Europa

E’ MORTA L’UNIONE EUROPEA, VIVA L’UNIONE EUROPEA!

di Gianni Giovannelli

Il rapimento di Europa – Rembrandt, 1632

Se crederete subito vi ordineranno
qualche cosa di più grande ancora
nella convinzione che la paura vi ha fatto dire di si
anche a questo primo punto.
Se rifiuterete con decisione
farete capire chiaramente
che dovranno rivolgersi a voi
solo da pari a pari

Tucidide
(Le storie, I, 141, Sansoni, 1967 pag. 516)

Il parlamento della Repubblica Federale Tedesca è stato rinnovato con le recenti elezioni tenute il 23 febbraio scorso e, come noto, l’assetto è cambiato notevolmente, con un forte incremento della destra (AFD, 152 seggi), l’ingresso della sinistra (Neue Linke, 64 seggi), il forte calo di Verdi e Socialdemocratici (ora 85 e 120 seggi), l’uscita dei Liberali. Il quadro potrebbe mutare a seguito del ricorso presentato alla Corte Costituzionale da Sahra Wagenknecht (BSW, comunisti populisti) che ha chiesto il riconteggio, avendo mancato la soglia del 5% per un pugno di voti. Ove mai la spuntasse (il che non è da escludere, pur se non facile) verrebbe a cadere l’esile maggioranza composta da democristiani e socialisti, con conseguente ingovernabilità. Intanto i due partiti hanno sostenuto la proposta Von der Leyen di aumentare a dismisura la spesa militare, legittimando il deficit di bilancio nei singoli paesi nazionali. Il problema, tuttavia, in Germania è quello di una legge costituzionale (detta freno al debito) che vieta qualsiasi disavanzo superiore a 0,35% del PIL: si tratta di un ostacolo insormontabile per l’applicazione del riarmo in terra tedesca. Il Presidente Steinmeier ha sciolto il Bundestag già 27 dicembre 2024, ora in carica solo provvisoriamente fino all’insediamento di quello nuovo, previsto per il 31 marzo 2025; ma nella nuova composizione manca la maggioranza di 2/3 necessaria per rimuovere la norma costituzionale. Sia Neue Linke sia AFD hanno escluso di dare l’assenso e i loro 216 voti bastano a bloccare la riforma, anche ove Wagenknecht non la spuntasse. Mostrando un totale disprezzo per ogni elementare regola democratica democristiani e socialdemocratici si stanno allora impegnando, congiuntamente, per far votare la modifica della Costituzione al parlamento disciolto, avviando una trattativa con i Grunen che, come noto, sono irresistibilmente attratti dalle bombe e dalle guerre, dunque disponibili a questo colpo di mano contro la pace.
Un altro sostenitore del riarmo è un altro sopravvissuto come Emanuel Macron, incollato alla sua posizione nonostante la sconfitta elettorale e la mancanza di sostegno nel paese; la maggioranza della Francia (sia la destra lepenista, sia la sinistra di Fronte Popolare) si oppone alle spese militari, ma questo non conta nulla, il programma viene imposto con prepotenza, con la repressione del dissenso. Il Presidente del Consiglio Europeo, il socialista Antonio Costa, ha sostenuto con opportune astensioni il governo conservatore portoghese di Montenegro, schierato con i più oltranzisti paesi della NATO contro qualsiasi trattativa; ma proprio nei giorni scorsi a Lisbona l’esecutivo è caduto e si va verso nuove elezioni, probabilmente a maggio. In Romania poi il favorito nazionalista Calin Georgescu (fra l’altro con un passato ecologista) è stato clamorosamente escluso dalla ripetizione delle elezioni, dopo l’annullamento della consultazione precedente da parte di una Corte Costituzionale assai poco indipendente dalle pressioni governative; chi ha sottoscritto il riarmo certamente rappresenta una minoranza del paese. Quanto avvenuto a Bucarest si presenta come un vero paradosso: la destra europea appoggia il candidato socialista pro riarmo e esclude il candidato nazionalista favorito, accusandolo di aver ricostituito il movimento fascista con il finanziamento di Putin e dei comunisti nordcoreani! In questa cornice confusa si cala la scelta (anche questa forzata, autoritaria e sostanzialmente antigiuridica) di procedere al riarmo e allo scontro militare senza richiedere il voto del parlamento europeo; imposto dalle circostanze e concesso di malavoglia aveva carattere consultivo, oltre a non rappresentare la realtà dei cittadini che vivono nei 27 paesi dell’Unione Europea. Rievocare il fascismo storico conduce fuori strada. Certamente rivivono nell’attuale cabina di comando elementi che hanno caratterizzato i regimi dittatoriali europei della prima metà del secolo scorso, quali la xenofobia, il colonialismo, l’intolleranza repressiva, la repressione poliziesca, la giustizia classista. Ma non basta a spiegare quel che sta avvenendo. Siamo di fronte ad un nuovo assetto politico fondato su un rapporto dispotico fra governo e sudditi, sulla relatività del diritto sempre piegato alla ragion di stato, sull’esproprio del comune e delle risorse primarie (aria, acqua, cielo) in una forma che si presenta, in veste nuova, come accumulazione primitiva volta a ottenere valore dall’esistenza collettiva riducendo la maggioranza degli esseri viventi a merce che produce, sempre, ogni minuto della giornata, senza sosta. In questa guerra non ci sono solo le armi convenzionali in azione: ci sono soprattutto satelliti che preparano la morte in precise aree territoriali scelte da anonimi funzionari in strutture indipendenti da quella che viene chiamata democrazia occidentale e che oggi forse non esiste già più (o comunque si avvia verso una inevitabile sparizione dalla scena, in tempi brevi).
