio perché pratica il genocidio…
Nel suo libro Franco Berardi analizza anche concetti come l’ipercolonialismo, inteso come estrattivismo delle risorse mentali attraverso l’unione micidiale del capitalismo finanziario con il capitalismo delle piattaforme digitali e come il darwinismo sociale, inteso come esaltazione del mercato e della competitività, cioè della capacità di adattarsi e di rispondere alle esigenze sociali.
Le pagine finali del testo rappresentano, quasi come un piccolo Urlo di Munch, un grido doloroso e un appello alla cultura, alla poesia, a ogni forma di movimenti e solidarietà possibili, a una sorta di diserzione permanente verso le forme e i caratteri brutali e feroci di questa società per cercare di evitare la terminazione della civiltà umana.
Sabato 12 aprile 2025, in una libreria di Castelnuovo Berardenga, la “Libreria del Mondo Offeso”, Bifo ha raccontato che, presentando il suo libro in varie parti d’Italia, esponendo le sue idee e le sue linee di pensiero, si è trovato di fronte a due tipi di reazioni: i suoi amici di un tempo, i vecchi compagni del 68 e del 77, i marxisti più o meno ortodossi si sono meravigliati del nichilismo di fondo e dell’appello a disertare di fronte a queste barbarie che ci avvolgono; ma le nuove generazioni invece non si sono stupiti di questo mondo feroce e barbarico, di questa crisi nella crisi, di queste depressioni e psicosi pervasive, di questo paesaggio disincantato privo di ideali politici e di sogni collettivi. Non vorrei aggiungere altro, ma bisogna sforzarsi di ripensare profondamente le possibilità a venire delle nostre vite per non poter più affermare che “la sospensione della procreazione è la sola speranza per evitare un futuro di tormento e di orrore”.

Per Gaza, oltre Gaza.


L’articolo è stato pubblicato su Codice Rosso il 26 Aprile 2025


Franco Beradi Bifo – Si può ancora pensare dopo Gaza? Bifo e la fine dell’umano. https://timeo.store/ 2025

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LA PERSEVERANZA DEL SANTO

Dalla quarta di copertina

Rimini. Nel caldo afoso del luglio 2012, l’ufficiale dei carabinieri Federico Santucci, noto come “il Santo”, si ritrova coinvolto in un’indagine per il ritrovamento di un corpo avvenuto in acqua, a poca distanza dalla spiaggia. E’ una ragazza e indossa solo il reggiseno. Mentre cerca di affrontare il dolore nella sua vita personale, segnata dal fallimento di una relazione importante, l’omicidio di Estella, una giovane donna in cerca di evasione e intrappolata in una spirale di dipendenza, cambia il corso della sua vita.
La storia si sviluppa tra eventi drammatici e ricordi dolorosi, rivelando i segreti e le ombre che si nascondono dietro la facciata di una città balneare. Con una narrazione avvincente, il romanzo esplora temi di perdita, redenzione e la lotta contro i propri demoni interiori.

Davide Grassi, avvocato penalista, scrittore e podcaster vive e lavora a Rimini.
Prima di questo thriller ha pubblicato nella veste di coautore il libro inchiesta San Marino SpA (Rubbettino 2013) e il romanzo Il braccio destro (Mursia, 2020).


