di Vincenzo Ziliotti
A mio nonno Antonio, socialista, antifascista.
A mia nonna Luigina Caporali, fascista per amore della famiglia.
1. Introduzione
Le note che seguono prendono spunto dalla lapide posta sulla facciata del listone di Fontanellato, ex palazzo comunale, poi sede della locale Camera del Lavoro.
Essa ricorda quattro nostri concittadini che fra il 1921 ed il 1924 persero la vita nell’arroventato e violento clima politico di quegli anni.
E’ un omaggio diretto.
Il lavoro si articola in tre sezioni, cercando di intrecciare quanto ricostruibile delle vicende personali delle vittime con gli eventi storici del periodo. Per questa parte si fa riferimento alla storiografia contemporanea, mentre per la cronaca si utilizzano i giornali di periodo e quanto disponibile presso gli archivi del Comune di Fontanellato.
Ne rendo disponibile il primo stralcio in occasione del centenario dell’uccisione di Egidio Manghi ed Eugenio Guareschi.
2. Manghi & Guareschi
a) Gli Arditi: dalla trincea al popolo
i) Le origini militari
Nel settembre del 1914, su quello che diverrà il fronte occidentale, la grande guerra europea e mondiale prende quella fisionomia che ne caratterizzerà tutto lo svolgimento. La prima battaglia della Marna che ferma la fulminea avanzata tedesca ed il contemporaneo attacco russo sul fronte orientale, deludono le speranze germaniche di una conclusione rapida e vittoriosa ed il conflitto degenera in una logorante lotta di trincea. Con l’intervento dell’Italia nel maggio del 1915 si apre il nuovo fronte sul confine meridionale dell’ impero Austro-Ungarico. La prima offensiva italiana lanciata sull’Isonzo a fine giugno si protrae per due settimane ma si infrange sulle linee difensive degli imperi centrali. Non ostante la superiorità numerica, il guadagno territoriale è irrisori mentre il prezzo in termini di vite umane è altissimo. Sarà così per le offensive lanciate a metà luglio, ottobre e novembre. Anche sul fronte sud-orientale, lo scenario bellico diviene quello di una lunga, estenuante guerra di postazioni trincerate.
I primi a rendersi conto dell’inutilità degli assalti alla baionetta, condotti contro le postazioni nemiche armate di mitragliatrici e fucili a tiro rapido, sono i tedeschi: durante la prima battaglia di Ypres (20 ottobre – 18 novembre 1914) a causa della scarsità di munizioni per l’artiglieria sono costretti ad affidare le sorti all’enorme ondata di fanti: 80.000 soldati tedeschi perdono la vita. I sostenitori dell’offensiva si sono sbagliati. Dopo i tedeschi se ne rendono conto i comandi dell’intesa, e infine gli italiani. Tutti i paesi belligeranti cercano di ovviare all’errore strategico con l’innovazione tecnica di gas e carri armati o con l’adozione di nuovi procedimenti tattici; ma niente riesce a rovesciare le sorti degli avvenimenti ed a mutare lo scenario.
Il fattore umano non sfugge alla revisione richiesta dalle circostanze. Questa viene affrontata in due modalità: la prima con la costituzione di unità specializzate all’interno dei corpi esistenti. Nascono così nel nostro esercito gli esploratori, i guastatori per la distruzione di reticolati, i militi arditi. La seconda trasformazione, più radicale, creando nuove unità indipendenti ed autonome. Sono i tedeschi ad introdurre per primi le unità di fanteria d’assalto in grado di risolvere la staticità della guerra di trincea, superando la terra di nessuno, sfondando in punti determinati le linee nemiche e utilizzando nuclei di soldati ben addestrati comandati da sottoufficiali con capacità decisionale autonoma. Costituite nel marzo del 1915 le “Stosstruppen”, troveranno in alcuni romanzi di Ernst Junger [1] la vivida descrizione del loro mondo operativo e valoriale. Junger fu infatti comandante di una compagnia d’assalto sul fronte occidentale.
Nel Regio Esercito viene creato nel 1914 un gruppo di esploratori, a cui seguiranno i guastatori per la distruzione di reticolati e nel 1916 i militi arditi ed i guastatori. Nel marzo 1917 il Comando supremo viene a conoscenza della costituzione di unità speciali nell’esercito austroungarico e nel giugno 1917 il Maresciallo Luigi Cadorna approva la creazione di una nuova specialità. La presentazione ufficiale del primo Reparto d’Assalto alla presenza del Re avviene nel campo di Sdricca di Manzano (UD) il 29 luglio di quell’anno. «Una data che, per caso fortuito, sembra anticipare il contraddittorio divenire della nuova specialità`, coincidendo infatti sia con l’anniversario dell’attentato dell’anarchico Bresci a Umberto I che con il compleanno di un certo Benito Mussolini».[2]
ii) Gli Arditi nell’esercito
Gli Arditi italiani si distinguono dalle analoghe formazioni operanti in altri eserciti per alcune peculiarità: si sviluppano come un corpo a sé stante, e ricevono un addestramento ed un armamento migliore rispetto alla fanteria. La preparazione dedica grande attenzione all’esercizio fisico, alla ginnastica di base ed alle tecniche di lotta corpo a corpo per difesa personale derivate dal jujtsu con armi e senza. Le simulazioni sono realistiche utilizzando proiettili ed altro materiale non depotenziato. Non viene trascurato l’aspetto psicologico, in particolare per far percepire agli allievi la scientificità e la consapevolezza dell’addestramento finalizzato alla efficacia nel combattimento.
L’armamento è specifico, viene abolito lo zaino “… una delle cause, che rendono noiosa al soldato la vita militare, e’ il pesante fardello che egli e’ costretto a portare. L’ardito, privo di zaino, già si crede privilegiato fra gli altri e ne guadagna in buonumore”.[3]
L’uniforme viene concepita per essere pratica, funzionale ed usata in azione. Oltre al distintivo d specialità portato sul braccio, le mostrine sono nere a due punte, o con i colori della specialità.
Il reclutamento è di tipo misto: designati dai comandi delle unità di fanteria su base volontaria ma in mancanza di questi selezionando nuovi arrivi o elementi non idonei. Sono esclusi gli ammogliati, e scartati i delinquenti comuni, mentre sono ammessi i pregiudicati, per le centinaia di migliaia di soldati accusati di reati militari.
Una caratteristica peculiare degli Arditi è sicuramente il loro esasperato spirito di corpo. Essere inquadrati in un corpo a sé stante, autonomo a livello organico, tattico e politico-morale, li porta ad auto-esaltarsi e a considerarsi come corpo d’élite; in quanto volontari della morte si auto-celebrano come gli unici veri soldati, in netta contrapposizione ad una fanteria lenta e rassegnata che è gestita dagli eventi anziché´ determinarli. La loro condizione di autosufficienza sul piano militare è confermata dai privilegi di cui godevano: esenzione dai turni di trincea, rancio migliore, aumento del soldo (venti centesimi al giorno), esonero dei servizi di corvè e baracche per l’alloggio più confortevoli per un reale recupero di energie, licenze frequenti e autorizzazione a ricevere visite e regali ed un consumo rilevante di cocaina [4], come fra ufficiali e piloti.
Di provenienza sociale alquanto eterogenea, l’interventismo democratico, repubblicano, sindacalista-rivoluzionario sembra essere il loro minimo comun denominatore.
Visti in un’ottica militare classica, gli Arditi sono in buona sostanza reparti atipici, poco controllabili, restii agli ordini e alquanto insubordinati. Da 30 a 35 mila di essi portarono il loro slancio nella Prima Guerra Mondiale: si contano oltre 3.000 decorati, tra cui spiccano 20 medaglie d’oro al valor militare e 3.000 caduti: ne morì uno su dieci. Una mortalità altissima non eguagliata da nessun altro corpo.
iii) Arditi dopo la vittoria
Tra gennaio e febbraio 1919, vennero sciolti i reparti di Arditi, salvo una divisione che fu inviata nella Libia Italiana. Ma lo spirito di corpo, il cameratismo cementato dal culto del coraggio fisico, dal disprezzo per la morte, l’insofferenza per la disciplina e per la morale comune dell’ordine, convinsero migliaia di individui, di far parte di una élite destinata ad avere un ruolo rilevante nella nuova Italia del dopoguerra.
“La loro particolare atipicità`, manifestata già` nel corso del conflitto aveva attirato su di loro l’inimicizia dei carabinieri e di parte della popolazione civile. Le autorità` militari, preoccupate per la loro indisciplina e insofferenza verso le regole, dopo averne sfruttato il loro mito, propagandandone le imprese belliche, con la fine delle ostilità` ne tardarono la smobilitazione per timore di sovvertimento dell’ordine pubblico. A preoccupare gli alti comandi militari sopraggiunse la progressiva politicizzazione dei reparti; emblematica, nel 1918, è la decisione del generale Caviglia, artefice insieme a pochi altri della fondazione delle squadre d’assalto, di sciogliere il corpo degli Arditi, salvo un ripensamento nel 1919 quando si prospettò la possibilità che la stessa politicizzazione, guardata prima con ostilità, potesse ritornare utile in funzione antisocialista”.[5]
La fine della grande guerra europea non porta la pace, cambia solo il conflitto: da esterno con il nemico straniero da sconfiggere, a interno, dove una classe di governo liberale ma ottocentesca, una sinistra potente quanto velleitaria non sono in grado di governare l’irruzione delle masse popolari ansiose di ottenere un ruolo di protagonisti nell’arena politica. Sono blocchi educati, omogeneizzati dalla Grande Guerra e dall’inizio di quella rivoluzione sociale e tecnologica, che detterà la storia del Novecento.
In queste acque tutt’altro che tranquille l’arditismo trova il mare propizio dove continuare la sua opera sui fronti opposti della guerriglia sociale che accompagnerà la storia italiana oltre la marcia su Roma fascista.
L’ingresso degli Arditi sulla scena politica ha più pigmalioni: i futuristi, il grande vate Gabriele d’Annunzio, lo stesso Mussolini. La prima associazione degli Arditi d’Italia viene fondata a Roma il 1Gennaio del 1919. L’11 gennaio successivo, la contestazione al teatro alla Scala di Milano del discorso pacifista di Leonida Bissolati, promossa dai futuristi, è il debutto politico degli Arditi, sostenuto da Mussolini e dal suo giornale che dal 1 Agosto 1918 non era più il “quotidiano socialista” ma era diventato il “quotidiano dei combattenti e produttori”. Il futuro duce, si mostrò sempre molto vicino alle posizioni dell’arditismo e non mancò questa occasione. L’alleanza sembrò diventare salda con la fondazione dei Fasci di combattimento il 23 Marzo del 1919 al civico 9 di Piazza San Sepolcro a Milano. In quella sede si riunirono circa centocinquanta tra futuristi, Arditi, ufficiali di altri rami dell’esercito e circa quaranta massoni. Aprì i lavori Vecchi, in qualità` di presidente della giunta direttiva, il quale esordì porgendo il saluto degli Arditi presenti e rivolgendo un appello agli ufficiali di complemento. Quindi intervennero Mussolini, Marinetti e Carli. Quest’ultimo portò l’adesione dei Fasci futuristi e dell’Associazione fra gli Arditi d’Italia, ai quali venne affidato il servizio d’ordine della manifestazione. Nei primi mesi del 1919 essi si configurano come il braccio armato dei Fasci di Combattimento e Mussolini, non più politico riformista, né sindacalista rivoluzionario, divenne il capo di una banda armata composta anche dagli Arditi.
La lotta armata contro i socialisti, che inizia nell’aprile del 1919, vide fra i protagonisti gli Arditi con la complicità dei vertici dello Stato, a sua volta impegnato nella violenta repressione delle manifestazioni operaie e contadine. L’assalto alla redazione dell’Avanti, il 15 Aprile, segna un punto di svolta: per la prima volta vengono usate le armi contro un bersaglio politico. La compiacenza delle forze dell’ordine rafforzò la fiducia di queste formazioni paramilitari nei propri mezzi.
iv) L’impresa di Fiume: il poeta e il sindacalista
La solidità del rapporto dell’assetto arditismo-fasci di combattimento-forze dell’ordine cominciò ad incrinarsi con la sensazione dei vertici degli Arditi di essere strumentalizzati ai fini del mantenimento dello status quo. La funzione di “cani da guardia della borghesia” mal si combinava con la loro vocazione rivoluzionaria. Il dibattito interno all’associazione oscilla fra posizioni conservatrici e simpatie con la sinistra. Nel Settembre del 1919, all’occupazione di Fiume, gli Arditi accorrono ad ingrossare le file dei legionari fiumani e, nella rottura fra D’Annunzio e Mussolini si consumerà anche quella fra Arditi e Fascismo. I reparti schierati in fretta lungo la linea dell’armistizio fanno causa comune con i Legionari, fra cui il 13° reparto d’assalto formato dagli Arditi che continueranno ad affluire a difesa della “Olocausta” [6] per tutti i 16 mesi della reggenza.
