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Mani e Burattini

Dalla quarta di copertina

È il primo catalogo scientifico generale completo e aggiornato sul teatro dei burattini. Il manuale nasce dagli oltre quarant’anni di esperienza trascorsi sul campo dall’Autore, con una passione pari solo alla sua riconosciuta competenza.
Non certo a caso l’Autore si avvale anche dei contributi fondamentali di altri esperti e studiosi a partire dalla prefazione di Alfonso Cipolla e dagli interventi di Lui Angelini, Gaspare Nasuto, Paola Serafini, Rita Silimbani, Horacio Tignanelli, oltre che del celebre neuroscienziato Vittorio Gallese. Attrattiva ulteriore del volume è l’inserimento integrale dell’imprescindibile Grammatica della Manipolazione di André Charles Gervais con note e traduzione italiana dello stesso Stefano Giunchi.
Altra ragione di richiamo, le numerose immagini, la maggior parte a colori, affascinanti e spesso rare, come la scoperta iconica medievale realizzata dall’Atelier delle Figure. Per non parlare, pensando agli addetti ai lavori, della Bibliografia per Argomenti: è la più ricca ed esaustiva mai pubblicata.

(N.d.E.)

Stefano Giunchi – Mani e Burattini. Edizioni del Girasole, 2024

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La strage delle innocenti

Dalla cartella stampa

Contenuto

Solo nel 2023, in Italia, 121 donne sono state uccise, ma quella fisica non è l’unica tipo di violenza che gli uomini commettono da secoli contro le donne.
La violenza di genere sfocia negli ambiti più disparati – psicologico, emotivo, economico, lavorativo e non solo – e lascia segni profondi nel corpo e nell’anima.

Attraverso la voce di numerosi professionisti che ogni giorno si battono contro la violenza di genere, questo saggio si pone come vero e proprio kit di sopravvivenza per tutte le donne.
Attraverso le testimonianze di avvocati, criminologi, psicologi e tanti altri esperti è possibile riconoscere i segnali di abuso e, quindi, correre ai ripari.
Un libro non solo per le donne, ma soprattutto per gli uomini: che scendano in guerra, al fianco di mogli, madri, figlie, sorelle e amiche, contro il patriarcato e il maschilismo, per costruire una società davvero libera.

Autore

Gian Ettore Gassani, è un avvocato matrimonialista con studi a Milano e Roma, ha patrocinato in numerosi processi di grande rilievo, presidente nazionale dell’Ami – Associazione degli avvocati matrimonialisti italiani – esperto di Diritto delle relazioni familiari, Diritto penale della famiglia e Diritto di famiglia internazionale.

Gian Ettore Gassani – La strage delle innocenti. Diarkos, 2024

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La micropolitica vince sulla macropolitica

Foto Fira Alternativa Valencia

di Carmen Montalba Ocaña

Il modo in cui la DANA è stata gestita istituzionalmente ha rafforzato la mia convinzione che la partitocrazia aveva annientato l’essenza della democrazia. In conversazioni accalorate con amici, familiari e in discussioni intense su gruppi di WhatsApp e Telegram, si sono sollevate dibattiti appassionati su chi avrebbe dovuto agire e di chi era realmente la responsabilità. Sono stanca di bandiere, stanca di questi dibattiti ma ho paura che il fango si inghiotta lo spazio politico già danneggiato e vulnerabile, guadagnando terreno l’anarcofascismo e il populismo facile.

Tuttavia mi sono sbagliata, questa esperienza mi sta ridando speranza nel collettivo, nella micropolitica. Il potere dell’istituente contro l’istituto.

L’intelligenza collettiva della società civile è agile, non traffica con il potere, non ha ego da nutrire… La solidarietà per la cittadinanza dispiegata in questi giorni può risultare caotica, sbagliata, eccessivamente emotiva, instabile. A volte i movimenti possono sembrare irregolari, come se si trattasse soltanto di spostare il fango da un luogo all’altro. Ma basta osservare quanto è accaduto in questi giorni per vedere come ad ogni problema, si cerca una soluzione. In una sola settimana, il volontariato è riuscito a creare strutture di coordinamento complesse.