L’irruzione di Donald Trump ha probabilmente accelerato quel che comunque sarebbe accaduto nella vecchia Europa. Non viene neppure contrapposta una diversa visione del mondo rispetto a quella che brutalmente il presidente americano rivendica come propria. L’Unione Europea dei 27 (affiancata dalla Gran Bretagna che pure si era sfilata pochi anni addietro) è frammentata, divisa, perfino provinciale, senza prospettive reali oltre che priva di valori morali da difendere. Pensa, sbagliando, che sia possibile, nel XXI secolo, fermare i flussi migratori; non ci riuscirono negli ultimi cinque secoli del primo millennio i cittadini dell’impero, quando ci si spostava a piedi o con i carri, pensano di riuscir-ci in un’epoca che dispone di navi, aerei, automobili, treni! Pensa, ancora, di poter vincere la guerra senza combattere, senza mettere a rischio la vita, senza esporla ai droni, alle pallottole, alle armi chimiche, alla strage intelligente pianificata dalle migliaia di satelliti che ci ruotano sopra la testa. O magari sognano di poter ripristinare la leva obbligatoria. Quando Macron minaccia di mandare truppe francesi o europee a combattere (o a separare i combattenti: cambia poco) ha in mente qualche migliaio di mercenari pronti a qualunque scelleratezza, come ha sempre fatto. Dimentica che non è riuscito a tenere la posizione neppure in Africa, di fronte a truppe male equipaggiate il suo esercito ha ceduto il campo: contro l’armata russa è ragionevole dubitare che possa andargli meglio. L’Unione Europea abbaia alla luna, rischia di provocare un disastro senza sapere tuttavia come reagire davvero, sul campo, dopo averlo stupidamente innescato.
Ottocento miliardi. Sottratti alla spesa sanitaria, alla ricerca, all’istruzione, alla difesa dalla povertà, all’ambiente, al futuro, all’accoglienza, al meticciato inteso come unica vera reale speranza dei popoli europei. Ottocento miliardi buttati al vento per un programma sconclusionato che non ha la minima possibilità di ottenere risultati concreti, neppure dal punto di vista criminale di chi lo ha concepito. Serviranno solo ad arricchire ulteriormente le imprese che producono armi e che, tendenzialmente, si disinteressano di come vengano usate dopo aver incassato il corrispettivo. Il comico Maurizio Crozza ci ha rivelato che il dispositivo di accensione del Lockeed Martin F-35 (circa cento milioni ciascuno) rimane esclusiva americana, possono bloccarlo se non sono d’accordo, alla faccia dell’autonomia difensiva europea! Sono ottocento miliardi spesi male, sparsi in 27 paesi in costante lite fra loro, governati spesso da partiti minoritari, corrotti, con unico punto in comune il dispotismo quale forma necessaria di esercizio del potere (la Romania è un esempio emblematico).
Ora ci apprestiamo alla messa in scena di una farsa, quella del 15 marzo 2025, a Roma, in sostegno dell’Europa. Non si sa quale, naturalmente. Ma il lancio proviene da Michele Serra, giornalista (ovviamente retribuito) di Repubblica, quotidiano fin dall’inizio schierato per la prosecuzione del conflitto russo-ucraino e contrario ad ogni trattativa. Repubblica è interamente posseduto da Exor, società controllata dalla famiglia Agnelli. La famiglia Agnelli ha la proprietà (fra le tante) di Iveco Defence Vehicles (IDV), azienda produttrice di mezzi militari che nel 2024 ha aumentato il fatturato del 31% e l’utile del 92%: non stupisce il risultato considerando il proliferare degli scontri bellici nel mondo. La Rivista Italiana di Difesa ha reso noto l’accordo siglato in data 11 novembre 2024 fra IDV e Leonardo per la fornitura (da parte della prima alla seconda) di motore e cambio-trasmissione da montare su due nuovi modelli di carri armati, l’Italian-Main Battle Tank (IMBT) e il c.d. A2CS/AICS (una nuova famiglia di veicoli da combattimento). Si tratta di un affare colossale che renderà alla famiglia Agnelli, datrice di lavoro del giornalista Serra, una montagna di soldi; ma, persona riservata, il giornalista Serra non ha ritenuto di far sapere ai convocati tramite le colonne del quotidiano questo particolare di cronaca economica, probabilmente valutandolo di scarso interesse. Eppure il dubbio che l’editore del suo giornale abbia magari un conflitto d’interesse sorge spontaneo! Il progetto Von der Leyen approvato dal Consiglio Europeo par costruito apposta per riempire le tasche della famiglia Agnelli, naturale che abbia volentieri messo a disposizione la testata per creare sostegno ad un riarmo che procurerà vantaggio finanziario al gruppo, controbilanciando la crisi di Stellantis e rafforzando il governo.
Chi, magari in perfetta buona fede, andrà alla manifestazione, contribuirà certamente a far crescere il patrimonio (un po’ logorato ma sempre notevole) della famiglia Agnelli, difficilmente aiuterà la pace nel mondo e forse (per lo più inconsapevolmente) verserà invece benzina sul fuoco, contribuendo a morte e distruzione, sottraendo risorse a sanità, ambiente, istruzione, ricerca. Ma non c’è alcuna possibilità di mantenere in vita l’Unione Europea, quella è già morta, nessuno potrà resuscitarla. Michele Serra evoca, con una sorta di nostalgia per la propria gioventù comprensibile in chi ha ormai passato i settanta, l’Europa di De Gasperi e Adenauer, perfino quella di Altiero Spinelli o di Aldo Capitini; ma è cambiato il secolo, il modo di produzione, il pianeta. L’unica Europa che esiste oggi l’abbiamo davanti: è quella dei 27, di Orban ungherese e Marcel Ciolacu rumeno, di Giorgia Meloni e Emanuel Macron, di Costa e Von der Leyen. E’ un’Europa dispotica, aggressiva, predatrice, xenofoba, ostile. Ha sostituito e ucciso quella del XX secolo. Andare in piazza a sostenerla è follia pura, autolesionismo. Ne prendano atto tutti, finalmente: come nelle vecchie monarchie la cerimonia funebre del 15 marzo prevede il grido è morta l’Unione Europea viva l’Unione Europea! I presenti sono chiamati a incoronare il nuovo sovrano.
Esiste un’altra Europa? Ma certo! I giovanissimi nati nel terzo millennio (nonostante il calo demografico esistono) hanno imparato a girare nel vecchio continente senza incrociare sbarre doganali di confine, la Gran Bretagna pagherà un prezzo per averle rimesse e già sta cominciando a farlo. I migranti sono fuggiti dalla guerra, non certo per andare altrove ad armarsi e a combattere. Bisogna ritrovare l’orgoglio di essere internazionalisti, non è in contraddizione con l’amore per la propria terra, per una casa, per una vigna, per un lembo di orizzonte. Mai come in questo frangente la pace prende la forma di un programma rivoluzionario; è l’esatto contrario del programma di riarmo, che infatti mira all’esproprio del comune. La nostra Europa pone quale condizione preventiva proprio la diserzione in aperta opposizione al riarmo; e si tiene consapevolmente lontana dalla manifestazione dl 15 marzo, senza anatemi, ma al tempo stesso con una ostile estraneità.