Il tentativo di un loro utilizzo come forza d’ordine aggiuntiva perde di significato con la costituzione nell’ottobre 1919 della Guardia Regia, con 377 ufficiali e 25.000 uomini di truppa che aumenta subito da 28 a 60.000, alle dirette dipendenze del Ministero dell’Interno. i Carabinieri, sciolsero le truppe meno affidabili che in alcune situazioni avevano fraternizzato con gli insorti.
L’esperienza del Carnaro radicalizza in senso antifascista l’azione degli Arditi. Iniziato come un mix di tutto un po’, l’esperimento politico evolve e si precisa in una direzione abbastanza imprevedibile. Deluso dai nazionalisti e da Mussolini, D’Annunzio non può che rivolgersi verso la sinistra rivoluzionaria. Prende peso la figura di Alceste De Ambris, sindacalista rivoluzionario, di provata fede antifascista che giunge a Fiume, chiamato dal Vate, nel gennaio del 1920. Divenuto Capo di Gabinetto nel governo della citta, elabora la Carta del Carnaro, costituzione della Reggenza Italiana del Carnaro promulgata l’8 settembre 1920 e spinge per una sua nuova collocazione internazionale: la Reggenza sarà il primo stato europeo a riconoscere l’Unione Sovietica, ma intanto le squadre fasciste nella penisola procedono all’attacco sistematico delle organizzazione sovversive ed alla eliminazione fisica dei loro rappresentanti. Mentre l’arditismo va verso il sindacalismo rivoluzionario, il sovversivismo, la repubblica dei Soviet, i Fasci di Combattimento muovono verso la monarchia, il clero, l’autorità, la conservazione.
Nel gennaio 1920 viene redatto a Fiume un nuovo Programma Statuto dell’Associazione Arditi ed il Vate è proclamato presidente onorario. Consumato l’epilogo fiumano, le vicende dell’arditismo dannunziano si andarono intrecciando con quelle dei legionari e nel corso del 1920 gli arditi si riunirono nell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia, che contemplava, a differenza della prima, che potessero partecipare oltre che gli ex combattenti dei reparti di assalto, i legionari fiumani, tutti gli Arditi di cielo e di mare e anche i ragazzi vicini idealmente all’arditismo ma che a causa della loro giovane età non avevano preso parte alla prima guerra mondiale.
Durante il l 1921 venne chiesta l’uscita degli Arditi dall’organizzazione dei Fasci di Combattimento, cosa che provoca una nuova scissione. Nasce la Federazione Nazionale fra gli Arditi d’Italia, di stretta osservanza mussoliniana ed a contendere loro l’eredità spirituale di tutto l’arditismo di guerra e dei legionari dannunziani protagonisti di Fiume, sorgono a Roma, gli Arditi del Popolo.
v) Arditi contro il fascismo
La dialettica far le diverse anime dell’arditismo si manifesta nel dibattito interno, in particolare nella sezione romana dove le posizioni di Giuseppe Bottai ed Argo Secondari si contrappongono e si alternano alla guida. Bottai è promotore di una linea anti-bolscevica e filofascista, Secondari è volto a portare l’associazione sempre più vicina alle organizzazioni proletarie. Secondari gode di un forte ascendente dovuto al suo status di ex-combattente decorato con tre medaglie al valor militare, due di bronzo ed una d’argento, non essere iscritto ad alcun partito, al suo ruolo di attivo organizzatore del “complotto di Pietralata” del Luglio del 1919. [7]
Nella seconda metà del 1920 gli eventi della avventura fiumana e l’occupazione delle fabbriche occupano la scena politica ed economica dell’Italia. Dopo la fiammata rivoluzionaria del settembre gli operai, stanchi e disillusi, indietreggiano mentre il movimento fascista si prepara al contrattacco, alla controrivoluzione. I moti per il caro-viveri prima, le “degenerazioni” di sinistra verificatesi a Fiume, le vittorie socialiste nel campo elettorale, ed ora l’occupazione delle fabbriche incutono una grande paura nei borghesi, negli industriali, nei nazionalisti, nei governanti, nei conservatori, negli organi di Pubblica Sicurezza e negli istituti bancari; tutti gli attori dell’economia capitalistica italiana, e non solo, hanno una folle paura del “pericolo rosso”. Questo li porta ad utilizzare il movimento dei Fasci di Combattimento come difesa dei propri interessi economici e sociali.
Il nuovo contesto richiede nuovi adattamenti. Saranno gli anarchici ad anticipare su di un loro giornale quella che sarà la linea degli Arditi del popolo:
“.. L’azione contro i fascisti non può avere lineamenti tattici unici data la diversità da regione a regione, da città a citta`, da paese a paese, delle condizioni ambientali e psicologiche, delle forme e mezzi dell’offensiva fascista e della difesa operaia. Comunque, bisogna tener presente che il fascismo è un fenomeno psicologico frutto delle disillusioni e del malessere di quei che hanno fatto la guerra “rivoluzionaria”, che s’è mutato in fenomeno politico-economico con la penetrazione di molti figli di papà e di molti avventurieri …. Il fascismo presenta alcune affinità` con l’arditismo. Fra gli Arditi c’era la feccia dell’esercito e la parte più combattiva dei combattenti volontari. Con la feccia del fascismo l’unica tattica è la guerra senza tregua e senza quartiere, la guerra senza pietà e formalità` cavalleresche… Bisogna combattere la nostra battaglia come contro i Tedeschi combattevamo la guerra. Ovunque il luogo e l’ora si prestino è necessario colpire, in condizioni di superiorità`, questi pretoriani e questi sicari. Alla minaccia verbale si risponda con l’azione, alla sopraffazione con la rappresaglia. Bisogna però osservare una regola … occorre … non lasciar passare che poche ore, che pochi giorni da un “fattaccio” fascista, altrimenti il nesso tra la causa fascista e l’effetto rivoluzionario …. può` essere incompreso o svisato. Nella lotta contro i fascisti è consigliabile l’alleanza continua e incondizionata coi comunisti e coi repubblicani e, in certi casi di “assoluta necessita`”, coi legionari fiumani, quelli però aderenti alla Federazione che a` per capo Gabriele D’Annunzio […]. Di fronte alla violenza fascista sono inutili i belati di protesta evangelica e sono ridicoli e poco dignitosi gli appelli alla forza pubblica e alla tutela del Governo. Lasciamo queste cose agli evirati del socialismo pantofolaio”.[8]
Fra gli Arditi il dibattito acceso, che a volte giunge allo scontro fisico fra le fazioni, riprende e si concretizza nel giugno del 21. Il 27 giugno è considerata la data di nascita dell’Associazione degli Arditi del Popolo., In questa data viene decisa ed organizzata una risposta antifascista a carattere militare oltre che propagandistica con la costituzione del “Battaglione Arditi del Popolo” composto da tre compagnie: la “Temeraria”, la “Dannata” e la “Folgore”.
L’intervista che Argo Secondari rilascia all’organo ufficiale del PCd’I, (Partito Comunista d’Italia) e che apparirà sull’organo ufficiale del partito, dipinge vividamente i caratteri della nuova associazione:
Gli “Arditi del popolo” arrestati ieri sera sono stati immediatamente rilasciati. Uno solo venne trattenuto, perché´ trovato in possesso di due rasoi, ma poiché egli esercita la professione di barbiere, è sperabile non sia accusato di abusivo porto d’armi… C’era pure il tenente Argo Secondari, uno dei capi più` attivi dell’arditismo, che ha naturalmente partecipato alla guerra dove fu ferito e decorato con medaglia di bronzo… E’ conosciutissimo a Roma: non aderisce a nessun partito politico, ma conta molti amici tra i sovversivi. Egli prese parte al famoso complotto di Pietralata… la cui verità` dei fatti non è ancora conosciuta. Gli stessi che hanno attribuito il complotto a Nitti, dicono che oggi gli “Arditi del popolo” sono da lui sovvenzionati e guidati. Sta di fatto però che Secondari, il quale fu… tra gli esecutori del complotto presunto nittiano, è stato arrestato proprio per ordine di Nitti e ha passato molti mesi a Regina Coeli. Volendo avere qualche notizia diretta sulla formazione degli “Arditi del Popolo”, mi sono recato alla loro sede… per un colloquio con lui.
– Altri giornali, mi ha dichiarato innanzi tutto il Secondari, hanno chiesto informazioni sulla nostra associazione, ma mi sono sempre astenuto dal darle, non perché ci sia qualche cosa di segreto nei suoi scopi e nelle sue finalità`, ma unicamente pel timore di incomprensione. Non mi rifiuto di dare per il suo giornale, ch’è letto soprattutto da lavoratori, le informazioni che desidera. La costituzione degli Arditi è avvenuta a Roma subito dopo l’armistizio per reazione contro il decreto di scioglimento dei battaglioni d’assalto. Durante la guerra (è bene rievocarlo oggi, mentre i patrioti propendono a dimenticarlo per motivi politici) gli Arditi, hanno dato nelle azioni belliche il maggior contributo d’energia. Basta ricordare le azioni offensive del S. Michele e della Bainsizza, la vittoria del Piave e molte altre. Si può` dire che gli Arditi, all’avanguardia dell’esercito nel giugno 1918, hanno impedito con il loro eroismo una seconda Caporetto. Gli austriaci avevano sferrato contro le nostre linee un violentissimo attacco, sfondandole e penetrando nel nostro territorio per 14 chilometri. La situazione era improvvisamente divenuta gravissima. Allora i battaglioni di assalto, lanciati al contrattacco hanno dato quella spinta iniziale all’esercito italiano che rese possibile ricacciare gli austriaci sulle loro linee e far vincere una grande battaglia da cui potevano dipendere le sorti dell’Italia.
– La borghesia ha ampiamente riconosciuto ed esaltato gli Arditi: Si`, certo. Fino a quando l’arditismo, monopolizzato da un gruppo di persone, non tutte in buona fede, era asservito alle classi dirigenti e ai pescecani… In seguito, poi gli Arditi per mancanza di energia da parte dei capi, furono in minima parte assorbiti dal fascismo col quale avevano continui contatti. La maggioranza degli Arditi pero`, che non approvava la tattica fascista, si appartò da ogni movimento.
– Ma gli Arditi sono stati anche a Fiume: Una parte sì per spirito rivoluzionario e anche perché´ hanno fede in Gabriele D’Annunzio che considerano come il loro capo spirituale.
– Da quando e per quali motivi furono costituiti gli “Arditi del Popolo”? Da pochissimi giorni soltanto e per la difesa dei lavoratori del braccio e del pensiero. Gli Arditi non potevano rimanere indifferenti e passivi di fronte alla guerra civile scatenata dai fascisti. E come furono all’avanguardia dell’esercito italiano, essi intendono… essere all’avanguardia esserlo del popolo lavoratore. In un primo tempo il Fascismo sembrava animato da uno scopo che, nelle sue forme esteriori, appariva anche a noi ispirato da patriottismo: arginare cioè` le cosiddette violenze rosse. Noi che miriamo sostanzialmente a realizzare la pace interna, dando la libertà ai lavoratori, potevamo anche restare estranei alla contesa tra fascisti e sovversivi. Oggi però non è più` il caso di parlare di violenza rossa. Il triste monopolio del brigantaggio politico è esclusivamente tenuto dai Fasci di Combattimento. Se di fronte alla sistematica guerra sostenuta dai fascisti contro il proletariato italiano e le sue istituzioni, l’arditismo non intervenisse, si rinnegherebbe. Fin dalle tragiche giornate di Fiume, gli Arditi avevano compreso che cosa si nascondesse sotto il manto del patriottismo per l’organizzazione fascista e… fra Arditi e fascisti si aprì un abisso. E gli Arditi sofferenti e umiliati per il tradimento fascista verso il Comandante, cominciarono a riannodare le proprie file e a schierarsi definitivamente contro i Fasci. Lo stesso Comandante… vietò ai Legionari fiumani, che sono in gran parte Arditi, di far parte dei Fasci. Gli Arditi più` nulla debbono avere in comune coi Fasci.
