arti visive

“L’ultima volta che siamo stati bambini”, favola che spiega l’Olocausto ai più piccoli

Foto di Bruna Alasia

di Bruna Alasia

“L’ultima volta che siamo stati bambini” è il film d’esordio alla regia dell’attore comico Claudio Bisio, tratto dal romanzo omonimo di Fabio Bartolomei edito da E/O. Bisio regista ha tenuto per sé solo una breve apparizione da federale, ruolo che in conferenza stampa ha spiegato essere nato dopo uno studio approfondito di personaggi visti con i propri occhi. Tutto il film risente di questa esperienza e serietà.

Antonella Di Castro, vicepresidente ed assessore alla cultura della comunità ebraica di Roma, ha letto ai giornalisti presenti il messaggio inviato dalla senatrice a vita Liliana Segre: “Caro Claudio, ho molto apprezzato il tuo film perché hai saputo rendere la freschezza e l’innocenza dei bambini con un tratto talmente sensibile da offuscare la tragedia che c’è sullo sfondo”. Giudizio tanto più significativo perché Liliana Segre non aveva avuto parole lusinghiere per “La vita è bella”, film sullo stesso tema di Roberto Benigni pluripremiato agli Oscar del 1999, trovando mistificatori i filtri imposti al racconto. Opinione condivisa da tutti coloro che hanno sentito finto il protagonista interpretato da Benigni: un padre condannato col figlio in campo di concentramento che fa di tutto per trasmettere al piccolo il bello dell’esistenza.

Claudio Bisio riesce ad attribuire al film, senza sminuire il dramma dell’Olocausto, quella levità tragicomica propria dell’innocenza, perché la narrazione è fatta da un gruppo di ragazzini di nove anni, di differente religione e classe, che vivono nel ghetto di Roma e giocano alla guerra, ingenuamente convinti che i valori imposti dagli adulti non possano essere messi in discussione, uniti dall’amore che nasce dalla reciproca conoscenza.

Le loro biografie sono diverse: Italo (Vincenzo Sebastiani), è figlio del ricco e potente federale (Bisio in un cameo), Cosimo (Alessio di Domenicantonio) ha il padre al confino, Vanda (Carlotta De Leonardis, già interprete de l’Arminuta) orfana allevata in un collegio dalle suore, Riccardo (Lorenzo McGovern Zaini), figlio di un’agiata famiglia ebrea. Un giorno accade che il bambino ebreo non si faccia più vivo nel ghetto; grazie al padre federale di Italo, gli altri suoi amici credono di sapere dove sia e decidono di partire in segreto per convincere i tedeschi a liberarlo. Il film è il resoconto fantasioso del loro viaggio e di coloro che si mettono sulle loro tracce per riportarli a casa … In questa traversata molte saranno le convinzioni nuove che tutti i protagonisti dovranno scoprire e maturare.

Il film esce il 12 ottobre, il giorno del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma.

Anno: 2023
Distribuzione: Medusa Film
Paese: Italia
Regia: Claudio Bisio
Data di uscita: 12 ottobre 2023

L’articolo è stato pubblicato su Pressenza il 6 ottobre 2023

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Invito

Bluklein è lieta di invitarvi all’inaugurazione della mostra di fotografia
Primaveradi Michele Ambroni
che si terrà sabato 25 marzo dalle 17.30 alle 19.30 alla presenza dell’artista.

“La serie Primavera si interroga sul concetto di fotografia come mezzo per documentare la realtà. Oggi la manipolazione delle immagini è diventata parte integrante delle nostre vite. Ogni fotografia può essere modificata con estrema facilità, ma queste tecniche sono sempre state utilizzate, sin dalla sua scoperta. In questo lavoro è messo in discussione il valore documentario della fotografia, in un continuo dialogo fra realtà e finzione. Ogni immagine in mostra è frutto di una costruzione autoriale, una sorta di diorama che riprende piante e fiori veri sovrapposti a un fondale in cartone su cui è stampato un cielo, riproposto più o meno uguale per tutte le vedute. Le visioni stereotipate sono quindi frutto di una contaminazione estremamente estetizzante e ambigua, una primavera a tratti surreale che solo nel mondo delle immagini trova libertà di espressione.”