La cittadinanza, anche se non organizzata, offre generosamente le sue competenze come elettricisti, trasportatori, cuochi e una miriade di altre professioni. Giovani ingegneri e tecnologi si sono uniti a questo sforzo, sviluppando in tempi record siti web e applicazioni collaborative di grande utilità per mappare le esigenze e offrire aiuto o risorse.
Alla fine la partitocrazia può erodere la democrazia, ma l’azione cittadina le fa fronte, rafforzando con l’intelligenza collettiva, il potere distribuito di un popolo, e la reattività al dolore e alla necessità… Come diceva Fernando Cembranos “il gruppo è più intelligente di uno”.

L’articolo è stato pubblicato su Comune-info il 10 novembre 2024

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UN PAESE PER SOLI GIOVANI

Fonte: pixabay


di Sergio Tardetti

Se un paese per soli giovani esistesse, quello sarebbe senz’altro il paese della Poesia. Non è di certo un paese per vecchi, perché la poesia richiede energie fisiche, oltre che mentali, perché possa diventare davvero una professione, così come, in generale, si può pensarlo della scrittura. Chi ha molto vissuto potrà ricavare dalla sua esperienza motivi e situazioni da stendere in prosa o tradurre in versi, ma resta poi sempre aperto il problema di farli conoscere a un pubblico più o meno nutrito. E qui, giunti a questo punto, si tratta di partecipare a reading e organizzare presentazioni un po’ ovunque, girando per la provincia, per la regione e per il resto del paese. Impresa davvero epica, quando si raggiunge una certa età, specialmente poi se il caldo e l’afa dominano incontrastati per gran parte della stagione migliore. Il poeta – e lo scrittore in generale – si deve fare promotore di se stesso, ma anche e soprattutto della poesia, se vuole dare davvero un senso a quello che scrive e al tempo che gli dedica. Da qui la necessità, e perfino l’urgenza, di mantenersi perfettamente integri, perché girare di villa in villa è fisicamente spossante e anche economicamente poco redditizio, specialmente se si confronta il ricavato con la spesa, come sa bene ogni buon contabile, anche quello che si occupa di quotidiana economia domestica. In ogni caso questo proporsi al pubblico, specialmente in giovane età, deve essere visto come un investimento per il futuro, senza però dimenticare che bisogna anche trovare il tempo per produrre quello che si vuole proporre al pubblico, altrimenti non ha senso proporre né proporsi.
Così, il paese della Poesia è sempre più affollato di giovani, che scalpitano perché venga riconosciuto il loro valore. C’è, poi, tutta una categoria di scrittori che hanno iniziato a scrivere per pubblicare in tarda età, perché – a domanda rispondono – prima dovevano lavorare, vale a dire dedicarsi a procurare il pane quotidiano per sé e per la famiglia. Una volta raggiunta l’agognata quiescenza, mettono da parte ogni tentazione di tornare al travaglio usato e prendono in mano la penna o cominciano a digitare sulla tastiera del computer per dare forma e corpo ai sogni, ai ricordi e alle pulsioni giovanili. Senza fare i conti con la realtà, che domanda un corrispettivo economico al tempo dedicato allo scrivere, solo perché ormai in pensione e quindi al riparo da problematici vuoti alle proprie finanze o nelle proprie tasche. Resta il fatto che i tanti, troppi testi originati dalla continua frequentazione con la Musa giacciono inerti e polverosi in qualche cassetto o in qualche cartella del computer, in attesa di essere rivelati, di essere messi a confronto con un pubblico che possa almeno decretarne la leggibilità o l’insuccesso. Che “carmina non dant panem” lo ammetteva anche il vecchio Orazio, e lo imparano a proprie spese anche i tanti orazi di quest’epoca arida, sordida e malpensante, che nemmeno una dose massiccia di poesia potrebbe rendere appena accettabile.
Forse è per questo che sempre meno giovani e sempre più anziani si danno alla poesia, consapevoli i primi dell’inutilità di voler cambiare il mondo a colpi di endecasillabi e di versi liberi, i secondi, ormai incamminati sul viale del tramonto, per trattenere nelle parole di quei versi quel tanto o quel poco del tempo trascorso, perché possano accettare meno dolorosamente l’idea di essere vissuti, o di avere vissuto. Una confessione “in limine”, sulla soglia tra l’oltre e il qui e ora, che, se non varrà a procurarsi l’effimera gloria di uno dei tanti premi assegnati dai troppi concorsi, spuntati ovunque come funghi, servirà almeno a liberarsi da fardelli che da troppo tempo gravano sulle spalle e sulla coscienza dei folgorati sulla via del Parnaso. Intanto, si continua a versificare, in attesa del giudizio più severo, quello del Tempo, che, con buona pace della folla degli scriventi e pubblicanti, dirà l’ultima parola sui vari testi che vengono proposti a getto continuo, con la segreta speranza di centrare il bersaglio grosso, quello dei premi di prima categoria, universalmente riconosciuti come segnacolo del raggiunto successo. Ma il confronto più aspro resta sempre quello con sé stessi, specialmente per i più scettici e tormentati, convinti sempre che tanto scrivere non valga infine nemmeno il prezzo della carta e degli alberi abbattuti per produrla. Resta perennemente accesa una speranza, quella di un incontro con uno sconosciuto che, al solo sentirti nominare il tuo luogo di provenienza, azzardi a chiederti se per caso tu conosca il tale “autore”, del quale arriverà perfino a recitarti alcuni versi, che inevitabilmente potrai finire per riconoscere come tuoi. Ma questo accade in quel genere di sogno dal quale è sempre previsto l’inevitabile obbligatorio risveglio