– E` informato Gabriele D’Annunzio del vostro movimento? Ufficialmente almeno da parte del Direttorio centrale, no… D’Annunzio non può` essere contro il popolo e i lavoratori. Sono profondamente convinto che egli pure disapprova le gesta fasciste antiproletarie. L’organo dei legionari fiumani ha recentemente fatto aspri attacchi contro i fascisti, definendo il loro operato “delinquenza comune”. Il movimento di riorganizzazione dell’arditismo è sorto a Roma. E` bastato un appello al direttorio, perché´ tutti gli ex Arditi rispondessero alla chiamata… Non uno ha disertato. Il movimento è generale. Ovunque si costituiscono le Sezioni… anche dove ieri non esistevano. Sono con noi molti ex combattenti, che si sono iscritti volontari negli “Arditi del popolo” come avveniva al fronte. E` indiscusso che intorno alla nostra organizzazione, che è appena agli inizi, vi sono forti correnti di simpatia.
– E le autorità` come vi trattano? Procediamo per la nostra strada e non ci curiamo di nessuno. Abbiamo avuto qualche incidente con le guardie regie qui a Roma; ma niente di grave. Molti… sono ex combattenti e non pochi appartenevano ai battaglioni d’assalto. Erano Arditi. Essi non ci possono odiare, perché´… difendendo i lavoratori con le loro famiglie.
– E gli ufficiali? Oh, quelli sono tutti fascisti, ma sono una minoranza irrilevante.
– Qual è il suo parere sulle trattative di pace fra fascisti e socialisti? Credo che non approderanno a nulla. Non basta la buona volontà` di pochi capi per frenare la guerra civile. Del resto, non sono loro che più` hanno sofferto delle dure conseguenze della sanguinosa lotta. E le vittime non hanno in alcun modo espressa la volontà` di arrendersi ai loro carnefici.
– Gli “Arditi del Popolo” aderiscono a qualche partito? No per far parte delle nostre centurie basta aver appartenuto ai battaglioni d’assalto o essere stati combattenti… che vengono considerati come volontari degli “Arditi del popolo”. Noi lotteremo contro i fascisti e chiunque vorrà` impedire ai lavoratori del braccio e del pensiero la loro emancipazione. [9]
Come ben chiarisce Secondari, scopo degli Arditi del Popolo non è la resistenza ma la lotta contro il fascismo. Si delinea quindi una continuità fra “l’ azione diretta” teorizzata da anarchici e sindacalisti rivoluzionari e la tattica deli degli Arditi del Popolo.
La comparsa degli Arditi del Popolo rappresenta per il proletariato italiano, il fatto nuovo dell’estate 1921. Sia costituendosi ex novo che appoggiandosi alle sezioni della Lega proletaria della CGIL o a formazioni paramilitari preesistenti quali gli Arditi Rossi di Trieste o i Figli di Nessuno di Genova e Vercelli, nascono in tutta Italia sezioni di Arditi del Popolo pronte a fronteggiare militarmente lo squadrismo fascista. Il nuovo governo, di Ivanoe Bonomi, guarda al fenomeno ardito-popolare con estrema preoccupazione, poiché la comparsa delle formazioni armate antifasciste rischia di affossare l’ipotesi di un trattato di tregua tra socialisti e fascisti, quello che sarà, nemmeno un mese dopo, il “Patto di pacificazione”,[10] fortemente desiderato dal presidente del Consiglio.
Le linee di espansione dell’associazione seguono, principalmente, le direttrici che dalla capitale a Genova (Civitavecchia, Tarquinia, Orbetello, Piombino, Livorno, Pisa, Sarzana, La Spezia) e ad Ancona (Monterotondo, Orte, Terni, Spoleto, Foligno, Gualdo Tadino, Iesi). Ma anche in al di fuori di queste due vie di comunicazione gli Arditi del Popolo riescono a costituirsi in gruppi consistenti. Rilevanti sono quelli del Pavese, di Parma, Piacenza, Brescia, Bergamo, Vercelli, Torino, Firenze, Catania e Taranto. In alcuni centri minori riescono ad organizzarsi efficacemente. Considerando le sezioni la cui esistenza è certa, l’organizzazione antifascista risulta strutturata, nell’estate del 1921, in almeno 144 sezioni con quasi 20 mila aderenti. Primeggiano le 12 laziali con 3.300 associati, e le 18 toscane con oltre 3.000 iscritti. In Umbria gli Arditi del Popolo sono 2.000, in 16 sezioni. Nelle Marche quasi un migliaio, in 12 strutture organizzate. Nel Nord la diffusione del movimento è significativa in Lombardia (17 sezioni con 2.100), nelle Tre Venezie (15 nuclei con 2.200) e, in misura minore, in Emilia- Romagna (18 sezioni e 1.400 associati), Liguria (4 battaglioni e circa 1.100) e Piemonte (8 e 1.300). Nel Meridione le sezioni sono 7 in Sicilia e in Campania, 6 in Puglia, 2 in Sardegna e una in Abruzzo e in Calabria Gli iscritti 600 in Sicilia, 500 in Campania e nelle Puglie, 200 in Abruzzo e Calabria, 150 in Sardegna.[11]
Già dal luglio, tutte le maggiori manifestazioni al contro il fascismo vedono schierati gli Arditi, a partire da un’importante evento antifascista cui prendono parte migliaia di lavoratori il 6 luglio 1921, presso l’Orto botanico di Roma, ai fatti di Sarzana del 21 Luglio. L’eco dei fatti romani arriva fino a Mosca: la Pravda del 10 luglio ne fa un dettagliato resoconto e lo stesso Lenin, favorevolmente colpito dall’iniziativa e in polemica con la direzione bordighiana del PCd’I, non ha dubbi a indicarla come esempio da seguire.
Il giudizio della sinistra nei confronti degli Arditi del Popolo non è unanime, l’apprezzamento Leniniano e il sostegno degli anarchici si contrappongono l’opposizione dei socialisti, ed un neonato Partito Comunista diviso fra il rigido dissenso di Amadeo Bordiga ed un’articolata posizione di Antonio Gramsci, che ne apprezza i motivi e le caratteristiche di fondo, ma ne evidenza anche i limiti strategici rispetto all’agenda rivoluzionaria dei bolscevichi.
b) L’arditismo a Parma: tre personaggi
i) L’azione diretta: Alceste De Ambris
Nella storiografia degli Arditi del Popolo e nella agiografia dell’antifascismo, Parma occupa una posizione di particolare rilevanza. La resistenza alle squadre fasciste guidate da Italo Balbo del popolo dell’Oltre Torrente e dei nuovi quartieri popolari Naviglio, Saffi e San Silvestro costituisce il vertice ed il più alto, quanto limitato, successo nella storia degli Arditi del Popolo e dell’opposizione popolare al fascismo.
“Vi è un oasi in Italia, la provincia di Parma, ove l’azione diretta è in auge da parecchi anni ed il proletariato le mantiene ancora intatta la fede”[12] scriveva nella primavera del 1915 Filippo Corridoni. Nel 1907 Alceste De Ambris diviene segretario della Camera del Lavoro di Parma, ereditando una situazione di divisione fra leghe di campagna e di città, una azione rivendicativa ristagnante e polemiche politiche fra le varie formazioni della sinistra che si riverberavano nel movimento sindacale. Le opinioni politiche di De Ambris sono sistematizzate nel volume “L’azione diretta,”[13] che diventerà presto il manifesto delle linee guida del sindacalismo parmense.
Contemporaneamente la Camera si trasferisce in Oltretorrente, nell’ex-convento di Borgo delle Grazie. La nuova dirigenza e localizzazione porteranno a costruire una solida unità di azione fra operai, masse contadine e sottoproletariato urbano che darà vita con la sciopero del 1908 ad un duro scontro con il fronte agrario diretto dall’omonima associazione. Gli agrari piegarono lo sciopero, ma il giudizio di De Ambris, dato nel 1913, ne metteva in luce ciò che avrebbe dato frutti nel lungo periodo “… e se lo sciopero del 1908 non avesse prodotto altro benefizio, noi avremmo sempre il diritto di dire che, dal punto di vista rivoluzionario riuscì pienamente vittorioso, poiché fece in un anno quello che non avrebbero potuto fare vent’anni di propaganda: spezzò i legami del patriarcalismo e spazzò i detriti dell’evangelismo legalitario, formando una coscienza di classe audacemente rivoltosa nel proletariato parmense.”. [14]
ii) L’interventismo: Filippo Corridoni
Nei mesi precedenti all’entrata in guerra dell’Italia il confronto fra interventisti e neutralisti infiamma l’opinione pubblica. Il tema risulta fortemente divisivo, usando un eufemismo attuale, per la sinistra. Parma costituì una delle basi più solide dell’interventismo rivoluzionario e come eccezione nazionale la campagna interventista fu guidata dalle organizzazioni operaie. Nel Febbraio 1915 al congresso, la Camera del Lavoro in congresso, approva la linea interventista con 10.663 voti, 2.381 vanno alla mozione neutralista, mentre una terza mozione intermedia fra le due raccoglie 905 voti. A livello nazionale, la scissione della Confederazione Generale del Lavoro diede luogo all’USI, Unione Sindacale Italiana, cui aderiscono dirigenti di spicco quali Alceste De Ambris e Giuseppe Di Vittorio, mentre la figura iconica dell’interventismo sindacal-rivoluzionario sarà Filippo Corridoni. Quest’ultimo, sotto il falso nome di Leo Cervisio giunge a Parma nel 1908 per sostenere il più grande sciopero agrario del sindacalismo rivoluzionario italiano. Diventa segretario della Camera del Lavoro di San Felice sul Panaro nel 1909 e nel 1913 scrive sul giornale L’Internazionale, organo della “Camera del Lavoro sindacalista rivoluzionaria” di Parma. Si lega a De Ambris, collabora alla sua campagna elettorale e diviene il principale esponente del sindacalismo rivoluzionario a Milano. Contrario alle guerre coloniali di Libia ed Eritrea, ed a quella alla guerra Italo-Turca, allo scoppio della Guerra Mondiale diviene fervente interventista. Così spiega la propria conversione:
“Riprendiamo le pubblicazioni della nostra Avanguardia in un’ora storica. La immane catastrofe in cui è piombata l’Europa ha fatto crollare come fragili impalcature di palcoscenico tutte le costruzioni ideali ed umanitarie che i popoli avevano eretto in quarant’anni di pace e di lavoro fecondo… Ma vi sono avvenimenti che scuotono la fede più cieca ed incrollabile: la guerra europea è uno di quelli. Noi non credevamo al tradimento dei proletari tedeschi ed austriaci: s’è consumato. Quando i nostri governanti ci prospettavano la possibilità di una guerra europea che travolgesse l’Italia- e ne traevano conseguenza gli armamenti indispensabili- noi negavamo violentemente e rispondevamo trionfanti che se anche tale ipotesi avesse la possibilità di realizzarsi, lo sciopero generale insurrezionale del proletariato all’atto della mobilitazione avrebbe stroncato la guerra sul nascere. Ci illudevamo. I fatti ci hanno dato la più solenne smentita, e noi se non siamo dei caparbi, della gente che vuole avere ragione ad ogni costo, siamo in dovere di riconoscere che non vedemmo giusto, e siamo in obbligo quindi di riprendere in esame tutti i nostri piani di guerra per conformarli alle esigenze della mutata situazione“. [15]
Si arruola come volontario nel giugno del 1915, inquadrato negli Esploratori, morirà all’età di 28 anni il 23 Ottobre, a capo di un plotone d’assalto, raggiunte le linee nemiche. Il suo corpo non verrà mai ritrovato. La a sua eredità politica rimarrà un terreno di aspra contesa fra gli opposti schieramenti. Uno dei primi manipoli fascisti di Bologna nel 1919 fu la Squadra d’Azione Filippo Corridoni; allo stesso tempo, nei primi anni Venti gli antifascisti costituirono la Legione Arditi Proletari Filippo Corridoni, comandata da Vittorio Picelli e Renzo Pezzani; la formazione si scontrerà con le squadre d’azione di Italo Balbo durante le barricate di Parma. Durante il regime fascista gli fu intitolata la 109ª Legione CC.NN. d’Assalto “Filippo Corridoni” della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale (MVSN) di stanza a Macerata. In suo onore, il nome della sua città natia Pausula fu mutato in Corridonia.
iii) Gli Arditi del Popolo: Guido Picelli
La “coscienza di classe audacemente rivoltosa”, l’interventismo furono il i fertili terreni sui quali fiorì la fulgida e tragica esperienza degli Arditi del Popolo in città e nelle campagne parmensi. Guido Picelli ne è la figura più celebre e paradigmatica.
