Societa’

Le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione

Fondazione “Giuseppe Mazzatinti” – Liceo Statale “Giuseppe Mazzatinti”
GUBBIO (PG)

Quinto Seminario Nazionale di Informazione-Formazione

Le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione
Nuove Tecnologie in rete
Competenze di base e competenze evolute

Auditorium
Liceo Statale “G. Mazzatinti”
Gubbio (PG)

18 aprile 2008 – dalle 15.00 alle 19.00
19 aprile 2008 – dalle 9.00 alle 13.00

Parteciperà al seminario Gianni Marconato

» Programma «

Chi volesse presentare al seminario un proprio contributo sull’esperienza delle Tecnologie in rete
può segnalarmelo nei commenti dell’ articolo del 21 marzo o via mail
– Maria Teresa Bianchi –

Download:
SCHEDA DI ISCRIZIONE
(da inviare entro il 4 aprile 2008 per chi presenta contributi,
entro il 10 aprile per chi non presenta contributi)

Lettera ai Dirigenti Scolastici: Seminario 18-19 aprile

Aggiornamento:
sarà rilasciato Attestato di Partecipazione.
L’ESONERO dal servizio per il personale della scuola,
è previsto ai sensi della normativa vigente.

La Fondazione Giuseppe MAZZATINTI è ente accreditato per la formazione presso il M.P.I.
con Decreto del 25/07/2006

Le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione Leggi tutto »

Congedarsi da queste storie anonime non e’ facile

di Vincenzo Andraous

Lutrec non c’è più, lo hanno trovato privo di vita, riverso sul ciglio della strada, con la siringa nella vena e gli occhi grandi spalancati.
Questa assenza è un dolore che lacera in profondità, perché si tratta di una persona conosciuta, un giovane con tante capacità al fondo recintato delle apparenze.
Lutrec l’ho conosciuto anni fa in un oratorio, aveva 13 anni, tosto al punto giusto da farmi rammentare l’acqua ferma del lago dietro casa, uno scoglio e un ragazzino, una storia anche quella amara, ma in una vita tutt’ora nella ricerca mai stanca di un aggrappo da consolidare, da condividere e consegnare, per resistere alle proprie derive.
Ricordo bene i sussurri, i bisbigli nei riguardi di Lutrec, un presente senza passato, storpiato da chi ha meno, da chi ha poco, da chi ha nulla, come se essere nato con le dita strette a pugno, fosse già condanna, più ancora di una madre che non c’è, di un padre in galera, di un fratello che si fa coinvolgere sempre più spesso dagli spiccioli facili.
Quel giorno ritornando a casa pensavo: destinazione vicolo cieco, mentre una strana sensazione mi aggrediva alle spalle.
Noi, il mondo adulto, così presi dai medagliamenti, dai lavori in corso per ricollocare  i luccicanti curriculum, ci siamo disposti in cerchio per consigliare Lutrec, ognuno a fare valere le proprie ragioni, nessuno ad ascoltarlo veramente.
Il piccolo duro se n’è andato giovane, e questo silenzio non  rende meno opprimente il carico delle responsabilità, per non essere riusciti a tracciare un percorso di promozione umana, ove riconoscere caratteri emancipanti, aiutando Lutrec a passare da una posizione di rincalzo a una da protagonista della propria crescita personale.
Non è possibile accettare il rifiuto di vivere da parte di un adolescente, senza lottare, insieme, accettarne la resa, prima ancora d’aver iniziato a sognare, prima ancora d’esser stato scalciato da una buona fatica.
Genitori, insegnanti, educatori, impegnati anche con ciò che non vorremmo, con ciò che accentua la nostra incapacità a farci i conti, ma forse quel che è un sogno, sovente è un lamento pietoso, il tentativo di salvare dal proprio destino chi è ripiegato su stesso come Lutrec, a gambe divaricate in mezzo al piazzale dell’oratorio, a sfidare il mondo nei pochi metri di periferia, nei residui di tempo che sta inesorabilmente scemando, senza far rumore, senza dare fastidio.
Congedarsi da queste storie anonime non è facile, per farlo occorre che quel sogno nel petto di ognuno non faccia mai arrendere la volontà a continuare ad allungare la mano in una presa forte, perchè leale, dove l’attenzione sia più tenace dei fallimenti che pure interverranno, più ostinata del cieco apparire.
Lutrec e l’incontro con il  vicolo cieco, quello che non fu per scelta, ma corrisposto all’età del fuoco che brucia senza scintille d’avvertimento.
Proprio da questo capolinea di ogni speranza, occorre riconsegnare alle differenze generazionali gli strumenti di difesa per non cadere nella delusione, scandagliando il cuore senza ipocrisie, perché per reggere l’urto delle difficoltà, don Enzo Boschetti ci ha lasciato detto: si educa e si rieduca solo con l’amore a la fiducia.

