USA

Movimento pacifista più che mai in crescita negli Stati Uniti

Foto di codepinkalert

di Daniela Bezzi

Nell’anniversario del 24 febbraio, con le tantissime manifestazioni che in Italia e in tutta Europa, da Londra a Palermo, hanno riempito le piazze nel week end appena trascorso, ecco la consolazione di veder rinascere il movimento pacifista, e persino negli Stati Uniti! Siamo lontani dalle manifestazioni oceaniche che il 15 febbraio del 2003 cercarono vanamente di impedire l’invasione dell’Iraq, nonostante la definizione di ‘seconda potenza mondiale’. Ma un dato che i nostri governi non potranno ignorare è il declinante consenso per l’ulteriore invio di armi in Ucraina, che oltre a sottrarre risorse a tutti i malandati welfare del ‘blocco’ occidentale, avrebbe il solo effetto di prolungare il conflitto all’infinito (che però è quello che l’Industria delle Armi convintamente vuole).

E insomma, contrariamente a quanto gli stanchi dibattiti nei talk show vorrebbero farci credere, il sentiment è proprio cambiato: ecco levarsi sempre più forte e chiara la domanda di pace, come non hanno potuto fare a meno di registrare le foto che sono circolate in questi giorni dalla quantità di partecipatissime iniziative anti-war che si sono verificate in tutta Europa, e per l’appunto, anche oltreoceano. Perché oltre a superare tutte le altre potenze occidentali in termini di aiuti militari e finanziari all’Ucraina (stanziamenti pari a 73 miliardi di euro, la cifra più alta mai spesa dalla Casa Bianca) il più riluttante a prendere in considerazione qualsiasi soluzione negoziata è proprio l’entourage di Mr Biden.

Già da domenica 19 febbraio, in anticipo su tutte le città del blocco occidentale, ecco quella partecipatissima manifestazione intitolata Rabbia contro la macchina da guerra che ha coinvolto decine di organizzazioni diverse e migliaia di manifestanti a Washington DC (ne abbiamo dato notizia qui) per reiterare tre fondamentali richieste:

  • stop agli aiuti militari all’Ucraina in favore di ben più urgenti priorità per il popolo americano
  • massimo impegno sul piano diplomatico per l’immediato cessate il fuoco preliminare a seri negoziati di pace
  • e (udite udite) quanto mai urgente e necessario smantellamento della NATO, considerata (con una chiarezza non sempre altrettanto esplicita presso alcuni pacifisti di casa nostra) tra i principali ostacoli per un mondo di pace.

Tra i vari interventi dal palco, è stato particolarmente applaudito quello di Chris Hedges, giornalista pluripremiato, autore di una quantità di libri contro la guerra, che tra le altre cose ha elencato uno per uno i vari istituti, think thank, produttori di armi e di morte, accomunati dagli eterni interessi guerrafondai che hanno creato i presupposti anche di questo conflitto.

Ed ecco che anche lo scorso fine settimana, a partire da venerdì 24 febbraio, tutte le principali città degli Stati Uniti sono state teatro di manifestazioni promosse dalla galassia del movimento pacifista americano: New York, Boston, San Francisco, Philadelphia, e tantissime altre, si sono divise le piazze tra quanti manifestavano in sostegno dell’Ucraina invasa dalla Russia, e quanti reclamavano l’immediato cessate il fuoco da parte di entrambi gli attori di una guerra per procura che gli Stati Uniti non vedevano l’ora di ingaggiare con la Russia. Ennesimo episodio di quella guerra infinita che da decenni vede impegnato l’Impero Americano per alimentare appunto la War Machine e che subito dopo la Russia avrebbe come target la Cina.

Non a caso l’impegno di questo risorto movimento pacifista americano non si è esaurito con lo scorso week end, ma anzi sta registrando un crescendo di iniziative, sia in presenza che on line, in vista della prossima e ancor più importante convocazione del 18 marzo, per commemorare appunto il ventennale dell’invasione in Iraq, con una manifestazione che si preannuncia più partecipata che mai a Washington DC.

E basta andare sul sito di United National Antiwar Coalition, o anche di Answer Coalition oppure di Veterans for PeaceWorld Beyond WarThe People’s Forum, per non dire di quel formidabile movimento di donne (però non esclusivamente femminista) che è CodePink (alias Medea Benjamin, Marcy Winograd, Jodie Evans e tantissime altre attiviste a tutto campo) per capire che sarà una manifestazione ancora più forte e significativa di quella del 19 febbraio, con un fittissimo calendario di eventi preparatori, una quantità di bus che si stanno organizzando da ogni Stato della federazione, un programma di webinar di altissimo livello e contributi che sarebbero di grande interesse anche per noi e che per quanto possibile cercheremo di seguire anche su Pressenza.