L’immagine è tratta da Wikimedia

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La violenza del potere nudo

Pixabay.com

di Alessandra Algostino

È difficile comprendere il presente, sconvolto da vortici e tornanti, guerre imprescindibili e paci che improvvisamente ne squarciano l’ineluttabilità; genocidio in diretta e migranti che muoiono lungo i confini, nel silenzio indifferente e complice. È difficile capire, ma pare di scorgere una costante: un potere senza remore, che anzi ostenta – nuda – la sua violenza. Non ha vergogna della sua protervia, ma la rivendica. Non finge di rispettare limiti, ma li infrange con tracotanza. È oltre l’impunità, perché è la legge, una legge che si identifica con la mera forza.

Non vuole nemmeno solo gestire le istituzioni democratiche, ma smantellarle; grida oscenità innanzi al mondo (Trump) o balbetta ipocrite retoriche stantie (i governanti d’Europa), e ha perso il senso del diritto come limite, del diritto teso alla garanzia della dignità umana, del diritto come alternativa alla guerra.

È da rimpiangere il potere che finge di rispettare i diritti e i vincoli del diritto, che occupa le istituzioni democratiche mantenendone la maschera? Forse almeno è un potere che può essere demistificato, al quale si può imputare la violazione; è un potere che si nasconde perché la forza allo stato puro è ancora percepita come un disvalore.

Oggi il diritto, sfibrato da doppi standard, cessa semplicemente di esistere, squalificato, deriso, ignorato; basti pensare alle accuse di antisemitismo rivolte alla Corte internazionale di giustizia o agli inviti rivolti a Netanyahu in totale spregio del mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale. È un passo oltre verso la barbarie: non solo si valica il limite ma si nega che esista. E il limite rappresentato dal diritto garantisce il rispetto dell’umano: dell’uguaglianza, dei diritti, della pace.

I palestinesi come animali umani, l’osceno filmato di una Gaza resort letteralmente costruita sui resti di un popolo, il vanto per i migranti deportati in catene: è la violenza disumana del potere.

Quale potere? È un potere economico e politico insieme: la collusione tra sfera politica ed economica e l’influenza del potere economico su quello politico sono storia antica, ora si ripresentano in forme che riportano indietro le lancette della storia, al periodo medievale dell’ordinamento patrimoniale-privatistico, come mostra plasticamente la foto dell’insediamento di Trump, circondato dai big del capitalismo digitale.

È una fusione che liquefa il costituzionalismo e il diritto internazionale, e, dopo aver sciolto nell’acido del mantra neoliberista la democrazia sociale, intacca la democrazia nella sua veste minima – e non sufficiente – come liberale. La democrazia scivola nell’autocrazia, in un interregno dove si afferma una classe «unicamente “dominante”, detentrice della pura forza coercitiva» (Gramsci) e le qualificazioni ossimoriche della democrazia, come “democrazia illiberale” e “democrazia plebiscitaria”, assumono le sembianze di un nudo neoliberismo autoritario, una plutocrazia, una tecno-oligarchia, un fascio-liberismo.

Scompare il diritto; i diritti sono ignorati, neanche più distorti a coprire politiche di potenza; chi osa evocare il diritto è dileggiato e stigmatizzato; la politica è privatizzata. Nell’assenza di ogni limite, di ogni considerazione per l’umano, l’unica logica è quella della forza, l’unico futuro che viene prospettato è la guerra. La normalizzazione del clima bellico, la dicotomia amico-nemico, il “There Is No Alternative”, la deriva autoritaria, la competitività sfrenata di un tecno-capitalismo mai sazio convergono nel sostenere il ritorno del flagello della guerra.

E l’Europa? Le contraddizioni di un’Unione europea votata all’ordoliberismo e di un’Europa che da secoli

«non la finisce più di parlare dell’uomo pur massacrandolo dovunque lo incontra, a tutti gli angoli delle stesse sue strade, a tutti gli angoli del mondo» (Fanon),

la rendono incapace di sfuggire all’epidemia di cecità che la precipita nella brutalità della guerra come unico orizzonte.

Scendere in piazza, sì, ma non per una Europa, non meglio identificata, ma che in realtà ben si riconosce nei paradigmi neoliberisti e nella sindrome della fortezza. Scendere in piazza per ripartire dall’umano, dall’idea di una libertà sociale che abbia al centro la persona umana, anzi, le persone umane nella loro pluralità, nella loro effettivamente libera emancipazione, personale e collettiva. Scendere in piazza per una politica, e un diritto, che agisca nel segno della trasformazione dell’esistente. È la logica del dominio e della sopraffazione che occorre rovesciare: ovvero è contro la guerra e il capitalismo che è necessario rivoltarsi. Utopia? Iniziamo a pensare possibile ciò che appare impossibile. «Quando sentite che il cielo si sta abbassando troppo, basta spingerlo in su e respirare» (Krenak).