Congedarsi da queste storie anonime non e’ facile Leggi tutto »

L’urlo ora s’è disperso

di Vincenzo Andraous

A 14 anni non si pensa al carcere, ti ci trovi “dentro” improvvisamente e ne sei respirato e concluso. Sì, ti ci trovi dentro ed é davvero troppo tardi. L’età più bella improvvisamente devastata nell’incontro affascinante e frontale con il mito della trasgressione.
Io me lo ricordo bene, ero impegnatissimo a fare vedere alle Autorià di essere un duro, e quando mi stavano portando nel “mio” primo carcere dei minorenni ho pensato ” ecco sto per iniziare finalmente”.
E’ tutto accaduto in una vita precedente? No, é stato ieri.
Quando vago con la mente tra questi fotogrammi impolverati e ingialliti dal tempo, rivedo la mia immagine scomposta e inquieta, mentre i pensieri mi cadono addosso e raccoglierne i cocci è un’ardua impresa.
Gli anni sono trascorsi, uno dopo l’altro, passo dopo passo, uno scarpone chiodato dopo l’altro, fino a giungere a ‘quell’urlo” che ha squarciato la notte.
Qull’urlo che ho tenuto compresso in me, sorvegliato a vista dalla mia incredulità, contenuto nei miei tormenti, divenuto un dono prezioso da custodire.
Svegliarmi nel buio, nel mezzo di una tempesta silenziosa, e due occhi bellissimi scrutarmi, scuotermi. Due occhi lucidi e profondi come l’anima che traspare al di là della coscienza, della ragione che indaga e accusa. Con le mani fredde ed il cuore in gola, il respiro che non esce, il dolore nei polmoni salire alla gola e fare fatica a respirare.
Affannosa ricerca di boccate d’aria mute, imprigionate, incatenate in attimi intensi di vuoto e di pieno, di vita sospesa.
Due occhi come lune inchiodate, un volto che non conosco, ma che sento tutt’intorno.
Due occhi che piangono, rimangono aperti e si distendono verso di me.
Nel silenzio di pietra della cella, I’urlo fuoriesce e taglia di netto il sentiero praticato a occhi bendati, sgretola le abitudini consolidate, i sussurri che impongono i piedistalli e le parole a paravento che non stanno scritte da nessuna parte.
L’urlo esce, assorda, mi discosta e cancella la mia cella, le altre celle, i muri e gli steccati.
L’urlo si espande, rimbalza, si piega, prosegue e non smette la sua corsa, neppure quando sono caduto in ginocchio, spossato, svuotato di me stesso.
Quegli occhi sono sempre lì, velati di pianto, addolciti da un sorriso leggero, come a voler ridurre la distanza siderale che mi separa da questo reale intorno.
Occhi grandi, lucenti, lacrime che parlano di una tristezza felice, di una gioia che non conosco e invece vorrei avvicinare, occhi che rimangono a osservare la mia sorpresa, la mia fragilità.
Occhi bellissimi vestiti di speranza, sguardi che consentono di ricostruire e ritrovare l’uomo, sebbene nella fallibilità umana.
Quella notte sono rimasto in ginocchio tanto tempo, in una sorta di terra di nessuno, sbattendo il viso contro una specie di cortina fatta di barriere materiali e psicologiche, costretto fors’anche dalla mia ostinazione a vivere del mio, in una tragedia che non ha fine, con un passato che assomiglia ad una sera senza luce dove non si può leggere, solo ricordare.
L’urlo ora s’é disperso, quegli occhi tanto amati sono svaniti.
I giorni, e gli anni si inseguono testardi, mi adagio sul futuro che per me é già oggi, in un presente contenuto nel passato, poiché ogni volta che si progetta qualcosa si modifica e si rilegge il proprio passato con occhi e sguardi  nuovi.