Per esempio questa settimana è prevista una serie di interventi on line da parte di giornalisti e autori di indubbio valore con l’obiettivo di contrastare o come minimo indagare e se possibile decostruire la propaganda dei media mainstream, circa le superiori “ragioni” della proxy war con la Russia. Ieri sera c’era il giornalista franco-russo-americano Vladimir Posner, con un’accurata ricostruzione degli eventi che hanno preceduto il conflitto in corso, al punto da ribaltare quello scenario di pace che si era creato con la caduta del muro trent’anni fa, con l’attuale guerra senza possibilità di vittoria (come viene ormai definita) per cui guerra infinita.

Questa sera sarà la volta di Daniel Ellsberg in tema di Minaccia Nucleare e così via fino a venerdì sera, con le conclusioni di Medea Benjamin e Marcy Winograd, che proveranno a delineare possibili Percorsi di pace. E anche per l’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, il tema delle manifestazioni convocate da CodePink non potrà limitarsi alla violenza di genere, ma denuncerà in tutti i possibili slogan la violenza senza precedenti che il conflitto in corso già rappresenta per le popolazioni colpite e per tutto il genere umano, se dovesse degenerare (ipotesi tutt’altro che peregrina) in olocausto nucleare.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 28 febbraio 2023

Da Washington DC si leva più forte e partecipata che mai la richiesta di pace

di Daniela Bezzi

Enorme, partecipatissima, coloratissima, sventolante delle bandiere e striscioni e messaggi più diversi: il movimento pacifista americano non ha aspettato la data del 24 febbraio, anniversario dell’invasione russa in Ucraina, per mobilitarsi. E basta passare qualche ora nel surfing tra le varie piattaforme sul web, e poi sui vari canali social, per capire che già da giorni (sebbene le notizie che riceviamo dagli Stati Uniti siano tutt’altre) è tutto un fervore di riunioni preparatorie o vere e proprie convocazioni.
Ed ecco infatti che già domenica 19 febbraio si sono radunati in migliaia per le strade di Washington, per protestare contro la politica guerrafondaia del governo USA, per la continua fornitura di armi dell’amministrazione Biden all’Ucraina e (udite udite) per mettere fine alla NATO.
I vari cortei si sono poi uniti alla manifestazione più importante numericamente, che si è tenuta di fronte al Lincoln Memorial, con il combattivo slogan Rage against the War Machine, ovvero Rabbia contro la macchina della guerra. Armati in realtà di pacifici cartelli e striscioni i manifestanti hanno ribadito in tutti i modi possibili l’urgenza di colloqui di pace e la necessità di mettere fine all’invio di aiuti finanziari e militari in Ucraina, considerata anche l’emergenza sociale che da tempo affligge un crescente numero di americani.

E prendendo spunto dal discusso ma indubbiamente esplosivo scoop pubblicato l’8 febbraio scorso dal pluripremiato giornalista Seymour Hersh circa il diretto coinvolgimento anzi direzione della NATO nel sabotaggio del gasdotto Nordstream 1 e 2 (che assicurava alla Germania e a tutti noi in Europa forniture di gas russo a condizioni straordinariamente convenienti, ma sgradite agli americani), molti slogan hanno scandito anche l’urgenza di mettere fine alla cosiddetta alleanza atlantica, ritenuta responsabile di troppe guerre e relativi crimini in tutto il mondo.

E insomma sarà pur vero che la stampa mainstream americana ha fatto di tutto per ignorare e se possibile denigrare persino una grande firma della statura di Seymour Hersh (come documenta una puntuale analisi su The Mint Press News). Ma così non è stato sul web, dove il suo dettagliato articolo ha avuto milioni di visualizzazioni in tutte le lingue del mondo, e dove le critiche e la prevedibile polarizzazione delle posizioni hanno sollecitato una quantità di interviste e complessivamente favorito la diffusione della notizia. E se in Europa, inspiegabilmente, non si sono registrate reazioni di nessun tipo, neppure tra la componente Verde del Parlamento tedesco rispetto a quello che (al di là di ogni considerazione) è stato anche un enorme disastro ambientale (300.000 tonnellate di metano disperse in un colpo solo nelle acque del Mar Baltico non sono uno scherzo), all’interno della multicolore galassia pacifista US ecco rafforzarsi ogni giorno di più l’indignazione per il danno, anzi crimine di guerra obiettivamente compiuto nei confronti di un governo sovrano come la Germania e contro quell’Europa di cui gli Stati Uniti sarebbero alleati!