Pubblicato su il manifesto del 7 marzo 2025.

e su su Comune-info l’8 Marzo 2025

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Europa di pace per tutti i popoli

di Rete Italiana Pace e Disarmo

Oggi, di quale Europa stiamo parlando? Europa di pace o Europa di guerra? Europa armata, o Europa disarmata? Europa che investe in armi tagliando il welfare? O Europa che investe in cooperazione tagliando le spese militari? Ci opponiamo alla scellerata decisione di sospendere le regole di bilancio per le spese della difesa armata, facendoci entrare in una economia di guerra.
Siamo con gli ucraini. D’accordo, ma come? Dicendogli “vi diamo le armi e combattete” o facendo diplomazia per salvare il salvabile?

Da sempre ripetiamo che non esiste soluzione militare del conflitto: la guerra non la vince nessuno. La scelta armata fatta per difendere l’Ucraina dall’invasione russa, ha portato da 3 anni ad uno stallo evidente, una guerra di logoramento costata da entrambe le parti decine di migliaia di morti e un numero infinito di vedove, orfani e mutilati. La via militare è un fallimento è l’evidenza dei fatti è lì a dimostrarlo.

Nessuno la guerra la vince, la pace invece la possono vincere tutti.

Stessa cosa per quanto accade nella sponda sud del Mediterraneo, l’Europa è pronta a schierarsi per il riconoscimento del diritto di autodeterminazione dei palestinesi come riconosciuto da infinite risoluzioni delle Nazioni Unite, o per gli amici si usa la politica del “doppio standard”, tollerando crimini di guerra, occupazione e pulizia etnica?

Non sono domande provocatorie, sono domande sincere, necessarie, per capire quale Europa dobbiamo ricostruire, quale sicurezza e politica estera vogliamo sostenere.

Il Manifesto di Ventotene, Per un’Europa libera e unita, aveva l’obiettivo di liberare l’Europa, e progressivamente il pianeta, dalle guerre.

“Quale sia il male profondo che mina la società europea è evidentissimo ormai per tutti: è la guerra totale moderna, preparata e condotta mediante l’impiego di tutte le energie sociali esistenti nei singoli paesi. Quando divampa, distrugge uomini e ricchezze; quando cova sotto le ceneri, opprime come un incubo logorante qualsiasi altra attività. Il pericolo permanente di conflitti armati tra popoli civili deve essere estirpato radicalmente se non si vuole che distrugga tutto ciò a cui si tiene di più”. (Altiero Spinelli in Stati Uniti d’Europa e le varie tendenze politiche, 1942).

L’Europa per dimensione e peso economico, per cultura politica, per tradizione storica deve farsi carico di promuovere il rilancio della multilateralità e la collaborazione globale per un futuro comune. Deve dismettere la postura della supremazia e porsi in una posizione di neutralità attiva nella competizione globale. Deve promuovere una “sicurezza condivisa”, e non la “fortezza Europa”, tenuta in piedi con la forza delle armi, con i muri e con politiche economiche restrittive, inique ed ancora fondate sul fossile.

Data la natura altamente delicata della sicurezza, della difesa e della politica estera, l’idea che la costruzione di un complesso militare-industriale europeo possa avere come risultato un rafforzamento dei legami tra gli Stati membri favorendo un miglioramento del consenso, è un tragico errore. Ciò che è certo è che l’Esercito europeo è attualmente solo una giustificazione retorica di decisioni che puntano a spostare ingenti risorse dai compiti civili dell’Unione a fondi a disposizione degli interessi dell’industria militare senza una visione ed un progetto di società per le future generazioni, con il solo risultato di togliere fondi alla coesione sociale ed economica, alla cooperazione ed alla transizione ecologica.

L’Europa deve rimanere uno spazio multinazionale capace di diventare una grande potenza di pace, che faccia i conti con il passato coloniale e con la necessità di porvi rimedio, che escluda la guerra dai propri strumenti politici e che utilizzi la sua grande capacità economica, scientifica e tecnologica per favorire il riequilibrio nella distribuzione delle opportunità e delle conoscenze tra i popoli. La pace è una conquista della politica che si costruisce nel tempo: sappiamo che c’è sempre un’alternativa da poter percorrere al fallimento totale della politica che è la guerra.

Per un’Europa costruttrice di pace e di sicurezza per tutti i popoli:

– L’Europa deve agire come una vera comunità politica, democratica ed economica dentro un sistema multilaterale e non di blocchi politico-militari che competono e si reggono sulla deterrenza militare.

– L’Europa deve avere una propria politica estera fondata sulla cooperazione e sulla costruzione di pace, giustizia e sicurezza condivisa e comune, regolata dal diritto internazionale.

– L’Europa deve rafforzare il modello sociale europeo ampliando l’accesso ai diritti ed alle tutele, destinando le proprie risorse alla difesa civile, alla transizione ecologica alla cooperazione ed al la solidarietà dentro e fuori l’Unione Europea, allargando la sfera di cooperazione (economica, culturale, strategica) per il rafforzamento della democrazia e del raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile a partire dalle aree di vicinato, tanto a Est come a Sud, per poi estendersi al resto del mondo, e non per il riarmo e per l’economia di guerra.

– L’Europa deve praticare una politica commerciale coerente e strumentale alla politica di pace e di sicurezza condivisa: ridurre il divario tra paesi ricchi e paesi poveri; ridurre le diseguaglianze e sconfiggere le povertà e le migrazioni forzate; investire nella transizione ecologica, promuovere stabilità, pace e sicurezza comune.

