Che estate, il ’75, per i burattini (ed altro)

di Stefano Giunchi

Fine luglio del ’75, a Cervia. Giovedì, giorno di folla e di mercato.
Un tempo caldo, oltre i trenta gradi, e una pioggia battente, come solo i violenti acquazzoni estivi possono scatenare. Si crea in questi casi, nella città del sale e del mare, un clima un po’sovraeccitato, con odori più forti catalizzati dall’ozono e un gioco divertente di bagnato e asciugato, attraversamenti di spazi urbani di corsa, sotto ombrelli e nylon improvvisati.

In più si aggiungeva in quei giorni, il tifo per Agostini che tentava di conquistare il suo XV mondiale in sella alla sua poderosa Yamaha. Per gli impegnati aleggiava l’attesa per un comunicato che i tre Partiti Comunisti dell’Occidente, avrebbero di lì a poco emanato, che segnava il distacco definitivo dall’URSS e la nascita dell’Eurocomunismo (quanti sogni…). 
La Juve stava cedendo il giovanissimo Paolo Rossi, che avevamo visto giocare quell’anno a Cesena, al Como. Era una bella mossa? A molti di noi juventini di Romagna era piaciuto il ragazzino. In cambio ci prendevamo Tardelli, un altro giovanissimo dalla fama già di terzino tosto.
In più, ve lo devo dire, eravamo giovani, ostia come eravamo giovani. Avevamo “fatto” il ’68, a Firenze e un numero già elevato di altre cose. Ma ancora tutto ci pulsava dentro e il futuro sembrava non avere limiti…

Io da funzionario comunale alla cultura e da coordinatore del Crad, una roba estiva dell’Associazionismo che riceveva contributi dalla Regione, facevo la spola dal mio ufficio al vecchio Teatro Comunale.
Lì stavamo allestendo una curiosa mostra, che avrebbe inaugurato il sabato e che portava il pomposo titolo “Mostra – museo del burattino dell’Emilia -Romagna, scaturita dalla testa di Dino Silvestroni, ma fatta subito propria dalla Compagnia Drammatico Vegetale.
Il progetto (ispirato dalla nostra comune passione per i Muppets, in particolare dei due vecchietti turbolenti sulla Barcaccia del teatrino televisivo) era quello di svuotare la platea dalle sedie, cosicché il pubblico potesse camminarvi in tondo, e di riempire di burattini i due ordini di palchi.
Tu passeggiavi in platea e guardavi la splendida baracca montata sul palco del Teatro. Sentivi occhi che ti guardavano da dietro e di fianco. Poi realizzavi che eri circondato da decine di esserini di legno che… stavano dalla tua parte, pronti a prendere movimento e parola. Una collocazione spaziale completamente rivotata, che ti metteva subito in gioco come spettatore “partecipante”.

Montare il tutto, fra pannelli di iuta, note esplicative, fondali e burattini che uscivano dalle scatole per entrare in un palchetto… beh prese il suo tempo.
Quel week-end tropicale sembrava insufficiente, ma alla fine (pochi minuti prima dell’inaugurazione la mostra era montata. 
Il successo fu pieno, per tutto il mese di agosto, dove avvennero molte cose, ma dove a Cervia si andava a vedere quella strana ed affascinante mostra.
In quella esperienza vi sono svariati elementi “seminali” (di cui non eravamo del tutto consapevoli) che poi furono sviluppati e diedero una spinta alla nascita rigogliosa di un nuovo settore teatrale.

– Intanto l’uso del singolare “burattino” preconizzava una rinnovata attenzione al genere, più che ai reperti materiali: il burattino come epitome di un intero genere teatrale, per noi già affascinante, il cui apprezzamento volevamo rilanciare al grande pubblico. Ciò, da lì a qualche anno, diventò il nuovo lemma “teatro di figura” sempre al singolare, per definire una meta-area semantica e una casa accogliente per tutti i generi e i sottogeneri (marionette, pupazzi, ombre, pupi, oggetti, ecc.).

– Un secondo seme era la scelta di presentare in modo vivo e originale una materia (pezzi di legno scolpiti e fondali dipinti), altrimenti facile allo sbadiglio. I pezzi, messi a disposizione da burattinai e da collezionisti erano appartenuti alle più importanti “famiglie”, dai Ferrari, a Gualtiero Mandrioli, alla famiglia Preti, a Vasco Monticelli, Guglielmina Zaffardi, a Luigi-Ugo-Francesco Campogalliani, Giordano Mazzavillani, Benigno Zaccagnini (!), a Nino Presini, Augusto Galli, Gaetano Chinelato, Ciro Bertoni, Umberto Malaguti, Pilade Zini, Carlo Salici, per dire dei più noti.

– Un terzo elemento era l’impostazione antropologico-culturale piuttosto che “antiquariale” o strettamente storicista. I materiali era organizzati ed esposti per dare una idea concreta di cos’era il “teatro” dei burattini. Abbondavano i copioni, le scenografie, le attrezzerie, le foto d’epoca, le locandine e i manifesti, nonché documenti “vecchi e nuovi di vario genere”, come diceva il libretto che avevamo stampato.
Roberto Leydi mi confessò, la sera che gli consegnammo la “Sirena d’Oro”, che questa nostra mostra gli suggerì  l’idea che poi prese forma nella mega-mostra di Palazzo Reale, a Milano, cinque anni dopo.