All’inchiesta di Hersh ha fatto riferimento in particolare Dennis Kucinich, ex membro del Congresso nelle fila del Partito Democratico e sindaco di Cleveland, sottolineando che “il più grande talento della Casa Bianca è fabbricare disinformazione per meglio manipolare i media e creare divisione nell’opinione pubblica con le armi dell’odio e della paura, diffondendo ogni genere di notizie allarmistiche, che sono l’opposto di ogni democrazia.” E nel sollecitare al più presto una Commissione di Inchiesta che possa fare luce su quanto denunciato da Hersh, Kucinich ha promesso a nome dei manifestanti che ai responsabili non verrà data tregua. “Non ci fermeremo fino a che non saranno rivelati i nomi di chi ha commesso questo ennesimo crimine di guerra.”

Prima e dopo di lui hanno parlato Tulsi Gabbard, Ann Wright, Ron Paul e i vari portavoce delle tantissime organizzazioni che hanno aderito alla manifestazione, da Veterans for Peace e Bring our Troops Home, a TNT RadioWorld Beyond War, Actions4AssangeAntiWar.com e molte altre. Promossa dal Libertarian Party e dal People’s Party, l’iniziativa era stata concepita infatti all’insegna della massima convergenza di posizioni, e aperta al maggior numero di rappresentanze della società civile, unite dal comune obiettivo di mettere fine all’interventismo e allo stato di guerra permanente di cui gli Stati Uniti sono in effetti i principali responsabili o in qualche modo protagonisti dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi. E infatti dai filmati che si vedevano ieri sui canali social spiccava in particolare la varietà dei messaggi, sulla soleggiata spianata del Lincoln Memorial: gli striscioni di Abbasso NATO accanto a quelli di Free Julian Assange, un grande poster con il benevolo sorriso di Papa Francesco accanto alla bandiera rossa dei socialisti e così via.

Tra gli interventi più applauditi, quello di Chris Hedges, anche lui giornalista pluripremiato e autore di numerosi libri contro la guerra, oltre a servire come Ministro Presbiteriano. E non poteva mancare in chiusura di manifestazione un messaggio a distanza di Roger Waters, come sempre molto personale e coinvolgente nel ricordo della madre che quando era ragazzino gli raccomandava di “leggere, leggere, leggere, per imparare ad ascoltare le ragioni di chi magari non la pensa come vorremmo noi, ecc ecc…”. Decisamente da vedere questo messaggio di Roger Waters soprattutto dove si rivolge al Presidente Biden pregandolo di “fare la cosa giusta, do the right thing… interrompi le forniture di armi per una guerra che ha già causato fin troppi morti e che sta inesorabilmente precipitando nell’Armageddon nucleare…”

Niente da fare. Nelle stesse ore in cui di fronte alla Casa Bianca si levava così forte e chiara la richiesta di pace, Joe Biden si preparava a volare verso Kiev per la visita a sorpresa al protegè Zelensky: per assicurare a lui (e a tutti noi) che questa ennesima ‘guerra di libertà’ andrà avanti oltranza e whatever it takes.
Una cosa però è certa: la rinascita del movimento pacifista americano, come molti commentatori hanno detto a caldo e come non mancheremo di osservare nei prossimi giorni, con le tante manifestazioni previste in tutte le più importanti città degli Stati Uniti, New York, Boston, San Francisco, Filadelfia, Madison, Santa Fè andando verso il 24 febbraio sarà una marea. E speriamo che come già è successo per la guerra in Vietnam, la marea abbia ragione della War Machine.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 21 febbraio 2023

Foto di Daniel da Pixabay

La Nato ripudia la pace

di Pietro Caresana

Circa 200 persone hanno partecipato, dibattuto e ascoltato le relazioni proposte nella due giorni Il futuro è Nato?, organizzata tra 4 e 5 febbraio da una rete di realtà pacifiste e contro il nucleare nella suggestiva sede del Castello dei Missionari Comboniani a Venegono Superiore, in provincia di Varese.

In veste di ospiti sono intervenuti, chi in presenza chi online, Manlio Dinucci, Jean Toschi Marazzani Visconti, Alberto Negri, Antonio Mazzeo, Rossana De Simone, Claudio Giangiacomo, Patrick Boylan, monsignor Luigi Bettazzi, Mario Agostinelli e padre Alex Zanotelli.

Se l’idea di futuro auspicabile che si ha vede un pianeta in pace, senza conflitti e devastazioni nucleari, senza crisi ambientale e all’insegna del rispetto dei diritti umani, allora si può affermare senza remore che il futuro non è affatto Nato. Anzi, la situazione geopolitica che l’umanità sta vivendo dovrebbe far parlare piuttosto di un futuro morente. Nel corso della due giorni, estremamente densa per la quantità di contributi apportati, dati sciorinati ed esempi riferiti, è infatti emerso con chiarezza come l’assetto di potere contemporaneo minacci in modo molto serio il destino dell’umanità.