Così facendo, il concetto di difesa assume un connotato completamente diverso da quello che si sta discutendo, non è più la difesa militare ed il riarmo per difendersi da un nemico o da una invasione, ma è il consolidamento di un sistema di relazioni tra stati che cooperano, regolato dal diritto internazionale e da forti scambi economici, culturali, di interdipendenza e di scambio, con un basso investimento negli eserciti e nelle armi, ed alto investimento nella difesa civile e nonviolenta, nella cooperazione e nel mutuo aiuto.

Rinnoviamo l’invito a portare nelle piazze, ad esporre alle finestre la bandiera della pace che rappresenta questa idea di Europa e che non può essere usata per giustificare la corsa e la spesa al riarmo ed alla guerra, ma per sostenere l’alternativa alle guerre ed alla prepotenza dei più forti, di chi vuole imporre la legge del più forte, dei ricatti, della supremazia. Vale per l’Ucraina, Vale per la Palestina, vale per tutte le guerre che subiscono le popolazioni.

La nostra Europa deve essere un’Europa di pace e di sicurezza condivisa e comune per tutti i popoli.

È il momento di una grande campagna europea per contrastare la corsa al riarmo ed un’economia di guerra.

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L’UE può sopravvivere solo come progetto di pace e non come sussidiaria della NATO

Foto di worldbeyondwar.org

di Florina Tufescu – 
Traduzione dall’inglese di Daniela Bezzi. Revisione di Maria Sartori.

Dirigenti dell’Unione Europea, basta con il bellicismo!

L’ultimo sondaggio commissionato dal Consiglio Europeo per gli Affari Esteri (ECFR, un influente think tank in cui lavorano numerosi politici di spicco, funzionari dell’UE ed ex segretari generali della NATO) mostra che il 41% dei cittadini europei preferirebbe che l’Europa esercitasse pressioni sull’Ucraina affinché si impegni in negoziati con la Russia, rispetto al 31% che è favorevole a un continuo sostegno militare. Tuttavia, la conclusione dell’analisi del sondaggio, di cui è coautore il direttore dell’ECFR, è che i leader europei non debbano prestare attenzione alle opinioni dei cittadini, ma semplicemente riformulare e perfezionare il loro messaggio, sottolineando la preferenza per la “pace duratura” raggiungibile attraverso il proseguimento del conflitto, invece di una pace reale che potrebbe essere raggiunta già adesso mediante i negoziati.

Sappiamo dal capo della delegazione ucraina e leader del Partito al Servizio del Popolo, David Arahamiya, che i negoziatori russi “erano pronti a porre fine alla guerra se avessimo adottato – come fece una volta la Finlandia – la neutralità”. La proposta è stata respinta per la mancanza di garanzie di sicurezza e per il fatto che l’intenzione di aderire alla NATO era scritta nella Costituzione ucraina. Un successivo round di colloqui di pace nell’aprile 2022 è stato presumibilmente sabotato dal Regno Unito e dagli Stati Uniti, secondo quanto riferito da più fonti, che includono ancora una volta il portavoce ucraino.

Da allora non è stato tentato alcun negoziato di pace, probabilmente perché il rischio di successo era troppo alto. La guerra deve continuare per giustificare l’espansione delle industrie militari degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. La spesa militare totale della NATO, che dovrebbe essere un’alleanza “difensiva”, ha raggiunto il massimo storico di 1.100 miliardi di dollari nel 2023. Secondo i dati forniti dal SIPRI, la spesa militare dei Paesi dell’Europa centrale e occidentale, che si sono auto dichiarati campioni della democrazia e della pace, è arrivata anch’essa al massimo storico, ovvero a 345 miliardi di dollari già nel 2022, in confronto alla Russia, una dittatura direttamente coinvolta nella guerra, che ha speso solo 86,4 miliardi di dollari per la difesa militare nel 2022, sempre secondo il SIPRI.

La guerra in Ucraina ha già causato centinaia di migliaia di vittime dal febbraio 2022, oltre ai milioni di rifugiati e il 30% del territorio ucraino contaminato dalle mine. Non si può permettere che questa tragedia continui solo per giustificare la crescita dell’industria delle armi, di cui i leader dell’UE sembrano ora decisi a fare uno dei punti chiave, con il commissario per il Mercato interno Thierry Breton che chiede altri 100 miliardi di euro di finanziamenti militari, in aggiunta a tutti gli impegni esistenti a livello UE e a livello nazionale da parte dei Paesi europei in quanto membri della NATO. Come il tricheco addolorato del poema di Lewis Carroll, i leader dell’UE e della NATO hanno mostrato la loro faccia più triste nel sottolineare l’inevitabilità dei preparativi per la guerra, pur non facendo nulla per ridurre il conflitto e mostrando la massima disinvoltura di fronte al rischio di escalation nucleare.

Le possibilità di porre fine alla guerra sono già note e sono state discusse negli accordi di Minsk e nei negoziati di pace di Istanbul. Gli accordi dovrebbero includere la neutralità dell’Ucraina e la garanzia dei diritti della minoranza russa in Ucraina, che sarebbe un modo molto più efficace di minare l’influenza di Putin invece di inviare altre armi.

Inoltre, l’UE dovrebbe sostenere gli obiettori di coscienza di Russia, Ucraina e Bielorussia. Il diritto all’obiezione di coscienza, sancito dall’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non è attualmente riconosciuto dall’Ucraina e, sebbene sia legalmente riconosciuto in Russia per il personale non militare, secondo l’Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza viene disatteso in circa il 50% dei casi.

Meno di 10.000 dei 250.000 russi che sono fuggiti dalla loro patria per evitare il servizio di leva, hanno ottenuto asilo nell’UE, nonostante l’appello lanciato da 60 organizzazioni già nel giugno 2022 (relazione annuale dell’EBCO, Agenzia Europea per l’Obiezione di Coscienza, pag. 3). Questa strada verso la pace non è stata dunque percorsa, presumibilmente perché i rifugiati pesano sull’economia senza alcun vantaggio per le cricche di potere, mentre l’industria militare è altamente redditizia per alcuni ed esercita un’influenza sempre più grandi sulle politiche dell’UE, come rivelano il rapporto Fanning the Flames pubblicato dal Transnational Institute e dall’European Network Against Arms Trade e il rapporto ENAAT (Rete Europea Contro il Commercio delle Armi“From war lobby to war economy” (Dalle lobby della guerra all’economia di guerra).