Michele Ambroni

Bluklein – Cesena
Via Vescovado, 5
25 marzo 2023>29 aprile 2023

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Anima. (carte e disegni)

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NEL FOLTO DELLE RIGHE

Considerazioni su un’opera di Aldo Merce “Non leggete tra le righe – meta esercizio di lettura”

di Sergio Tardetti

Ci fu un tempo in cui l’invito a leggere tra le righe veniva raccolto da pochi sceltissimi studiosi, che passavano ore e ore del proprio preziosissimo tempo per individuare in quel candido lucore significanti che fossero eventualmente sfuggiti a una prima lettura. Salvo poi scoprire che tra le righe c’era solo il bianco della pagina che fa da spazio tra una riga e un’altra.

Col tempo i pasdaran della lettura tra le righe hanno reiterato e potenziato i loro appelli, diventando via via sempre più insistenti e minacciosi, imponendo così il loro punto di vista, secondo il quale tra le righe c’era da scoprire molto di più che nelle singole righe. Così, tanto per compensare in qualche modo il tempo perso in questa sterile operazione, molti studiosi cominciarono a raccontare e a scrivere di apparizioni miracolose, scorte proprio lì dove l’ordine ricevuto e puntualmente eseguito non aveva poi dato i frutti sperati. Chi riuscì in questo modo a scoprire doppi e tripli significati ai significanti riportati nelle righe, qualcuno arrivò addirittura a individuare quadrupli significati.

Per puro spirito di emulazione, altri studiosi presero a cercare doppi e tripli sensi all’interno di quelli trovati dai loro colleghi, continuando questo genere di ricerche fino ai giorni nostri. Eppure, un modo di rompere questa catena, che rischiava di trascinarsi all’infinito, doveva pur esserci. E, in effetti, un modo c’è e ce lo dimostra Aldo Merce con la sua recentissima opera “Non leggete tra le righe – meta esercizio di lettura”. Il suo è un esplicito invito a desistere da quell’operazione – la lettura tra le righe, appunto – che, se condotta per troppo tempo e senza adeguati strumenti ottici – leggi occhiali – rischia di far perdere non solo il cervello ma anche la vista della gran parte degli studiosi. Se il problema è leggere tra le righe, ha pensato l’artista, allora una soluzione c’è: eliminare il “tra le righe”, lo spazio bianco che ormai da tempo viene lasciato, tradizionalmente per lunga abitudine, tra una riga e un’altra. Vedo già i tralerighisti agitarsi, li sento quasi gridare: impossibile! Impossibile, cosa? “Nihil difficile volenti” e nemmeno impossibile, basta volerlo. La soluzione? Scrivere le righe una attaccata all’altra, senza nessuno spazio in mezzo. Un’idea semplice, decisamente lapalissiana direi. E perché fino ad ora nessuno ci aveva pensato? Proprio perché i tralerighisti, il partito di chi proclama, impone, ordina la lettura tra le righe è potente, si è infiltrato in tutte le istituzioni e mai nessuno avrebbe osato opporsi ai loro diktat, votando una risoluzione che imponesse di annullare lo spazio tra le righe. Con evidente guadagno di spazio e risparmio di pagine, direi. E anche di tempo, perso da parte degli studiosi nei loro sterili tentativi di leggere tra le righe. Niente più “tra le righe”, nessuna tentazione di provare a leggervi lasciamo il “tra le righe” al suo destino. Lasciamo gli studiosi ad operazioni ben più fruttuose che non il leggere tra le righe, che ritornino finalmente al compito iniziale che si erano scelti, capire cosa c’è scritto nelle righe e ricercarne il significato, diffondere il verbo erga omnes. E’ bastato dunque il gesto anarchico di un artista, un moto di ribellione alle parole d’ordine, per far crollare un mondo che era rimasto in piedi inalterato per secoli. Le opere di Aldo Merce, artista capace di stimolare riflessioni su argomenti di solito considerati marginali da chi si occupa soltanto di “questioni importanti”, hanno sempre un alto contenuto di provocazione. Del resto, se così non fosse per un artista, la sua opera diverrebbe banale e scontata, cosa che non è certo proprio ciò che ci si attende dai veri artisti.
Quanto a me, lascio uno spazio bianco tra una riga e un’altra: legga tra le righe chi vuole e chi sa!

© Sergio Tardetti 2023

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