-Durante quel fantastico agosto, sul palco del Comunale organizzammo anche alcuni spettacoli, affollatissimi, con la partecipazione del mitico Gottardo Zaffardi, afflitto da una balbuzie cosmica, che scompariva d’incanto appena prendeva in mano i burattini. Quel piccolo seme fece nascere la determinata convinzione che dall’anno dopo sarebbe sorto a Cervia un grande festival (cosa che è successa veramente con “Arrivano dal Mare!”).

– Forse quella bella esperienza servì anche a rafforzare la determinazione a proseguire la strada della Drammatico Vegetale (soprattutto di Elvira Mascanzoni, di Piero Fenati e Sergio Diotti che avevano in primavera battezzato la loro compagnia col nome che poi è rimasto). Cercarono burattinai e collezionisti in tutta l’Emilia Romagna, selezionarono e cartellinarono i reperti. Lavoro che poi continuò con le loro tesi di laurea.

– Mi pare rilevante che la Mostra fosse accompagnata da un libricino/catalogo che collegava fortemente, nelle motivazioni, la cultura e il turismo. In un articoletto dal titolo “Perché una mostra di burattini, nel caldo dell’estate, a Cervia” davamo la “linea” a un connubio che si è dimostrato vincente in tutta Italia.
Ora più che mai importante, visto il ruolo determinante affidato dal nuovo Governo e dallo Stato a questi due “motori” per la salvezza e lo sviluppo del Paese.

Il prezioso libricino/catalogo contiene inoltre un raro intervento di Andrea Emiliani, avanguardia storica della tutela e della valorizzazione dei Beni Culturali, ove si colgono gli aspetti “strutturalisti” del nostro Teatro, fatto di linguaggi efficaci e quindi durevoli nel tempo, la sua stretta correlazione con le piazze, la Commedia dell’Arte e “il grido dei cantastorie”. Non ultima, una annotazione sulla necessità di rilanciare il Teatro dei Burattini nella sua capacità di attualizzare caratteri “classici”, anche attraverso un uso vivo della lingua e dei dialetti.

Completa la preziosità del librino, un gioiello unico: lo scritto amichevole e appassionato di Giordano Mazzavillani (dentista, burattinaio amatore e collezionista), uno dei protagonisti ravennati della emerita compagnia del “Trì Dutùr”. La sua muta di burattini antichi passò alla figlia Cristina e fa ancora bella mostra di sé nello studio del marito Riccardo Muti ove continua ad allietare ed ispirare il lavoro del Maestro.

Mazzavillani, nel suo pezzo fa un bel excursus delle famiglie di burattinai emiliani e romagnoli e dei repertori e conduce una intensa perorazione a favore dell’uso dei burattini “tradizionali”. Scrive profeticamente: “mi auguro che quanto prima possa istaurarsi un rapporto artistico (di sviluppo) ed economico (provvidenze e previdenze) fra organi competenti e burattinai. Si assegnino sovvenzioni e aiuti finanziari, si estenda lo spettacolo agli Enti di cultura, alle scuole e agli asili”.
Questa scheggia di saggezza del lontano ’75 fu da guida a molti di noi, per tutto il lavoro successivo, che produsse molti dei risultati che Mazzavillani ci indicava in quello scritto e in appassionate discussioni private.
Arte burattinesca e cultura, ma anche arte e professione: tre binari paralleli da percorrere e intrecciare.

Conclude lo scritto di Giordano una breve nota sugli artisti presenti in Romagna in quel periodo. E ricorda Otello Monticelli, figlio d’arte, ma anche i più giovani Stefano Zaccagnini “entusiasta e infaticabile dilettante” e, a Mezzano il “gruppo drammatico di avanguardia, che si esprime con personaggi moderni e avveniristici”. Si parla infine naturalmente della Compagnia Drammatico Vegetale, nata con “Storie di Peppi” e rapidamente evoluta verso la ricerca estetica e di linguaggio più avanzata, nonché realizzatrice di una raffinata linea di TdF per la prima infanzia.

A seguire quello storico agosto, Agostini raggiunse il suo record, i tre leader lanciarono la loro idea di futuro europeo, la Juve realizzò di avere in squadra uno dei più grandi difensori della storia (per Rossi doveva passare altra acqua sotto i ponti), viene brutalmente massacrato P.P.Pasolini, in Spagna riparte la democrazia, i Ramones lanciano il primo long Play e arriva Ron Wood nei Rolling Stones, il grande Miles (dopo Agharta) crolla e scompare per cinque anni, mentre arrivano ad Umbria Jazz Cecil Taylor e Archie Shepp con il loro free e “Tamurriata Nera” entra nelle top list, Forman becca l’Oscar con “Il nido del cuculo..”, Niki Lauda rivince con una strepitosa Ferrari il campionato di formula uno, esce in Italia “L’uomo stocastico” di Silverberg, George Lucas pubblica “Guerre Stellari” (da cui poi la saga)..

Per me e molti di noi, in quella estate del ’75, stava incominciando una lunga, difficile ma meravigliosa strada. Non lo sapevamo ancora bene, ma lo capimmo quasi subito. L’avremmo poi chiamata “Teatro di Figura”.

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