L’urlo ora s’è disperso Leggi tutto »

La stupidità della critica

di Giancarlo Livraghi

gennaio 2008

Testo disponibile anche in formato pdf sul sito dell’autore

Il potere della stupidità è così insidioso che si può manifestare anche quando si tenta di correggerlo (o si crede di approfittare della stupidità altrui). Vedi Il circolo vizioso della stupidità. Uno degli aspetti di questo problema è che la critica può essere ancora più stupida delle stupidaggini che vuole criticare. È un fatto evidente nei dibattiti politici (e politologici) e nei conflitti ideologici o di interessi, ma è ricorrente anche in molte altre circostanze.

La critica è importante, è necessaria, è una condizione indispensabile di libertà e di sviluppo della conoscenza. Ognuno ha il diritto di criticare come vuole. Chi è criticato ha il dovere di ascoltare, capire, imparare. Se ha sbagliato, ha un’occasione per correggersi. Se dice o fa cose che considera giuste, ma non sono capite, ha uno stimolo a cercare di spiegarsi meglio.

Chi si considera immune da ogni critica, o “superiore” a chiunque “si permette” di non essere d’accordo, non è solo arrogante. È anche stupido.

Essere criticati non è una sofferenza, né un segnale di debolezza. Se tutti sembrano essere d’accordo con ciò che facciamo o diciamo, abbiamo motivo di preoccuparci. O siamo così banali da trovare un facile consenso, o stiamo ascoltando solo chi ci è favorevole (oppure, per uno di tanti possibili motivi, non ha voglia di esprimere le sue opinioni).

Anche quando non ci sono critiche esterne, o non sono interessanti, è sempre importante l’autocritica. Uno degli esercizi fondamentali per tenere in funzione la mente è mettere continuamente alla prova le nostre convinzioni e opinioni, le cose che “crediamo di sapere” ma potremmo capire meglio.

Perciò la critica è sempre intelligente, utile, educativa? Purtroppo no. Leggiamo e ascoltiamo molte critiche, su ogni sorta di argomenti, che non solo non ci aiutano a capire, ma confondono anche cose che sarebbero chiare se qualcuno non si dedicasse all’arte perversa di renderle meno comprensibili.

È ovviamente stupida, deviante (e, a gioco lungo, autolesionista) la critica “di parte”. Dettata dallo schieramento politico, dalla “tifoseria“, dall’orientamento culturale, dai campanilismi o nazionalismi o parrocchialismi e da un’infinità di altri pregiudizi. (Vedi La stupidità del “fondamentalismo”). Dopo aver sentito dire mille volte che i bizzirri hanno sempre ragione e i bizzorri hanno sempre torto – e viceversa – alla fine la deduzione più ragionevole è che gli uni e gli altri non sanno di che cosa stanno parlando.

Questa è la più evidente stupidità della critica – ma non è l’unica. Ci sono gli errori di prospettiva. Se qualcuno ha sbagliato perché ha un punto di vista ristretto o deviante, può essere molto utile una critica che collochi il ragionamento in un quadro più significativo. Ma accade, troppo spesso, che la critica sia altrettanto deviata e deviante – e tutto si riduca a una polemica insensata.

C’è il pregiudizio. Chi critica si basa sui suoi preconcetti anziché cercare di capire. Spesso si tratta di interessi personali o di categoria, che è legittimo difendere (se lo si fa in modo esplicito e dichiarato) ma si traducono facilmente in deformazioni arbitrarie che servono solo a confondere l’argomento. Ma ci sono deviazioni altrettanto pericolose che non derivano da un’intenzionale posizione pro domo sua. Ignoranza, superficialità, luoghi comuni, frettolosi malintesi, errori di comprensione, possono spesso indurre a criticare prima di aver capito.

La critica, naturalmente, non è sempre negativa. Il compito di un critico è anche “dire bene” di ciò che considera apprezzabile. Ma l’elogio può essere stupido quanto il dissenso. È meglio essere criticati per buoni motivi che ricevere lodi immeritate.