Davide Grassi – La perseveranza del santo, Carlo Filippini Editore, 2024


Recensione di Davide Cardone


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Peccati essenziali

di Cristina Formica

I Sette peccati necessari. Manifesto contro il patriarcato è un libro da regalarsi e da regalare, da tenere vicino per riflettere e cambiare. È un testo fatto per amarsi e per criticarsi, perché solo guardando in faccia la realtà, la propria persona e la società si può veramente migliorare e stare meglio. Pubblicato dalla piccola casa editrice femminista LE PLURALI, è un testo che descrive un mondo recente ma non solo vicino, uno sguardo necessario per offrirci qualcosa di migliore e da coltivare. I peccati necessari sono quelli che le donne e tutte le identità LGBTQ+ hanno diritto ad agire, almeno quelle che non vogliono essere, o non vogliono più essere, le serve del patriarcato e che perciò possono imparare ad abitare, ad agire, a scagliarsi contro l’imperativo imperante di un mondo al maschile becero, quello bianco ed eterosessuale, quello capitalista e colonialista, anche quello nero e musulmano che ha gli stessi tratti di quello cattolico integralista e repressivo. Il patriarcato è il patriarcato in qualunque parte del mondo agisca, e questo libro lo spiega molto bene.
Peccare fa essere anche felici: la Rabbia, l’Attenzione, l’Ambizione, la volgarità, il Potere, la Violenza e la Lussuria possono essere il modo di riappropriarsi di se stesse e di lottare, anche da sole, contro tutti i mulini a vento che il patriarcato vuole mantenere per opprimere le donne. I peccati sono tali perché rompono muri, aboliscono proibizioni, urlano forte e lontano, trovano altre che donne che Mona Eltahawy nomina e unisce, scrivendo di donne che si muovono in tutto il pianeta, soprattutto in quelle zone di cui la tradizione patriarcale, secondo l’ottica occidentale, le vuole sempre sottomesse perché impossibilitate a lottare, incapaci di combattere per i propri diritti. Proprio questo elenco, lunghissimo e dettagliato, delle donne che lottano in Africa, nel Maghreb da cui l’autrice proviene, nel Medio Oriente e in tutta l’Asia, coniuga serenamente le lotte femministe nordamericane e australiane, quelle europee e sudamericane. Il rendere e pubblicizzare quello che le donne fanno in tutto il mondo non attenua la rabbia, ma la rende più forte per essere maggiormente potente, per essere insieme e non disperate, nonostante tutto, nonostante le sconfitte, l’umiliazione, la prigione e l’essere uccise, spesso non è solo un rischio di subire violenza: ma è proprio la rabbia che permette di affrontare la violenza subita.
Mona Eltahawy è una donna di più di 50 anni, è nata in Egitto e con la sua famiglia si è trasferita in Inghilterra e in Arabia Saudita; ha poi scelto di essere statunitense, dove si è trasferita nei primi anni del duemila e ha preso la cittadinanza, unendo i punti della sua vita e continuando a essere una giornalista e scrittrice importante, che gira il mondo con i capelli rosso fuoco; Mona è voluta diventare una femminista nota in tutto il mondo, come racconta di sé, per agitare le donne in ogni posto che va. Più di un anno fa era anche alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, dove arringava la folla, quasi solo di donne, non cedendo mai l’entusiasmo e la voglia di porsi avanti e guardare avanti. La scrittrice non nasconde mai la sua storia, parte fondamentale dei suoi cambiamenti e che hanno spesso rotto quegli equilibri ipocriti che nascondono le donne sotto, funzionali alla società degli uomini e anche delle donne: ci sono anche quelle, che Eltahawy definisce operaie del patriarcato, che mantengono e contribuiscono a mantenere l’oppressione delle donne, tutte le altre donne che non hanno raggiunto alcuna posizione ragguardevole per poter agire liberamente il loro essere. Non c’è carica politica, economica e sociale che tenga, anche se si arriva a una posizione “invidiabile” come donna bisogna saper mantenere uno sguardo che vada oltre sé e parli anche alle altre che non ce la fanno a realizzarsi, in molte situazioni a vivere dignitosamente proprio perché donne. Non esiste nessuna carica che possa effettivamente riuscire a cambiare il patriarcato se si agisce come un uomo, ne è un esempio perfetto Giorgia Meloni che infatti si definisce al maschile, contribuendo ad una visione del potere che è sempre e solo degli uomini. E come lei, le diverse donne nominate dalla prima presidenza di Trump, di cui l’autrice ricorda come non sia né sia mai stato dalla parte delle donne, lui che è accusato di violenza sessuale e che ha nominato Gina Haspel a capo della CIA nel 2018, una donna funzionale al patriarcato e che ha partecipato direttamente a sessioni di tortura di sospetti terroristi, distruggendone poi la documentazione di prova, atti orrendi per cui è stata accusata di crimini di guerra.
Molte sono le storie che Eltahawy racconta, a partire dalle molestie e violenze che ha subito e che l’hanno incoraggiata a combattere la violenza contro le donne in ogni posto in cui ha vissuto. Poi, ci sono le storie degli stupri etnici in Bosnia e in Rwanda, di cui nessuno vuole mantenere memoria. Ed ancora le storie delle donne indiane che lottano per andare nei templi nonostante le mestruazioni, periodo naturale che impedisce alle donne la preghiera, come se qualsiasi dio sia meno disposto ad essere riverito se lo fa una donna con il mestruo; la stessa lotta è stata fatta dalle donne musulmane di New York, che subiscono la stessa limitazione. Ma d’altronde, anche in Italia, fino a non molto tempo fa, si diceva che se una donna aveva le mestruazioni non doveva impastare il pane e fare tutta una serie di cose perché il sangue avrebbe influito negativamente. E poi l’autrice parla delle donne elette al parlamento statunitense nel 2018, quando sono state nominate anche figure fuori dalla casta politica come Ilham Omar, una donna di origine somala che ha continuato a portare il velo anche nell’emiciclo di Washington; oppure Alexandria Ocasio-Cortez, eletta dai sobborghi newyorkesi perché anche lei si era dovuta districare in una vita complicata, essendo di origine portoricana, povera e a rischio di perdere la casa. Donne che il potere non ha sostenuto, ma la gente sì, anche per questo sono espressione contraria del patriarcato che, di nuovo, Trump rappresenta e non solo lui purtroppo.
Così come il racconto delle lotte in tante nazioni africane per i diritti delle donne, delle persone gay, lesbiche e trans: in diversi stati infatti si rischia la prigione e la morte se non si è eterosessuali, o se si attacca un leader uomo che governa anche rispetto al fatto che le donne si vedono negare i propri diritti umani, tutti i giorni della loro vita, perché sono donne.
Un libro che esprime il bisogno di essere ribelli, di essere libere e liberi perché questo è il destino necessario per una vita ricca e realizzata. A seguire il potere (patriarcale) si rimane sempre sotto un sistema che forse individualmente salva, ma è un destino solitario, senza sbocchi se non quelli che qualcun altro vuole darti oppure, da un momento a un altro, toglierti. Un libro che non vuole assolutamente trovare una soluzione pacifica, ma che anzi sobilla ed agita perché è questo l’unico modo di cambiare ciò che non ci piace; Mona Eltahawy ci è riuscita, approfittando delle possibilità che ha avuto e mostrandosi sempre in prima linea, consapevole che la sua posizione di notorietà l’avrebbe protetta: ma soprattutto ha protetto altre donne, e su questo indica una strada che è ancora tutta da percorrere, perché realmente possiamo costruire quanto di meglio per noi se, e solo se, consideriamo anche le altre persone, anche se non sono come noi, anche se non vogliono essere come noi.
Alla fine, leggendo questo libro, rimane un confine molto più ampio da varcare, un coraggio più grande, un pensiero più forte, è proprio un libro di forza e ne abbiamo, mai come ora, assolutamente bisogno.