Chiunque si occupi di pace non può non intersecare il discorso sul nucleare, quello ambientale e, appunto, quello che porta a discutere e criticare il ruolo di controllo autoconferitosi dal Patto Atlantico. Sono tre temi connessi e di uguale gravità ma, come è emerso in diverse relazioni, il denominatore comune sembra essere l’egemonia della Nato sulla situazione globale. Agostinelli nel suo intervento ha fatto infatti notare che il leitmotiv del XX e del XXI secolo sembra essere l’idea che non ci sia spazio per tutti sotto il sole del potere e del benessere e ciò conduce fisiologicamente a una lotta per l’egemonia per cui il blocco vincitore della Guerra Fredda (quello imperialista statunitense) deve trovare ed eliminare qualunque potenziale concorrente.

Dunque, si spiegano le infiltrazioni americane nella costellazione di conflitti (Jugoslavia, Iraq e Libia per fare alcuni eclatanti esempi) scoppiati a seguito del crollo dell’Urss. Toschi e Dinucci hanno mostrato, l’una ripercorrendo la storia dell’influenza bellica dei quadri di potere occidentali dal ’45 a oggi, l’altro ricordando che l’attuale conflitto russo-ucraino è ben più che un’alzata di capo estemporanea di Putin, come il disegno di presa di potere globale della Nato abbia fortemente connotato e determinato la storia di guerra contemporanea.

Un trascorso bellico che, ha sottolineato Negri, si fonda sul mito della vittoria totale; una sorta di ideologia del conflitto che da una parte alimenta le mire espansionistiche occidentali e dall’altra, nel caso specifico, porta a pensare che la questione russo-ucraina possa risolversi con la vittoria definitiva di una delle due parti. Questo tipo di ragionamento, è evidente, incentiva il protrarsi delle ostilità allontanando ogni possibilità di reale negoziato (e va sottolineato che non negoziano mai direttamente i cittadini indifesi o le persone che vorrebbero la pace, ma solo leader che hanno più interessi a far combattere che a riappacificare).

L’Unione Europea potrebbe, almeno teoricamente, far valere la propria voce per una cessazione dei combattimenti, ma la sua storia recente testimonia un pressoché totale allineamento rispetto alle decisioni statunitensi. L’Italia stessa è coinvolta in prima linea come complice dei signori della guerra, lo testimoniano le basi Nato diffuse per il paese così come l’accoglienza incostituzionale di testate nucleari sul proprio territorio. Mazzeo e Giangiacomo, rispettivamente, hanno messo in luce lo slittamento del Patto Atlantico da una funzione prettamente difensiva a una preventiva. Ciò comporta una generalizzazione del concetto di “pericolo” e “nemico” (che in epoca finanziaria capitalista diventa, più propriamente, “concorrente”) che consente uno spazio di manovra ampio anche nel concepire di essere la potenza che fa la prima mossa: che impiega cioè le armi, anche atomiche, per fini offensivi.

Fa gioco in questo senso che il nemico, come si diceva, dopo il ’91 molto meno semplice da definire, siano stati i terroristi per il primo quindicennio del 2000 e ora, ancora più genericamente, siano le cosiddette minacce ibride. Aumenta la viscosità di una controparte invisibile forse perché inesistente e di conseguenza aumenta il controllo delle libertà che chi come promette di fare la Nato ha intenzione di difendere l’Occidente può esercitare sui cittadini dei propri Paesi.

D’altra parte, gli Stati hanno completamente perso il proprio potere giurisdizionale se è vero che, come testimonia anche il parere giuridico commissionato a Ialana e sintetizzato in un testo di cui si sta parlando molto negli ultimi tempi, il nucleare sul suolo italiano è anticostituzionale. Inoltre, De Simone ha testimoniato del peso della diffida, da parte della Nato ai suoi membri, dal firmare il trattato di proibizione del nucleare del 2021. Data la posta di potere in gioco a quel tavolo, è molto difficile convincere uno Stato ad andare contro i dettami di questa entità internazionale.

Di fronte a questo sconfortante scenario di esautorazione statale e dominio globale, sembra ci siano pochi strumenti per costruire un futuro di pace. Eppure, come hanno sottolineato tanto monsignor Bettazzi che padre Zanotelli, la guerra è una follia che non può che decretare la fine dell’umanità. Attraverso la lente cristiana di cui sono portatori, i due relatori nei loro discorsi hanno parlato dell’assurdità di fare guerra per fermare la guerra e hanno ricordato che, anche a livello pontificio, l’idea di guerra giusta è ormai ampiamente superata. Non resta che l’irrazionalità del conflitto, un delirio che solo una reale democratizzazione dell’Onu, tramite il superamento del sistema per veti, e la costruzione di una mentalità nonviolenta possono fermare.

