Una Giornata in difesa del reato di tortura (che non si tocca!)

di Miriam Rossi

È la Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti a formulare il 26 giugno 1987, nel suo primo articolo, una definizione di cosa si intende per tortura. “Qualsiasi atto mediante il quale grave dolore o sofferenza, sia fisica che mentale, è intenzionalmente inflitta a una persona per scopi quali ottenere da lui o da terzi informazioni o una confessione”. O azioni volte a “punire per un atto che lui o una terza persona ha commesso o che si sospetta abbia commesso”. O infine atti per “intimidire e costringere lui o una terza persona, o per qualsiasi motivo basato su discriminazione di qualsiasi tipo”. L’elemento fondamentale è che tale dolore o sofferenza è inflitta da un pubblico ufficiale, o anche su istigazione o consenso dello stesso o di qualsiasi altra persona che agisce in veste ufficiale. Ed è la stessa Convenzione a fissare in calendario la Giornata mondiale contro la tortura, ricorsa ieri.

La narrazione sul reato di tortura in Italia passa dalla caserma di Bolzaneto al G8 di Genova del 2001 ai casi di Federico Aldrovandi nel 2005 e di Stefano Cucchi nel 2009 passando per quelli eclatanti ma non ancora riconosciuti a livello giudiziario di Aldo Bianzino nel 2007, di Carmelo Castro nel 2009 e di Enrico Lombardo nel 2019, e giungendo al caso della questura di Verona buttato recentemente in pasto ai giornali con 5 poliziotti arrestati e 17 indagati anche per reati di lesioni, falso, omissioni di atti d’ufficio, peculato e abuso d’ufficio. In mezzo a questo percorso finalmente è giunto il riconoscimento da parte dell’Italia del reato di tortura con la sua introduzione nel 2017 nel codice penale (legge 110 del 14/07/2017), 28 anni dopo la ratifica della Convenzione del 1984 contro la tortura. Tuttavia, a detta di Amnesty International, la formulazione del reato non è conforme all’art. 1 della Convenzione ONU e risulta poco chiara, ovvero limitatamente applicabile; in ogni modo si è trattato di un notevole passo in avanti in quanto sino ad allora il silenzio del codice sulla tortura aveva costretto la giustizia a condannare tali atti camuffandoli da “reati generici”.

Alcuni anni dopo, il 15 gennaio 2021, per la prima volta un agente della polizia penitenziaria di Ferrara è stato condannato per tortura su un uomo detenuto nel carcere estense (altri due colleghi, sempre accusati di percosse e torture, sono in attesa del processo con rito non abbreviato). Una decisione che ha indicato chiaramente come nessuno può dirsi superiore alla legge, anche, anzi soprattutto, se indossa una divisa e con tali gesti viene meno alla sua funzione di garante della legge. Da lì in poi le cose sembrano iniziare a cambiare: sulla base della ricostruzione del “XVII Rapporto sulle condizioni di detenzione. La tortura in carcere in Italia: la panoramica sui processi” dell’associazione Antigone, allo studio della procura ci sono diversi casi criminosi attualmente aperti e che riguardano presunti episodi di tortura avvenuti nelle carceri italiane, senza tante differenze tra nord e sud d’Italia. Il 17 febbraio 2021 il Tribunale di Siena ha condannato per tortura e lesioni aggravate 10 agenti di polizia penitenziaria che lavoravano nel carcere di San Gimignano e che, secondo le ricostruzioni, hanno picchiato brutalmente un detenuto tunisino. Tanto nel caso di Ferrara quanto in quello di San Gimignano gli inquirenti hanno posto tra gli imputati rispettivamente anche un’infermiera (accusata di falso e favoreggiamento) e un medico (per rifiuto di atti d’ufficio, per non aver visitato e refertato la vittima).

Sotto accusa anche 25 agenti della casa circondariale di Torino per una decina di episodi di violenza brutale risalenti al 2017; al momento provvedimenti disciplinari sono stati adottati verso tutti gli agenti coinvolti e si è in attesa del processo al Direttore del carcere per favoreggiamento personale e omessa denuncia. A Palermo si indaga su un presunto episodio di maltrattamenti a seguito della dichiarazione spontanea di un detenuto nel 2020 che ha denunciato le violenze subito dopo l’arrivo in carcere: le indagini contro gli agenti per tortura e contro i medici per non aver accertato le lesioni è attualmente in corso. Una simile situazione viene denunciata da un detenuto nel carcere di Monza nel 2019, aggredito violentemente da diversi agenti della polizia penitenziaria nel corridoio della sezione dove era detenuto.

Torture denunciate anche al carcere di Opera a Milano nel periodo pandemico del marzo 2020, dopo una rivolta interna portata avanti dai detenuti per tensioni collegate all’assenza di garanzie di protezione dinanzi all’epidemia di Covid-19 e per i quali gli stessi detenuti sono stati a loro volta condannati. E nello stesso periodo anche nel carcere di Melfi, come a Milano, per punizione per la protesta scoppiata il 9 marzo 2020, i detenuti sarebbero stati denudati, picchiati, insultati e messi in isolamento nonché, infine, trasferiti. Situazione analoga nel carcere di Pavia, con pestaggi e privazione del cibo per alcuni carcerati.

Poche settimane dopo, nell’aprile 2020, i video che mostrano pestaggi, detenuti inginocchiati e picchiati dai poliziotti nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere avrebbero scosso un’Italia in lockdown: 105 gli indagati tra agenti, funzionari e medici. Un caso analogo a quello più attuale di Verona di poche settimane fa, le cui immagini risultano di assoluta chiara decifrazione.

In attesa che la magistratura faccia il suo ricorso e alla luce del triste decalogo di violenze denunciate ci si domanda con quale ratio il ministro Nordio punti a far approvare dei “ritocchi tecnici” al reato: non si possono che condividere le preoccupazioni di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, collegate al lungo percorso di approvazione del reato di tortura, fortemente osteggiato proprio dai membri dell’attuale governo italiano. Noury ricorda come la stessa presidente Meloni scrisse un tweet nel 2018, poi cancellato, che riportava “Il reato di tortura impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro”. E anche “Difendiamo chi ci difende” e ancora “Siamo sempre dalla parte delle forze dell’ordine”. Quale concezione dello stato di diritto ha in mente il governo Meloni? Il silenzio dinanzi al caso eclatante della questura di Verona è quasi profetico.

L’articolo è stato pubblicato su Unimondo il 27 giugno 2023
la foto e di Clayton Tang da Wikimedia

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