© Sergio Tardetti 2024


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I pifferi di montagna

di Carlo Luigi Secondat

De plus, il se servit de la plus vile populace por troubler les Magistrats dans leurs fonctions

(Si servì, inoltre, della più vile plebaglia per disturbare i magistrati nelle loro funzioni)

Montesquieu
(Considerazioni sulle cause della grandezza dei romani e della loro decadenza, XI)

Aveva trattato questa particolare materia proprio su Effimera il mio amico e collega Thomas E.J. Aquinate il 6 ottobre 2023, in un pezzo con titolo Il coro dei beoti a commento del putiferio sorto dopo la decisione del Tribunale di Catania, presa dalla dottoressa Iolanda Apostolico, che aveva negato la convalida dei trattenimenti disposti dal questore di Ragusa in ragione della normativa dell’Unione Europea, prevalente su quella nazionale italiana, secondo la nostra stessa costituzione (qui). Sia la dottoressa Apostolico sia il dottor Rosario Cuprì (che aveva preso a seguire provvedimento analogo) furono destinatari di male parole e trattati da pericolosi eversori, per giorni e giorni: la (o il come pretende, in fondo non cale) presidente del consiglio e il ministro Nordio (per giunta a lungo magistrato, anche con funzioni direttive) annunciarono appelli qualificando abnorme e indifendibile la sentenza. Ma si trattava invece di un decreto, non appellabile: i vertici dello stato mostrarono di non conoscere neppure le norme da loro stessi approvate, come fin da subito ebbe a rilevare l’Aquinate.

Ma che è successo dopo? Premessa necessaria

Grazie all’intervento dell’Avvocatura di Stato (non si comprende perché non allertata dall’inizio) il ministro Piantedosi e il questore di Ragusa evitarono il promesso appello (sarebbe stato marchiato come inammissibile) e si rivolsero invece alla Corte di Cassazione contro il diabolico decreto per eliminare una grave ferita all’ordinamento; e invocarono una procedura urgente, anzi urgentissima. Il ricorso fu assegnato, per la novità e la rilevanza del caso, alle Sezioni Unite già il 27 ottobre 2023, 2 giorni dopo il deposito. Le Sezioni Unite, per quanto non proprio formalmente vincolanti nei giudizi futuri, hanno tuttavia un compito d’indirizzo di cui in concreto si tiene gran conto. La trattazione venne fissata in tempi rapidi: 8 febbraio 2024. Ma l’esito dell’esame fu interlocutorio: proprio per il carattere vincolante delle direttive europee, cui l’ordinamento italiano deve piegarsi, le Sezioni Unite rinviarono alla Corte di Giustizia al fine di conoscere la corretta interpretazione degli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33UE richiamata dai giudici del Tribunale di Catania per disapplicare la normativa nazionale.

