di Anna Toro
“In argot francese, leggere si dice ligoter, che vuole anche dire ‘incatenare’. Nel linguaggio figurato un grosso libro è un mattone. Sciogliete quelle catene e il mattone diventerà una nuvola”.
Parola dello scrittore e professore francese Daniel Pennac, che dell’amore per la lettura ne ha sempre fatto una bandiera, nei suoi libri e nei suoi saggi. E se in Francia le statistiche dimostrano che le parole del loro amato autore sono state recepite, in Italia quel mattone è ancora ben lungi dal liberarsi dalle sue catene. Basti pensare che nel 2012 più della metà degli italiani dai 6 anni in su, il 54%, ha dichiarato di non aver letto nemmeno un libro durante tutto l’anno. Un dato preoccupante, per non dire vergognoso, specie se si fa il confronto con altri paesi europei e non, dove le cifre si riducono notevolmente: non ha letto nulla appena il 18% dei tedeschi, il 28% degli statunitensi, il 30% (appunto) dei francesi e il 38,6% degli spagnoli. E dire che, rispetto all’anno precedente, siamo pure migliorati.
I numeri arrivano dal primo “Rapporto sulla promozione della lettura in Italia”, curato dall’Associazione Forum del Libro su incarico del Dipartimento Editoria, e reso pubblico di recente. Se il report vuole essere finalmente la base per una possibile inversione di tendenza, la situazione generale che viene dipinta è a dir poco sconfortante, figlia di diversi fattori (culturali, sociali, economici) ma anche e soprattutto della mancanza di investimenti pubblici nel settore, unita al pressoché totale disinteresse delle istituzioni, almeno a livello nazionale. Il fatto che in dieci anni si sia tagliato oltre un terzo il bilancio del ministero dei Beni culturali la dice lunga.
È così che, si evince sempre dal report, il mercato librario italiano continua da parecchi anni a reggersi soltanto sui cosiddetti “lettori forti”, ossia coloro che leggono almeno 12 libri all’anno e che da noi costituiscono appena il 6,3% della popolazione (circa 14 milioni di italiani). Nel mezzo, abbiamo una “base molto fragile” di popolazione – il 20,7% – che legge comunque meno di 3 libri all’anno e che è formata non solo da lettori deboli, ma anche da lettori “occasionali”: sono quelli che “anno per anno entrano ed escono dal mercato librario”, anche in relazione alla pubblicazione di alcuni superbesteller come Il Codice da Vinci, (i quali, secondo gli esperti del Forum del Libro, pur se tanto criticati “hanno però il merito di far accostare alla lettura persone che altrimenti non avrebbero letto nulla”).
Eppure, sempre secondo le statistiche, i bambini e ragazzi leggono tanto e con passione, almeno fino alle soglie dell’adolescenza (si parla dell’età 11-14 anni). Poi arriva il punto critico, quella fase di passaggio dall’infanzia alla vita adulta, in cui gran parte di questo entusiasmo scompare. “In realtà anche i dati sui più piccoli non sono poi così buoni” commenta Emanuele Ortu, che dopo tanti anni di studio e pratica come educatore, si è specializzato proprio in promozione alla lettura, fino a farne il suo mestiere. Classe 1979, Emanuele lavora tutti i giorni a contatto con gruppi di ragazzi nelle scuole, nelle biblioteche, nelle librerie, presso manifestazioni pubbliche e festival, nella sua Sardegna ma non solo. Il suo scopo è liberare il libro da quell’aura greve e pesante con cui i ragazzi spesso lo rivestono (le catene!), il tutto sempre in modo interattivo, giocoso e accattivante, “e per questo profondamente serio”.
Spesso ha a che fare proprio con quella critica fascia d’età che corrisponde alla scuola media, in cui i reali stimoli alla lettura in genere lasciano a desiderare. “Anche se si sono fatti passi da gigante, raramente le scuole propongono libri per ragazzi che siano davvero tali. Niente horror, niente fantascienza o fantasy, tutti generi che potrebbero facilmente conquistarli”. E poi c’è l’immancabile riassunto o la scheda libro da consegnare, metodi duri a morire che rendono anche la lettura del più avvincente dei racconti un supplizio insostenibile.
L’approccio di Emanuele, e di chi come lui fa questo mestiere, è ovviamente diverso, e le sfide tutt’altro che semplici. Agli incontri si gioca con le domande sui generi preferiti, ci si studia e ci si conosce. “A seconda di quel che viene fuori, inizio a raccontare, senza leggere: è un tipo di coinvolgimento diverso, fatto di contatto visivo, modulazione della voce e gestualità, per risvegliare il puro gusto e piacere del racconto”. Piacere, ecco la parola d’ordine. L’altro elemento essenziale sono naturalmente i libri, che devono essere fisicamente presenti, “come qualcosa di disponibile, da toccare, sbirciare e, se vogliono, prendere in prestito”. Solo dopo inizia la fase di vera e propria lettura di un libro, con un trucchetto che Emanuele ha preso in prestito dall’associazione culturale Hamelin, con cui ha collaborato in passato: interrompere il racconto proprio nel momento più saliente della storia. A quel punto iniziano le proteste, partono di nuovo le domande, si gioca a reinventare le regole, si creano ponti e nuove possibili letture del testo. Pian piano, ecco che quel piacere perduto torna a fare capolino, e il libro cessa di essere un oggetto estraneo e minaccioso.
Non che manchino gli ostacoli. Emanuele, ad esempio cita “la forte presenza di unanalfabetismo di ritorno, soprattutto alle medie”: in pratica molti ragazzi sanno sì leggere, ma “sono del tutto incapaci di codificare un testo”. Parole a cui fanno eco le ancor più sinistre statistiche dell’Ocse, secondo cui addirittura il 71% della popolazione italiana si trova al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura di un testo di media difficoltà.
Eppure, secondo Emanuele la scuola non è l’unica responsabile (anche se una bella autocritica non le farebbe male). “La lettura è sempre meno presente nel quotidiano di questi ragazzi, la cui soglia di attenzione è molto bassa – spiega – E qui non c’entrano la tecnologia o i social network, che sono solo un mezzo. Il problema è che viviamo in un tempo sempre più parcellizzato, basato sul qui e ora, in cui è molto difficile progettare se stessi a lungo termine”. È la cosiddetta società liquida teorizzata dal filosofo Zygmunt Bauman, in cui, continua Emanuele, “la fiducia e il potere necessari alla progettualità, così come le relazioni stabili, sono molto più rare: oggi molti ragazzini vedono il caos attorno a sé, e le famiglie e la scuola sono sempre meno dei punti di riferimento”. Non è un caso, aggiunge, che tra i ragazzi un po’ più grandi, in letteratura stiano andando fortissimo le distopie.
“Serve un grande piano nazionale per diffondere la lettura e la conoscenza”, ha dettoPaolo Peluffo, sottosegretario della presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, durante la prima presentazione del report. Alla luce dei dati e dell’esperienza passata, gli addetti ai lavori attendono l’improbabile eventualità che alle parole seguano i fatti.