L’urgenza di una cessazione dei conflitti, come se non bastasse, è anche ambientale: il nucleare ma anche le armi non atomiche sono una condanna per gli ecosistemi. Se si uniscono gli effetti deleteri di bombe e inquinamento “normale”, l’urgenza di una transizione ecologica che sia anche pacifica è impellente sia sul piano climatico che su quello della giustizia sociale.

Egemonia Nato e crisi socio-economica e ambientale sono insomma i principali tre problemi emersi dai momenti di conferenza tenutisi a Venegono. C’è però qualcosa che, anche come singoli, si può fare per impegnarsi nella costruzione di un futuro vivibile e pacifico. Zanotelli ha indicato una serie di azioni di resistenza al mercato della guerra: obiezione di coscienza alla leva, opzione (devolvere soldi a cause di pace e nonviolenza) se non obiezione fiscale e boicottaggio delle banche armate (Unicredit, Deutsche Bank e Intesa Sanpaolo le tre principali) sono tre strumenti che ciascuno può adottare, nonostante il loro costo e la loro difficoltà per il singolo. Inoltre, Toschi ha rilanciato la campagna Fuori l’Italia dalla guerra, piattaforma pacifista di massa critica trasversale ad ogni credo, provenienza ed ideologia e appartenenza politica. Un altro strumento individuale, proposto da Boylan, è inoltre «informarsi meglio per protestare meglio»: le politiche belliche della Nato si fondano su un’informazione di parte, spesso falsa e altrettanto frequentemente parziale. Un pubblico non critico non può essere efficace nel costruire una massa di resistenza pacifista; serve documentarsi attraverso fonti alternative, non allineate e, soprattutto, non sempre occidentali per sfuggire alle vere e proprie bolle informative-narrative che vengono a costruirsi attraverso i canali di grande distribuzione informazionale.

Nella propria eterogeneità di vedute, retroterra politici e sfaccettature, il congresso Il futuro è Nato? ha dato varie chiavi di lettura per un presente armato che è urgente sovvertire. Per discutere di altre esperienze di pace e opposizione al sistema egemone Nato, la sessione pomeridiana di domenica 5 febbraio è stata dedicata al confronto tra le realtà ed i singoli aderenti, per progettare un futuro solidale, ecologico e pacifico anche a partire dall’azione locale.

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 6 febbraio 2023
La foto è di Alexander Antropov da
Pixabay

Piersanti Mattarella e Aldo Moro: scomodi per tanti

di Giuseppe Salamone

Poi quando racconti queste cose, esce il classico genio che ti dice che sei antiamericano, ossessionato dalla Nato e che quindi devi filare via in Russia ed in Cina.
E quando leggo che le risposte sono queste, non ottengo altro che conferme su ciò che scrivo e che quindi non potendole smentire nel merito, cercano di buttarla in caciara.
Il 6 gennaio del 1980 veniva ammazzato Piersanti Mattarella. Era candidato alla segreteria della democrazia Cristiana; ma la cosa più importante sta nel fatto che condivideva la linea di Aldo Moro per quanto riguarda il compromesso storico.
Quella linea prevedeva di portare al governo il Partito Comunista Italiano, e tutto ciò non andava giù ai padroni a stelle e strisce i quali temevano che con il PCI al governo, molti dei loro desiderata sarebbero potuti rimanere inattesi. In sostanza, per farla breve, gli USA vedevano il PCI come un ostacolo e quindi un pericolo per i loro sporchi affari.
La moglie di Piersanti, Irma Chiazzese, ha riconosciuto Giuseppe Valerio Fioravanti come l’assassino di suo marito e lo ha anche testimoniato in tribunale.
Fioravanti è anche tra gli esecutori della strage di Bologna, assieme a Mambro, Cavallini, Ciavardini e Paolo Bellini, il quale nel 92 partecipò anche ad una riunione ad Enna dove si decise l’attentato a Falcone.
Scavando tra le varie testimonianze e sentenze che riguardano il periodo delle stragi italiane, si può tranquillamente ricostruire la piramide che mise in atto la più grande azione di destabilizzazione dello Stato Italiano.
In basso ci stavano la mafia ed i terroristi legati a movimenti fascisti di estrema destra. Questi esecutori erano “protetti” e finanziati dalla P2 di Licio Gelli che a sua volta aveva dietro la CIA e la NATO.
Girando e rigirando, la verità va a schiantarsi sempre allo stesso punto, ed è per questo che fino ad oggi, queste stragi continuano a rimanere impunite e prive di verità “ufficiali”. E continuano a rimanere impunite anche perché testimonianze come la moglie di Piersanti Mattarella, diventano inattendibili. Una roba incredibile!
Siamo veramente una Repubblica delle banane, e nonostante tutto quello che è successo alla nostra martoriata Repubblica, ad oggi siamo costretti a veder ricevere al Quirinale gente che ha fondato un partito assieme a cosa nostra e a sorbirci Presidenti della Repubblica che rivendicano con orgoglio un Atlantismo compulsivo che da sempre attenta allo Stato italiano, miete vittime, ci nega la verità e gli si consente financo di depistare le proprie malefatte.
Sarà un giorno migliore in Italia quando da Washington non potranno più permettersi di imporci cosa possiamo e non possiamo fare. Questa è una conclusione che si basa sui fatti storici, e non sulla propaganda Hollywoodiana che ha annebbiato milioni di cervelli Italiani. Quel giorno sarà un altro 25 Aprile per noi… Yankee go home!

