Lettura

Le carezze dei lampi

Nelle librerie e online dal 24-3-23

In un’afosa mattina, Marco, un diciassettenne problematico e inquieto, viene investito da un treno. E stato un incidente o voleva uccidersi? E perché lo avrebbe fatto? Villa Severa, un piccolo paese perso in mezzo alle pianure della bassa Romagna, è un minuscolo mondo di periferia travolto dalla modernizzazione che ha spazzato via sicurezze consolidate e vecchie abitudini. La tragedia non distrugge solo la vita del ragazzo, ma mina anche le esistenze dei genitori, degli amici e del macchinista del treno. In un affresco corale, dove ogni personaggio si racconta e cerca di dare una spiegazione a quel terribile fatto, ognuno parla delle proprie scelte e del senso della propria vita. Queste storie vengono a galla lentamente, come tessere di un mosaico, disegnando il ritratto di un paese, ma anche della provincia italiana in bilico tra un passato rassicurante ormai finito e una modernità che disorienta. Un mondo contadino sta scomparendo e assiste impotente al suo tramonto che brucia, crudele, anche la vita dei suoi figli.

Fabio Mongardi – Le carezze dei lampi. Morellini Editore, 2023

Collezionisti di nuvole

Dei delitti e delle pene

Foto di Jody Davis da Pixabay

Letture

DOMENICA

di Sergio Tardetti

Potrebbe sembrare un giorno qualunque, se non fosse per la pretesa di volersi divertire ad ogni costo. Sole o pioggia, estate o inverno, la domenica è fatta così, per divertirsi. Finita la semplice intenzione di riposare, si va a cercare intorno una qualunque occasione di svago, vera o presunta che sia. Partono le carovane di auto che si snodano in lunghe code su per i tornanti montani, che si accavallano a grandi ondate sulle autostrade e superstrade dirette al mare, che si spandono a grandi macchie roventi nei parcheggi, consentiti e non, dislocati intorno alle località dove tutti vanno, appunto, per divertirsi. A questo punto verrebbe da pensare che ormai il più sia fatto e che, dopo tanto strazio e sudore, la vita finalmente possa diventare davvero un divertimento. L’illusione, però, dura al massimo un paio di minuti, il tempo di scendere dall’auto, guardarsi intorno e cominciare a cercare. Cosa si cerca? Via, lo sappiamo tutti! Un posto tranquillo, per riposarsi dalle fatiche del viaggio e illudersi di essere arrivati fuori dal mondo. Invece, sembra che tutto il mondo si sia dato appuntamento proprio qui, perché la gente sembra preferire lo stare in mezzo ad altra gente piuttosto che da sola. Da soli cosa si può fare, se non si è abituati alla solitudine? Così, per evitare di essere assaliti da quel nodo alla gola che alcuni chiamano tristezza, altri invece ansia, si preferisce tornare ad imprecare per l’impossibilità di trovare un parcheggio, per la difficoltà di sedere a tavola per un pasto di qualunque genere, per l’eccessivo chiasso che fa tutta quella gente che, non si sa bene per quale motivo, ha deciso di venirti dietro in quell’unico posto tranquillo che frequentavi da quando eri bambino. Dimenticando, però, che quando tu eri bambino, tutta quella gente non poteva arrivare fino a lì, a quel posto segreto e nascosto che solo tu e pochi altri conoscevate. Adesso non ci sono più posti segreti e tranquilli, nemmeno in cima alle montagne del Nepal, perché tutti vogliono andarci, anche chi non può o non potrebbe. Dove sono andate a finire quelle belle domeniche d’ozio? Sdraiati sull’erba tenera di un prato, o su un asciugamano appena umido, steso sulla sabbia rovente, ce ne stavamo immobili, a volte anche per ore intere, a osservare le nuvole che si fermavano sopra di noi, come a volerci osservare a loro volta. E quel loro continuo mutare di forme, quanto ci affascinava? Da bambini giocavamo a dare un nome a quelle forme, e ridevamo ogni volta che qualcuno di noi trovava un nome strano per qualche strana nuvola. Oggi, chi si ferma più a guardare il cielo? Sta lì da così tanto tempo che sembra scontato che continui a rimanerci e che lo troveremo identico anche il giorno dopo, e due giorni dopo, e chissà ancora per quanto. Almeno la domenica servisse a questo, a riappacificarsi con l’universo! Macché, niente di tutto questo. Impegnati come siamo a guardare dove mettere i piedi, continuiamo a fissare la terra, lasciando al cielo il suo unico compito, quello di esserci. Poi, ad un tratto, quasi senza preavviso, il cielo comincia a scurirsi, l’aria si fa più fresca, perfino più fredda, e così tutti, ma proprio tutti, decidiamo di risalire nelle nostre auto e, dopo esserci finalmente districati dal groviglio del traffico, riprendiamo la strada verso casa, provando a capire nel frattempo se, almeno quel giorno, ci siamo veramente divertiti. Perché domani è lunedì.

