immigrazione

Ponte Galeria inferno inutile

Articolo di Furio Colombo pubblicato su Il Fatto Quotidiano, il 27/07/11

Una ragione grave ha indotto un gruppo di senatori e deputati (tutti di opposizione) ad andare a Ponte Galeria, il cosiddetto Centro di Identificazione e di espulsione di Roma, ovvero la prigione di immigrati e profughi catturati a caso, rinchiusi a caso, detenuti senza spiegazioni, senza ragioni e senza capire. Lo stesso giorno, il 25 luglio, altri deputati e altri senatori si sono presentati ai Cie in tutta Italia. È accaduto che il governo Bossi-Maroni (al momento ancora formalmente presieduto da Berlusconi) abbia appena stabilito, in modo del tutto arbitrario e mentre tutto accade, nel mondo e in Italia, tranne che un’emergenza immigrati, che la detenzione cieca, che era di sei mesi, sia adesso improvvisamente diventata una detenzione cieca di un anno e mezzo. Ho scritto “cieca” perché niente è chiaro o spiegato o documentato in questa brutta storia. Per essere sicuro che resti cieca, il governo Bossi-Maroni ha deciso, contro la Costituzione, di vietare l’ingresso ai giornalisti, impedendo dunque qualunque informazione per i cittadini e per l’opinione pubblica internazionale. Il 25 luglio a Roma c’erano il presidente dell’Ordine dei giornalisti. C’era il segretario della Federazione della stampa. C’erano televisioni e decine di colleghi giornalisti. Dal tetto di uno degli edifici prigione alcuni detenuti ribelli chiedevano di incontrare i giornalisti e di parlare. Per la stampa non è entrato nessuno.

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Una sola umanita’

Signor Presidente della Repubblica,
ho sempre fatto mio lo scritto di don Milani: “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi diro’ che, nel vostro senso io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri”.
Come “senza patria” non avrei quindi mai pensato di dovermi rammaricare di essere italiana. Ma di fronte agli stranieri che in questi giorni vengono colpiti dal “pacchetto sicurezza”, una legge immorale, incostituzionale e razzista mi vergogno profondamente. Vorrei trovare il modo di comunicare loro che sono consapevole che l’immigrazione e’ la conseguenza di un sistema internazionale di ingiustizia; e che, se mi trovassi nella loro stessa situazione, anch’io cercherei, legalmente o illegalmente, di emigrare.
Vorrei raccontare loro la storia di mia nonna, vittima di pulizia etnica in Turchia nel 1913, ed approdata in Italia solo perche’ di lontanissime e ormai dimenticate origini italiane; e dei miei zii, emigrati in Francia in cerca di lavoro. Forse avro’ anch’io bisogno di una donna straniera che mi assista; ma non e’ per puro utilitarismo che vorrei che fosse bene accolta: e’ anche per non dovermi vergognare del paese in cui vivo e di cui, volente o nolente, condivido la lingua, la storia e la cultura.
Sono una semplice insegnante, e quindi probabilmente non mi trovero’ nella condizione di dover chiedere il permesso di soggiorno a chi iscrive i figli a scuola: a me di solito vengono consegnati gli elenchi dei bambini gia’ iscritti. Ma se in qualche modo dovesse capitare, dichiaro fin d’ora che disobbediro’ e boicottero’ questa legge ingiusta.
Signor Presidente della Repubblica, lei sa che questa legge contravviene ai principi fondamentali della Costituzione: rispetto per i diritti umani, diritto di asilo, solidarieta’ ed accoglienza.
Non la firmi.

Norma Bertullacelli

Supplemento straordinario de “La nonviolenza e’ in cammino” dell’8 luglio 2009

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Lettera aperta al Presidente Napolitano

di Giancarla Codrignani
Caro Presidente, non avrei voluto scriverti questa lettera e tanto meno permettermi di interferire con la tua alta responsabilità.

Ma proprio perché in questo momento mi sembra necessario che si valorizzi anche la responsabilità civica di ciascuno di noi in quanto cittadino, credo di dovermi rivolgere a te per pregarti di non firmare le norme in materia di immigrazione approvate in questi giorni.

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Cainilandia

di Ettore Masina

Cerco di dirlo pacatamente, quanto più posso, ma debbo dirlo ad alta voce perché mi accade frequentemente che amiche e amici mi domandino (ed io lo domandi a me stesso) cosa significhi essere cattolico; e ne parlo in pubblico perché oggi più che in tante altre occasioni sento il bisogno di far parte di un gruppo che non accetta di vivere passivamente la storia. E dunque grido: se pensassi ancora, come un tempo, che essere cattolico vuol dire prestare ossequio all’istituzione vaticana (lo stato-Santa Sede, la burocrazia ecclesiastica, il centro di potere che si incarica di tradurre il vangelo in diplomati-chese, sbiadendone il significato), allora preferirei considerarmi cristiano in diaspora, lontano da ogni denominazione. In queste ore, infatti, sono travolto da un sentimento che è più che indignazione o rabbia o sconforto: la parola esatta per qualificarlo è schifo.

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Profughi accompagnati

di Ettore Masina

Chi legge la storia non soltanto sui libri scritti dai vincitori, ma anche ascoltando   i lamenti o i silenzi  dei poveri ai quali i mass-media dei potenti tagliano le corde vocali, chi si addentra nei fatti del passato e in quelli della cronaca che viviamo e di cui – lo vogliamo o no – siamo responsabili, protagonisti e autori, chi non dimentica il vangelo né la dura, lunga, sofferta esperienza del costruire una società in  cui all’uomo l‘uomo sia fratello e non lupo, sa bene che accadono eventi i quali, a tutta prima, possono sembrare episodi di scarsa rilevanza, ma che invece, a pensarci bene, segnalano il livello del male di cui siamo tutti portatori se non ci occupiamo attivamente di chi patisce una crudele negazione dei suoi diritti alla vita. Quegli eventi non sono visibili o rumorosi come guerre devastanti né uccisioni di tiranni, né il rosseggiare di  sanguinose rivoluzioni; non spingono i parlamenti a convocarsi d’urgenza, non incidono sui bollettini di borsa, non modificano i programmi scolastici né sbiadiscono la nostra cupa concentrazione sui “fatti nostri”. Poiché sembrano riguardare soltanto gruppi di poveri si concede loro poco spazio – ed effimero – della nostra attenzione. Se mai questa attenzione sembri obiezione ai loro comportamenti, i governanti ci assicurano che si tratta di spiacevoli incidenti di percorso nella difesa del nostro livello di vita, che sono accaduti una volta ma non si ripeteranno perché hanno anche un  valore deterrente nei confronti dei poveri che turbano il nostro ordine pubblico. Come dicevano i terroristi “rossi”? Punirne uno per rieducarne cento.

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