Mona Eltahawy – I Sette peccati necessari. Manifesto contro il patriarcato. LE PLURALI Editrice

L’articolo è stato pubblicato su Comune-info il 9 febbraio 2025




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Vorrei chiederti di quel giorno

Sinossi

«Sapere o ignorare sono forme simmetriche di salvezza.» È in questo dittico contraddittorio e duellante l’innesco del racconto di Lorenzo Tosa. E l’inchiesta privata e corale su Bruno, suo padre, morto suicida il 2 aprile 1986, non può che partire dall’ultimo giorno e dalle ultime ore trascorse insieme. Lorenzo aveva solo due anni e mezzo, non può ricordarle ma può rico- struirle e in parte immaginarle, e da lì avviarsi nel lungo e tortuoso viaggio per ricomporre i pezzi di una storia finora taciuta, in un’operazione di omissione concordata messa in atto dalla sua famiglia. Lo farà parlando con chi Bruno lo ha conosciuto e amato, gli amici, i compagni, le donne della sua vita; ricorrendo alla memoria e ricucendo i frammenti di Bruno arrivati fino a lui, senza sconti per nessuno e per se stesso; scavando anche nelle proprie insicurezze di bambino, di giovane adulto e di genitore a sua volta, per rispondere all’urgenza di conoscere e raccontare suo padre. C’è quindi Genova in queste pagine, c’è l’Italia degli anni Sessanta e Settanta e la generazione della politica e della contestazione, il turbinare nell’aria e nei cuori di nuovi modi di stare insieme nell’amicizia e nell’amore, e lo scontro tra i padri e i figli che sarà la cifra forse più paradigmatica di quegli anni. Dentro la vicenda di Bruno Tosa, ragazzo di trentatré anni, c’è la riflessione, così attenta e delicata nelle parole di Lorenzo, sul crollo psichico che porterà all’esito della vicenda, sullo stigma che il disagio mentale ancora si porta dietro, sulla cronaca di una morte non annunciata. Un racconto spietato e tenero, composto di silenzi e urla rabbiose, di presenze, assenze e abbandoni. Un cerchio che si chiude, nella salvezza che solo il conoscere può garantire, avvicinandosi un pezzo alla volta «a quell’utopia che chiamiamo anche verità».

Lorenzo Tosa – Vorrei chiederti di quel giorno. Rizzoli, 2024

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Caffè Letterario di Lugo

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