In questa nota lo storico Roberto Spocci ne traccia il profilo: “Guido Picelli nasce a Parma il 9 ottobre 1889 da Leonardo e Maria Melegari che muore nel marzo 1892. Il padre si risposa con Angela Campanini nel 1894 dalla quale aveva avuto un figlio, Vittorio, e da cui nascerà`, nel 1902, Camilla. La famiglia andrà` ad abitare in via Vittorio Emanuele al civico 148, abitazione che sarà` di Guido fino al 1921. Apprendista orologiaio, Guido lascia Parma e per diversi anni recita drammi popolari nelle piazze, ma attratto dal cinema, si stabilisce vicino a Torino, allora capitale della nascente industria cinematografica. Per mantenersi Picelli fa l’operaio nei cementifici Riuniti di Casale Monferrato.
Rientrato a Parma nel 1912 apre un negozietto da orologiaio e fonda la Compagnia stabile di Parma in cui lavoreranno Alberto Montacchini ed Alfredo Zerbini. Allo scoppio della guerra, Guido è mobilitato nella Croce Rossa dal 2 luglio 1915 all’aprile del 1918, meritando una medaglia di bronzo al Valor militare per il suo coraggio nel soccorrere i feriti sul fronte di Monfalcone (18 agosto-6 settembre 1917).
Trasferito alla scuola militare di Modena per frequentare il corso di aspirante ufficiale di complemento, è nominato sottotenente di complemento il 3 ottobre 1918, incorporato nel 164° Reggimento Fanteria e assegnato al deposito; sarà` smobilitato il 20 settembre 1919 senza partecipare ad operazioni belliche.
Il fratello Vittorio, nominato aiutante di battaglia per meriti di guerra nel 62° Reggimento Fanteria, poi comandante di un reparto di Arditi è decorato al valor militare per la battaglia sulla Bainsizza e trasferito a Parma per frequentare un corso. Nel 1919 è fondata a Fontanelle la Lega proletaria fra Mutilati, Invalidi, Reduci, Orfani e vedove di guerra che ben presto si estenderà a Fontanellato, Busseto, Colorno, Zibello, Salsomaggiore, Parma, Borgo San Donnino e Varano Melegari. La nuova organizzazione, legata alla Camera del Lavoro sarà` in concorrenza con la locale sezione dell’Associazione Nazionale Combattenti.
l 19 ottobre 1919 Picelli è eletto segretario della Lega, quale funzionario sindacale a tempo pieno ed in tale veste partecipa alla campagna elettorale del 1919. Sempre nello stesso anno fonderà` la Guardia Rossa, in contrapposizione alla Guardia Bianca dell’Unione antibolscevica, mentre nel 1921, fonderà` gli Arditi del Popolo. Al Congresso del P.S.I. parmense viene eletto un nuovo gruppo dirigente formato, oltre che Guido Picelli, da Antonio Valeri, Massimo Masetti, Amedeo Azzi, Mauro Bertani e Fernando Santi.
Il 28 giugno 1920 la partenza di un convoglio ferroviario carico di granatieri che si credeva diretto a Valona e non ad Innsbruck provoca una manifestazione che produce il blocco del traffico ferroviario al bivio del Cristo (dove?). A seguito dei fatti del treno, Picelli è arrestato il 13 luglio, per viene inserito nelle liste del P.S.I. come candidato di protesta e riesce eletto nelle elezioni dell’aprile-maggio 1920 e come deputato è rilasciato dal carcere., Ad attenderlo sono tre amici fra cui Fernando Santi che lo accompagnano in Oltre Torrente dove riceve una festosa accoglienza. In questo periodo firma numerosi articoli sulla necessità di costituire il Fronte Unico proletario, per il momento, limitato ai soli sindacati. Parteciperà` al secondo congresso di Pontetaro, perché durante il primo era in prigione, ma l’esitazione dei sindacalisti anarchici impedirà` l’unificazione delle tre Camere del Lavoro parmensi come modello per la ricomposizione del movimento sindacale a livello nazionale.
Dal giugno 1921 Picelli opera per la costituzione di una nuova milizia operaia: gli Arditi del Popolo il cui congresso di fondazione si terrà presso la Camera del Lavoro riformista di via Imbriani; la formazione degli Arditi non sarà l’unica , poiché ad agosto si costituisce la Legione Arditi Proletari Filippo Corridoni, guidata da Amilcare De Ambris, Vittorio Picelli ed Arduino Pietranera e, nella Val Baganza, Ribello o Ribelle Rosa, altre formazioni armate saranno costituite dalle squadre armate del PCd’I, dai combattenti repubblicani di Umberto Pagani e dall’Avanguardia Cattolica o ciclisti bianchi meglio conosciuti come Arditi Bianchi, dei quali non si conoscono fonti archivistiche, ma che rispondono ad Ulisse Corazza.
Le forze della legione Filippo Corridoni, secondo stime del Prefetto di Parma, ammontavano più o meno a circa 1.000 arditi di Picelli, a tutt’oggi, si sono ricostruite circa 380 biografie. Elenchiamo i componenti dello Stato Maggiore come riportati da “Il Piccolo” del 2 maggio 1922: Sicuri Ferruccio, Provini Giuseppe, Bertoli Amleto, Bertoli Otello, Abati Dante, Bezzi Alfredo, Carini Arturo, Gualtiero Podestà`, Enrico Maluberti e Arnaldo Antonietti.
Il 31 luglio 1922 l’Alleanza del Lavoro proclama per il 1° agosto lo sciopero generale nazionale che non ha l’esito sperato anche se a Parma scioperano i lavoratori delle industrie e parte del pubblico impiego. La notte del 1° agosto Mussolini invia le sue squadracce alla volta di Parma, dai 10.000 ai 20.000 uomini a seconda delle fonti, fortemente armati con a capo Italo Balbo e con l’ordine di sconfiggere la roccaforte rossa. I fascisti attaccano, ma dopo cinque giorni di scontri se ne vanno lasciando sul campo 39 morti e 150 feriti e sfogando la rabbia distruggendo le cooperative della bassa parmense.
A settembre Balbo cercherà` di riprendersi una rivincita su Parma, ma Mussolini lo fermerà` facendogli notare che non poteva incorrere in una seconda sconfitta. La Marcia su Roma metterà` fine a molte speranze ma non alla voglia di combattere di Picelli che fonderà un’organizzazione segreta “I Soldati del Popolo”, subisce attentati, ma non rinuncia a tenere le fila di una resistenza al regime fascista. Rieletto deputato, nel 1924, come indipendente nelle liste dell’Unità Proletaria compie un atto simbolico a Roma issando, il 1° maggio 1924, una bandiera rossa sul palazzo di Montecitorio. Arrestato dalla Questura e poi rilasciato è costantemente sorvegliato dalla polizia e per lui si assolda un sicario per eliminarlo, che tre volte cercherà di assassinarlo. Guido Picelli è arrestato il 9 novembre 1926, lo stesso giorno in cui la Camera dei Deputati proclama la decadenza dei membri dell’opposizione. E’ tradotto a Lampedusa il 25 novembre 1926 e trasferito a Lipari nel febbraio 1927.
Liberato dal confino nel novembre del 1931, dopo un breve soggiorno a Parma, si trasferisce a Milano e grazie all’aiuto di Fernando Santi trova un lavoro, di copertura nella libreria antiquaria di Walter Toscanini. La copertura gli assicura la possibilità` di contattare l’organizzazione clandestina che gli favorisce l’espatrio il 23 febbraio 1932. Giunto a Parigi vi rimane cinque mesi e dopo un ultimo incontro con il fratello Vittorio, è espulso dalla Francia nel luglio 1932 e accompagnato alla frontiera con il Belgio. Da lì riparerà in URSS dove giungerà` nell’agosto.
Nell’Unione Sovietica insegna tattica e strategia militare alla Scuola leninista, ma nell’autunno del 1934 è licenziato e invitato a lavorare nella fabbrica di cuscinetti Kaganovic di Mosca; l’NKDV (Narodnyj komissariat vnutrennich o Commissariato del Popolo per gli Affari Interni) indaga su di lui e gli viene rifiutato il passaporto per raggiungere la Spagna che si procura grazie all’intervento di Dimitri Manuilski, uno dei più` influenti dirigenti del potentissimo Comintern. Nell’ottobre del 1936 è in Francia diretto in Spagna e … gli viene affidato il comando del 9° Battaglione delle Brigate Internazionali forte di 500 uomini.
Picelli li addestra a La Roda, ma dopo che il Battaglione Garibaldi, comandato da Randolfo Pacciardi, è decimato a Cerro del Los Angeles il suo Battaglione viene inglobato d’autorità nel Garibaldi e Picelli da comandante viene declassato a comandante di compagnia.
Il 1° gennaio 1937 da comandante del Garibaldi, in sostituzione di Randolfo Pacciardi, conquista il paese di Mirabueno e libera molti chilometri della carretera Madrid-Saragozza; il 5 gennaio 1937, durante il combattimento dell’altura di El Matoral, Guido Picelli e` colpito a morte. Gli vengono tributati tre imponenti funerali di Stato a Madrid, Valencia e Barcellona. [16]
c) Agosto 1921 a Parma e nel Parmense
i) Fine del biennio rosso
I fatti dell’agosto 1921 accadono in un contesto univoco dal punto di vista delle interpretazioni storiografiche, ma in realtà si presentano quanto mai confusi e movimentati sul terreno della quotidianità di allora.
Nella seconda metà del 1920 il fascismo si trasforma da variegato ed eterogeneo movimento di opposizione dell’esistente, nel quale convivono ex-combattenti, ex-socialisti e sindacalisti rivoluzionari, ex-anarchici, futuristi, interventisti ecc. in squadrismo agrario al servizio della reazione anti-proletaria. La vittima più illustre del cambiamento fu l’impresa fiumana che, abbandonata dal movimento fascista, fu sconfitta con facilità dal governo di Giolitti. Se Mussolini abbandona Fiume, D’Annunzio lascia il fascismo bollandolo come “schiavismo agrario”[17]. Nell’autunno-inverno del 1920-21 in Emilia-Romagna gli obiettivi degli squadristi sono le Camere del Lavoro, le sedi delle Leghe, le cooperative, strutture di resistenza del bracciantato per contenere la disoccupazione e sostenere le istanze di socializzazione fatte proprie dalle organizzazioni rosse.
Nel 1921 il ricorso alla violenza organizzata da parte fascista continua, non contrastata convintamente dalle forze dello Stato o da quelle antifasciste. Lo squadrismo è considerato una originalità ma come fa notare Eros Francescangeli “… solitamente, nel senso comune, si dà per scontato che lo squadrismo sia solo fascista, per antonomasia; non è così perché esso è un fenomeno che nel primo dopoguerra, sia in Germania che in Italia, ma anche in altri paesi, è abbastanza diffuso. Per squadrismo, in generale… intendo quella tendenza alla formazione di squadre paramilitari o corpi franchi (Freikorps, come venivano detti in Germania), da parte delle organizzazioni politiche. Una pratica normale nell’immediato dopoguerra. Qualsiasi formazione politica – tolta qualche eccezione, ovviamente – costituiva la propria organizzazione paramilitare e la propria milizia privata. E ciò non era illegale. Fino all’ottobre del 1921, con i decreti Bonomi, il modello di “difesa” si ispirava a un concetto, diciamo, non giacobino ma liberale, cioè, lo Stato non aveva il monopolio delle armi. Era considerata legittima non solo la difesa individuale (come al giorno d’oggi, certo nei limiti stabiliti dalla legge) ma era ritenuta legittima anche la difesa collettiva, sul modello statunitense (il secondo emendamento, se non ricordo male, alla Costituzione americana garantisce il diritto dei cittadini all’organizzazione delle milizie). Questo era il modello… molto pericoloso perché nell’immediato dopoguerra, circolavano – come potete immaginare –parecchie armi e le persone non erano più le stesse di prima. C’era stato, per l’appunto, il primo conflitto mondiale. Dobbiamo partire da questo dato di fatto: il conflitto era stato uno shock per i ragazzi che vi avevano preso parte. Nessuno, prima di partecipare alla guerra, immaginava a cosa sarebbe andato incontro (ovvero che sarebbe stato uno scontro terribile che portò a un vero e proprio imbarbarimento delle coscienze). Ma la guerra fu anche una forma di politicizzazione perché per la prima volta, i contadini del meridione e i proletari del nord, intesi in senso lato (poiché gli operai di fabbrica rimasero in produzione e non vennero impiegati al fronte), parlano, comunicano, e cominciano a autorappresentarsi come combattenti.”[18]
La reazione sorge con gli Arditi del Popolo, fra la contrarietà o il tiepidismo della sinistra istituzionale. Questo clima si acuisce con il patto di pacificazione. Voluto dal del Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, socialista riformista di lungo corso governativo, per “…sospingere il fascismo nell’alveo della legalità “[19], fu firmato il 3 Agosto 1921 da socialisti e fascisti. La tregua, si rivelò ben presto puramente teorica e il tentativo di far uscire il paese dalla china della guerra civile alquanto vano. Il patto consisteva in un generico impegno di rinuncia alla violenza da ambo le parti. Accettato da Mussolini con l’intento di dividere ancor più il fronte avversario e reinserire nel grande gioco politico il partito fascista, provocò nelle settimane seguenti il punto di massima crisi tra Mussolini ed i Fasci, in particolare emiliani, che portò alla famosa affermazione “Il fascismo può fare a meno di me? Certo, ma anch’io posso fare a meno del fascismo”[20]
Il Partito Socialista sfruttò l’occasione per prendere le distanze dall’organizzazione degli Arditi del Popolo e marginalizzarla progressivamente a livello nazionale.