L’articolo è stato pubblicato su Osservatorio della legalità e dei diritti il 6 gennaio 2023

La dittatura della finanza e il mercato del gas 

Porto di Sabetta, sulla penisola di Yamal, nella Russia artica – Aleksandr Rumin/TASS

di Andrea Fumagalli

Prefazione

Il 12 e 13 settembre 2008, nel pieno del crollo finanziario dei subprime negli Usa, due giorni prima del fallimento della Lehmann Brother (15 settembre 2008), a Bologna si svolgeva un convegno organizzato da UniNomade sui mercati finanziari e la crisi dei mercati globali. Gli atti di quel convegno (e molto di più) verranno pubblicati l’anno successivo da Ombre Corte a cura di Andrea Fumagalli e Sandro Mezzadra con il titolo Crisi dell’economia globale. Mercati finanziari, lotte sociali e nuovi scenari politici [1]. All’interno di quella raccolta di saggi, compariva un testo di Stefano Lucarelli: “Il biopotere della finanza”. All’epoca, tale titolo ci pareva più che mai azzeccato per descrivere il dominio delle oligarchie finanziare nel definire le traiettorie di accumulazione del nuovo capitalismo delle piattaforme, che da lì a poco sarebbe emerso dalle ceneri di quella crisi.
Oggi a quasi 15 anni da quegli eventi, possiamo dire di aver sottovalutato il problema. Certo, la nostra analisi si era rivelata più che corretta nel sottolineare il ruolo centrale e dominante della finanza speculativa nel nuovo (dis)ordine monetario internazionale e il tendenziale declino del dollaro come moneta di riserva internazionale. Ma nel frattempo, il biopotere (che poteva dare origine anche a qualche forma di contropotere, come illusoriamente ha fatto credere la parabola del bitcoin) si è trasformato in una vera e propria dittatura.