È giunto il momento per i leader dell’UE di recuperare un briciolo di credibilità dimostrando di essere disposti a fare almeno un modesto investimento nella pace e nei negoziati di pace, parallelamente all’investimento senza precedenti nei preparativi per la guerra. È ora che i leader dell’UE antepongano gli interessi dei cittadini europei e degli esseri umani in generale a quelli dell’industria bellica.

L’articolo è stato pubblicato su pressenza il 9 aprile 2024 ed  è disponibile anche in: IngleseFranceseTedescoPortoghese

La foto è di Foto di worldbeyondwar.org 

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Uno spettro si aggira per l’Europa: non è il comunismo, ma la guerra

di Giuseppe Manenti

Questo testo nasce da una mia proposta a Gianni Giovannelli che ha dato anche un notevole contributo di suggerimenti e di stesura. Stimolato dal suo “Tempesta e bonaccia”  dove la nostra “bonaccia” mentre corrisponde a eccidi e genocidi,  non ci lascia indenni, ma ci rende sempre più impotenti, impoveriti e disarmati di fronte all’avidità del potere e del capitale. Tuttavia mi ritengo insoddisfatto perché avrei voluto essere in grado di motivare ad insorgere contro la guerra, a trovare gli argomenti convincenti e cogenti, a trovare i punti,  i modi, le leve per rivoltare questa “bonaccia”. Allora mi rivolgo ai compagni e spero che arrivino da loro idee, propositi, tutto quello che serve per fare la guerra alla guerra. (G.M.)

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Tutti i partiti di governo e di opposizione si dichiarano contro la guerra. Intanto continuano a vendere armi e le industrie che le producono si arricchiscono esponenzialmente, anche grazie a un trattamento fiscale favorevole.

La sola Leonardo italiana ha triplicato il valore delle proprie azioni in tre anni. Il ministro della difesa, Crosetto, nel 2021, ha ricevuto 619.000 euro da questa società,  quale compenso per la funzione di advisor, svolta quale presidente dell’Aiad. Per gli azionisti continua la buona stagione.

L’impegno finanziario dell’Italia nei confronti dell’Ucraina è presumibilmente tre volte superiore a quel che ci dicono i dati ufficiali: i 2,2 miliardi di euro dichiarati come aiuti militari, stante la mancanza di trasparenza, si calcola possano essere almeno 5 miliardi complessivi reali, sottratti alla spesa sociale. E andrebbero aggiunti i danni, notevoli, provocati dal conflitto e dalle sanzioni che vanno a gravare sull’economia delle singole famiglie nel nostro paese.

In concomitanza con l’invasione russa dell’Ucraina si apre la guerra del gas, con cui l’America ha risolto il problema del suo gas liquido che secondo Einhorn (fu lui, con un anno di anticipo, a prevedere che Lehman Brothers sarebbe saltata) era una bolla che gravava per 100 miliardi di dollari di perdite su Wall Street. Le sanzioni contro il gas russo e l’offerta che non si poteva rifiutare del gas americano a 80dollari al mq, provocarono un meccanismo perverso, il prezzo di questo gas “made in USA” indicizzato alla Borsa Olandese fu usato nei contratti commerciali per rivendere il gas russo, mentre il gas russo, al prezzo stimato dai 2 ai 10 dollari, continuava a fluire nei gasdotti per i contratti in essere. Le Compagnie che ricevevano il gas russo fecero guadagni stellari alle spalle della popolazione europea, salutando questa guerra come un bengodi ed ovviamente erano poco interessate a fermarla. Anche questa guerra commerciale ha provocato sofferenze e disagi.

Il governo Meloni partecipa attivamente al conflitto ucraino , continuando a stanziare miliardi di euro in finanziamenti e ad inviare armi e istruttori assieme alla NATO.

Anche perché dopo le armi e le distruzioni, il business della guerra continua e le industrie e le banche italiane sono pronte a partecipare al grande affare della “ricostruzione dell’Ucraina”. che implica liberismo sfrenato, sfruttamento di masse ridotte alla fame.

Chi paga tutto ciò? L’85% degli Italiani che non vogliono la continuazione della guerra, ma la pace, ora e subito!

Gli USA dichiarano di volere la pace in Palestina, intanto riforniscono di armi il governo israeliano e pongono nelle sedi ONU il veto a tutte le proposte finalizzate ad interrompere la carneficina in atto: la pulizia etnica continua, a Gaza e in Cisgiordania.

I conflitti in corso non cessano, anzi aumentano, sono ormai innumerevoli: Ucraina – Russia, Palestina – Israele, Mar Rosso – Yemen,

Libano, Tigray, Sudan, Siria, Iraq, Rojava…

L’Italia, nell’area mediorientale e mediterranea, mantiene 35 Missioni Militari, con una spesa di oltre 1,4 miliardi nel 2023. Inoltre partecipa, con un contingente, in Bulgaria, Lettonia e Ungheria alle attività di addestramento del Multinational Battle Group Bulgaria,  operazioni che sono svolte congiuntamente ai gruppi tattici NATO già esistenti in Estonia, Lituania, Polonia, Ungheria, Romania e Slovacchia e si estendono lungo il fianco orientale della NATO, dal Mar Baltico al Mar Nero.