La causa degli Arditi trova un appoggio non da poco, di qualcuno che di rivoluzioni e presa del potere ne sapeva qualcosa. Scrive Lenin, in una sua lettera a Gramsci: “L’ottusità nei confronti del Movimento, ridà fiato al fascismo. Le conseguenze delle stupide prese di posizione comuniste e socialiste sono disastrose: i militanti del PSI abbandonano le formazioni degli Arditi, quelli del PCd’I si rifugiano nelle ben più piccole brigate comuniste. Chi tira un respiro di sollievo sono i parlamentari turatiani, ma soprattutto il governo ed i fascisti.” [21]
Nell’enclave parmense le imprese degli Arditi, favorite dalle peculiarità delle vicende locali, azione diretta, interventismo, capi capaci, diedero risultati ben più notevoli.
ii) Il “debutto” degli Arditi del Popolo
La Gazzetta di Parma, fornisce dà una data al “Debutto” degli Arditi nella città ducale: il 7 Agosto 1921. Il titolo e il trattamento che il giornale riserva a Picelli, sembrano più adatti alla cronaca di uno spettacolo che all’entrata in scena di una formazione politica che dirà la sua nei mesi a venire fino al grande acuto delle barricate dell’agosto 1922.
In realtà scontri fra Arditi, e Camice Nere e, Guardie Regie sono segnalati a partire dalla manifestazione del 6 Luglio all’Orto Botanico di Roma, dagli scontri di Viterbo del 10-13 luglio e dai fatti di Sarzana[22] del 21 luglio. Quest’ultimo è uno dei rari episodi di resistenza popolare al fascismo che vede la popolazione, gli Arditi ed i Carabinieri opporsi alle squadre fasciste.[23]
L’entrata in scena nella città ducale viene descritto dal cronista della Gazzetta come una sorta di parata per le vie del centro cittadino “ … ieri mattina l’on. Picelli ….si mise a capo di 89 giovanotti molti scamiciati raccolti nel borgo del Naviglio che, inquadrati nel viale Mentana, li spinse per via Garibaldi comandandoli con voce marziale in modo militaresco. Nel piazzale del Reinach drappelli di Guardie Regie li accolsero amorevolmente e li strinsero in duplice cordone dirigendoli per via alla Pilotta. Gli Arditi ed il loro duce credettero di essere condotti in Questura…. ma il vice Questore che non voleva tanta e tale sottomissione disse che potevano proseguire per ponte Verdi. Allora l’on. Picelli …osservando che le Guardie Regie non parevano disposte a lasciarsi disarmare dagli Arditi a lasciar far lor nessun atto men che corretto, aggiunse al Vice Questore” tenete a posto i vostri uomini, che io terrò fermi i miei” …. Ieri sera poi, gruppi di Arditi del Popolo in via Cavour prima, ed in via Garibaldi poi, disturbarono un po’ troppo la quiete della passeggiata domenicale…” [24] Quasi un’operetta, ma terminata con 9 arresti, come riporta lo stesso giornale il giorno dopo.
iii) Ferragosto in campagna ed in città
Il 14 agosto 1921 le cronache locali riportano un fatto di sangue difficile da collocare: certamente criminale, ma di criminalità politica o di criminalità comune? L’uccisione a Bianconese del sindacalista trentunenne Giuseppe Pincolini ovvero “Un fatale errore: un sindacalista uccide un suo compagno” titola la “Gazzetta di Parma”. La vittima ed il suo collega Antonio Carretta entrano alle 22.00 nell’osteria di Bianconese, ne escono, hanno un diverbio per “motivi di interesse”. Carretta spara al Pincolini, inforca la bicicletta e fugge mentre qualcuno fra i sopraggiunti gli grida “…vigliacco! Tu ammazzi un tuo compagno…”[25], a terra sulla scena del delitto: una pistola, con cinque colpi intatti, nelle tasche della vittima, un proiettile dello stesso calibro, attorno più bossoli di diversi calibri, Durante l’interrogatorio, Carretta sostiene che entrambi furono aggrediti da tre sconosciuti che li bastonarono e poi si allontanarono sparando. Conclusione di maniera del cronista: fiducia negli inquirenti, auspicio di rapida e giusta conclusione delle indagini in corso. Il titolo è già una mezza sentenza, il fenomeno antico ma più che mai in auge. Il “Piccolo” si mostra subito scettico sulla “colpabilità” del Carretta e quando viene attaccato dal “Bollettino dell’Agraria” che scende in campo in difesa dei fascisti, il giornale democratico-progressista svolge un’ampia inchiesta sul fatto, nella miglior tradizione del giornalismo investigativo. “La nostra inchiesta sui fatti di Bianconese”[26] ribalta la versione dell’errore fatale. Con prove e testimonianze attribuisce l’uccisione del Pincolini ad un gruppo di fascisti che si trovava all’interno dell’osteria e che insegue all’esterno con bastoni e colpi di pistola i due sindacalisti. Pincolini rimane sul terreno esanime, fuggi-fuggi generale, osteria chiusa, carabinieri di Fontevivo avvertiti molto tempo dopo. Non paga, l’inchiesta si addentra nei rapporti fra autorità, fascisti, borghesia, e organizzazioni popolari di Borgo San Donnino, oggi Fidenza. “Il Commissario di Borgo, al quale una commissione di operai si recò a chiedere il permesso di portare i vessilli rossi per il funerale rispose: Lo domanderò al signor Plancher [27] che è il capitano dei fascisti. Questa risposta suscitò le proteste degli operai, noi chiediamo che il prefetto di Parma (quello di Borgo San Donnino ha già dato prova di una clamorosa incapacità) apra un’inchiesta e provveda a stabilire la verità fra quella dei carabinieri e dei fascisti… Sappiamo che quando passò il feretro del Pincolini i carabinieri non resero nessun saluto.”
Il fatto è importante, ma certo non è fra i più rilevanti del periodo ma conferma la presenza di quei fattori che operarono nel triennio 1920-1922, critico per le sorti della democrazia liberale. In primis l’abbondanza di armi: portate, esibite ed usate; la tensione fra gli schieramenti politici non risolvibili senza l’uso della violenza; il legame organico ma con modalità diverse fra fascismo e borghesia agraria, industriale e delle professioni liberali; infine, la connivenza fra forze dell’ordine, in particolare Guardia Regia e squadre fasciste.
In città il Ferragosto è caratterizzato dallo sciopero generale proclamato dalla Camera del Lavoro di Borgo delle Grazie, sede della Unione Sindacale. La manifestazione riguarda il settore edile ed è indetta o in origine per sollecitare l’avvio del programma di lavori pubblici da parte delle amministrazioni pubbliche ed arginare la crescente disoccupazione, che si accompagna ad una pressante richiesta di aumento delle paghe orarie. Sciopero pretestuoso, secondo la Gazzetta in quanto i lavori sono solo ritardati a causa delle dilazioni nel trasferimento fondi da parte dell’amministrazione centrale a quella periferica. Le paghe orarie ”… non sono affatto da fame, come si vuol far credere, ma contemperano equamente gli interessi di chi dà il lavoro e da chi lo elargisce”. Infine “Con lo sciopero non si risolvono crisi che hanno estensione nazionale”[28]. Argomentazioni sempreverdi.
Si temono incidenti, per uno sciopero che oggi definiremo di categoria, il Prefetto emette un decreto “…largamente affisso alle cantonate” che vieta:
– Riunioni in luogo pubblico o aperto e gli assembramenti di più di cinque persone, nonché cortei e processioni civili e religiose;
– Circolazione di automobili o camion non autorizzati dalle autorità di PS;
– Chiusura di tutti gli esercizi pubblici entro le ore 20, alberghi, ristoranti e trattorie alle 22.
Lo sciopero si apre con i comizi alla Camera Confederale con trecento partecipanti e alla Camera di Borgo delle Grazie, per quattrocento partecipanti, che si sciolgono pacificamente. Qualche fermo e due arresti al cambio di turno dello Zuccherificio (oggi Eridania in via Piacenza).
Un trafiletto dal titolo “Tra fascisti e comunisti” avverte che nelle campagne il clima di violenza continua “Ieri sera verso le venti nella Cooperativa di Polesine, s’accese un diverbio tra fascisti e comunisti che presto degenerò in un scambio di pugni e bastonate. Vi è un ferito grave[29].”
Lo sciopero prosegue per due giorni senza incidenti di rilievo e l’accordo viene raggiunto con un nuovo “concordato di lavoro”. Secondo la Gazzetta, un accordo che poco accoglie delle richieste dei “ [30] ma che “Per merito dei saggi provvedimenti presi dalle Autorità e la vigilanza assidua e pronta della Questura” si è svolto senza incidenti di rilievo.
v) 21 Agosto 1921: una giornata calda
“Una giornata di risveglio comunista in vari paesi della provincia ed in città, un morto e vari feriti. Sequestro di armi ed arresti” è il titolo con cui la Gazzetta descrive la domenica 21 Agosto; “Sangue per spedizioni di fascisti e di arditi del popolo nella nostra provincia a San Secondo, Noceto, Torrechiara e Madregolo ecc. “titola il Piccolo. Una domenica da far west più che da Agosto padano, ricca di episodi di cronaca. Parma, violenze serali: “Disordini in città: verso le 22 in via D’Azeglio, gruppi di giovinastri fermavano i camion e le automobili che entravano in città. Le perquisivano, volevano sapere se entro vi erano fascisti di ritorno dalla provincia e minacciavano. Fermarono persino un camion di carabinieri agli ordini del vicecommissario dott. Albergo, ma accortisi dello sbaglio si dettero a fuga precipitosa.” [31]
Pontetaro, bastonature fasciste: “Una squadra di fascisti di Fontevivo, essendo la sagra, si è recata in tutte le case per far esporre il tricolore. Questa richiesta è stata fatta alla madre di quel Pincolini che è stato ucciso qualche giorno fa Bianconese. A Ponte Taro la stessa squadra ha fatto scoprire il capo a parecchie persone, indi proseguendo per la via Emilia ha bastonato tre individui. Non si sa per quale ragione. Fra i legnati vi ha un rivenditore di stoviglie al quale è stata frantumata parte della sua merce.”[32]
Busseto, bastonature fasciste: “Scene disgustose a Busseto: In questa zona la violenza fascista continua imperturbabile a dispetto di tutti i trattati di pace e delle assicurazioni delle autorità di PS. Non passa giorno in cui non si registri qualche atto di brutalità assolutamente ingiustificato a danno di pacifici cittadini che hanno il solo torto di non essere iscritti ai Fasci di Combattimento. Venerdì sera un gruppo di fascisti aggredì il calzolaio Racchi Egidio e più tardi un altro gruppo fermò due soldati in licenza certi Annoni e Rossetti e li bastonò senza altro, minacciandoli con rivoltelle… Compiute le eroiche gesta i fascisti passeggiavano tranquillamente nelle vie del paese, indisturbati, mentre i carabinier i– consci del loro dovere – preparavano il rapporto contro i due poveri soldati perché avevano disturbato la quiete notturna…” [33]
Torrechiara, un ferito: “Ieri a Torrechiara un gruppo di comunisti percorreva baldanzoso le vie del paese, ostentando sull’abito una grande mostra di fazzoletti rossi: I fascisti del luogo misero in mostra i loro fazzoletti tricolori e ciò provoco le rimostranze dei comunisti. Ma i fascisti che volevano libertà per tutti di portare il fazzoletto dai colori che più piacessero, risposero a dovere. Un soldato socialista, Fanti Mario di Fernando, del 57° fanteria in licenza da tre giorni, in un incontro con i fascisti sparò un colpo di rivoltella che ferì il fascista Comani Mario al braccio destro e poi fuggì. Accorsi i carabinieri e rinforzi da Parma col tenente Frignano, questi perquisirono la casa del Fanti e sequestrarono una pistola, 178 cartucce, tre caricatori ed otto coltelli. Avendo il Fanti preso il largo, fu arrestato il padre Ferdinando per la mancata denuncia delle armi che teneva in casa”[34]. Secondo il corrispondente del Piccolo i comunisti erano in realtà Arditi del Popolo, e la ferita risulta al pollice della mano. Non viene riportato il nome dello sparatore.