La finanziarizzazione delle materie prime

Ciò che sta succedendo nella determinazione del prezzo del gas nel mercato di Amsterdam lo conferma ampiamente. Già nel passato c’erano state avvisaglie della capacità della speculazione finanziaria, oggi sempre più essenza e anima dei mercati finanziari, di stravolgere in modo quasi irreversibile le stesse regole di funzionamento di un mercato neo-liberista. Nel 2008, ad esempio, il prezzo del petrolio aveva registrato un’impennata dai 70$/barile del dicembre 2007 ai 142$/barile dell’estate 2008, per poi calare entro la fine dell’anno a quota 33$: una bolla speculativa che si era sgonfiata, però, molto rapidamente.
Ma ciò che sta succedendo al mercato del gas presenta novità che devono essere sottolineate. Fino a pochi anni fa, le dinamiche di mercato e il prezzo che si determinava nello scambio reale tra domanda e offerta delle commodities erano la base sulle quali si formavano le aspettative sui prodotti derivati (di solito i futures) che alimentano l’attività speculativa. Il prezzo sui mercati reali era la base delle dinamiche speculative e delle convenzioni finanziarie che di volta in volta alimentavano le decisioni speculative.
Oggi avviene l’opposto. Sono le aspettative sulla dinamica futura dei prezzi rappresentate dal valore dei futures sul gas o su altre merci a determinare il prezzo dello scambio di mercato. Così avviene nel principale mercato per gli scambi all’ingrosso di gas, denominato Title Transfer Facility (TTF). Si tratta di una piattaforma virtuale (e un indice) della borsa di Amsterdam, nei Paesi Bassi, in cui si vendono e si acquistano gas (poco) e futures sul gas (molto), cioè contratti per scambiare una certa quantità di gas in una data futura e a un prezzo prestabilito. La logica è dunque puramente speculativa. Il prezzo che si determina non è influenzato dall’effettiva domanda e offerta di gas ma dalle aspettative future.
È l’esito della liberalizzazione del mercato dell’energia, voluta dal Trattato di Cardiff del 1996, che, in nome della libera concorrenza, ha eliminato qualsiasi forma di regolamentazione del prezzo del settore. Il paradosso è, contrariamente a quanto auspicato dai fautori del libero mercato, che il prezzo dell’energia non deriva più dall’incontro tra domanda e offerta ma dall’attività speculativa che origina dallo stato delle attese sul futuro del mercato. Il che dipende in modo massiccio soprattutto da fattori geopolitici e geoeconomici che poco hanno a che fare con l’effettivo andamento del mercato.
Si sostiene che l’aumento del prezzo del gas sconta previsioni negative su ciò che accadrà all’offerta di questa materia prima, scommettendo su una sua presunta scarsità futura. A differenza di ciò che accadde con il petrolio nel 2008 – la cui presunta scarsità venne innescata dalla notizia che i giacimenti di Baku erano sul punto di terminare – oggi la supposta insufficienza del gas si fonda sulla forte instabilità geo-politica internazionale e sulle tensioni internazionali tra Usa, Cina e Russia.
La realtà attuale del mercato è, in effetti, un’altra. Il gas non è affatto, al momento, una risorsa naturale scarsa. Secondo il rapporto Eni “Natural Gas – Supply and Demand” all’interno della World Energy Review, pubblicata il 26 luglio 2022, le attuali riserve sono sufficiente a colmare il fabbisogno crescente per oltre 59 anni.  Inoltre, occorre ricordare che è in forte aumento la produzione di biometano derivante dall’utilizzo del letame degli animali.  Al 31 dicembre 2021 (ultimo dato disponibile) le riserve mondiali ammontavano a 202.179 miliardi di metri cubi: erano 172.742 miliardi nel 2005. Il 40% di tali riserve si trova nel medio oriente, il 33% in Russia e nell’Asia Centrale, l’8% in Africa e nel Nord America, solo il 2% in Europa. Nel corso del 2021, la produzione globale è stata di 4.050,35 miliardi di metri cubi. Il consumo è risultato inferiore, pari a 4.027,04 miliardi. Siamo così in presenza di un eccesso di offerta che dovrebbe portare ad un ribassamento del prezzo o per lo meno non ad un suo aumento.
Ma non è così che è andata, anzi. Nel corso del 2021 (prima quindi dell’invasione russa in Ucraina), il prezzo TTF del gas quotato alla borsa di Amsterdam è aumentato del 402%. Gli esperti giustificano tale andamento con il fatto che si è verificato un aumento del consumo di gas pari al 4,6%  dovuta all’inverno lungo e freddo nei primi mesi del 2021, che ha determinato un maggiore ricorso al riscaldamento, seguito da un’estate prolungata e calda che ha causato un maggiore utilizzo di dispositivi di raffreddamento, accompagnato dall’aumento della domanda di gas naturale liquefatto con la conseguente impennata dei prezzi di quest’ultimo e infine dall’aumento del consumo di gas in Asia dovuto alla ripresa economica. Si tratta di fattori che certamente concorrono a smentire la presunta scarsità della materia prima ma non sono sufficienti a far supporre un prossimo deficit d’offerta.
Nel 2022, l’invasione della Russia in Ucraina è stata la classica goccia può fare traboccare un vaso comunque già pieno, aggiungendo ulteriore incertezza e instabilità. E sappiamo come la speculazione vada a nozze in queste situazioni. Occorre tuttavia notare che possibili restrizioni nell’offerta di gas all’Europa da parte della Russia sono anche il corollario delle sanzioni europee. Il divieto di esportare in Russia componenti tecnologiche, necessarie alla manutenzione dei gasdotti e degli impianti di estrazione del gas, mina infatti la capacità produttiva russa, riducendo, di conseguenza, i ricavi derivanti dalla vendita del gas. I costi che ne conseguono per la Russia sono, tutto sommato, inferiori a quelli che i paesi europei rischiano di pagare, prima di riuscire ad affrancarsi dalla dipendenza dal gas russo.
Negli Stati Uniti, di converso, il prezzo del gas naturale per famiglia, misurato in kWh, fissato sul mercato Henry Hub, punto di distribuzione per gli Usa, situato in Louisiana, è passata da 0,0094$ del gennaio 2021 a 0,0134 di dicembre (+ 42% circa). Un aumento di gran lunga inferiore a quello registratosi ad Amsterdam (+ 402%, come abbiamo visto), perché nel mercato Usa del gas i futures sulle materie prime hanno un ruolo decisamente più limitato. Ciò dipende dal fatto che i prodotti derivati si scambiano su un mercato diverso poiché vengono quotati principalmente a Chicago e non in Louisiana. E infatti a fine agosto 2022 il prezzo sul mercato americano Henry Hub è pari a 0,043$ per kWh contro un prezzo medio mondiale pari a 0,75kWh e a un prezzo europeo di circa 0,136$, oltre il triplo. È la conferma che in Europa il prezzo a cui si scambia il gas è l’esito della finanziarizzazione del mercato e della dittatura dell’attività speculativa.

