Lettura

GIOVEDÌ

di Sergio Tardetti

Per la serie di mini racconti sul tema “I giorni della settimana”, oggi tocca al… GIOVEDÌ
Per non sentirmi espropriato del personale diritto al libero pensiero, ogni giovedì pomeriggio mi esercito a formularne qualcuno particolarmente originale. Ho scelto di farlo il giovedì perché, di solito, ho il pomeriggio libero e Caterina ha il suo allenamento settimanale, in preparazione dei tornei di burraco. Condizione ideale, quindi, per tentare di formulare pensieri originali, avendo la casa a mia completa disposizione e, soprattutto, immersa nel più assoluto silenzio. L’atmosfera giusta, insomma, per esplorare i contorti itinerari della mente, alla ricerca di qualche intuizione significativa. Negli altri giorni, di solito, appena inizio ad estraniarmi – perché è questo che occorre per formulare pensieri, originali o meno non ha importanza – ecco che vengo distolto dalla mia concentrazione dalla solita inevitabile domanda: “Che facciamo per pranzo?”. Alla quale può seguire l’eventuale classica alternativa, che si presenta nella forma: “Che facciamo per cena?”. Questa viene avanzata, generalmente, nella seconda parte della giornata, anche se non è del tutto impossibile che entrambe vengano formulate in un’unica soluzione, per assicurare così la completezza del menu del giorno in una sola tornata. “Non saprei”, è senza dubbio la risposta più frequente, seguita anche da altre più articolate, nelle quali, oltre alla denominazione del piatto del giorno, se ne enunciano anche gli ingredienti e la preparazione. Risposta fornita, questioni risolte?
Nemmeno per sogno, perché a risposte certe vengono opposte obiezioni altrettanto certe, come a cercare di voler scendere nei particolari e, in questo modo, perfezionare l’esito dell’estenuante interrogatorio. Una volta, per trovare una soluzione definitiva alla vexata quaestio, ho suggerito di stilare alcuni menu settimanali, da proporre a scelta e a rotazione nell’arco del mese. Apriti cielo! Ma vogliamo scherzare? Un tentativo, anche piuttosto maldestro, di imbrigliare la fantasia! E il libero arbitrio? Dove lo mettiamo il libero arbitrio? È così che l’alta speculazione filosofica finisce sempre per contaminare ordinari problemi di quotidianità, compresi quelli di nutrizione; che poi, alla fine, tanto ordinari non si dimostrano. Manca poco che venga convocata una apposita commissione, che giudichi nel merito della correttezza e della realizzabilità delle proposte dei menu settimanali. Il giovedì, specialmente il pomeriggio, è, dunque, atteso dal sottoscritto più che le sentinelle l’aurora. Diventa l’isola alla quale il naufrago desidera approdare, benché deserta e probabilmente priva di risorse per la sopravvivenza. Ma già approdare è di per sé stesso sopravvivere. E vi si approda con sguardo sereno proprio perché deserta. Così, liberi da scomode domande e altrettanto scomode presenze, si inizia l’ennesimo tentativo di formulare pensieri originali. Oddio, al principio l’originale è ampiamente sopraffatto dal banale, perché il tentativo di estraniarsi richiede tempo, impegno e fatica, e l’immanente prevale sempre di gran lunga sul trascendente.
Per formulare qualche lucido pensiero originale occorrono tempo e fatica, si sa, e non tutti sono propensi a impegnare l’uno e/o l’altra in una attività che non ha certo l’apparenza di trasformarsi in remunerativa. A pensare a lungo, tentando di pescare un pensiero fresco e originale nel grande mare dei pensieri inutili, si perde tempo e, direbbe qualcuno, anche denaro. Quello che si sarebbe potuto guadagnare dedicandosi ad altre attività più lucrative, compresa la pesca a mosca. Compresa perfino la scelta e l’organizzazione del menu del giorno, meglio ancora di menu settimanali, così da non dover essere distolti dal pensare dalla classica domanda: “Che facciamo per pranzo?”, che fa regolarmente il paio con l’altra, “Che facciamo per cena?”. E dedicare, infine, il proprio tempo e la propria intelligenza ad approfondimenti sul vero senso della vita. Oltre che, naturalmente, sulla preparazione di pietanze semplici e appetitose. Un modo, questo, di passare il tempo che raramente si disdegna, anzi, sembra quasi diventato una ragione di vita per un numero sempre crescente di esseri umani. Intanto, immerso in queste considerazioni, mi accorgo, ad un tratto, che il pomeriggio è ormai quasi al termine. Tra poco Caterina tornerà a casa e con lei tornerà anche l’ineludibile domanda: “Che facciamo per cena?”. E, a questo punto, mi accorgo di aver trascorso alcune ore baloccandomi in assurde fantasie, quando sarebbe stato più utile tentare di trovare una qualunque risposta alla domanda che attendo con ansia che venga formulata.
Provo a rifugiarmi nell’infondata speranza che Caterina stessa rientri in casa con la risposta, ma so già che dovrò scavare a fondo nella memoria, per cercare di recuperare qualcosa di abbastanza valido da poter chiudere il dibattito fin dal suo nascere, e passare subito dopo alla realizzazione della proposta. Anche per oggi, nessuna traccia di pensieri originali, solo un continuo rimestare dentro ricordi che non sembrano lasciare molto spazio alla novità. Intanto, uno scampanellare alla porta annuncia il ritorno di Caterina, come al solito senza chiavi. Deve averle lasciate per l’ennesima volta sopra il comò o in un’altra borsa, chissà poi quale tra le tante. Ormai sono abituato a certe sue distrazioni, così come so che non devo innervosirmi o preoccuparmi se il pensiero libero e originale non ha fatto la sua comparsa, questo pomeriggio. Pazienza, sarà per il prossimo giovedì!
© Sergio Tardetti 2023