Nel frattempo il ministro Piantedosi, silenziosamente e prudentemente, revocò il suo stesso provvedimento del 14.9.2023 (bollato come illegittimo da Apostolico e Cuprì) già in data 10 maggio 2024 (Gazzetta Ufficiale 19.6.2024), prima che la Corte di Giustizia si pronunciasse. Non è finita; arrivò un’altra sorpresa sgradita al governo italiano.

La Moldavia non è un paese sicuro

La Corte di Giustizia, con sentenza del 4 ottobre 2024 (vincolante anche per gli stati membri e pure per la Repubblica Italiana) C406/22 (reperibile in rete con facilità per chi volesse consultarla) decise la vicenda di un cittadino moldavo che aveva chiesto di non essere rispedito in patria (paese non sicuro) e di poter rimanere nella Repubblica Ceca cui aveva chiesto asilo. In prima istanza la sua domanda era stata respinta; nel giudizio di opposizione al provvedimento di diniego il Tribunale di Brno (la città nota agli italiani per lo Spielberg in cui fu carcerato Silvio Pellico, il patriota delle mie prigioni) chiese alla Corte di Giustizia di chiarire come andavano interpretate le direttive. E il 4 ottobre la risposta è arrivata! Innanzitutto si precisava che l’art. 30 della direttiva 85 del 2005 era da intendersi sostituito (non affiancato) dall’art. 37 della direttiva 32 del 2013, chiarimento di notevole importanza per l’ordinamento italiano. In Italia l’art. 2 bis comma 2 del decreto legislativo 25/2008 consente di definire comunque paese sicuro anche con esclusione di parti di territorio o di categorie di persone. Dopo la sentenza del 4 ottobre 2024 questo non è più possibile, con effetto perfino retroattivo. Per la Corte di Giustizia è sufficiente che una porzione territoriale non sia sicura per impedire la definizione sicuro in tema di asilo e migrazione; in quel caso (Moldavia) la striscia di Trasnistria in mano agli autonomisti russofoni al confine con l’Ucraina imponeva di accogliere la domanda di asilo e inibiva il rimpatrio forzato. Per capire la portata della decisione si tenga conto che la Moldavia è stata ammessa a presentare domanda d’ingresso in UE: anche questo non è ritenuto dalla Corte di Giustizia elemento decisivo. Non solo. La Corte ha chiarito che un paese deve essere sicuro in ogni sua parte e con riferimento all’esercizio dei propri diritti da parte di tutti gli abitanti del territorio: senza discriminazioni di genere, di religione, di orientamento sessuale, di provenienza etnica.

Piantedosi legge e marcia indietro

Avuta notizia della pubblicazione della sentenza emessa il 4 ottobre, 3 giorni dopo, il 7 ottobre 2024, il ministro Piantedosi e il questore di Ragusa, hanno depositato la rinunzia al ricorso per Cassazione, con iniziativa unilaterale. Conseguentemente i provvedimenti del Tribunale di Catania sono divenuti definitivi, con buona pace di Nordio e Meloni, rimasti con la coda fra le gambe dopo aver promesso di spezzare le reni ai due giudici siciliani che invece si sono visti pienamente riconoscere di aver preso una decisione conforme a diritto.

E adesso l’Albania!

Con solo qualche mese di ritardo, dopo le vacanze estive e un notevole incremento dell’afflusso turistico sulla costa albanese, nei pressi del ristorante Meloni (giuro: si chiama così!), a un passo dal mare, è stato aperto il carcere per migranti in attesa di espulsione (non si chiama carcere ovviamente: ma sono stanze in cui la gente viene rinchiusa contro la propria volontà e il nome non basta a cambiare la sostanza).