La satira, l’umorismo, l’ironia non sono solo divertenti, sono anche risorse dell’intelligenza e della conoscenza. Ma c’è troppa comicità banale, pretestuosa, inconcludente. Se il signor X dice cose che ci sembrano sbagliate a proposito di un qualsiasi argomento, vediamo di criticarlo, o anche di prenderlo garbatamente in giro, per le sue opinioni. Ma è irrilevante (e serve solo a confonderci le idee) soffermarci sul fatto che ha il naso storto o che a sua zia non è riuscito bene il sufflé.

L’autoctitica e l’autoironia sono risorse importanti. Ma possiamo sbagliare anche nel vautare le nostre idee e i nostri errori. Essere troppo teneri, badando solo alle scicchezze meno preoccupanti. O troppo ansiosi, considerando imperdonabili gli sbagli e le distrazioni che sono esperienza quotidiana di ogni essere umano. Un punto di vista esterno può aiutarci a capire meglio. Come l’opinione di una persona davvero amica, e perciò sincera – o le incomprensioni che ci inducono a chiederci se ci sappiamo spiegare bene.

L’arroganza merita di essere criticata e derisa. Ma quanti critici sono arroganti quanto o più delle persone, idee e comportamenti con cui non sono d’accordo?

Non si tratta di umiltà. A parte il fatto che molti si atteggiano a “umili” mentre non lo sono, è meglio avere il coraggio delle proprie opinioni, dire con chiarezza ciò che si pensa, specialmente quando si hanno le basi per conoscere bene l’argomento. Ma quanto spesso ci capita di ostinarci invece di ascoltare?

Insomma essere coscienti della stupidità altrui non è un buon motivo per lasciar crescere la nostra. Non si finisce mai di imparare. Quando sentiamo o leggiamo un’affermazione stupida, proviamo a chiederci come è nata quella stupidità e se possiamo imparare qualcosa dalla sua origine. Se qualcuno critica ciò che ci sembra criticabile, non per questo dobbiamo credere che abbia “sempre ragione”, né che sia da condividere il modo (e il motivo) del suo atteggiamento.

Le “conversazioni da bar sport” possono divertire, o fare arrabbiare, i tifosi. Ma non aumentano di un milligrammo la capacità di capire. E ovviamente questo non accade solo nel gioco del calcio o in altre vicende agonistiche, ma su ogni sorta di argomenti.

La critica non ha l’obbligo di essere “obiettiva”. È inevitabile, e può essere utile, che ci siano atteggiamenti e posizioni diverse. Ma cerchiamo di ricordarci che nessuno è mai “onnisciente” e che un granello di conoscenza, o l’utile nascita di un dubbio, possono venire anche da opinioni o affermazioni che, a prima vista, ci sembrano completamente stupide.

Quando avrò finito di scrivere queste righe, andrò a leggere i giornali di oggi. So che ci troverò, come sempre, un mare di banalità, di disquisizioni su cose che non mi interessano, di statistiche sballate, di balordaggini su argomenti che conosco meglio di chi ha scritto un certo articolo, di stupidaggini e superficialità, di commenti che mi sembrano sbagliati, confusi o incomprensibili. Ma dovrò stare attento (come cerco, per quanto possibile, di fare tutti i giorni) perché in una delle tante pagine potrebbe esserci qualcosa di meno ovvio, che mi aiuta a capire.

La stupidità è imperversante, la “disinformazione” e la superficialità sono impressionanti. Ma è altrettanto stupido criticare prima di esserci chiesti se ci può essere qualcosa di sbagliato nelle nostre opinioni o in ciò che crediamo di sapere.

La stupidità della critica Leggi tutto »

Manca l’informazione. Quella seria…

di Vincenzo Andraous

E’ di questi giorni la polemica sulla pubblicazione di alcune intercettazioni telefoniche, e soprattutto su come è condotta la televisione di stato.
“Un oltraggio alla civiltà del diritto” è stato sentenziato, un’offesa alla dignità della persona coinvolta ingiustamente, è stato affermato.

Manca l’informazione. Quella seria… Leggi tutto »