L’Unione europea era nata in forma di Comunità solidale, per affermare un «mai più» la guerra sul proprio territorio. Ha continuato, silenziosamente, ad appoggiare  l’estensione a est della NATO, pur tenendo fermi gli affari in corso; ha chiuso gli occhi sul conflitto armato nel Donbass e sul mancato rispetto degli accordi di concessione dell’autonomia, fino all’annessione della Crimea. Quando la Federazione Russa ha invaso l’Ucraina avrebbe potuto, e anzi dovuto, far sentire tutto il peso  diplomatico per dirimere lo scontro, per fermare la guerra. Invece ha accettato di  svolgere una funzione ancillare, subendo le conseguenze di sanzioni dirette contro la Russia, senza danno per gli Stati Uniti e per il Regno Unito, con gravi perdite economiche per le popolazioni dell’Unione, soprattutto italiane e tedesche.

In questi mesi è emersa la miopia politica del Partito Democratico in Italia e dei Grunen in Germania, lesti entrambi a ricoprire il ruolo di falchi e di promotori di un costante invio di armi al fronte ucraino, sottraendo al tempo stesso risorse alla spesa sociale interna, in sostanza segando il ramo dell’albero su cui sedevano quali rappresentanti progressisti dei ceti più deboli. Così hanno consentito al partito neofascista di Giorgia Meloni e all’estrema destra tedesca di recuperare un ampio consenso popolare, di essere ammessi nel contenitore democratico complessivo, di prepararsi al sostegno di Ursula Von der Leyen dopo le ormai prossime elezioni europee, magari estromettendo dal governo dell’Unione questi sciocchi apprendisti stregoni di sinistra, o, comunque, partecipando alla divisione della torta.

Invece di cercare con pazienza e pervicacia una mediazione, magari con attente concessioni pur di chiudere le ostilità, l’esecutivo europeo, alla testa di una vasta maggioranza parlamentare, si è messo al servizio degli USA e della NATO, vaneggiando di “Resistenza” cui fornire di armi, proprio quando l’esodo di milioni di ucraini dimostrava una crescente tendenza popolare alla diserzione. Secondo le stime dell’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) sono più di 8 milioni i profughi ucraini che si trovano in Europa (e, aggiungiamo noi, che non sembrano avere alcuna intenzione di rientrare a casa). L’alto commissariato rileva inoltre quasi 22 milioni di attraversamenti in uscita dal paese dal 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione russa in Ucraina, al 16 maggio 2023, malgrado l’arruolamento forzoso e violento degli uomini dai 18 ai 60 anni decretato dal Presidente Zelensky. L’alto tasso di corruzione si è tradotto in un lucroso commercio di visti, lasciapassare, esenzioni, deroghe; improbabile che l’attuale governo di Kiev abbia davvero la possibilità di arginare questa fuga di massa. La “Resistenza” è, per definizione, l’opposizione armata nei territori occupati da un invasore, dopo la caduta del governo istituzionale prima in carica, sotto i colpi del nemico esterno; dunque, tecnicamente, potremmo parlare di “Resistenza” in Crimea o a Mariupol, ove però non se ne trova traccia. Infatti gli addetti militari la chiamavano non “Resistenza” ma “Controffensiva”; ma, con buona pace di chi straparla di invio di armi fino alla “vittoria certa”, non pare abbia avuto  successo. Non basta dirlo. Il Duce, che tanto piace a Giorgia Meloni, gridò VINCERE! dal balcone romano di Palazzo Venezia prima di invadere, a sua volta, l’Ucraina (all’epoca parte dell’URSS) ma il motto  non gli portò bene.

Occorre dire qualcosa su questo onnipresente attore, sempre in tenuta militare, quasi sempre in maglietta verde, per mostrare i muscoli: Zelensky diventò presidente nel 2019, dopo essere stato inventore e protagonista di una serie televisiva, in onda con enorme successo su un canale di proprietà dell’oligarca ucraino Igor Kolomoisky. Recitava la parte di un presidente integerrimo, un po’ ingenuo; ciò lo rese molto popolare, soprattutto molto ricco, tanto che in soli due anni di presidenza Zelensky si era già ”guadagnato” due ville milionarie: una a Forte dei Marmi e una a Miami, più vari conti esteri e offshore. Fu il trampolino che lo portò alla presidenza. Niente ci impedisce di pensare che la sceneggiatura di questa serie sia stata fin da subito concepita come una campagna elettorale anticipata e che ci sia stata la guida oculata della CIA, per giungere al controllo del territorio. O forse hanno solo colto l’occasione al volo. Poco cambia.

Cinque giorni prima dell’invasione sovietica il cancelliere tedesco Scholz propose a Zelensky aderire a un accordo di pace tra Russia e Ucraina, preparato nella primavera del 2022, a seguito degli incontri di Istanbul che prevedeva che l’Ucraina avrebbe avuto uno status di neutralità non allineata e non nucleare e Zelensky avrebbe rinunciato alla richiesta di aderire alla NATO.

Il documento fu rifiutato da Joe Biden e dall’allora primo ministro britannico Boris Johnson  i quali misero alle strette Zelensky che, dopo qualche titubanza, rifiutò il compromesso proposto da Erdogan, avendo avuto ampie promesse di sostegno militare e mediatico, oltre che un ampio riconoscimento economico.

Varò allora una legge che vietava ogni trattativa, in qualità di interprete del popolo ucraino, a suo dire irremovibile nel pretendere l’ingresso del Paese nella NATO. La guerra divenne la ribalta a cui Zelensky non può più rinunciare.

L’attentato in cui fu distrutto il gasdotto che portava il gas russo in Germania, convinse Scholz a ad adeguarsi alle decisioni americane e inglesi.

La guerra “per procura” sul suolo europeo, presente nella strategia americana di destabilizzazione della Russia, poteva iniziare.

Inizialmente gli Americani cercarono di sbarazzarsene, tanto da proporgli la fuga come alternativa. Per poi sostituirlo con altro soggetto più affidabile. Lui preferì rimanere, cercando, da avventuriero, un posto nella storia, vestendo da attore consumato i panni dell’irriducibile combattente, pronto a scambiare il permanere a oltranza della guerra e la carneficina degli Ucraini con il potere e il bottino.