Hanno scelto 16 maschi (discriminazione di genere? mah…), a loro dire maggiorenni e sani, provenienti dal paradiso libico a bordo di un barcone, intercettati dalla nostra guardia costiera a poche bracciate dalla spiaggia di Lampedusa, subito separati dal grosso con cui avevano viaggiato, e dirottati verso il porto di Schengjin. Il costo della crociera (durata 2 giorni: dal 14 al 16 ottobre), secondo le stime unanimi, è stato di circa 18.000 euro per passeggero, con riferimento alla sola andata, in totale circa 288.000 euro; conveniva  noleggiare un aerotaxi, con meno di 20.000 euro in due ore il viaggio era concluso.

Appena sbarcati 4 migranti su 16 (il 25%) furono riportati in Italia: 2 perché minori e 2 perché vulnerabili (ovvero malati e/o malmessi). Nessuno ha spiegato come fosse potuto accadere, evidentemente il governo italiano non ha alcun timore del ridicolo, gli corre incontro con perseveranza.

Gli altri 12 hanno presentato richiesta di asilo contestualmente all’identificazione, ma la commissione territoriale (nominata da Piantedosi con decreto) le ha respinte tutte in un battibaleno. Non abbiamo il testo: tuttavia la decisione, per quanto ministeriale, neppure ha raggiunto l’unanimità! A questo punto i 12 migranti hanno un tempo brevissimo per avviare il ricorso avverso il provvedimento dopo aver trovato un legale: per chi è trattenuto sono solo 15 giorni, poi scatta l’espulsione (nel loro caso il rimpatrio in Egitto o Bangladesh).

Mai dire gatto…

A questo punto i giochi sembravano fatti. Mancava solo la convalida del trattenimento forzato nel centro di Gjader, connesso a Shengjin, da parte del Tribunale di Roma. L’udienza si è tenuta con un sistema di collegamento video, i migranti in Albania, i loro avvocati a Roma, senza aver avuto alcuna possibilità di preparare la difesa, con difficoltà anche a raccogliere il mandato. Il meccanismo era stato predisposto per limitare ogni possibile resistenza tecnica alla convalida, ma era pur tuttavia un congegno ideato da una squadra di funzionari di dubbia capacità tecnico-giuridica: a guardar bene sembra una delle macchine inutili costruite da Willy il Coyote per tentare la cattura dello struzzo Beep Beep nei cartoni Warner Bros di Chuck Jones. Il 18 ottobre 2024, raccolti gli elementi, la giudice Luciana Sangiovanni, ha negato la convalida del trattenimento e disposto, con il decreto già pubblicato da Effimera (qui) l’immediato rilascio di tutti e 12 i migranti, quelli del Bangladesh e quelli egiziani. Applicando la direttiva europea, perché vincolante e prevalente sulla norma nazionale, Luciana Sangiovanni ha esaminato il merito della vicenda e negato che correttamente potessero definirsi sicuri, con riferimento a questi singoli soggetti provenienti dalla Libia via mare, i due paesi in cui il governo italiano pretendeva di rimpatriarli; non è sufficiente compilare un elenco di comodo di stati in qualche modo amici per legittimare l’espulsione mettendo le esistenze in pericolo. Appena depositato il decreto si è scatenata la reazione scomposta del governo in carica, mettendo in croce l’intera sezione specializzata del Tribunale di Roma.

I pifferi di montagna

La vicenda porta alla mente un gustoso detto popolare che fu reso celebre dal bibliotecario fiorentino Giovanni Lami con un componimento in terzine. Narrava di tre fratelli che vivevano in un qualche paese di montagna, suonavano il piffero, conoscevano solo due note e tuttavia erano convinti di essere artisti eccezionalmente bravi. Così decisero di andare nei borghi vicini per far conoscere la loro musica eseguendo nelle piazze il loro repertorio. Ma non erano bravi, erano solo arroganti incapaci, il pubblicò che li ascoltava manifestò prima fastidio, poi gridò disappunto e infine, visto che non accennavano a smetterla, li presero a bastonate. Di qui il detto: tu fai come i pifferi di montagna che andarono per sonare e furono sonati (Cfrl’edizione Edelin e Pickard, Londra, 1738 uscita sotto falso nome).

