La norma e l’oltre

“L’albero di Mahewa” di Gian Ruggero Manzoni (Il Filo)

Nelle frequentazioni quotidiane di ciascuno di noi, si viene a contatto con esistenze che si trascinano stancamente, tra lavori ordinari e decisamente poco avvincenti, piccoli e grandi problemi economici e familiari, avvolte in rapporti interpersonali costretti entro schemi irrigiditi dalle convenzioni sociali e narcotizzati dal quieto vivere. Si avverte, insomma, uno sgranarsi di giornate talmente uguali e prevedibili da non lasciare il benché minimo margine alla fantasia, per lasciare anche solo immaginare quello che accadrà il giorno dopo. E’ questa la norma, la vita dei cosiddetti “normali”, la gran parte di noi, con rari slanci, noiosa e prevedibile quanto si vuole, ma generalmente ordinata e, quello che più conta, tranquilla.

Ogni tanto, anche in questo mondo ovattato, giungono voci di altri generi di esistenze, gente che ha scelto di andare “oltre”, di valicare i limiti ristretti imposti dalla norma, di affidarsi ad un modo di agire considerato comportamento asociale, devianza, spesso stigmatizzato e messo al bando dalle regole del vivere civile. Accade quando qualcuno è colto dall’insano desiderio di capire, di andare a vedere cosa c’è al di là dei confini disegnati dalle regole di un gioco per lo più incomprensibile, il gioco della vita sociale, appunto.
E’ quello che accade ai personaggi di Manzoni, personaggi tragici per lo più, antieroi loro malgrado, coprotagonisti di una narrazione corale nella quale le storie di ogni singolo si incastrano perfettamente tra loro per disegnare il paesaggio di una tragedia di provincia, la tragedia di vite sommerse, per necessità o per impotenza, che ogni tanto provano il desiderio di venire a galla e respirare un po’ di voglia di esistere.
In una società in cui la forza del singolo sta nell’appartenere a qualcosa o a qualcuno, club del burraco o bocciofile, comitati di affari o di malaffare, cosche o caste, l’individuo ha vita particolarmente dura, i personaggi reali o da romanzo che siano, sono sempre senza via di scampo.
Il coraggio di andare “oltre” è il denominatore comune dei personaggi di Manzoni, tutti animati da una grande voglia di essere, di affermare, anche per un solo istante, la loro singolarità ed unicità, come bagliori di stelle lontane un istante prima di diventare buchi neri e svanire nella notte dell’eternità.
Per chi è abituato alla lettura accattivante dei best seller, romanzi precotti da cucina internazionale, scritti per solleticare i gusti facili del grande pubblico, non è agevole il confronto con la scrittura di Manzoni, una scrittura ruvida, che non fa sconti, proponendo al lettore brani in cui le parole sembrano essere state messe lì apposta per colpire con violenza più che per accarezzare, per ricordare che, accanto a quella in cui ciascuno vive, c’è una realtà parallela nella quale difficilmente riusciremo ad penetrare, una realtà con la quale capita di dover fare i conti ogni volta che diventa notizia, spesso cronaca, soprattutto nera.
Si avverte, scorrendo le pagine, tutta la simpatia che Manzoni prova per le sue creature, piccoli o grandi Nessuno, infiniti eteronimi dell’autore, le mille e più vite sognate o forse vissute in altre esistenze, capaci di riecheggiare nelle loro parole i pensieri più profondi e nascosti del loro creatore.
Il sentimento dell’opera oscilla tra la disperazione di un presente inaccettabile e la speranza di un futuro in cui la società corrotta e decadente di oggi ceda il posto a culture integre, capaci di prevalere su quelle ibride e sulle non culture del nostro tempo. Una speranza e un sogno a cui non vogliamo rinunciare e che non possiamo non condividere tutti.

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