Madregolo, 3 feriti: entrambe le testate concordano nel riportare il numero di vittime di cui due gravi. Per la Gazzetta si tratta di uno scontro fra comunisti e fascisti, forse provenienti da San Secondo; per il Piccolo lo scontro è fra fascisti ed Arditi del Popolo, forse provenienti da Noceto ed i tre feriti sono Arditi. Una coda dei fatti sansecondini o di quelli nocetani? Le notizie contradditorie del lunedì vengono chiarite il 25, giovedì, da Il Piccolo, che dipinge una comunità locale estranea al conflitto, spaventata dallo scontro a fuoco fra Arditi e fascisti durato un quarto d’ora che lascia sul terreno tre feriti fra cui Giovanni Alberini “modesto e semplice operaio e padre di famiglia, che nel momento del conflitto non avendo i suoi bambini a casa, si avventura fuori dalla porta e fu colpito al capo con un colpo di fucile da caccia.” [35] Nella cronaca di lunedì la stessa fonte, attribuiva il titolo di Ardito anche a questa vittima. Alle 10.30 o le 11.00 alcuni gruppi di Arditi, superstiti dalla spedizione di Noceto, in fuga da carabinieri e fascisti, si fermano nella locale Cooperativa per rifocillarsi. Nello stesso tempo dispongono le loro misure di sicurezza, ponendo due gruppi a guardia dei bivi a sud e nord del paese. Fermano un fascista di Fontanellato, tale Bolsi, che fugge verso la casa di tale Coperchini dove era in corso una riunione di fascisti. Ne consegue uno scambio di rivoltellate e colpi di fucile da caccia. Rimane ferito Soffiantini, un Ardito di Gaiano. Gli Arditi catturano un altro fascista, ma le sentinelle annunciano l’arrivo di rinforzi fascisti. La popolazione si chiude in casa, ed il gestore chiude la Cooperativa. Due camion entrano in paese con un centinaio di fascisti armati di moschetti, rivoltelle e fucili da caccia. Inizia la sparatoria nella quale dove rimangono feriti Albertini ed un Ardito di Collecchio. Fuggono gli Arditi, ed i fascisti ritornano nella casa del Coperchini. Carabinieri e soldati giungono circa un’ora dopo e procedono all’arresto di tre fascisti, al fermo di altri ed al sequestro delle armi. Rimane un drappello di 6 soldati a vigilare sul paese. La notte trascorre tranquilla. La cronaca de Il Piccolo conclude “Partirono pure i carabinieri che lasciarono 4 soldati e 2 militi a vigilare durante la notte, ma non successivamente[36] perché la popolazione del luogo è quanto mai pacifica e riserverebbe volentieri l’onore e la gloria di servire da teatro di queste sterili e quanto sanguinose battaglie. Essa che ha avuto modo di apprezzare lo spirito di imparzialità col quale si contennero nella giornata di domenica i carabinieri, invoca dall’autorità superiore che i militi siano qui mantenuti a tutela della libertà e della vita dei cittadini”. Lo stato di abbandono di Madregolo viene sottolineato da una lunga lettera ricevuta dal giornale nei giorni successivi ai fatti. Nello stesso giorno, sempre con lettera alla direzione, il fascio di Madregolo racconta la sua versione dei fatti: “… Non un solo colpo d’arma da fuoco fu sparato contro gli Arditi stessi, solo questi con l’arditismo loro proprio spararono all’impazzata per mezz’ora circa contro il palazzo che ne porta visibili tracce”[38]. Lo scontro, quindi, può essersi protratto ben oltre i 15 minuti, riportati in cronaca.
San Secondo e Noceto presentano il bilancio più pesante in termini di vittime: in totale 4 morti, una decina di feriti ed una ventina di arresti. I due episodi non sono materialmente collegati fra loro, ma sono entrambi originati dalle decisioni dei Questori: quello di Borgo San Donnino autorizza a San Secondo una adunata fascista che doveva celebrare la ricostituzione del Fascio locale avvenuta il 18 agosto e sciolto in seguito all’assassinio del bracciante ed esponente leghista Arnaldo Secchi da parte dello squadrista Orlandini; la Questura di Parma non concede la piazza di Noceto per un comizio di Guido Picelli. Lo sottolienea anche il direttore de Il Piccolo nell’articolo di fondo pubblicato il mercoledì 24 agosto: “S’è detto, ieri, che a Noceto si sa cosa volessero fare gli Arditi, poiché il loro comizio era stato proibito dall’Autorità, la quale tuttavia, chissà per quale ragione di equità non aveva proibito il comizio fascista a San Secondo.”[39]
La ratio politica degli eventi di San Secondo e Noceto, viene descritta lucidamente da Masotti [40] in apertura dello stesso pezzo “Quella di domenica è stata considerata come la giornata di riscossa degli antifascisti. Le simultanee manifestazioni di Noceto e di San Secondo possono infatti essere interpretate come sintomi di una stessa situazione e di una stessa volontà, per quanto fra l’un fatto e l’altro fisicamente non ci sia nessun legame preordinato. Per persuadersi di ciò basta considerare, che mentre a Noceto si trattava di Arditi del Popolo colà giunti dalla città e da altre parti della provincia, mentre a San Secondo è stata una insurrezione della popolazione locale cui restarono, estranei i socialisti ufficiali e, con la partecipazione degli operai in maggioranza sindacalisti. E’ la spontanea costituzione di un fronte unico operaio antifascista per impedire il quale Mussolini aveva sostenuto e firmato i patto di pacificazione”.
La sera del 20 agosto Pietro Bia, Sindaco di San Secondo, convoca tutti i capi partito del paese per dare una base al patto di pacificazione redigendo un manifesto per la cittadinanza firmato da tutti. Il tentativo viene vanificato dall’assenza dei fascisti. Nella mattina di domenica 21 Agosto, l’annuncio dell’adunata fascista è contrastato dalla popolazione. Lo scontro fra popolani e fascisti non promette nulla di buono, le Autorità locali richiedono quindi alla Prefettura di San Donnino l’intervento della Forza Pubblica. Nel primo pomeriggio arrivano Carabinieri e Guardia Regia ma giungono anche i fascisti dalle zone circostanti. Gli scontri continuano con la sparatoria più nutrita che dura una ventina di minuti fra popolazione , Guardie Regie e fascisti riarmati dalle stesse Guardie nella piazza della Rocca; la Guardia Regia pattuglia il paese ma viene colpita da tegole lanciate dai tetti. Alcune abitazioni vengono perquisite ed invase dalle guardie e solo la sera riporterà la pace, con il bilancio di due morti, otto feriti e tre arrestati. Il giorno seguente, il Sindaco fa affiggere il manifesto di pacificazione. Nell’episodio di San Secondo troviamo la conferma della radicale avversione del fascismo emiliano al patto di conciliazione.
Noceto: i fatti sono riportati con ampiezza dalla stampa. Come in altri casi Il Piccolo fornisce una cronaca più ampia e dettagliata dei fogli in concorrenza; la prenderemo quindi come riferimento lasciandole la parola “La tradizionale calma della nostra popolazione è stata turbata ieri da una incursione di Arditi del Popolo che ha avuto una fine tragica. Ci sia permesso però rilevare che Noceto non sentiva affatto il bisogno che gli Arditi del popolo venissero a turbare la sua tranquillità col pretesto di difenderla dagli attacchi del fascismo. Al quale vorremmo pensasse l’Autorità, laddove esso esorbita dai confini della legge. E veniamo ai fatti. – Un comizio di Arditi – Da qualche giorno si vociferava che avremmo avuto presto in paese una rivista degli Arditi del popolo a capo della quale sarebbe stato l’on. Picelli. La popolazione, un po’ scettica, prestò scarsa fede alla notizia. In primo luogo non si capiva che cosa sarebbero venuti a fare gli Arditi fra noi, dove non c’era chi potesse chiamarli; in secondo luogo nessuna richiesta di permesso per comizio era giunta al Comune. Alla Questura era stato richiesto un permesso pel comizio e la questura lo aveva negato ed aveva inviato sul luogo molto Forza Pubblica con l’incarico di bloccare il paese e di impedirne l’accesso agli Arditi del popolo. – Il blocco – Difatti domenica mattina agli ordini del Comm. Cremona la Forza Pubblica si era portata a qualche distanza dal paese a bloccare le tre strade di accesso. Sulla strada di Medesano s’era schierata all’altezza di San Martino, sulla via del Taro in località Foceluta e sulla strada di Cellane (oggi SP 357) Tutti gli elementi sospetti che si portavano in paese venivano fermati e perquisiti. Alcune armi furono sequestrate, ma nessun arresto fu eseguito. Mentre sulle vie del Taro e di Medesano non si ebbe nessun incidente, un fatto grave doveva avvenire sulla via delle Cellane. – Arrivano gli Arditi – Vi erano qui schierati otto o dieci carabinieri, agli ordini diretti del Comm. Cremona. Quando fu verso le 9 essi videro avanzarsi un gruppo di una decina di Arditi. Questi, scorti i carabinieri si fermarono ed attesero alcuni istanti, passati i quali al primo gruppo di avanguardia si aggiunsero il grosso degli Arditi, una cinquantina in tutto. Fu allora che il Commissario Cremona si avanzò in mezzo della strada e dette l’alt agli Arditi, agitando contemporaneamente la sciarpa tricolore. Si vuole da alcuni che questo gesto del Commissario abbia indotto in equivoco gli Arditi, che avrebbero sbagliato la Forza Pubblica per fascisti. Riferiamo senza fare commenti. A questo punto non è più facile ricostruire la scena. Secondo le Autorità da parte degli Arditi sarebbe partita una scarica di revolverate contro la Forza Pubblica, alla quale i carabinieri avrebbero risposto sparando sul gruppo. Appena avvenuta la prima scarica, dal Bar Italia dove s’erano raccolti, partirono un gruppo di fascisti che si unirono ai carabinieri nell’inseguimento degli Arditi, che si erano dati alla fuga attraverso i campi. – Tre corpi a terra – Mentre gli Arditi fuggivano tre di loro erano rimasti a terra, immersi nel sangue e lamentandosi pietosamente. Essi sono: Guareschi Eugenio di Ernesto, ferito alla testa da colpo di arma da fuoco, Morini Attilio di Giuseppe da Fontevivo ferito al costato e Manghi Eugenio di Pellegrino di Fontanellato ferito al costato, che fu raccolto in condizioni gravissime. Raccolti dalla Croce Verde furono condotti subito all’ospedale di Noceto in stato di arresto e piantonati. Questa mattina (lunedì 22) il Manghi vi spirava. – L’inseguimento degli Arditi – Intanto i carabinieri continuavano l’inseguimento attraverso i campi e riuscivano a raggiungerne e trarre in arresto 13. Essi sono: Zanichelli Paolo di Demetrio da Parma, Bortesi Emilio da Parma, Ferrari Dante di Alfonso da Parma, Cervi Mario di Ercolano da Parma, Toscani Antonio di Ercole da Parma, Bertoli Ferdinando di Giuseppe da Parma, Violi Luigi di Pacifico da Collecchio, Pincolini Dialma di Roberto da Fontanellato, Borra Attilio di Vincenzo da Fontanellato, Magnani Centurio di Guglielmo da Parma, Marchesi Eliseo di Oreste da Vicofertile. Tanto i feriti che gli arrestati sono tutti giovani dai 20 ai 25 anni. Era stato tratto in arresto anche un fascista che oggi è stato rimesso in libertà. Il fascista Ghirelli che si recava a Noceto domenica mattina in bicicletta denunziò di essere fatto segno a revolverate da dietro una siepe. Mentre i carabinieri inseguivano gli Arditi i fascisti perlustravano le vie del paese. Alcuni di essi dicevano pubblicamente che gli Arditi erano stati chiamati in paese dai capi sovversivi. E che se la cosa si fosse ripetuta i fascisti se la sarebbero presa con loro. Il che può essere smentito nella maniera più assoluta. Oggi il paese è tranquillo, ma si attende da tutti il ritorno alla tranquillità e al lavoro. Speriamo che questo voto si compia“. [41]
I resoconti giornalistici appaiono lacunosi su alcuni aspetti. Il numero di Arditi coinvolti: le cronache del lunedì concordano sulla cinquantina di persone, ma vengono effettuati in tutto 16 arresti, vittime comprese: poco meno di un terzo dei partecipanti viene arrestato. Masotti nel fondo del 24 agosto afferma “Sul loro numero non si sa nulla di preciso”. Si può quindi ipotizzare che il loro numero superasse domenica le cinque decine. Le ragioni dell’assembramento: il raduno non sembra indetto da locali, anzi “…non si sa se essi fossero stati invitati a venire a Noceto. Questa eventualità è da escludersi, però, giacché si sa che i capi del movimento operaio, in seguito alle persecuzioni fasciste, hanno abbandonato da tempo il paese. Parte di essi si sono recati a lavorare all’estero”.[42]
Comizio proibito, non invitati, rimane come unica ragione l’opportunità di far convergere, in un luogo baricentrico fra città e campagna, gli Arditi di città con quelli dei paesi della campagna parmense, come dimostra la provenienza degli arrestati: otto parmigiani, otto dai Comuni del parmense e Fontanellato contribuisce con due vittime e due arrestati. L’on. Picelli: “ … non vi è nessuno che l’abbia visto domenica mattina insieme agli Arditi. Ciò escluderebbe, per quanto l’onorevole fosse designato a parlare nel comizio, che egli fosse presente. Infatti noi riteniamo che egli presente, sarebbe stato in prima linea ed avrebbe fatta valere la sua autorità parlamentare presso la Forza Pubblica.” [43] Anche la Gazzetta che non aveva perso e non perderà occasione per dipingere Picelli per quello che definiremo oggi un presenzialista d’assalto, chiude l’articolo con un lapidario “Del deputato Picelli non si vide neppure l’ombra in quel di Noceto.“[44] La Fiamma, house organ dei fasci borghigiani, usa un’ironia ancor più pesante “Del Picelli nessuno vide la punta del naso a Noceto. Lui, come i Generali, certamente dirige le azioni da cento chilometri di distanza.” [45] La lettera del fascio di Mandregolo insinua circa la presenza del “… Generalissimo degli Arditi del popolo on. Picelli ne sanno qualcosa le cantine ed i solai delle Cooperative di Noceto e Madregolo…. a loro l’ardua sentenza.” [46] L’on. Picelli assente? Presente in incognito? Nascosto? Un fatto è certo: il suo spirito aleggia in tutte le cronache da qualsiasi parte esse provengano.