Meloni e Piantedosi si ostinano a non tener in conto alcuno le norme, a prendere decisioni in contrasto con il diritto positivo vigente; al loro fianco scalpitano Salvini e Nordio. Quest’ultimo, pur magistrato per lunghi anni in quel di Venezia (da ultimo quale procuratore aggiunto, ruolo semiapicale), ancora non ha ben chiara la differenza fra decreto sentenza, come lui pervicacemente insiste a definire il provvedimento secondo lui abnorme del Tribunale. Già infastidisce l’errore dei cronisti giudiziari (ma ormai sono manovali sottopagati e li perdoniamo); in bocca a un ministro di giustizia non è accettabile.

A breve un nuovo spettacolo

Ora questi geni si preparano a varare un ennesimo colpo di mano. Pur di spuntarla metteranno a repentaglio la già scarsa credibilità della Repubblica Italiana nelle Corti di Giustizia sovranazionali. Senza tener conto della sentenza C406/22 e dei principi vincolanti enunciati nella motivazione si preparano a inserire in un decreto legge urgente (che andrà comunque poi approvato dalle Camere nei 60 giorni e che necessita anche della firma di Mattarella) una lista di paese a loro dire sicuri. Qualcuna/o ha detto loro che la lista, inserita in una legge, sfuggirà all’esame del Giudice; la giurisprudenza costante, consolidata, granitica, sostiene altro: impone al magistrato la disapplicazione della norma nazionale in contrasto con la direttiva europea. E qui è prontamente intervenuta nientemeno che la seconda carica dello stato, l’avvocato Ignazio La Russa, con la soluzione: poiché il vincolo della direttiva è previsto dalla nostra Costituzione andiamo subito a cambiarla. La norma nazionale prevarrà, dopo la modifica, sulla norma europea e non viceversa: il problema secondo lui è risolto. Non ci sono più limiti alla totale assenza di buon senso.

La sentenza C406/22 prevale sulla legge italiana, quale che sia, nei principi enunciati in motivazione. Dunque Egitto e Bangladesh, stati che Meloni considera sicuri, dovrebbero innanzitutto controllare il territorio nazionale. Ma in Egitto il triangolo di Halaib (2580 kmq, grande come l’Emilia Romagna, più della Transnistria) è conteso militarmente fra Egitto e Sudan, tanto che una società canadese non estrae petrolio ad evitare guai altrimenti certi. Basterebbe questo in aggiunta al processo Regeni, ma c’è di più. L’omosessualità, valutata come depravazione pur in assenza di previsione specifica, prevede fino a 17 anni di carcere. I cristiani copti sono discriminati, le donne pure. Poiché un paese deve essere sicuro per il singolo soggetto a prescindere da qualsiasi lista nazionale, un egiziano potrà dichiararsi copto, gay, o ateo bisessuale, nessuno potrà negargli asilo. Quanto al Bangladesh oltre alla guerra civile in corso esiste esplicito il reato di omosessualità (fino a dieci anni di carcere) e per questioni religiose è un attimo incappare nella blasfemia e in conseguenze ben peggiori. I paesi da cui si scappa, è un dato notorio che non necessità argomentazioni, sono poco sicuri; le società povere ma libere e pacifiche oggi esistono solo nelle fiabe, basti pensare ai quasi dieci milioni di sfollati in Sudan che non interessano a nessuno e che stanno attraversando l’africa subsahariana in cerca di un posto dove vivere. Se ne facciano una ragione. Pensare di risolvere il problema migratorio, con la guerra diffusa in corso, aprendo qualche centro in Albania e la Taverna Meloni a Schingjin, è comunque una presa in giro. Per giunta è un delirio mal costruito giuridicamente. Questi poggiano su personale mediocre. I nazisti potevano almeno contare su Carl Schmitt, mente criminale senza dubbio, ma giurista di talento. Il che lascia ben sperare.

L’articolo è stato pubblicato su Effimera il 23 ottobre 2024 

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