di Raúl Zibechi
Quando infuriava il nazismo, Walter Benjamin scrisse nelle sue famose Tesi sul concetto di storia: “Neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince. E questo nemico non ha smesso di vincere”.
In questi giorni sta accadendo qualcosa di paradossale: la memoria di Salvador Allende viene adulterata, non dai suoi nemici pinochetisti, ma da coloro che si proclamano suoi seguaci. Il presidente Gabriel Boric è a capo di un’operazione ad ampio raggio per trasformare Allende in un’icona del consenso tra i partiti del sistema.
Lo scrittore cileno Dauno Totoro, in un’intervista a Telesur, mette a nudo questa operazione, attraverso la quale Boric cerca di reincarnare Allende, “riproducendo i suoi gesti, i suoi movimenti, cercando di diventare l’immagine di Salvador Allende […]. È il prolungamento di qualcosa di molto più serio che ha a che fare con la storia profonda di questo paese e con i gravi eventi che si sono verificati negli ultimi 50 anni” (https://goo.su/F9jG).
Totoro sostiene che è stato costruito un Allende simile a un’icona cristiana, che diventa l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo; che muore per noi e ci libera dalle colpe. Allende è stato tramutato in una sorta di redentore quasi soprannaturale, che trasforma il popolo in un soggetto passivo dei suoi miracoli.
Lo scrittore analizza il modo in cui le ultime parole di Allende sono state manipolate. Secondo la versione ufficiale, egli disse: “Quanto prima si apriranno le grandi strade dove cammina l’uomo libero…” Ma ciò che Allende disse agli operai, a cui si rivolgeva, è “…aprirete”, voi aprirete le strade” (“Salvador Allende: último discurso. 11 septiembre 1973”, minuto 5:45. [ndt: i sottotitoli in spagnolo dicono “se abrirán”, ma se si ascolta, si sente che il “se” non c’è]).
Nel primo caso, si tratta di qualcosa di magico. Si apriranno da sole? Nel secondo caso, è la lotta a determinare l’apertura delle strade.
Un piccolo trucco che modifica tutto, che pone al centro un essere mitico al posto della classe operaia. Ecco perché Totoro conclude: “Hanno trasformato Allende in un prodotto che scagiona l’intera classe politica”.
Un tassello essenziale di questa manovra storico-politica è Boric, colui che sostiene che Sebastián Piñera è un vero democratico (quel Piñera che ha dichiarato guerra al popolo, durante la rivolta del 2019).
Ma Allende non è stato un agnello di Dio, né una star del mondo dei media, ma il presidente impegnato che nella sua ultima apparizione portava un fucile mitragliatore e un elmetto per difendere il palazzo del governo. Quelle immagini sono state sostituite con altre, come l’esposizione delle sue scarpe in una teca perché la gente vada ad adorarle, aggiunge Totoro.
A differenza di quelli che ora lo spogliano del suo fucile mitragliatore, lo scrittore non passa sotto silenzio gli errori di Allende, che credeva in un paese che non esisteva e, in particolare, immaginava un esercito repubblicano rispettoso della legalità.
L’obiettivo finale di questa operazione è costruire un consenso storico senza profondità, un consenso vuoto, senza storia, senza futuro, che ci intontisce e che può essere spezzato solo fisicamente, cioè con la rivolta. Di questo si tratta: mostrare un Allende vuoto di contenuti, che serve agli scopi di una democrazia che non ha nulla a che vedere con quella per cui l’ex presidente ha dato la vita, e rimuovere l’idea della rivolta popolare dallo scenario e dall’immaginario politico.
L’immagine che presenta la sua morte come un suicidio va nella stessa direzione, intende demoralizzare i suoi seguaci. Gabriel García Márquez ha scritto della morte di Allende nel 2003, nel 30 ° anniversario del colpo di Stato, sottolineando che Allende morì in uno scontro a fuoco con una pattuglia di militari, con in mano il fucile mitragliatore che gli era stato regalato da Fidel (García Márquez, “La verdadera muerte de un Presidente”).
Tutta quella storia è stata cancellata perché, come ha detto lo stesso Allende, si trattava di impartire una lezione morale dando la propria vita. Un atteggiamento etico in contrasto con la politica attuale basata sul consenso, sull’unione. Contro che cosa o contro chi? Contro la rivolta e contro coloro che persistono nella loro ribellione, come settori del popolo Mapuche e come i giovani che sono stati repressi l’11 settembre per aver preso le distanze dalle celebrazioni ufficiali.
Ma le cose non finiscono qui. Questo montaggio fa parte della quotidianità del capitalismo e in particolare dei governi progressisti.
Lula ha messo una donna indigena a capo del Ministero dei Popoli Indigeni, ma i suoi alleati dell’agroindustria uccidono ogni giorno membri di quegli stessi popoli, come è successo questa settimana con le autorità spirituali Sebastiana e Rufino, nella più assoluta impunità (“Sebastiana y Rufino, autoridades espirituales Guaraní Kaiowá, asesinadas por defender su territorio en Brasil”).
Nella Colombia del progressista Gustavo Petro, il paramilitarismo continua ad essere la politica dello Stato nei territori (“El Paramilitarismo como política de Estado se mantiene en los territorios”). Nel 2022, sono stati uccisi 215 leader sociali e 60 ambientalisti.
In questo modo, le rivendicazioni e la memoria dei popoli vengono svuotate, mentre si afferma di difenderle. Nell’ambito di questo progetto di svuotamento della memoria per continuare a governare a favore del capitale, quale strategia sta elaborando il governo messicano nei confronti dei popoli originari, prima del 30° anniversario dell’insurrezione zapatista?
Fonte: “La interminable disputa por la memoria”, in La Jornada, 22/09/2023.
Traduzione a cura di Camminardomandando.
L’articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2023 su Comune-info