Speranza per il 2008

Che sia un anno in cui…

un mio gesto di solidarietà umana verso chi mi dice”ho fame”non susciti più il fastidio e l’ostilità di chi ha la pancia piena o forse di chi fa la dieta per non mostrare una pancia piena.

Racconto:
Ore 8.45, di una giornata prenatalizia, cielo grigio piatto e freddo che morde. Mi riscaldo con un cappuccino spumoso e brioche in un bar del centro storico, sbrigo qualche faccenda più o meno urgente tra negozi e uffici, e m’imbatto in un giovane multicolore: volto nero nero, sorriso bianco latte, berrettone di lana azzurro e giacca a vento rosso bandiera… L’età di mio figlio, calcolo alla prima occhiata. E lui infatti “Mama!… mi dai…”. So che gioca la carta dell’intenerimento, e mentre sto per sgusciar via ammiccando, mi butta addosso un “Ho fame, mama!”. Non puoi negare il pane a tuo figlio, se ha davvero fame. I miei occhi si misurano dritti dritti con i suoi. La prova della verità è quella di offrirgli qualcosa al bar, un cappuccino con brioche, la mia colazione appena consumata con senso di colpa perché ho problemi di linea. Accetta, ma mi sussurra all’orecchio, con un po’ di ruffianeria : “No, un bicchier di latte. Il caffè fa male, mama! Anche tu, non prenderne troppi!”
E’ lo stesso bar di mezzora fa, lo stesso barista, ma non ricevo la stessa accoglienza. Noto subito l’incupirsi del suo volto e la sua battuta è subito d’attacco: “Ancora qui?! Non voglio più vederti nel mio bar, lo sai!!”. E’ chiaro che l’apostrofato è il giovane nero, il mio ospite, che con indifferenza incomincia a indicare nella vetrinetta la brioche prescelta. Io tranquillizzo quel barista da figurino, o meglio credo, assicurandogli che offro io la colazione e che io pagherò! Ma anche me il barista mostra il suo fastidio: “Signora, non deve farlo! Questo qui viene sempre a chiedere soldi ai clienti…che vada a lavorare, piuttosto!” Una signora al banco, alla mia destra, cappottino rosa! con volpe al collo e nel cappello, unghie laccate, dita inanellate, posa la tazza del cappuccino e rincalza : “Sì, che vada a lavorare! oppure, che vada alla mensa dei poveri, a San Rocco!”
Io trasecolo. Faccio la volontaria in un centro che incontra i bisognosi, i poveri della città, gli extracomunitari, i rom, cercando almeno di ascoltare le loro necessità, se non è possibile fare qualcosa di più. E so bene quindi che dire “andate a lavorare, piuttosto!” è solo un modo per scaricarsi le coscienze, perché in città non si offrono poi così generosamente lavori a giovani come il mio ospite nero, come non si affittano volentieri case….So anche che la mensa di San Rocco apre solo all’ora dei pranzo e di cena. Ho lucida consapevolezza della situazione in cui mi trovo, non sto a ribadire oltre, ma provo vergogna della ostilità dei miei due concittadini, barista e cliente, nei confronti del giovane nigeriano ( così si è presentato), che sta ancora indicando la brioche che non gli si vuole dare, mentre già il latte caldo che ha bevuto gli segna un baffo bianco sulle labbra.
Quando usciamo, mi porto dietro oltre la porta, la minaccia del barista: “Signora, non lo faccia più!” Il mio giovane”figlio”nigeriano mi saluta con un “Grazie, mama!” e mi pare che il suo sorriso voglia consolarmi, voglia dirmi di non prendermela. Ma io, per quella via del centro storico della città, sento ancora più freddo, proprio dentro il cuore.

Credo che sarà un buon anno, il 2008, anche solo se due persone in più, due miei concittadini in più, sapranno riflettere sul dramma del migrare, sapranno capire le necessità di un “forestiero”, se non proveranno più indifferenza, diffidenza o peggio ancora animosità verso chi ha altro aspetto, altre appartenenze, altre culture. Vorrà dire che due persone in più si saranno aperte al dialogo, all’incontro, all’amore per il prossimo, che non è solo un comandamento cristiano.

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