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Le carezze dei lampi

Nelle librerie e online dal 24-3-23

In un’afosa mattina, Marco, un diciassettenne problematico e inquieto, viene investito da un treno. E stato un incidente o voleva uccidersi? E perché lo avrebbe fatto? Villa Severa, un piccolo paese perso in mezzo alle pianure della bassa Romagna, è un minuscolo mondo di periferia travolto dalla modernizzazione che ha spazzato via sicurezze consolidate e vecchie abitudini. La tragedia non distrugge solo la vita del ragazzo, ma mina anche le esistenze dei genitori, degli amici e del macchinista del treno. In un affresco corale, dove ogni personaggio si racconta e cerca di dare una spiegazione a quel terribile fatto, ognuno parla delle proprie scelte e del senso della propria vita. Queste storie vengono a galla lentamente, come tessere di un mosaico, disegnando il ritratto di un paese, ma anche della provincia italiana in bilico tra un passato rassicurante ormai finito e una modernità che disorienta. Un mondo contadino sta scomparendo e assiste impotente al suo tramonto che brucia, crudele, anche la vita dei suoi figli.

Fabio Mongardi – Le carezze dei lampi. Morellini Editore, 2023

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Collezionisti di nuvole

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Dei delitti e delle pene

Foto di Jody Davis da Pixabay

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DOMENICA

di Sergio Tardetti

Potrebbe sembrare un giorno qualunque, se non fosse per la pretesa di volersi divertire ad ogni costo. Sole o pioggia, estate o inverno, la domenica è fatta così, per divertirsi. Finita la semplice intenzione di riposare, si va a cercare intorno una qualunque occasione di svago, vera o presunta che sia. Partono le carovane di auto che si snodano in lunghe code su per i tornanti montani, che si accavallano a grandi ondate sulle autostrade e superstrade dirette al mare, che si spandono a grandi macchie roventi nei parcheggi, consentiti e non, dislocati intorno alle località dove tutti vanno, appunto, per divertirsi. A questo punto verrebbe da pensare che ormai il più sia fatto e che, dopo tanto strazio e sudore, la vita finalmente possa diventare davvero un divertimento. L’illusione, però, dura al massimo un paio di minuti, il tempo di scendere dall’auto, guardarsi intorno e cominciare a cercare. Cosa si cerca? Via, lo sappiamo tutti! Un posto tranquillo, per riposarsi dalle fatiche del viaggio e illudersi di essere arrivati fuori dal mondo. Invece, sembra che tutto il mondo si sia dato appuntamento proprio qui, perché la gente sembra preferire lo stare in mezzo ad altra gente piuttosto che da sola. Da soli cosa si può fare, se non si è abituati alla solitudine? Così, per evitare di essere assaliti da quel nodo alla gola che alcuni chiamano tristezza, altri invece ansia, si preferisce tornare ad imprecare per l’impossibilità di trovare un parcheggio, per la difficoltà di sedere a tavola per un pasto di qualunque genere, per l’eccessivo chiasso che fa tutta quella gente che, non si sa bene per quale motivo, ha deciso di venirti dietro in quell’unico posto tranquillo che frequentavi da quando eri bambino. Dimenticando, però, che quando tu eri bambino, tutta quella gente non poteva arrivare fino a lì, a quel posto segreto e nascosto che solo tu e pochi altri conoscevate. Adesso non ci sono più posti segreti e tranquilli, nemmeno in cima alle montagne del Nepal, perché tutti vogliono andarci, anche chi non può o non potrebbe. Dove sono andate a finire quelle belle domeniche d’ozio? Sdraiati sull’erba tenera di un prato, o su un asciugamano appena umido, steso sulla sabbia rovente, ce ne stavamo immobili, a volte anche per ore intere, a osservare le nuvole che si fermavano sopra di noi, come a volerci osservare a loro volta. E quel loro continuo mutare di forme, quanto ci affascinava? Da bambini giocavamo a dare un nome a quelle forme, e ridevamo ogni volta che qualcuno di noi trovava un nome strano per qualche strana nuvola. Oggi, chi si ferma più a guardare il cielo? Sta lì da così tanto tempo che sembra scontato che continui a rimanerci e che lo troveremo identico anche il giorno dopo, e due giorni dopo, e chissà ancora per quanto. Almeno la domenica servisse a questo, a riappacificarsi con l’universo! Macché, niente di tutto questo. Impegnati come siamo a guardare dove mettere i piedi, continuiamo a fissare la terra, lasciando al cielo il suo unico compito, quello di esserci. Poi, ad un tratto, quasi senza preavviso, il cielo comincia a scurirsi, l’aria si fa più fresca, perfino più fredda, e così tutti, ma proprio tutti, decidiamo di risalire nelle nostre auto e, dopo esserci finalmente districati dal groviglio del traffico, riprendiamo la strada verso casa, provando a capire nel frattempo se, almeno quel giorno, ci siamo veramente divertiti. Perché domani è lunedì.

© Sergio Tardetti 2023

Foto di Nile da Pixabay

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