Cui prodest?

L’attività speculativa conviene a molti. In primo luogo ai grandi fondi speculativi che creando la bolla rialzista possono ottenere elevate plusvalenze, per poi ritrarsi al momento opportuno, così come è successo per altre convenzioni speculative (ad esempio, quelle sui titoli di stato greci e italiani nel 2011). Ma conviene soprattutto alle grandi imprese energetiche. Chi può usufruire di contratti standard di lungo periodo con i produttori di gas grezzo (come la Gazprom) gode di condizioni estremamene vantaggiose con un prezzo bloccato a livello molto inferiore all’attuale prezzo di vendita. Chi non ha questo privilegio, può sempre acquistare il gas sul mercato americano ad un prezzo decisamente più conveniente.
Non stupisce che solo nel primo trimestre del 2022, secondo i dati di Arera (Autorità di Regolazione per Energia, Rete, Ambiente), le bollette della luce siano cresciute del +131% rispetto allo stesso periodo del 2021, +94% il gas. Gli extra-profitti incamerati dalle società dell’energia grazie alla differenza tra i costi di produzione e il Pun (acronimo di Prezzo Unico Nazionale, ovvero il prezzo di riferimento all’ingrosso dell’energia elettrica che viene acquistata sul mercato della Borsa Elettrica Italiana – IPEX – Italian Power Exchange) valgono, secondo le stime Assoutenti, la bellezza di 27,9 miliardi di euro solo nel primo trimestre del 2022. Il ministero dell’Economia aumenta la cifra a 40 miliardi. Il guadagno è evidente.
Pensare di limitare l’attività speculativa con un decreto non è possibile. Ma alcuni interventi potrebbero essere utilmente introdotti. Ad esempio, lo scorporo del mercato del gas da quello dell’energia elettrica e delle fonti rinnovabili. Ad Amsterdam, il prezzo del gas al TTF viene fissato con il sistema delle aste al prezzo marginale (Sistem Marginal Price), che di fatto porta a corrispondere il prezzo più alto tra quelli offerti. La particolarità dell’asta marginale sta nel fatto che, nella fissazione del prezzo dell’energia, non conta da quale fonte la stessa sia stata prodotta (rinnovabile, gas, carbone, nucleare); infatti, alla fine dell’asta tutti gli intermediari pagheranno quanto acquistato al prezzo marginale, ovvero l’ultimo prezzo che viene accolto – ovviamente, il più alto fra quelli offerti.
Paradossale è infine il fatto che il volume delle transazioni di gas scambiate ad Amsterdam rappresentino una quota risibile del totale europeo (3-4%: dati Arera) ma indicativo che Amsterdam sia il mercato europeo dominante per la compravendita di titoli futures. Poiché il mercato TTF viene gestito da Gasunie, società olandese che controlla buona parte della rete del metano dei Paesi Bassi, oltre ad alcuni gasdotti europei (pur essendo di proprietà di Intercontinental Exchange (ICE), gigante delle piattaforme finanziarie, proprietaria anche di Wall Street), l’Olanda può godere di vantaggi economici e finanziari che portano il paese a incrementare la propria bilancia commerciale e dei pagamenti a svantaggio di altri paesi europei come Germania, Spagna e Italia. Motivo più che sufficiente per spiegare la contrarietà dell’Olanda a introdurre un limite di prezzo (price gap) a livello europeo.
Al di là di queste considerazioni, la finanziarizzazione del gas ci illustra come oggi la determinazione dei prezzi sia sempre meno dipendente dagli scambi reali, materiali, del bene in oggetto ma sempre più da variabili extra-mercato di tipo finanziario. Si tratta della morte del tradizionale libero scambio di mercato, con buona pace degli economisti liberisti. La teoria della domanda e dell’offerta, base principale della microeconomia neoclassica, perde di senso. La dittatura della finanza mostra qui tutta la sua potenza.

NOTE

[1] Tra i numerosi testi italiani che, in quegli anni, hanno trattato il tema della crisi finanziaria, la maggior parte con un taglio mainstream, questo è quello che avuto il numero maggiore di traduzioni all’estero: inglese, tedesco, spagnolo, portoghese, turco, coreano, giapponese.

L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 3 settembre 2022