Ernesto Manghi muore alle nove del 21 agosto nell’ospedale di Noceto. Lo certifica l’atto di morte che riporta l’età: 25 anni, il luogo di nascita: Campegine, la residenza: Fontanellato, la professione: contadino. La morte avviene pochi minuti dopo il primo scontro a fuoco e, prestando fede alla ricostruzione giornalistica, è più probabile la sua uccisione da parte dei carabinieri che dei fascisti.
Egidio Guareschi, soffrirà una lunga settimana di agonia. L’atto di morte certifica la data del decesso: 28 agosto alle 10.30, il luogo: ospedale di Parma, l’età: 24 anni, la nascita e la residenza a Fontanellato, la professione: contadino. Il giovane venne trasportato all’ospedale di Parma da Noceto martedi 23.
I dati biografici delle due vittime sono estremamente scarni. Per Manghi l’età riportata è contraddetta da una nota che la famiglia invia a Il Piccolo: “La famiglia di Manghi, l’ucciso del conflitto di Noceto, ci prega di render noto che il suo congiunto non faceva parte di nessun partito politico e tanto meno degli Arditi del popolo e che si sarebbe trovato nel conflitto per puro caso. Il signor Luigi Ghezzi che ci scrive per la famiglia aggiunge che da nove anni egli mancava da Fontanellato, dopo averne fatti sette da militare e due da impiegato presso una ditta prima a Milano e poi a Belluno. Non aveva conoscenze qua, dove era tornato da appena 20 giorni e nessun documento o arma gli fu trovata indosso dai Reali Carabinieri che attestasse che fosse Ardito del Popolo”. [47] Lo scopo è forse quello di scagionare Manghi e famiglia da possibili rappresaglie future, ma secondo quanto descritto il Manghi sarebbe entrato nell’esercito all’età di sedici anni. Cosa non possibile, mentre altre fonti riportano 29 anni, cosa più probabile. Inoltre, la professione non è quella di contadino ma di impiegato con esperienze di lavoro in città lontane per quei tempi.
I funerali di Manghi hanno luogo il martedì 23 agosto. Il trasporto della salma diviene una manifestazione politica e popolare di rilevanti dimensioni. Lo stesso avverrà per le vittime dei fatti di San Secondo. “Al funerale hanno preso parte moltissimi operai venuti anche dai paesi vicini. Nessuna bandiera era nel funerale. Nessun negozio era chiuso e nessun discorso è stato pronunciato. Il corteo s’è mosso da Noceto rifacendo la strada delle Cellane dove avvenne il tragico conflitto. Indi ha proceduto per Fontevivo e Fontanellato dove la salma verrà tumulata[48]”. Il corrispondente di Fontanellato aggiunge “Mentre telefono stanno svolgendosi i funerali… Un grosso gruppo di socialisti è andato incontro al feretro con diverse corone. Il corteo sta avvicinandosi al cimitero. L’Autorità ha preso disposizione per il mantenimento dell’ordine“.49] Concorda la Gazzetta di Parma “ I funerali del Manghi, cominciati a Noceto, vennero continuati a Fontanellato, ove la salma è stata trasportata. Il corteo, proseguendo a piedi, s’è andato ingrossando lungo la strada, ed a Fontevivo e Fontanellato, è stato incontrato da forti masse di lavoratori. Non si ebbe a deplorare nessun incidente. L’Autorità di P.S. aveva preso provvedimenti adatti perché l’ordine per nessuna ragione venisse turbato.”[50]
d) Che cosa rimane dopo cent’anni?
Il quadro della macro-storia nel periodo che vide la morte di Manghi e Guareschi, genera alcune domande, alle quali gli eventi locali possono dare risposte se non esaustive e definitive, ma certamente indicative.
1919-1922:è corretto definire quegli anni “una guerra civile”? Secondo le statistiche della criminalità, gli omicidi furono 983 nel 1918, 1.633 nel 1919, 2.661 nel 1920 e 2.750 nel 1921. I delitti per percosse e lesioni passarono da 58.148 nel 1918 a 108.208 nel 1922[51]. Antonio Gramsci stimava in 2.500 le vittime nel 1920 e 1.500 quelle nei primi mesi del 21. Per Salvemini le vittime per mano fascista furono 3.000 nel biennio 21-22. Secondo i fascisti, i caduti per la loro rivoluzione dal 1919 al 1922 furono 672. Paradossalmente gli scioperi quasi si dimezzano fra 1920 – e 1921, a causa della crisi economica e dello squadrismo fascista. Abbiamo quindi il paradosso di una conflittualità sociale in riduzione e della violenza politica in aumento. Inoltre, come osservava nel 1934 Camillo Berneri “La riscossa antibolscevica si effettuava con uguale violenza tanto nei centri del sovversivismo quanto in quelle plaghe in cui il rivoluzionarismo post-bellico non aveva notevole sviluppo né aveva dato luogo ad alcun grave episodio di guerra di classe. Nel reggiano e nel modenese furono assalite le organizzazioni riformiste, nel bergamasco quelle cattoliche, nel padovano perfino gli organismi cooperativi apolitici e diretti da conservatori.” [52]
Nei termini della vita normale di uno stato, il monopolio della violenza è affidato alle autorità costituite, questa è l’essenza delle legalità. Quando la violenza è diffusa, incontrollata, esercitata da più entità in competizione fra loro siamo nel campo del “homo homini lupus” ovvero regna la guerra civile. Gli episodi analizzati evidenziano un numero rilevante di vittime in un territorio ristretto e nell’arco di qualche giornata. La loro dinamica mostra lo scoppio diffuso della violenza fra schieramenti politici avversi ed un uso della forza pubblica oscillante fra i due, che certamente non contribuisce ad affermare la legalità. Quindi l’episodio di Noceto così come gli altri citati si può inquadrare in questa definizione di guerra civile. Per alcuni fatti è strisciante, aspetto che comunque non ne attenua la sostanza. Tanti piccoli e grandi episodi che vanno a comporre la storia dell’affermazione e caduta del fascismo e si inquadrano nella ben più ampia, guerra civile europea che si chiuderà solo nel 1945.
Il fascismo fu “inevitabile”? La narrativa comune tende a stabile un continuum fra fine della prima guerra mondiale, biennio rosso e come reazione a questo, instaurazione del regime fascista. In sostanza un meccanismo di causa – effetto, che più che aiutare la comprensione produce stereotipi. Il punto critico è la valutazione della funzione della violenza nella marcia verso il potere del fascismo. Questa è centrale e mai viene ripudiata dai suoi militanti né tanto meno dal futuro Duce. Sul fenomeno fascismo la Sinistra produce varie interpretazioni. Quella riformista: si può controllare il fascismo favorendone la sua istituzionalizzazione che di conseguenza avrebbe portato a disinnescare la violenza con le armi dello stato liberale. Quella bolscevica: sì all’uso della violenza, ma con l’obiettivo della rivoluzione sotto la guida del partito. Entrambe sottovalutano il ruolo centrale dell’azione violenta nella tattica fascista per la conquista del potere. Gli Arditi del Popolo intuiscono che l’asset principale dei fascisti è l’uso della violenza per la presa del potere e che su quel terreno vanno contrastati in modo diretto ed unitario, superando le differenze ideologiche, se si vuol tenere aperta qualsiasi alternativa politica. Le forze della Sinistra rimangono divise nel merito e nella sostanza. La storia non si fa con i se e con i ma, tuttavia si può affermare che la disunità delle opposizioni e l’isolamento politico di chi aveva avuto la giusta intuizione, furono un fattore non secondario nella vittoria del fascismo. Solo dopo la durissima lezione della guerra civile spagnola, nel 1944 con la svolta di Salerno, si comprenderà la necessità assoluta dell’unità antifascista.
Il fascismo fu “monolitico”? Le premesse agli scontri di San Secondo, mostrano il Fascio locale avverso nei fatti al patto di pacificazione firmato anche dal futuro Duce. Il monolitismo è quindi uno degli altri stereotipi che la cultura fascista riuscì ad imporre e che forse solo oggi riusciamo a vedere in tutti i suoi limiti.
Gli Arditi del Popolo furono un fenomeno “minoritario”? Leggendo le cronache sembra di si, ma la loro rapidissima diffusione nel paese dopo pochi giorni dalla fondazione ufficiale, va in direzione contraria, come in senso opposto vanno le manifestazioni di affetto e vicinanza delle popolazioni ai funerali di Manghi e lo stesso fenomeno avviene alle esequie delle vittime di San Secondo. Ciò sembra rimarcare solidarietà e vicinanza che contrasta con la tesi dei pochi ed isolati facinorosi accreditata da parte della stampa. Il popolo, per usare un termine evocativo quanto ambiguo, non sembra voler isolare questi facinorosi, non ostacolare la loro azione ed accogliere il loro sacrificio. E ‘quindi plausibile immaginare che, estenuate da mesi di spedizioni punitive, le masse popolari colpite dallo squadrismo abbiano accolto la nascita degli Arditi del Popolo con un certo entusiasmo. Stanche dei crimini fascisti, esse vedono concretizzarsi nella nuova organizzazione quella volontà di riscossa che trae origine – soprattutto negli strati meno politicizzati della classe lavoratrice – dal puro e semplice istinto di sopravvivenza. I fatti parmensi, mostrano inoltre che gli Arditi del Popolo non furono solo un fenomeno cittadino, ma investirono anche la campagna. L’esperienza di Picelli quale segretario della Lega Proletaria faproletaria fra Mutilati, Invalidi, Reduci, Orfani e Vedove di Guerra di Fontanelle può essere vista come la premessa della estensione del fenomeno.