Attualmente si contende la scena di guerra con Netanyahu; pure lui è impegnato a dare continui ordini di uccidere, a provocare una carneficina. E ha il controllo del fronte, colpisce una folla inerme, tanto che si discute se ormai si tratti di strage o di genocidio.

Sia quel che sia, questo è il suo salvacondotto per rimanere Presidente di Israele.

I nazisti perseguitavano gli ebrei in tutto il mondo (non in un solo paese). Ne uccisero circa sei milioni; un po’ meno di quanti sono oggi gli ebrei di Israele (6.600.000), un po’ di più di quanti sono oggi gli ebrei nordamericani (5.700.000). Come gli ebrei anche i palestinesi sono oggi in tutto circa 15 milioni; metà degli ebrei e metà dei palestinesi non vivono nell’area di guerra, ma all’estero, altrove.  Gli ebrei di Israele sono una minoranza (45% del totale nel mondo); i palestinesi di Israele sono il 20% della popolazione, nell’area del conflitto sono pure loro il 45% del totale nel mondo. Gli arabi sono invece ben 450 milioni, abitano un territorio vastissimo, tutto intorno alla Palestina, un puntino nel mezzo! Basterebbe analizzare l’oggettività i numeri per comprendere che ci troviamo di fronte ad una follia cui bisogna porre termine al più presto.

Non è affatto impossibile, ma bisogna volerlo, e imporlo. Il 22 luglio 1946 un gruppo armato sionista fece esplodere l’hotel King David a Gerusalemme, attaccando la sede diplomatica inglese e provocando 91 morti. Eppure i fili furono riannodati, si giunse infine ad un accordo. Il primo governo di Israele  era presieduto da Ben Gurion, un polacco. Il suo partito di origine, Akhadut, era sionista, ma anche marxista; divenne il Mapai, una specie di Labour Party. Il sionismo delle origini aveva due (o più) anime. La migliore somigliava più alle comunità utopiche del socialismo ottocentesco che ai nazionalisti autoritari; la peggiore ci ricorda invece da vicino la linea boera dell’apartheid sudafricana. “Razzista” è solo chi appiattisce sionisti ed ebrei dentro una scelta di strage che il governo israeliano sta attuando; non sono entità in alcun modo sovrapponibili, umanamente e storicamente.

Il pericolo europeo sta in personaggi come Emanuel Macron o Ursula von der Leyen; entrambi, invece di organizzare negoziati di pace, pensano di trovare un ruolo nell’Europa belligerante. Vanno fermati. La “pace”, qui e oggi, non è solo legittima  autodifesa, o ragionevole desiderio. E piuttosto un programma politico, il primo punto all’ordine del giorno. L’alternativa è il baratro. Socialisme ou Barbarie si traduce qui, ora, in Pace o Morte.

I deliri dei dementi

I tiranni lottano per impedire la pace. Hanno bisogno della guerra. Si trastullano con dichiarazioni improvvide, prospettano la possibilità di mandare in Ucraina soldati degli eserciti nazionali europei, visto che la carne da cannone locale non è per loro sufficiente.

Abbiamo visto Macron, Scholz e Tusk, uniti da un intreccio di mani e sorridenti come tre compagnoni usciti un po’ brilli dall’osteria, dichiarare la loro indissolubile volontà di “difendere” l’Ucraina. Governa l’Europa chi la vuole distruggere.

Abbiamo sentito Ursula von der Leyen invocare il motto latino “Si vis pacem, para bellum” con il quale pretende di aver trovato la chiave di volta del suo pensiero, l’ignoranza si appaga sempre dell’idea più scontata, eppure c’è un altro motto latino su cui dovrebbe riflettere e su cui noi riflettiamo “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”

Che si allarghi l’area del conflitto non pare preoccupare il presidente francese e gli altri leader, infatti il potere ha preparato da tempo cittadelle di rifugio e di comando, accentrando in modo spasmodico risorse economiche e finanziarie, promuovendo guerre distruttive alle periferie.

Gli USA hanno finora ottenuto di tenere la guerra, ancora una volta, sul palcoscenico della vecchia Europa: solo il popolo, quindi, è carne da macello.

«Non c’è più spazio per le illusioni, Putin ha usato il dividendo della pace per prepararsi alla guerra. L’Europa deve svegliarsi», ha scandito la scorsa settimana al Parlamento europeo Ursula von der Leyen.

La maggioranza si è abbandonata ad una scandalosa ovazione. Ursula propone la giunta dei tiranni: la via maestra per farlo si chiama Strategia europea per l’industria della difesa (Edis), il Programma che ne dovrebbe derivare prevede lo stanziamento di 1,5 miliardi di euro di qui alla fine del 2025 per costruire, appunto, la «prontezza della difesa europea» (cioè la guerra).

Si profila la possibilità di acquisti congiunti europei – operati dunque direttamente dalla Commissione per conto degli Stati membri – di materiale bellico. «Proprio come abbiamo fatto con grande successo coi vaccini o col gas naturale» nell’ultimo triennio, aveva anticipato Ursula von der Leyen al Parlamento. Dopo il colpo grosso dei vaccini con i contratti segretati, la von der Leyen si prepara a farne un altro con le armi.

Queste spese saranno finanziate tagliando ulteriormente welfare, energie alternative, ecologia.

La componente verde, in versione tedesca e francese soprattutto, non comprende che ecologia e guerra non possono convivere.

I Verdi hanno tradito il loro stesso programma, hanno perduto le loro origini. Non lo capiscono, ma stanno diventando le mosche cocchiere del  nuovo dispotismo, dell’inquinamento, delle armi; preparano l’arrivo di un ceto politico che non avrà certo pietà per i comunisti, ma neppure risparmierà loro.

Non ci sono alternative alla pace!

L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 25 marzo 2024

L’immagine di apertura è ”Carica dei lancieri” di Umberto Boccioni. Fonte/Fotografo: Opera propria, RiottosoWikimedia

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