© Sergio Tardetti 2023

Foto di Nile da Pixabay

UNA MATTINA QUALUNQUE

di Sergio Tardetti

Capita, una mattina qualunque, di guardarsi intorno e immaginare come sarà il mondo, quando. E’ su questo “quando” che indugia sovente il pensiero, proponendo ipotesi e situazioni che a volte non includono la necessità della nostra presenza, piuttosto tendono ad escluderla. Nei quando atemporali c’è sempre modo di collocare tutto e tutti, ad esclusione di noi stessi, perché i “quando” contemplano giorni piuttosto lontani dall’oggi. Sterile esercizio, direbbe qualcuno particolarmente materialista, come lo definisco io, oppure particolarmente animato da senso pratico, come si definirebbe lui. Il fatto è che immaginare è uno degli esercizi mentali che preferisco e che in questi tempi sembra piuttosto accantonato. Credo di averlo fatto da sempre, fin da bambino, come quasi certamente la stragrande maggioranza dei miei coetanei, ancora completamente all’oscuro delle costrizioni a cui ci avrebbe sottoposto, in un futuro non troppo remoto, la cosiddetta educazione. Questa parola, dai molteplici significati e sfumature, finiva sempre per coincidere con l’altra più temuta “istruzione”, capace senza dubbio di fornire gli strumenti per trasformare le cose immaginate in segni sulla carta e dare loro quella fisicità che, a parere di alcuni, avrebbe dovuto eternarle. A volte le cose immaginate si trasformavano in pensieri piuttosto che in oggetti, non sempre il desiderio attiene al possesso, a volte si incarna in qualcosa di non apprezzabile in senso stretto.
Così, in una mattina qualunque, ci si ferma a fantasticare, non troppo a lungo perché il tempo, come dicono quelli che prezzano tutto, è denaro e senza denaro non puoi comprare il tempo. La durata dell’operazione è anch’essa una durata qualunque, conseguenza della notevole diversità esistente, per nostra fortuna, tra le persone che popolano questa terra. E in qualche modo, dipende anche dal valore – e non dal prezzo – che le attribuiamo. E questo valore aumenta notevolmente tra le persone che non danno importanza al prezzo, non già perché siano ricche di loro, ma perché considerano il denaro una necessità, ma non un dovere. In quanto necessità, il denaro occorre per la vita quotidiana, ma c’è chi è convinto che lo scopo della vita non sia accumulare denaro, quindi non fare del denaro un dovere. Strano, vero? Eppure, ne conosco di persone che limitano il possesso di denaro a quanto basta per vivere con dignità, senza essere costretti a mendicare per poter disporre della soddisfazione almeno dei bisogni primari. Una mattina qualunque, capiterà a ciascuno di noi di dover riflettere in pochissimi istanti sul senso del nostro passaggio su questa terra e su cosa avremo lasciato e staremo lasciando in quel momento. Se lasceremo volti sorridenti e pensieri felici, allora saremo riusciti a sfuggire al dovere del denaro.
© Sergio Tardetti 2023