Un anno dopo sull’orlo dell’abisso: adesso mettere in campo i saperi della nonviolenza

di Pasquale Pugliese

Dall’invasione militare russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 ad oggi è in corso una doppia guerra: quella combattuta sul territorio ucraino, di fatto tra due superpotenze nucleari, e quella mediatica che si svolge all’interno di entrambi i fronti, che Edgar Morin chiama “isteria di guerra”. La guerra sul terreno è ormai un “aggirarsi come sonnambuli sull’orlo dell’abisso”, com’è stata efficacemente definita dal filosofo Jürgen Habermas (la Repubblica, 19 febbraio 2023), evocando forse il libro “I sonnambuli” dello storico Christopher Clark che racconta come le case regnanti del 1914 portarono il mondo dentro l’abisso della “grande guerra” muovendosi come sonnambuli, apparentemente vigili ma non in grado di vedere l’orrore nel quale stavano facendo precipitare l’umanità. Ma l’abisso sul cui orlo ci troviamo adesso è quello incomparabilmente più devastante della guerra nucleare, rispetto al quale i governi e i popoli sono stati ripetutamente avvisati. Per esempio dall’Associazione degli scienziati atomici che il 24 gennaio scorso hanno spostato le lancette dell’Orologio dell’Apocalisse a soli 90 secondi dalla mezzanotte, situazione di pericolo mai raggiunta prima; oppure dal Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres: “siamo al più alto rischio da decenni di una guerra nucleare che potrebbe iniziare per caso o per scelta” (Twitter, 8 febbraio 2023).

Nonostante questo scenario apocalittico, durante questo anno non sono stati messi in campo, né dai confliggenti né dalle terze parti – che è cosa più grave – gli strumenti della ragione per risolvere il conflitto attraverso il negoziato, ma le armi della follia che hanno versato – e versano ancora – benzina sul fuoco in una “santa barbara” nucleare. Lo stessa parola “pace” nel discorso pubblico è stata sostituita dalla parola “vittoria”. Ossia dall’illusione della vittoria, come è stato autorevolmente dichiarato dal Capo di stato maggiore USA Mark Milley, “nessuno può vincere la guerra” (Il sole 24 ore, 16 febbraio 2023), e dal Capo di stato maggiore italiano Giuseppe Cavo Dragone, “non esiste una soluzione militare” (Il secolo XIX, 24 febbraio 2023). Ma le decisioni dei governi, anziché fondarsi sull’etica della responsabilità, che è il principio della politica nell’era atomica, sulla quale sono fondati la Carta dell’ONU, la Costituzione italiana, il Manifesto Einstein-Russell – come definito dal filosofo Hans Jonas: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilità di vita futura sulla terra” (Il principio responsabilità) – si fonda ancora sull’etica antica delle intenzioni, alimentando lo “scarto prometeico” (Günther Anders) – la distanza – tra le parole pronunciate, le azioni realizzate e la consapevolezza delle loro possibili conseguenze apocalittiche.

La rinuncia all’etica della responsabilità porta con sé la rimozione di tutti i saperi della nonviolenza, necessari per affrontare e risolvere ragionevolmente questo conflitto con “mezzi pacifici” (Carta ONU, Art. 2), come tutte le “controversie internazionali” (Costituzione italiana, Art. 11). E’ stato rimosso, per esempio, il sapere dei mediatori, i quali sanno che se i conflitti degenerano in violenza armata e sono lasciati a se stessi (o, peggio, alimentati da coloro che inviano armi) ad ogni azione violenta di una parte corrisponde un’azione contraria di livello di violenza superiore dall’altra, in un crescendo che – trattandosi in questo caso di potenze atomiche – può portare alla distruzione di tutti, a cominciare dal martoriato popolo ucraino. Se non intervengono soggetti terzi a mediare tra le parti, anziché a spingere sull’incremento del conflitto. Si chiama dinamica dell’escalation, quella che Mohandas K. Gandhi spiegava dicendo che “occhio per occhio, il mondo diventa cieco”.