Quanto pesano gli stereotipi narrativi nella descrizione cronachistica della realtà? Le cronache usano modelli narrativi che costantemente si ripetono: per la Gazzetta, operano comunisti e sovversivi, contro fascisti e forze dell’ordine fra loro cooperanti per mantenere la pace sociale. Per Il Piccolo, vi sono comunità inermi pacifiche e laboriose prese in mezzo fra Arditi e fascisti con Forze dell’Ordine ed Autorità che da cui ci si aspetta neutralità, equità e giustizia che spesso non sono arbitri ma giocano con le squadre fasciste. I dati e le informazioni, sono immersi in queste modalità narrative standard dalle quali vanno sottratti per poter essere di qualche utilità.
Questo cento anni fa, ma anche oggi.
Note
[1] E. Junger: Nelle tempeste d’acciaio, Boschetto 125, Il tenente Strum.
[2] M. Rossi : Arditi, non gendarmi! Dall’arditismo di guerra agli Arditi del popolo, 1917-1922, BFS, Pisa 1997.
[3] P. Giudici, Fiamme Nere, Lecconi Editore, Firenze 1920.
[4] Lukasz Kamienski, Shooting up, Storia dell’uso militare delle droghe, UTET 2017, offre una rassegna completa sul tema.
[5] A. Grasso, L’Arditismo dopo Fiume: Arditi d’Italia e Arditi del Popolo, HUMANITIES – Anno III, Numero 5, Gennaio 2014.
[6]“E dissero il nome giusto della città non essere Fiume ma Olocausta: perfettamente consumata dal fuoco tutta.” G. D’Annunzio, L’urna inesausta, Istituto Nazionale Per La Edizione Di Tutte Le Opere Di Gabriele D’Annunzio 1934
[7] Secondari con alcuni anarchici e da esponenti repubblicani, pianifica un tentativo insurrezionale che, dal forte di Pietralata (dove è accasermato un battaglione di arditi), si sarebbe dovuto estendere ai quartieri popolari della città di Roma. Una volta conquistati la sede del Parlamento, il Quirinale e gli uffici dei dicasteri dell’Interno e della Guerra, i congiurati (che avevano predisposto timbri e cartelli con la loro sigla, Comitato Combattenti e Popolo) avrebbero dovuto rovesciare il governo presieduto da Nitti e proclamare la Costituente.
[8] Il Grido della rivolta, Lineamenti di tattica antifascista, 19 marzo 1921.
[9] L’ordine Nuovo, Intervista rivolta ad Argo Secondari, 12 luglio 1921
[10] L’accordo venne stretto a Montecitorio, nell’ufficio del Presidente della Camera. Benito Mussolini era preoccupato per le sorti del fascismo in vista del crescente interesse per il socialismo: pertanto aderì al patto, dopo aver discusso con il Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, con i deputati socialisti Pietro Ellero e Tito Zaniboni e con i deputati fascisti Giacomo Acerbo e Giovanni Giuriati, e volendo attuare le volontà auspicate dal Presidente della Camera Enrico De Nicola e del Presidente del Consiglio. Il direttorio del Gruppo parlamentare comunista dichiarò verbalmente al presidente che «il Gruppo parlamentare comunista, in conformità ed in consonanza con le dichiarazioni da tempo pubblicate dal Comitato esecutivo del Partito Comunista d’Italia, non partecipa alle trattative». I rappresentanti del Gruppo parlamentare popolare, on. De Gasperi e Cingolani, ringraziarono per l’invito, ma aggiunsero «il Gruppo preferisce di rinunziare nei suoi riguardi ad una situazione ufficiale e di contribuire invece al raggiungimento del nobile fine col perseverare nella Camera e fuori nel suo atteggiamento di rigida legalità e di equa valutazione delle forze sociali che l’ha sempre ispirato». Per i deputati repubblicani, risposero Chiesa, Mazzolani, Conti e Macrelli, formulando fervidi auguri per la pacificazione necessaria alla salute del paese, ma dichiarando di non ritenere opportuno un loro intervento «perché il Partito Repubblicano ha voluto rimanere neutrale nell’infausta contesa delle fazioni e resistere anche quando le sue organizzazioni furono duramente colpite». (da it.wikipedia.org).
[11] I. Di Francesco, Dal nulla sorgemmo: Arditi del Popolo, Stachanovblog.org, 5 luglio 2017.
[12] F. Corridoni: Pensieri e lettere, Celebrazioni del 1° centenario della morte; Corridonia 2015.
[13] A. De Ambris: L’azione diretta: pagine di propaganda elementare del sindacalismo. Parma, Tip. Cooperativa 1907.
[14]… (?)
[15] T. Masotti, Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, 1932, pp. 87-89.
[16] R. Spocci. Guido Picelli. Una nota di Roberto Spocci. Dalla parte del torto, 9 Gennaio 2019.
[17] Per la definizione dannunziana del fascismo come “schiavismo agrario” cfr. Renzo De Felice, Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925, Torino, Einaudi, 1966, pp. 218, 257.
[18] E. Francescangeli: Il fascismo dal sansepolcrismo alla marcia su Roma, Giorno della Memoria 2009, Conferenza sul tema “Il progetto politico del fascismo e il suo atteggiamento nei confronti degli oppositori”, 22 gennaio 2009, Casa della Cultura, Milano.
[19] Atti del Parlamento Italiano, Camera dei Deputati, Legislatura XXVI, I sessione, Discussioni, tornata del 26 Giugno 1921 p.296.
[20] R. de Felice, Mussolini il fascista – la conquista del potere pag. 151.
[21] C. Felici: Gli Arditi del Popolo e il bluff di Mussolini, Avanti, 4 marzo 2019.
[22] Mimmo Franzinelli, Lo squadrismo fascista nel 1921, p.74: “Circa 500 fascisti toscani agli ordini di Dumini e Banchelli, radunatisi la sera del giorno 20 a Marina di Carrara, convergono su Sarzana nell’intento di liberare Ricci (comandante delle CCNN e della GNR nel 1944) e gli altri camerati incarcerati tre giorni addietro. Nella marcia d’avvicinamento gli squadristi uccidono ad Ameglia un contadino e perdono due dei loro (Amedeo Maiani e Augusto Bisagno). All’alba i fascisti schieratisi sul piazzale della stazione sono fronteggiati dai carabinieri al comando del capitano Guido Jurgens; nella sparatoria cadono il caporale Paolo Diana e cinque fascisti (Michele Bellotto, Alcide Borghini, Rizieri Lombardini, Giuseppe Montemaggi e Vezio Parducci), mentre altri tre moriranno dopo il ricovero ospedaliero (Gastone Bartolini, Guido Lottini e Lorenzo Taddeucci). La ritirata si trasforma in una disastrosa rotta: la popolazione assale i fuggiaschi, tre dei quali (Dante Bertozzi, Paolo Pelù e Arnaldo Puggelli), vengono venendo a loro volta presi di mira: in questa fase è colpito mortalmente Piero Gattini. Dumini riparerà a Fiume, per evitare l’arresto.” massacrati. Gli squadristi ripartono dalla cittadina con un treno speciale e dalle vetture sparano uccidendo un casellante.
[23] Da vedere sul tema “Nella perduta città di Sarzana”, un lungometraggio del regista lericino Luigi Faccini prodotto dalla RAI nel 1980, visibile su Youtube.
[24] La Gazzetta di Parma, 8 Agosto 1921.
[25] La Gazzetta di Parma, 16 Agosto 1921.
[26] Il Piccolo, 18 Agosto 1921.
[27] Giuseppe Plancher nacque a Fontevivo nel 1870. Insigne chimico, docente prima a Parma poi a Bologna, si dedicò alla chimica organica, notevoli le sue ricerche sul gruppo dei pirroli e degl’indoli; s’occupò anche di questioni di chimica vegetale e agraria. Sindaco di Fontevivo, muore il 26 Aprile del 1929. Il suo profilo politico viene così descritto nella commemorazione ufficiale tenuta venti giorni dopo la sua morte, nella Regia Accademia delle Scienze di Bologna da Mario Betti: “Come cittadino Egli che aveva visto ed in parte vissuto le torbide vicende delle agitazioni rosse ed aveva valutato quali nefaste conseguenze portassero al benessere ed alla grandezza della Patria, fu sollecito ad aderire allo spirito ed all’indirizzo dei tempi nuovi, al quale si mostrò costantemente e devotamente fedele”. (Mario Betti, Commemorazione dell’accademico professore Giuseppe Plancher, pag…).
[28] La Gazzetta di Parma, 12 Agosto 1921.
[29] La Gazzetta di Parma, 14 Agosto 1921.
[30] La Gazzetta di Parma, 16 Agosto 1921.
[31] La Gazzetta di Parma, 23 Agosto 1921.
[32] Il Piccolo, 23 Agosto 1921.
[33] Il Piccolo, 23 Agosto 1921.
[34] La Gazzetta di Parma, 23 Agosto 1921.
[35] Il Piccolo, 23 Agosto 1921.
[36] Il Piccolo, 23 Agosto 1921.
[38] Il Piccolo, 23 Agosto 1921.
[39] Il Piccolo, 24 Agosto 1921.
[40] Masotti Tullio (Falerone 1866-Milano 1949): direttore de Il Piccolo (Falerone 1866-Milano 1949). Giunse a Parma nel 1907 per collaborare con Alceste De Ambris. Assunse l’incarico di segretario della Federazione giovanile e di vicesegretario della Camera del Lavoro. Stretto collaboratore di De Ambris, quando il 20 giugno 1908 si scatenò la repressione della Polizia, il Masotti riparò a Nizza e poi raggiunse Lugano. A Parma rientrò nel maggio del 1909, dopo l’assoluzione pronunciata dalla Corte d’Assise di Lucca nei confronti dei sindacalisti parmensi accusati di aver tentato, con lo sciopero agrario del 1908, l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Con Maia e Saletti, avviò la ricostruzione dell’organismo camerale, del quale assunse la segreteria. La decisa azione svolta contro la guerra di Libia e una serie di iniziative in sostegno delle agitazioni che i lavoratori in varie parti d’Italia avevano ingaggiato procurò un notevole credito alla Camera del Lavoro di Parma. Fu dietro sua iniziativa che nel novembre del 1912 a Modena si costituì l’Unione sindacale italiana, di cui egli assunse la segreteria, incarico che mantenne fino alla crisi interventista. Volontario e combattente con il grado di ufficiale, tornò a Parma e per un breve periodo riprese la segreteria camerale, che poi lasciò per dirigere nel 1919 un nuovo quotidiano, Il Piccolo, in linea con il combattentismo democratico-progressista. Sensibile alle istanze del primo fascismo, che a Parma aveva trovato adesioni nell’area sindacalista-corridoniana, il Masotti mutò atteggiamento di fronte al rivelarsi della vocazione antiproletaria del nuovo movimento. Focoso e battagliero, il Masotti raccolse attorno a sé un gruppo di giovani (Aroldo Lavagetto, Manlio Leonardi, Spartaco Copertini, Bruno Lunardi, Ferdinando Santi, Giuseppe e Giovanni Silvani) e si batté strenuamente, con polemiche furibonde, contro il fascismo. Nell’agosto del 1922 la sua abitazione e la tipografia del Piccolo vennero assalite dalle squadre nere che gli rimproveravano questo mutamento di rotta e la campagna contro Luigi Lusignani. Intorno al 1940 riprese i collegamenti con l’opposizione antifascista, aderì al Partito d’Azione ed entrò nella redazione del giornale Italia Libera. Dopo la dissoluzione di questa formazione, si orientò verso il Partito socialista dei lavoratori italiani, di cui curò le pubblicazioni dell’organo ufficiale Battaglie Sindacali. (B.Molossi, Dizionario biografico, 1957, 96-97; Enciclopedia di Parma, 1998, 442-443).
[41] Il Piccolo, 23 Agosto 1921.
[42] Il Piccolo, 24 agosto 1921.
[43] Il Piccolo, 24 agosto 1921.
[44] La Gazzetta di Parma, 23 agosto 1921
[45] La Fiamma, 30 agosto 1921.
[46] Il Piccolo, 24 agosto 1921.
[47] Il Piccolo, 25 agosto 1921.
[48] Il Piccolo, 24 agosto 1921.
[49] Il Piccolo, 24 agosto 1921.
[50] La Gazzetta di Parma, 24 agosto 1921.
[51] Emilio Gentile: Storia del Partito fascista, Laterza 2021.
[52] Camillo Berneri: Mussolini grande attore, Edizioni dell’archivio della famiglia Berneri, 1983.