TRIOLOGIA ESTETICA: Mario Lo Coco

di Aldo Gerbino

L’incipit è segnato dal vigore espressivo nell’insistito cammino del monrealese Mario Lo Coco, alimentato dalle sue decennali esperienze generosamente allacciate al valore armonioso del raku, vincolate alla molteplicità della succosa presenza delle argille, alle policromie degli smalti. È una esperienza connotata, attraverso la strenua fedeltà all’azione plastica della mano, di quel voler contagiare la materia fondante del nostro pianeta con quella della persona. Una tensione spirituale esposta al nodo dell’esistente che, proprio nell’oggetto, trasfonde e incarna l’ideale modello d’origine sempre più facente corpo con la scena naturalistica, con il fiato umano, con il catturare ogni accenno di parola, con il comprendere ogni percezione di forma.

La cultura percepita come energia vitalizzante

Un’espansione creativa, quella di Mario, la quale ha sempre posto attenzione hai sapere, alla fermentazione delle culture, a una inseminazione del privato con quella sensibile attenzione ai problemi sociali, al dinamismo delle morfologie, al suono, e, in particolare, alla considerazione della poesia, così come al pensiero filosofico il quale contiene in nuce ogni possibile sviluppo dell’agire. Un contribuire con la personale funzione modellatrice non soltanto con l’inerte mediazioni di oggetti, ma facendo in modo che tali manufatti siamo il terminale di una cultura percepita come energia vitalizzante.
Un navigatore della conoscenza, – così lo abbiamo caratterizzato nella recente personale alla Accademia delle Scienze presso l’Ateneo palermitano, – in cui la téchne si trovano, diluite e distillate, disparate esperienze. Ore le sue Sfere cellulari si animano con movimenti circolari nel taglio di un blu sprigionato in lame, in losanghe, oppure nel cobalto stesso sulla crudezza argillosa di un corpo felino.
Altri azzurri più metallici si dispongono su panciuti cuscini (esemplare il lavoro La dote, un “omaggio alle ricamatrici”), stoviglie, trucioli, su merletti. Oppure come quelli esposti in ambito veneziano (a complemento visivo nel tempo della Biennale), si accendono, quali folgoranti mappamondi, del grido gioioso del giallo, disegnando orbite, o volteggiando nel cupo manto di una notte inchiodata da stelle; oppure il tutto si scioglie al fuoco, ai suoni faticosamente messi in un continuo, sottile grido chiuso tra le dita.

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