E poi nella vulgata binaria – resistenza o resa – che costruisce fin dagli inizi di questa guerra la narrazione tossica anti-pacifista, mancano i saperi di oltre un secolo di lotte nonviolente e resistenze disarmate, anche di fronte al nazifascimo. Saperi che non mancavano, per esempio, ad Hannah Arendt che ne La banalità del male faceva un appello per lo studio della resistenza disarmata del popolo danese all’occupazione nazista in tutte le facoltà di scienze politiche del mondo “per dare un’idea della potenza enorme della nonviolenza, anche se l’avversario è violento e dispone di mezzi infinitamente superiori”. Unica resistenza in Europa, quella danese, capace di salvare dai campi di sterminio la quasi totalità dei cittadini di origine ebraica.

E poi sono stati rimossi i saperi dei movimenti per la pace che, almeno dalla guerra nei Balcani, propongono all’UE e ai governi italiani la costituzione dei Corpi civili europei di pace – secondo il progetto che già nel 1995 Alex Langer aveva avanzato al Parlamento europeo – e mettono in campo esperienze di interventi civili di pace gestiti dal basso. Per esempio, con un esperimento di storia controfattuale potremmo immaginare che cosa sarebbe potuto accadere se nelle regioni del Donbass, a partire dal 2014, invece di far arrivare armi e armati a entrambe le parti, fosse stato inviato un Corpo civile di pace internazionale per fare interposizione, mediazione, riconciliazione tra le comunità, presidiando sul terreno l’applicazione degli accordi di Minsk, che invece sono stati puntualmente disattesi preparando così l’escalation successiva della guerra. Ma ai pacifisti viene chiesto “dove sono?” dopo l’escalation bellica, mai ascoltati prima, quando propongono strumenti pacifici per prevenire le guerre e manutenere la pace.

E ancora i saperi degli obiettori di coscienza che in migliaia disertano in Russia, in Ucraina e in Bielorussia non solo l’obbligo di imbracciare le armi – e per questo sono perseguitati dai rispettivi governi – ma anche di fare propria la logica dell’odio per il “nemico” che viene ossessivamente propagandata da ciascuna delle parti in guerra. E’ quanto hanno spiegato anche le attiviste pacifiste ucraina, russa e bielorussa ospitate in Italia recentemente dal Movimento Nonviolento: “in tempo di pace” – ha ricordato la giovane ucraina Kateryna Lanko – “sei considerato un buon cittadino se non uccidi, invece in tempo di guerra chi si rifiuta di combattere è considerato traditore della patria e condannato alla prigione. Sono qui a chiedere il vostro supporto, insieme alle mie colleghe attiviste, per difendere e promuovere il diritto all’obiezione di coscienza come via concreta alla pace e cercare tutte le vie possibili per dimostrare che anche oggi la nonviolenza è possibile.”(azionenonviolenta.it, 2 marzo)

Infine, ricordiamo che quello in corso in Ucraina – come documenta l’Uppsala Conflict Data Program del Dipartimento sulla pace e i conflitti dell’Università di Uppsala – è solo uno del 170 settanta conflitti armati – a bassa, media e alta intensità (di cui 54 guerre) – in corso in questo momento sul pianeta. Si tratta degli effetti a catena della crisi sistemica globale – climatica, idrica, energetica, alimentare, pandemica – che sta avviluppando il pianeta, per cui o mettiamo in campo i saperi della nonviolenza per affrontare e gestire questa moltiplicazione dei conflitti senza l’uso della violenza, oppure non ne usciremo vivi.

[Testo della relazione al seminario Un anno di guerra è troppo. La pace è la vittoria di cui abbiamo bisogno svolto il 24 febbraio 2023 a Reggio Emilia. Un estratto della quale, con qualche aggiunta (e cofirmato con Giorgio Beretta), è stata pubblicata su il Fatto Quotidiano, vedi qui]

Pubblicato su Annotazioni. Per la nonviolenza e il disarmo, militare e culturale, 11 marzo 2023

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